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sezione lavoro; sentenza 1° marzo 1985, n. 1782; Pres. Franceschelli, Est. Genghini, P. M. La Valva...

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sezione lavoro; sentenza 1° marzo 1985, n. 1782; Pres. Franceschelli, Est. Genghini, P. M. La Valva (concl. conf.); Castellano (Avv. Vinci, Lo Vecchio Musti) c. Soc. CARD. Dichiara inammissibile ricorso avverso Pret. Bari, ord. 22 dicembre 1980 Source: Il Foro Italiano, Vol. 108, No. 6 (GIUGNO 1985), pp. 1683/1684-1693/1694 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23178532 . Accessed: 28/06/2014 09:14 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.238.114.174 on Sat, 28 Jun 2014 09:14:36 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione lavoro; sentenza 1° marzo 1985, n. 1782; Pres. Franceschelli, Est. Genghini, P. M. LaValva (concl. conf.); Castellano (Avv. Vinci, Lo Vecchio Musti) c. Soc. CARD. Dichiarainammissibile ricorso avverso Pret. Bari, ord. 22 dicembre 1980Source: Il Foro Italiano, Vol. 108, No. 6 (GIUGNO 1985), pp. 1683/1684-1693/1694Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23178532 .

Accessed: 28/06/2014 09:14

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1683 PARTE PRIMA 1684

di potere (in senso privatistico) e cioè un movente diverso dallo

scopo esternato dell'atto, ovvero un'incongrua, errata e non im

parziale valutazione della situazione esaminata. Tali deviazioni

possono assumere il livello dell'illecito, se si accorda la preferen za, per esempio, proprio al soggetto non fornito di quei requisiti che si dichiara di volere privilegiare. Il limite della sindacabilità dell'atto di autonomia (tenuto conto del principio fondamentale, secondo cui nessun commerciante ha il diritto di diventare distributore di un produttore) consiste nella potenzialità dannosa

dell'atto, e cioè nella sua interferenza illecita sull'azienda —

anche in fieri — del soggetto che se ne lamenta.

Pertanto, in parziale difformità rispetto al principio enunciato da Cass. n. 2634/83, deve affermarsi che non è sufficiente la discrezionalità della scelta, per affermare che essa viola le regole normali di concorrenza, in quanto è necessaria l'arbitraria discri minazione o l'erronea applicazione delle regole e dei procedimenti prefissati.

Invero, si potrebbe ritenere illecita la discrezionalità della scelta soltanto se si potesse ritenere configurabile un diritto

soggettivo ad essere scelto; diritto che invece non esiste, come si è dimostrato supra. Occorre pertanto un « vizio » della discrezio nalità consistente nell'inosservanza di regole di correttezza, a causa di una immotivata discriminazione e disparità di trattamen to ovvero della violazione delle regole o delle procedure prefissate, a vantaggio di un imprenditore e con ingiusto (potenzia le) danno di un altro.

V) Con la sesta censura si deduce che la corte d'appello, dopo aver rilevato l'esistenza di un atto di boicottaggio, avrebbe dovuto pronunciare d'ufficio la nullità dell'accordo, trattandosi di fatto perseguibile penalmente (art. 507 c.p.), nonché ordinare il rilascio in favore del Tirelli del tesserino di prelevamento, anche

agli effetti dell'esatta delimitazione dell'ambito temporale del danno risarcibile. Il collegio osserva che la censura è assorbita

dall'accoglimento del ricorso principale e dalle altre considerazio ni fatte nel paragrafo precedente. A parte la circostanza che la sentenza impugnata non ha accertato affatto il delitto di boicot

taggio e che l'affermazione dell'esistenza di esso come atto illecito ex art. 2043 c.c. è stata annullata, si osserva infatti che la domanda deve essere riesaminata alla stregua della disciplina dell'art. 2598 c.c. ss., ed osservando i seguenti principi di diritto:

« Un accordo fra associazioni di produttori (nella specie: editori) e di commercianti (nella specie: giornalai) inteso a

regolare la procedura di istituzione ed assegnazione dei punti di vendita non può essere valutato sotto il profilo della responsabili tà extracontrattuale ex art. 2043 c.c. in danno del soggetto estraneo all'accordo stesso che non abbia ottenuto l'assegnazione, per difetto della lesione diretta ed immediata di un diritto

soggettivo a rivestire la posizione di distributore del prodotto, che

non può essere basato sull'art. 41 Cost., in assenza di altra norma

(stante l'inapplicabilità dell'art. 2597 c.c.) regolante il rapporto

interprivato di cui si tratta. Tale accordo può essere invece

valutato, sia nel suo contenuto che nella sua attuazione, soltanto

nell'ambito della disciplina della concorrenza sleale di diritto

interno, se difettano i presupposti di applicabilità della normativa della CEE ».

« Le associazioni sindacali di categoria degli imprenditori pos sono rispondere di concorrenza sleale, a norma degli art. 2598 ss.

c.c., per gli atti compiuti in pregiudizio di imprenditori non

iscritti, consistenti nella stipulazione e/o esecuzione di un accordo

restrittivo della concorrenza, avente ad oggetto il compimento di

un atto rientrante nell'ambito dell'esercizio concreto dell'organiz zazione sindacale (quale è la designazione nominativa del distri

butore del prodotto secondo criteri selettivi) se tali atti sono

compiuti nell'interesse di un altro imprenditore concorrente col

primo, anche non iscritto alle associazioni predette, che abbia

chiesto ed ottenuto l'applicazione a suo vantaggio dell'accordo. In

tal caso, infatti, si riscontra — in astratto — la figura del terzo

non imprenditore che coopera nell'illecito concorrenziale dell'im

prenditore e risponde solidalmente con quest'ultimo ».

« Un accordo fra associazioni di produttori (nella specie:

editori) e di rivenditori (nella specie: giornalai) che consente la

distribuzione del prodotto soltanto ai rivenditori prescelti dalle

predette associazioni in base a regole predeterminate inerenti alla

procedura ed ai criteri di scelta, non può qualificarsi come

boicottaggio in danno degli imprenditori non scelti (e quindi

professionalmente scorretto ex art. 2598 c.c.) quando l'esclusione

delle relazioni economiche di altri soggetti non sia assoluta e

riguardante tutti gli estranei all'accordo, ma si dia la possibilità di accedere all'accordo stesso in base al riscontro dell'esistenza di

requisiti qualitativi obiettivi correlati all'esigenza della razionaliz

zazione e del miglioramento della distribuzione del prodotto; e

Il Foro Italiano — 1985.

quando si apportano limiti, nell'interesse della categoria generale dei rivenditori, all'autonomia dei produttori ».

« Il suddetto accordo non può considerarsi contrario alla cor

rettezza professionale ex art. 2598, n. 3, c.c., se risulta che la

scelta dei rivenditori viene effettuata secondo criteri qualitativi

oggettivi, riguardanti le capacità del rivenditore e l'idoneità della

sua azienda, in relazione alle esigenze della migliore distribuzione

dei prodotti e che tali criteri sono fissati uniformemente in base

ad una procedura nella quale sono valutate comparativamente le

situazioni e le posizioni precostituite sul mercato di più aspiranti al medesimo punto di vendita ».

« L'applicazione del suddetto accordo può essere considerato

come atto contrario alla correttezza ex art. 2598, n. 3, c.c., non in

base alla semplice valutazione discrezionale dei suddetti requisiti e per il conseguente rifiuto nei confronti di un aspirante alla

rivendita ritenuto dotato di requisiti inferiori rispetto a quello

scelto, ma soltanto se sono stati violati i criteri prefissati o non è

stata seguita una regolare procedura o è posta in essere un'in

congrua, errata o non imparziale valutazione delle situazioni

esaminate. In tal caso, se l'atto è potenzialmente produttivo di

danno a carico dell'escluso, con vantaggio potenziale di altro

imprenditore concorrente, può essere considerato come atto di

concorrenza sleale ».

La sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti

e la causa va rimessa per nuovo esame, alla stregua dei principi enunciati e degli altri desumibili dalla presente sentenza, ad altro

giudice che si designa in altra sezione della Corte d'appello di

Roma. (Omissis)

I

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 1° marzo

1985, n. 1782; Pres. Franceschelli, Est. Genghini, P. M. La

Valva (conci, conf.); Castellano (Avv. Vinci, Lo Vecchio

Musti) c. Soc. CARD. Dichiara inammissibile ricorso avverso

Pret. Bari, ord. 22 dicembre 1980.

Provvedimenti di urgenza — Revoca — Ricorso per cassa

zione — Inammissibilità (Cost., art. 111 ; cod. proc. civ., art.

295, 298, 360, 690, 700, 702).

È inammissibile il ricorso per cassazione ex art. Ill Cost, av

verso l'ordinanza di revoca del provvedimento d'urgenza ex

art. 700 c.p.c., stante la sua natura strumentale e ordinatoria

(in motivazione si sottolinea che la revocabilità del provve dimento cautelare è possibile non solo per il cambiamento

delle circostanze sul periculum in mora ma anche in rela

zione dell'accertamento del fumus boni iuris).(l)

II

CORTE DI CASSAZIONE; sezione II civile; sentenza 15 di

cembre 1984, n. 6579; Pres. Pieri, Est. Perrotti, P. M. Fabi

(conci, diff.); Alaimo e altri (Avv. Boffa, Balsamo, Bruno) c.

Cirrito e Latona (Avv. Mormino, Algozini). Dichiara inammis

sibile ricorso avverso Trib. Termini Imerese, ord. 17 giugno 1983 e App. Palermo, ord. 15 luglio 1983.

Provvedimenti di urgenza — Natura di sentenza — Appellabilità — Ricorso per cassazione — Inammissibilità (Cost., art. Ili; cod. proc. civ., art. 339, 360, 689, 700, 702, 739; 1. 11 febbraio

1971 n. 11, nuova disciplina dell'affitto di fondi rustici, art. 26; 1. 3 maggio 1982 n. 203, norme sui contratti agrari, art. 47).

I provvedimenti d'urgenza ex art. 700 c.p.c., stante la loro natura

strumentale non sono suscettibili di impugnazione autonoma; tuttavia se il giudice adito ante causam ex art. 700 c.p.c.,

competente anche per il merito, unifichi la fase interdittale e

il giudizio di merito emettendo in luogo del provvedimento

d'urgenza un vero e proprio provvedimento definitivo di meri

to, questo, stante il suo carattere decisorio, ha natura di sen

tenza ed è impugnabile tramite l'appello e non il ricorso per cassazione ex art. Ili, 2° comma, Cost. (2)

(1-3) I. - Cass. 1782/85 si segnala per l'ampio obiter dictum in tema di revocabilità dei provvedimenti d'urgenza ex art. 700 c.p.c., su cui cfr. anche l'ordinanza del Tribunale di Grosseto.

Nello stesso senso della decisione del tribunale, in casi analoghi di

pronuncia da parte del pretore adito ante causam ed istanza di revoca

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Ill

TRIBUNALE DI GROSSETO; ordinanza 17 gennaio 1984; Giud.

istr. Amatista; Unione nazionale autoscuole e studi di consu

lenza automobilistica (Avv. Medugno) c. Automobile club

d'Italia e Automobile club di Grosseto (Avv. Pace).

Provvedimenti di urgenza — Revocabilità — Ammissibilità (Cod.

proc. civ., art. 177, 700, 701).

L'ordinanza resa dal pretore quale provvedimento d'urgenza deve intendersi revocabile dal giudice istruttore, pendendo la

causa di merito (nella specie, in base a provvedimento ex art.

700 c.p.c., era stato ordinato all'Automobile club di Grosseto di

astenersi dall'inviare agli automobilisti, interessati alla revisione

di autoveicoli, ulteriori cartoline pubblicitarie). (3)

avanti al giudice istruttore del tribunale adito per la causa di merito, v., da ultimo, Trib. Roma, ord. 1° aprile 1983, Foro it., 1983, I, 1098, con nota di richiami (e in Giur. it., 1983, I, 2, 634, con nota di

Cuffaro). Esplicitamente in senso contrario v. Trib. Torino, ord. 14

giugno 1983, Foro it., 1983, I, 2558 (con ampia e articolata motivazio ne nella quale si esaminano i tre diversi orientamenti giurisprudenziali sul punto) e Trib. Camerino, ord. 22 dicembre 1983, id., 1984, I, 277, entrambe con ulteriori note di richiami.

Sulla revocabilità del provvedimento d'urgenza ex art. 700 c.p.c. nel corso o prima dell'inizio del giudizio di merito ma sempre da parte dello stesso giudice che l'ha pronunciato, v. Trib. Crema 3 maggio 1982, id., Rep. 1983, voce Provvedimenti d'urgenza, n. 116 (e per esteso in Banca, borsa, ecc., 1982, II, 311, con nota di Salanitro); Cass. 5 maggio 1981, n. 2774, Foro it., 1981, I, 1252, con nota di richiami e osservazioni di C. M. Barone; Pret. Siracusa 21 ottobre

1980, id., 1981, I, 559, con ulteriore nota di richiami nella quale si

riepilogano le diverse posizioni della dottrina e della giurisprudenza. Mentre la decisione della Cassazione in epigrafe argomenta a favore

della revocabilità della natura cautelare, come tale intrinsecamente provvisoria, del provvedimento d'urgenza ex art. 700 c.p.c. (su cui v.

Tommaseo, I provvedimenti d'urgenza, Padova, 1983, 147 ss., 317 ss.; D'Auria, L'esecuzione dei provvedimenti cautelari, ecc., in Riv. giur. lav., 1979, II, 1092; A. Proto Pisani, I provvedimenti d'urgenza ex art. 700 c.p.c., in Appunti sulla giustizia civile, Bari, 1982, 412 s.), l'ordinanza del Tribunale di Grosseto si fonda sull'argomento (già proprio di

Andrioli, Commento, Napoli, 1964, IV3, 275) secondo cui, sostenen do la tesi contraria, si darebbe ingresso ad un provvedimento non suscettibile di modifica fino all'esaurimento del giudizio di merito

(come invero sembra disposto dall'art. 24, 4° comma, 1. 990/69 e 18, 7° comma, 1. 300/70), e ritiene di poter superare l'ostacolo della dizione letterale «stesso giudice», di cui all'art. 177 c.p.c., per equiparare il caso del provvedimento d'urgenza reso dal giudice istruttore in corso di causa a quello reso dal pretore ante causam, non

competente poi per il merito. Nella motivazione di Cass. 1782/85 si rinvengono gli scarsi e

contraddittori precedenti della Corte di cassazione in argomento (tutti svolti, come nella decisione in epigrafe, a livello di obiter dicta).

II. - Le due pronunce della Corte di cassazione in epigrafe, richiamando espressamente alcune precedenti sentenze (Cass. 27 gen naio 1983, n. 754, Foro it., Rep. 1983, voce cit., n. 113; 25 novembre 1983, n. 7082, ibid., n. 117; 24 maggio 1980, n. 3420, id., Rep. 1980, voce cit., n. 85; 7 luglio 1979, n. 3890, id., Rep. 1979, voce cit., n. 7) confermano il proprio indirizzo ormai consolidato della generale inimpugnabilità in via autonoma dei provvedimenti d'urgenza, smentendo ulteriormente l'isolata pronuncia delle sez. un. 3 ottobre 1977, n. 4180, id., 1978, I, 1409, con nota critica di Cipriani, Atti urgenti e provvedimenti cautelari durante la sospensione del processo di merito, laddove si era affermata la diretta impugnabilità ex art. 111 Cost, dei provvedimenti d'urgenza qualora avessero sostan zialmente natura di sentenza.

In senso conforme alle sentenze in epigrafe v. Cass. 8 luglio 1983, n. 4619, id., Rep. 1983, voce cit., n. 113; 27 gennaio 1983, n. 754, ibid., n. 108; 5 maggio 1981, n. 2722, id., Rep. 1982, voce cit., n. 96; 13 maggio 1980, n. 3144, id., Rep. 1980, voce cit., n. 82; Trib. Roma 1° aprile 1980, ibid., n. 86; Cass. 19 gennaio 1980, n. 444, ibid., n. 84; 14 novembre 1978, n. 5241, id., Rep. 1979, voce cit., n. 54; nelle motivazioni v. anche Cass. 10 aprile 1978, n.

1680, I, 226 e 15 febbraio 1978, n. 712, id., 1978, I, 1456, con nota di richiami di A. Lener.

In particolare sulla inammissibilità del ricorso in Cassazione ex art. Ill Cost., cfr. Cass. 25 novembre 1983, n. 7082, id., Rep. 1983, voce

cit., n. 117; 14 ottobre 1983, n. 5998, ibid., n. Ili; 16 luglio 1983, n. 4905, ibid., n. 112; 8 luglio 1983, n. 4619, cit.; 27 gennaio 1983, n. 754, cit.; 28 aprile 1981, n. 2552, id., 1981, I, 2203, con nota di richiami di Cipriani.

Sulla inappellabilità del provvedimento emesso ex art. 700 c.p.c. in

quanto ha natura di ordinanza nonostante la forma di sentenza, più specificamente, cfr. Trib. Roma 1° aprile 1980, cit.; Trib. Roma 14 settembre 1979, id., 1979, I, 2132; Cass. 20 dicembre 1978, n. 6116, id., Rep. 1978, voce cit., n. 51; 4 agosto 1978, n. 3842, ibid., n. 52; 17 marzo 1978, n. 1328, cit., con nota di richiami di A. Lener.

Con l'orientamento sopra esposto della giurisprudenza è allineata la

prevalente dottrina, in generale sulla struttura cautelare e non deciso

li- Foro Italiano — 1985.

I

Motivi della decisione. — Con il primo mezzo il ricorrente si duole per la violazione degli art. 295 e 298 c.p.c. (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.) in quanto il pretore non poteva riservarsi senza

motivazione sulla istanza di sospensione per pregiudizialità del

procedimento penale; ine consegue la nullità dell'attività proces suale successiva, incluso il provvedimento di revoca dell'ordi nanza emessa ai sensi dell'art. 700 c.p.c.

Con il secondo motivo il ricorrente censura i cennati provve dimenti per violazione degli art. 700, 702 e 690 c.p.c. (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.) in quanto il provvedimento di urgenza concesso inaudita altera parte era stato confermato a seguito dell'udienza

tenuta ai sensi dell'art. 690 c.p.c. ed il pretore non poteva, successivamente, revocare nel corso del giudizio di merito quel provvedimento prima della pronuncia definitiva.

Il ricorso è inammissibile. Questa corte ha ripetutamente affermato che il provvedimento che nega la sospensione del

processo ai sensi dell'art. 295 c.p.c., al pari di quello che la

dispone o la revoca, ha carattere ordinatorio e non decisorio, in

quanto regola lo svolgimento del processo senza pronunziare sulle

pretese dedotte in giudizio, e, pertanto, è soltanto revocabile da

parte del giudice che lo ha emesso, ma non è suscettibile di

impugnazione, neppure mediante ricorso per cassazione ex art.

Ill Cost, persino se adottato erroneamente sotto forma di

sentenza (Cass. 221/80, Foro it., Rep. 1980, voce Procedimento

civile, n. 180; 1871/76, id., Rep. 1976, voce oit., n. 194). In ordine alla ricorribilità dei provvedimenti, invero, l'aspetto

essenziale da prendersi in considerazione è la decisorietà o meno, atteso che solo questa è suscettibile di quella immancabile tutela

giurisdizionale che il costituente ha inteso garantire. Quanto affermato in ordine al provvedimento di sospensione,

vale altresì' per il provvedimento di urgenza ex art. 700 c.p.c. che

addirittura non è impugnabile data la sua natura cautelare e

strumentale essendo destinato ad esaurire la sua funzione con la

decisione di merito (Cass., sez. un., n. 754/83, id., Rep. 1983, voce Provvedimenti d'urgenza, n. 113), e, in tal senso, sia il

provvedimento di urgenza, sia il decreto successivo dello stesso

giudice di sospensione della esecutività del provvedimento di

reintrgrazione non hanno carattere decisorio, e perciò non sono

ria dei provvedimenti d'urgenza v. Tommaseo, I provvedimenti d'ur genza, cit.; A. Proto Pisani, I provvedimenti d'urgenza ex art. 700 c.p.c., cit. Sulla inammissibilità di un'impugnazione in via autonoma con esclusione anche del ricorso in Cassazione ex art. Ili, 2° comma, Cost. v. da ultimo: Aieli.o-Giacobbe-Preden, Guida ai provve dimenti d'urgenza, Milano, 1982, 141 ss.; Arieta, I provvedimenti d'urgenza ex art. 700 c.p.c., Padova, 1982, 138 ss.; M. e A. Dini, I provvedimenti d'urgenza nel diritto processuale civile e nel diritto del lavoro, Milano, 1981, 1, 515 ss.; Mandrioli, Corso di diritto proces suale civile, Torino, 1981, III, 254.

III. - In senso conforme alla seconda decisione in epigrafe, favore vole all'appellabilità (con l'esclusione dell'impugnabilità ex art. Ili Cost.) contro la pronuncia definitiva del merito emessa dal giudice in luogo del provvedimento d'urgenza richiesto, in conseguenza dell'u nificazione della fase cautelare con quella di merito, cfr. Cass. 8 luglio 1983, n. 4619, cit.; 16 luglio 1983, n. 4905, cit.; in motivazione, dove sono peraltro richiamati precedenti casi di unificazione delle fasi cautelari e di merito, v. Cass. 5 maggio 1981, n. 2774, cit., con nota di richiami di C. M. Barone. Per l'appellabilità dei provvedimenti emessi ex art. 700 c.p.c. v. pure Cass. 28 aprile 1981, n. 2552, cit., annotata da Cipriani, che si riferisce alla ipotesi di provvedimento d'urgenza contenente statuizioni di merito, non seguito dall'ordinario giudizio di merito, che secondo la Suprema corte è impugnabile con l'appello e non col ricorso in Cassazione ex art. Ill Cost., in virtù del principio più volte ribadito « della prevalenza del contenuto dell'atto sulla sua forma esteriore, ai fini della interpretazione e qualificazione di un atto come provvedimento impugnabile ».

In dottrina in senso conforme v., da ultimo, M. e A. Dini, I provvedimenti, cit., 626. Diversamente Arieta, I provvedimenti, cit., 141 ss., il quale, pur sensibile all'esigenza di consentire un rimedio giurisdizionale per quei provvedimenti « abnormi » non corrispondenti alla loro natura in quanto a contenuto decisorio, cioè diretti ad incidere in modo definitivo sul rapporto dedotto alla stessa stregua della sentenza, propone in senso contrario alla sentenza in epigrafe, l'esperibilità del ricorso straordinario per cassazione ex art. Ili, 2° comma. Cost, escludendo invece l'esperibilità dell'appello « dal momen to che la devoluzione al giudice superiore di una controversia presuppone necessariamente che il giudizio di primo grado si sia svolto con le garanzie (e non solo di contraddittorio) e, soprattutto, con la cognizione che sono tipiche del giudizio di primo grado ».

IV. - Sui rapporti tra provvedimenti d'urgenza ex art. 700 c.p.c. e regolamento di giurisdizione ex art. 41 e 367 c.p.c., v., da ultimo, Corte cost. 19 dicembre 1984, n. 293, Foro it., 1985, I, 651, con nota di Cipriani, La Corte costituzionale, il regolamento di giurisdizione e i provvedimenti d'urgenza; cfr. anche Pret. Rogliano, ord. 7 maggio 1985, in questo fascicolo, I, 1713, con nota di richiami.

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1687 PARTE PRIMA 1688

ricorribili in Cassazzione (Cass. n. 3420/80 id., Rep. 1980, voce

cit., n. 85). Né, evidentemente, il carattere della decisorietà potreb be dedursi dal fatto che trattandosi di provvedimento non revo cabile da parte dello stesso giudice che ha emanato l'at

to o da parte del giudice di merito prima della pronuncia definitiva con la revoca si verrrebbe ad incidere in modo irrime

diabile su una situazione soggettiva ormai entrata a far parte della sfera giuridica dell'interessato.

Questa corte, non ignora che la dottrina e la stessa giurispru denza (sent. 6 novembre 1964, n. 2688, id., 1965, I, 43 e sez. un.

28 aprile 1948, id., Rep. 1948, voce cit., n. 7, inoltre Cass.

1° luglio 1958, n. 2343, id., Rep. 1958, voce cit., n. 3), si sono talvolta espiresse per la non revocabilità del provvedi mento di urgenza, talora addirittura sino al passaggio in giudicato della pronuncia sul merito, tal'altra ritenendo che in ogni caso la

pronuncia sul merito di primo grado negativa dei presupposti del

già concesso provvedimento di urgenza ne caducasse gli effetti.

Ma ritiene preferibile aderire ad una concessione del provve dimento di urgenza piti aderente al suo intrinseco carattere

strumentale ed ordinatorio, che pure è stato talora sottolineato sia

dalla dottrina più autorevole, sia dalla stessa giurisprudenza di

questa stessa corte (sent. 4 gennaio 1966, n. 62, id., Rep. 1966, voce

cit., n. 31; sez. un. n. 2722 del 5 maggio 1981, id., Rep. 1982, voce

cit., n. 96; n. 3420 del 24 maggio 1980, id., Rep. 1980, voce cit., n.

85). In realtà già dalla sentenza n. 62 del 1966 si deduceva con

chiarezza come i provvedimenti cautelari o di urgenza, essendo in

defettibilmente sottoposti al controllo del giudice di merito (art. 702 c.p.c. in relazione agli art. 689 ss. c.p.c.) potessero essere revo

cati ancor prima di definire il giudizio di merito, e persino durante

la sospensione del giudizio di merito a seguito di proposizione di

regolamento di giurisdizione; ciò sia in considerazione della

autonomia del procedimento cautelare rispetto a quello di merito, sia perché essendo il potere di revoca uguale e contrario a quello di emanazione, se durante il giudizio di merito o durante la

quiescenza dello stesso è consentito l'esercizio positivo del potere cautelare, non può non ritenersi consentito parallelamente l'eser

cizio dello stesso potere in forma negativa.

D'altra parte, una volta ammesso il potere di sospensione e di

revoca del provvedimento di urgenza da parte del giudice istrut

tore, non vi è nessuna giustificazione per un diverso trattamento

rispetto ai provvedimenti adottati dal pretore, medesima essendo

la ratio e gli interessi da tutelare. Nè possono trarsi utili

argomenti contrari dalla necessità di convalida del sequestro,

poiché appunto in materia di provvedimenti di urgenza non

sussiste un autonomo giudizio di convalida. Tale parallellismo è

escluso dal rinvio agli art. 689 ss. c.p.c. contenuto nell'art. 702

c.p.c.: nel sequestro si ha una misura conservativa dei beni per

garantire l'efficacia di una futura composizione del conflitto

d'interesse tra le parti, mantenendo tra esse un equilibrio che

altrimenti potrebbe essere irrimediabilmente compromesso. I

provvedimenti di urgenza, invece anticipano provvisoriamente in

favore di una delle parti, gli effetti della decisione di merito, tanto che si deve ritenere che anziché mantenere una situazione di equilibrio, siano rivolti a ricostruirla; essi infatti vengono concessi in relazione ad un pericolo suscettibile di evoluzione con il decorso del tempo necessario al giudizio, e questo presupposto mal si concilia con la immutabilità prevista dall'art. 683 c.p.c.

La stessa mancanza di un giudizio di convalida (a differenza di

quanto avviene nel sequestro) sta a sottolineare la provvisorietà del concesso rimedio, la impossibilità di una interpretazione analogica dell'art. 683 cit. ed anche lo stretto collegamento con la

situazione contingente desumibile dall'inciso « secondo le circo stanze ».

È stato cosi giustamente sottolineato come fossero revocabili i

provvedimenti nunciatori, quelli di istruzione preventiva in corso

di causa, la cautio pro expensis (prima della abrogazione per contrarietà all'art. 24 Cost.), la esecuzione provvisoria della senten

za (art. 283 c.p.c.), il processo di esecuzione (art. 624 c.p.c.), le

disposizioni temporanee date dal giudice in materia di assegno alimentare (art. 446 c.c.) o di assegno alimentare in pendenza di

procedimento di separazione dei coniugi (art. 708 c.p.c.). In tutti

questi casi se si verificano mutamenti delle circostanze, ma anche

dal fumus boni iuris, le ordinanze possono essere revocate o

modificate dal giudice competente a norma dell'art. 177 c.p.c., è

evidente che tale norma non può ritenersi rivolta, per la sua

stessa formulazione e collocazione, a disciplinare soltanto le

ordinanze probatorie.

La natura strumentale dei provvedimenti di urgenza consente

di affermare la revocabilità degli stessi non solo per il cambia

mento delle circostanze sul periculum in mora, o sul pregiudizio

Il Foro Italiano — 1985.

imminente ed irreparabile del diritto oggetto della pretesa, ma

anche sull'accertamento stesso di tale diritto (il fumus); che in

effetti alla cognizione semipiena è subentrata una cognizione completa, nel corso della quale ben può verificarsi che siano

venuti meno alcuni o tutti gli elementi sui quali si era fondato il rimedio cautelare. In quello stesso momento in cui il giudice istruttore o il pretore hanno acquisito difformi elementi di valuta

zione, il periculum non è più quello prospettato al momento della

richiesta del provvedimento cautelare, ma è costituito dalla stessa permanenza del provvedimento di urgenza che perpetua degli effetti al di fuori delle condizioni che ne avevano giustifica to la emanazione. Ed è appunto questa la ragione per la quale già si è ritenuto che la sentenza di merito che avesse ritenuto infondata la pretesa, a tutela della quale era stato concesso un

provvedimento di urgenza, specialmente se munita di clausola di

provvisoria esecuzione, ma secondo parte della dottrina e della

giurisprudenza, in ogni caso fosse idonea a caducare gli effetti del provvedimento di urgenza. La revocabilità è in effetti insita nel provvedimento cautelare, per la sua stessa natura: nella misura provvisoria, come è stato autorevolmente affermato, si deve distinguere la sua giustificazione attuale cioè dii fron te alle apparenze del momento, e la sua giustificazione ul tima: la misura provvisoria attua un effettiva volontà di legge, ma una volontà che consiste nel garantire l'attuazione di un'altra

supposta volontà di legge; se in seguito quest'altra volontà è risultata inesistente, anche la volontà attuata con la misura

provvisoria, si manifesta come una volontà che non avrebbe dovuto esistere.

Il caso in esame appare esemplare delle cennate considerazioni, e l'ampia motivazione datane dal pretore nella ordinanza ne è

puntuale conferma: il provvedimento di reintegra è stato conces so in sede di sommaria cognizione; successivamente, in sede di

merito, il pretore rilevava elementi che consentivano di figurare ipotesi di reato, a carico del prestatore di opera reintegrato, in danno del datore di lavoro, tanto che rimetteva gli atti al

procuratore della repubblica, ed altri elementi che facevano venir meno il fumus boni iuris apprezzato precedentemente; per modo che il pretore, prima di sospendere il processo ai sensi dell'art. 295 c.p.c. riteneva il suo incensurabile appezzamento di revoca

re il provvedimento cautelare del quale non ravvisava più la

opportunità. Questa ordinanza, al pari del provvedimento di urgenza, è stata

emanata nell'ambito di un potere ordinatorio del giudice che non attiene alla decisione del merito e non ha pertanto contenuto

decisorio; ne consegue la non impugnabilità in sede di legittimità e la inammissibilità del proposto ricorso: anche per quanto riguar da il potere del pretore di riservarsi la decisione in ordine alla istanza di sospensione prima di provvedere.

II

Motivi della decisione. — I due ricorsi, che propongono le medesime censure, vanno riuniti.

Premettono i ricorrenti che la sentenza 1° marzo 1980, passata in giudicato, aveva risolto, per morosità, il rapporto agrario intercorso fra il fu Rizzo Salvatore ed il fu Cullotta Ferdinando

(rispettivamente affittuario e concedente), ma non investiva il

rapporto, diversamente formatosi, fra le attuali resistenti, da una

parte, e Alaimo Paolo, Di Nardo Antonio e la impresa familiare

coltivatrice, formata da essi e dai fratelli Rizzo, dall'altra. Tale rapporto essi intendevano tutelare e, in via propedeutica,

avevano proposto, contro le attività messe in atto dalle intimate — che stavano strutturando l'azienda, privandoli del proprio lavoro — il ricorso per ottenere il provvedimento di urgenza. Ad avviso dei ricorrenti, le controparti il giorno 24 settembre 1982, pur non potendo agire in esecutivis in base alla sentenza, avevano iniziato l'esecuzione forzata in base ad un precetto destinato ai soli fratelli Rizzo e non ad Alaimo e a Di Marco, nè alla famiglia colonica. L'esecuzione però, a loro parere, non era stata portata a compimento e si era convertita in un accordo, sottoscritto anche dalle precedenti, che riconosceva ad Alaimo e a Di Marco di proseguire nella coltivazione del fondo; con lo stesso atto Alaimo e Di Marco, nonché i medesimi insieme ai fratelli Rizzo, avevano dichiarato di rinunciare alle azioni intra prese nei confronti del procedenti alla esecuzione; ma, essendo tale rinuncia nulla, sia a norma dell'art. 1965 c.c., sia a norma dell'art. 58 1. n. 203/82 ed essendo la procedura esecutiva interrotta ed estinta in quanto iniziata senza tener conto del diverso rapporto, le proprietarie illegittimamente avevano in vaso il fondo in data 21 aprile 1983, cagionando ad essi ricorrenti grave danno sia nell'attività che nella durata, con

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

la relativa dissoluzione dei loro diritti al lavoro, alla produzione dei mezzi di sussistenza, a trarre frutto dalle colture avviate e ad

impostarne delle nuove, a tutelare l'integrità della famiglia colo

nica.

Ad avviso dei ricorrenti, la sezione specializzata del tribunale, con il provvedimento di cui sopra, avrebbe risolto nel merito la

questione, travalicando, con la costruzione decisoria della pro

nunzia, l'ambito di esercizio delle proprie facoltà in ordine al

richiesto provvedimento di urgenza. Di qui il reclamo alla corte d'appello (sezione specializzata), la

cui ammissibilità discenderebbe dall'applicazione degli art. 739

742 bis c.p.c. Ma la corte, disattendendo tutte le censure mosse

al « provvedimento-sentenza » del tribunale (specialmente per il suo carattere decisorio e risolutivo del merito della controver

sia), aveva affermato il principio della inammissibilità in assoluto

della impugnazione, senza tener conto dei vizi di ultra ed extra

petizione del provvedimento, che aveva anticipatamente deciso

nel merito.

Tanto esposto, i ricorrenti sviluppano i concetti di cui sopra in

due premesse in diritto, di cui la prima sulla impugnabilità

generale dei provvedimenti ex art. 700 c.p.c. ante causam e la

seconda sulla impugnabilità del provvedimento di urgenza che

rivesta carattere decisionale, esorbitando dai limiti della procedu ra ed instaurando una situazione suscettibile di definire stabil

mente l'oggetto della controversia.

A loro avviso, la generale impugnabilità del provvedimento in

esaem deriverebbe: dal suo carattere giurisdizionale e dall'au

tonomia della procedura; dalla considerazione che nessun divieto

espresso vi è nell'art. 702 c.p.c., mentre, quando il legislatore ha

inteso affermare la non impugnabilità di un provvedimento, in

tema di procedimenti cautelari, lo ha espressamente stabilito; dalla non applicabilità dell'art. 177 c.p.c., che riguarda solo i

provvedimenti emessi nel corso dell'istruttoria; dal rinvio

globale contenuto nell'art. 47 1. 203/82 all'art. 26 1. n. 11/71, che, a parere dei ricorrenti, introdurrebbe i provvedimenti cautelari

nella procedura camerale, con conseguente applicabilità dell'art.

739 c.p.c., che detta appunto disposizioni comuni ai procedimenti in camera di consiglio, secondo l'espressa previsione dell'art. 742

bis c.p.c.; dal carattere « aperto », e cioè di rinvio, della

norma di cui all'art. 702 c.p.c., in relazione alla natura precettiva del citato art. 742 bis stesso codice; dalla considerazione che il

carattere interinale e provvisorio dei provvedimenti di urgenza adottati ante causam, non sarebbe di ostacolo alla loro impugna bilità.

La impugnabilità ex art. Ill Cost, dei provvedimenti in esame,

salvo che la procedura di rinvio non consenta altro più specifico

rimedio, sarebbe certamente ammissibile in ipotesi, come quella di specie, in cui il carattere difinitivo del provvedimento esclude

rebbe la proponibilità di ogni altra domanda nelle forme ordina

rie. Non sarebbe ipotizzabile l'appellabilità del provvedimento di

urgenza, neanche sotto il profilo che lo stesso abbia assunto i

caratteri propri di una sentenza, perchè mancherebbe nella specie il presupposto del procedimento di primo grado con le relative

garanzie del provvedimento di cognizione; l'impugnabilità me

diante appello riguarderebbe, a norma dell'art. 339 c.p.c., solo le

sentenze pronunciate in primo grado e tale non sarebbe il

procedimento svoltosi nelle forme di cui all'art. 702 c.p.c.

A tali premesse e per quanto possa occorrere i ricorrenti fanno

seguire gli otto motivi con i quali censurano il provvedimento della sezione specializzata del tribunale, sotto vari aspetti, per violazione delle norme di cui agli art. 700, 702, 112 e 99 c.p.c., nonché per i vizi di motivazione, in relazione all'art. 360, nn. 3 e

5, stesso codice; censurano altresì l'ordinanza della sezione spe cializzata della corte d'appello, con due motivi, per violazione

degli art. Ill Cost, e 702 bis, 739 c.p.c., in relazione all'art. 360, n. 2, stesso codice, non essendo prescritto nella specie il regola mento di competenza, nonché per vizi di motivazione (omesso

esame e travisamento) ili relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.

Replicano le controricorrenti, invocando l'orientamento giuri

sprudenziale di questa corte nel senso della non impugnabilità dei

provvedimenti di urgenza, che, essendo privi dei requisiti di un

provvedimento decisorio, non ammetterebbero alcun controllo

esercitatole con autonoma impugnazione, sia essa di appello o di

ricorso per cassazione ex art. Ill Cost.; la declaratoria di

inammissibilità non conterebbe alcuna statuizione di merito, ca

pace, di acquistare autorità di cosa giudicata sostanziale.

Rilevano poi la contraddittorietà della impugnazione, perchè ove mai l'ordinanza del tribunale fosse sottratta all'appello ed al

reclamo e perciò impugnabile a norma dell'art. Ill Cost., la

declaratoria di inammissibilità non conterrebbe alcuna statuizione

Il Foro Italiano — 1985 — Parte I-109.

di merito, capace di aquistare autorità di cosa giudicata sostanzia le.

Rilevano poi la contraddittorietà dell'impugnazione perchè, ove mai l'ordinanza del tribunale fosse sottratta all'appello ed al reclamo e perciò impugnabile a norma dell'art. Ill Cost., nessuna censura sarebbe ammissibile avverso l'ordinanza della corte

d'appello, ove, invece, l'ordinanza del tribunale fosse recla

mabile, non sarebbe ammissibile il ricorso per cassazione ex art. 111 Cost.; il incorso avverso l'ordinanza del tribuna le sarebbe inoltre inammissibile per tardività, perchè il termine

per l'impugnazione avrebbe cominciato a decorrere dal 17 giugno 1983, data del suo deposito (che equivarrebbe a notifica), tenuto conto della non applicabilità delle norme sulla sospensione dei termini ai giudizi innanzi alle sezioni specializzate agrarie; non

sarebbe, comunque, ammissibile nel nostro sistema processuale il

ricorso cumulativo avverso due provvedimenti di due diversi

organi giurisprudenziali; altro motivo di inammissibilità del ricor so avverso l'ordinanza del tribunale deriverebbe dal fatto che il relativo potere di impugnativa si sarebbe consumato con il

gravame proposto alla corte d'appello. Deducono, infine, l'inammissibilità delle censure rivolte alle

valutazioni di merito fatte dal tribunale, nonché la fondatezza delle considerazioni svolte dal tribunale medesimo.

Prendendo pregiudizialmente in esame per il suo carattere assorbente la questione della inammissibilità dei ricorsi, questa corte osserva: non sussiste la dedotta inammissibilità della im

pugnazione in dipendenza del fatto che con unico ricorso sono stati impugnati due provvedimenti, emessi ciascuno da un diver so organo giudiziario: il sistema processuale vigente ammette

espressamente (art. 104 c.p.c.) il cumulo delle domande, non altrimenti connesse, contro la stessa parte e tale principio può essere applicato anche nei successivi gradi di giurisdizione, salva la facoltà di separazione nelle ipotesi di cui all'art. 103, cpv., c.p.c. Ciò a prescindere dal fatto che nella specie sono stati

proposti due ricorsi, che, per evidenti ragioni di economia, sono stati poi riuniti.

Per quel che riguarda la eccepita tardiività del ricorso in

relazione al provvedimento del tribunale, con la conseguente inammissibilità che ne discenderebbe, va applicato il principio per cui il termine breve di impugnazione decorre soltanto dalla notifica della sentenza, senza possibilità di equipollenti, con la

conseguenza che tale decorrenza non si configura nei confronti di

soggetti processuali che non siano né notificanti, né notificati, a nulla rilevando che essi siano venuti altrimenti a conoscenza della sentenza (cfr. Cass. 11 gennàio 1982, n. 116, id., Rep. 1982, voce Impugnazioni civili, n. 25).

E neanche può discutersi di consumazione dell'impugnazione avverso il provvedimento della sezione specializzata del tribunale in conseguenza del reclamo proposto alla corte d'appello, tenuto conto dei diversi presupposti richiesti per il reclamo rispetto a

quelli richiesti per ;il ricorso ex art. Ill Cost.; proprio dalla inammissibilità del primo potrebbe discendere, ove ne ricorressero le condizioni, l'ammissibilità del secondo.

Deve, pertanto, esaminarsi se tali condizioni siano ravvisabili nel caso di specie in cui si deduce, per le ragioni sopra esposte, sia la generale impugnabilità dei provvedimenti adottati ex art. 700 c.p.c., sia la impugnabilità ex art. Ill Cost, dei provvedi menti in esame.

Del tutto inconferente, ai fini della generale impugnabilità dei

provvedimenti di urgenza (ex art. 700 c.p.c.), è il richiamo al suo carattere giurisdizionale ed all'autonomia della procedura, perché è proprio quest'ultimo requisito (l'autonomia) che manca in ogni caso a tutti i procedimenti cautelari (capo III, titolo I del libro IV c.p.c.), i quali hanno sempre, come carattere essenziale e

costante, una funzione puramente strutturale, cosi che i provve dimenti a cui tendono, in rapporto ai futuri provvedimenti di

cognizione o di esecuzione, hanno carattere meramente sussidia rio.

In applicazione di tali principi è stato ritenuto, con un costante

orientamento giurisprudenziale, che i provvedimenti di urgenza (art. 700) hanno natura strumentale e funzione cautelativa del

tutto provvisoria, in quanto volta ad evitare che la futura

pronunzia del giudice possa restare pregiudicata nel tempo neces

sario per ottenerla e destinati a perdere la loro efficacia e vigore a seguito della decisione di merito nella quale rimangono assorbi

ti e caducati con l'esaurimento della funzione cautelare che li

caratterizza; pertanto, poiché essi sono privi dei requisiti propri della sentenza o, comunque, di un provvedimento deciso rio atto a produrre effetti di diritto sostanziale e processuale con autorità di giudicato, il controllo sugli stessi non può esercitarsi

con un'autonoma impugnazione, sia esso l'appello o il ricorso

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1691 PARTE PRIMA 1692

per cassazione ex art. Ill Cost., esaurendosi la funzione dei

detti provvedimenti con la decisione di merito (cfr. Cass. 25

novembre 1983, n. 7082, id., Rep. 1983, voce Provvedimenti di

urgenza, n. 117; Cass. 7 luglio 1979, n. 3890, id., Rep. 1979, voce

cit., n. 71, per citarne solo alcune tra le più recenti).

Né è conferente il richiamo fatto dai ricorrenti al principio ubi

voluit dixit o al carattere « aperto » della norma di cui all'art.

702 c.p.c. o alle leggi agrarie (n. 203/82 n. 11/71), sia perché la

forma prevista per il procedimento (in quanto applicabile) non

può incidere sulla sua sostanza, cioè sulla sua intrinseca natura, sia perché le norme (art. 37 e 26 rispettivamente) contenute nelle

leggi agrarie limitano la loro portata precettiva a devolvere alle

sezioni specializzate agrarie i provvedimenti cautelari in discus

sione, senza per nulla incidere sulla loro natura che è e resta

quella cautelare, con il relativo carattere di strumentalità e

provvisorietà, che non consente, in via generale, l'invocata auto

noma impugnabilità, trattandosi di provvedimenti riesaminabili

solo nella competente sede di merito.

Per le stesse considerazioni deve escludersi l'applicabilità de

gli art. 739-742 c.p.c. circa la reclamabilità dei provvedimen ti cautelari in esame: il fatto che questi dal punto di

vista sistematico possano anche rientrare nei provvedimenti camerali non autorizza certamente a snaturarne i requisiti essen

ziali di cui sopra, ammettendo una possibilità di reclamo al

giudice superiore in contrasto con i principi che governano

imprescindibilmente la struttura del procedimento e la natura

giuridica del provvedimento. Tanto ritenuto in relazione alla non impugnabilità in via

generale dei provvedimenti cautelari, ivi compresi quelli ex art.

700 c.p.c., va esaminata l'altra questione pregiudiziale che

riguarda la impugnabilità con il ricorso per cassazione ex art. Ili

Cost, dei provvedimenti in esame ed in particolare di quello della

sezione specializzata del tribunale che, pur nella forma di ordi

nanza, avrebbe assunto i caratteri propri di una sentenza, per avere conclusivamente deciso (in senso negativo) ogni aspetto

processuale e di merito delle questioni sottoposte, con relativa

condanna alle spese, in modo da escludere ogni possibilità di

riesame nel successivo giudizio di cognizione piena. Il tribunale avrebbe cosi travalicato i limiti del provvedimento

di urgenza, emettendo una pronuncia definitiva, suscettibile di

costituire giudicato preclusivo di ogni altra possibile azione.

Ora, che il provvedimento della sezione specializzata del tribuna

le abbia esaminato, non certo sommariamente, ogni aspetto delle

questioni sottoposte, sia con riguardo agli effetti preclusivi del giu dicato di cui alla sentenza 1° marzo 1980 sia sulla portata di questa in relazione ad altri soggetti attuali ricorrenti (Alaimo e Di Marco),

sia sulla interpretazione della sentenza stessa, ed altresì sulla

interpretazione del negozio di cui al verbale 29 settembre 1982, non sembra si possa disconoscere.

Ciò in considerazione soprattutto del fatto che le affermazioni

(negative) contenute in motivazione escludono « in radice » ogni

possibilità per i ricorrenti di azionare comunque i diritti vantati e

non solo, quindi, al dichiarato fine di cui all'art. 700 c.p.c., ma anche ai fini sostanziali.

E poiché la portata precettiva di una pronuncia giurisdizionale va individuata tenendo conto non soltanto delle statuizioni for malmente contenute nel dispositivo, ma anche delle enunciazioni contenute nella motivazione, quando queste univocamente chiari scano il contenuto del decisum (confr. Cass. 4 novembre 1982, n.

5796, id., Rep. 1982, voce Sentenza civile, n. 56; 28 aprile 1981, n.

2591, id., Rep. 1981, voce cit., n. 84; 8 ottobre 1981, n. 5288, ibid , n. 85; 10 novembre 1981, n. 5943, ibid., n. 86; 12 dicembre 1980, n. 6409, id., Rep. 1980, voce cit., n. 53) deve convenirsi che il

provvedimento di cui sopra ha sostanzialmente natura decisoria, tale da incidere sui diritti soggettivi delle parti, ha cioè natura

sostanziale di sentenza, per il fatto stesso che esclude inequivoca bilmente la sussistenza dei diritti azionati o da azionare.

Ma, ai fini della impugnabilità di un provvedimento giurisdi zionale con il ricorso per cassazione, a norma dell'art. Ill Cost., è necessario che esso presenti oltre al requisito della decisorietà, anche quello della definitività, il quale va inteso nel senso che

contro il provvedimento medesimo non deve essere previsto dal

l'ordinamento alcun altro mezzo di impugnazione.

I ricorrenti, pur sostenendo che il provvedimento impugnato ha natura sostanziale di sentenza, ne escludono l'appellabilità perché mancherebbe nella specie il presupposto del procedimento di

primo grado, con le relative garanzie del procedimento ordinario di cognizione e perché l'impugnabilità mediante appello riguarde rebbe solo le sentenze pronunciate in primo grado, a norma dell'art. 339 c.p.c.

Il Foro Italiano — 1985.

Tale tesi non può essere condivisa da questa corte: invero, una

volta che si riconosce al provvedimento natura sostanziale di

sentenza, tutti i vizi del procedimento che lo hanno preceduto costituiscono eventualmente motivi di nullità che si risolvono

normalmente in motivi di gravame. Pertanto, dal fatto che il

giudice di merito, competente sia per la fase interdittale che per il giudizio di merito, unificando sostanzialmente le due procedure, abbia emesso un provvedimento che per il suo carattere decisorio

ha natura di sentenza, non può farsi discendere la non appellabi lità di tale sentenza che, per tale suo carattere e per il fatto che

indubbiamente proviene da un giudice di primo grado, finisce per essere, per ciò solo, soggetta all'ordinario mezzo di impugnazione

dell'appello, nel quale appunto possono essere dedotti tutti i vizi da cui eventualmente il provvedimento sia affetto.

È stato, infatti, ritenuto che ove una situazione di unificazione della fase cautelare con quella di merito si riscontri, nel senso

che il giudice adito competente per entrambe (com'è il caso della sezione specializzata agraria del tribunale), emani, in luogo del

chiesto provvedimento d'urgenza, un vero e proprio provvedimen to definitivo del merito, questo non può essere che una sentenza, con la conseguenza che la sua impugnabilità non è quella di cui. all'art. Ill Cost., ma quella (normale) dell'appello (cfr. Cass., sez. un., 5 maggio 1981, ti. 2774, id., 1981, I, 1252; 16 luglio 1983, n. 4905, id., Rep. 1983, voce Provvedimenti d'urgenza, n. 112; sez. un. 2 novembre 1979, n. 5689, id., Rep. 1979, voce cit., n. 28).

A tale orientamento giurisprudenziale questa corte intende

aderire, in considerazione della prevalenza che il carattere sostan zialmente decisorio del provvedimento deve avere sulla sua for

ma, con la conseguenza che il ricorso ex art. Ill Cost, avverso il

provvedimento del tribunale va dichiarato inammissibile. E tale va dichiarato anche il ricorso avverso l'ordinanza della sezione

specializzata della corte d'appello che, essendo strettamente rima sta nei limiti della procedura di urgenza, non è certamente ricorribile.

D'altra parte la riconosciuta appellabilità del provvedimento del

giudice di primo grado esclude di per sé la sua recalmabilità (ciò

indipendentemente da quanto sopra si è detto in via generale). (Omissis)

III

Fatto. — L'Automobile club italiano e l'Automobile club pro vinciale di Grosseto chiedono al g.i. la revoca del provvedimento 23 luglio 1982 del Pretore di Grosseto, il quale, a seguito di ricorso avanzato, ex art. 700 c.p.c. dall'Unione nazionale autoscuo le e studi di consulenza automobilistica (UNASCA), ha ordinato all'Automobile club di Grosseto « di astenersi dall'inviare agli automobilisti, interessati alla revisione (di autoveicoli) ulteriori cartoline pubblicitarie ».

L'A.c.i. rilevato, preliminarmente, che, nei poteri del g.i. della causa per il merito, rientra sicuramente quello di modificare o di revocare il provvedimento di urgenza (valutazione fatta in rela zione ai combinato disposto degli art. 700-701 e 177 c.p.c. ed

in riferimento ad una sentenza recente delle sezioni unite della Cassazione (5 maggio 1981, n. 2774, Foro it., 1981, I, 1252), cui, in

sede di applicazione, ha fatto seguito la pronuncia del g.i. del Tribunale di Roma, della causa Cons, ministri - Coop. Il Manife sto - Ente nazionale cellulosa, in data 1° aprile 1983, id., 1983, I, 1098, la cui ordinanza è stata prodotta in fotocopia agli atti del

guidizio), sostiene che i'I pretore, nell'emettere la contestata ordi

nanza, « ha erroneamente valutato i fatti allegati ... a sostegno del ricorso », affermando, altrettanto erroneamente, che nella

specie « ricorrono i presupposti richiesti dell'art. 700 c.p.c. per l'emanazione dei provvedimenti di urgenza ». A tale richiesta si

oppongono le attrici, i cui difensori, con una esauriente disamina, contestano la domanda avversaria, deducendo: 1) che la assoluta

intangibilità, non impugnabilità, irrevocabilità e immodificabilità della ordinanza emessa dal pretore, ex art. 700 c.p.c., da parte del g.i. della causa del merito, è nella natura del provvedimento di urgenza; 2) che la possibilità di revocare o modificare tale

provvedimento di urgenza sussisterebbe, a tutto voler concedere, « soltanto in presenza di circostanze sopravvenute » o « per so

pravvenuto mutamento delle circostanze », di guisa che non sarebbe consentito al g.i. della causa di merito « la rivalutazione

degli stessi profili di diritto delle medesime circostanze di fatto, che hanno già formato oggetto di esame da parte del giudice della urgenza, nell'esercizio di una potestà giurisdizionale assolu tamente impensabile ».

Diritto. — Preliminare è l'esame sulle deduzioni sub 1). Le questioni che le parti sottopongono al g.i. sono certamente

complesse ed hanno formato oggetto di varie discussioni (specie

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Page 7: sezione lavoro; sentenza 1° marzo 1985, n. 1782; Pres. Franceschelli, Est. Genghini, P. M. La Valva (concl. conf.); Castellano (Avv. Vinci, Lo Vecchio Musti) c. Soc. CARD. Dichiara

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

in dottrina) con orientamenti diversi e contrastanti: all'uopo è

sufficiente richiamarsi a quanto evidenziato e citato dalle parti nelle richiamate « note autorizzate ». Una cosa, però, è certa: se nel nostro ordinamento non fosse consentito al g.i. della causa di merito di riesaminare l'ordinanza con cui il pretore, ex art. 700

c.p.c., ha emanato il provvedimento di urgenza, si configurerebbe la possibilità di esistenza e di produttività di effetti ad un prov vedimento praticamente intangibile, contro o nei confronti del

quale non sarebbe possibile alcun rimedio. E se, per ipotesi, il

pretore avesse pronunciato senza che fossero esistiti i presupposti che il legislatore chiaramente enuncia in subiecta materia il prov vedimento cosi emanato potrebbe tranquillamente continuare a

produrre i suoi effetti illegittimi fino alla sentenza definitiva.

Sarebbe, comunque e se non andiamo errati, l'unico provvedi mento giudiziario non suscettibile di modifica fino all'esaurimento

della causa del merito. Orbene, se tutto quanto detto fosse

possibile, non poche sarebbero le perplessità sul piano giuridico. Del resto le stesse argomentazioni con le quali le attrici difendo

no la intangibilità e immodificabilità del provvedimento di urgen za del pretore, prestano il fianco a non poche critiche, tutte sotto

il profilo del garantismo processuale cui il nostro codice di rito

si A uniformato.

Dire, infatti, che l'ordinanza emanata ex art. 700 c.p.c. non è

suscettibile di riesame, quando, invece, un riesame sarebbe possi bile se la stessa ordinanza fosse stata emessa dallo stesso gi. ex

art. 701 c.p.c., come, sotto tale ultimo aspetto, la stessa Cassazio

ne ha più volte ritenuto (si confronti, per tutte, la sentenza 4

gennaio 1966, n. 62, id., 1966, I, 1088: « le ordinanze di' urgenza «mesce dal gi., ai sensi dell'art. 701 c.p.c. al pari delle ordinanze

che ammettono mezzi istruttori, sono modificabili o revocabili dal

giudice che le ha pronunciate ») significherebbe porre su piani diversi due provvedimenti che, per natura, sono identici tra di

loro (ordinanze di urgenza) e che si differenziano solo in

relazione al giudice che li ha emanati (pretore o g.i.): il che si

tradurrebbe in una palese differenza di trattamento che, come

tale, coinvolgerebbe temi di natura costituzionale. Ed inoltre: se

in entrambi i casi la natura dei provvedimenti è identica (ripetesi:

ordinanza) non si possono applicare delle regole per un provve dimento e non applicarle per l'altro. Se di ordinanza si tratta

deve trovare applicazione, in entrambi i casi, l'art. 177 c.p.c., con

i limiti e/o le esclusioni di cui si numeri 1), 2), 3) e 4) del 3°

comma.

Ma l'art. 177 c.p.c., come sottolineano le attrici, fa testuale

riferimento al giudice « che ha emanato l'ordinanza », al quale è,

poi, riconosciuto il potere di modificarla o revocarla. La dizione

letterale della norma è effettivamente in questo senso; ma trattasi

di questione meramente formale, giacché lo spirito della stessa, come si evince dalla sua intestazione (« Effetto e revoca delle

ordinanze ») è nel senso che la caratteristica di tale tipo di

provvedimenti è, appunto, la modificabilità o la revocabilità e,

cioè, il « riesame ». Se, quindi, il provvedimento di urgenza del pretore è, come il provvedimento, un'ordinanza, quel prov vedimento deve soggiacere alle regole di modificabilità o re

vocabilità di cui alla richiamata norma, e questo sia perché è

da escludere che l'ordinanza emessa ex art. 700 c.p.c. sia privile

giata rispetto a quella emessa ex art. 701 c.p.c., sia perché sarebbe inammissibile che al cittadino nei confronti del quale è

stato emesso un provvedimento di urgenza da parte del pretore (e, quindi, ante causam) non venisse riconosciuto un diritto (che

poi è una garanzia) che, invece, è riconosciuto al cittadino nei

confronti del quale è stato emesso analogo provvedimento da

parte, però, del g.i.

Non si possono, ora, affidare le sorti di una vicenda procesuale a simili regole del caso o della fortuna. A dirimere, comunque,

qualsiasi questione è, per fortuna, intervenuta la sentenza a

sezioni unite della Cassazione del 5 maggio 1981, n. 2774 (id.,

1981, I, 1252), che per i motivi sopra spiegati non potrebbe mai

considerarsi, come erroneamente sostengono le attrici, un obiter

dictum.

Per quanto si riferisce all'oggetto del riesame del g.i. della

causa di merito, sulla ordinanza emanata ex art. 700 c.p.c., le

argomentazioni delle attrici, riportate in narrativa sub 2), si

superano agevolmente con la considerazione che se un riesame è

ammesso, questo deve essere della stessa portata e della stessa

natura del riesame previsto dal richiamato art. 177 c.p.c. E,

quindi, anche sotto tale aspetto va precisato che i limiti che, secondo la tesi che qui si contesta, dovrebbe, comunque, incon

trare il g.i., non sarebbero concepibili, giacché, in caso contrario, si profilerebbero le identiche situazioni di disparità di trattamento

in precedenza evidenziate.

Il Foro Italiano — 1985.

L'unico limite (che, però, riguarda tutte le ordinanze istruttorie) è quello che non venga pregiudicata la decisione della causa. Per

il resto si ricorda l'orientamento giurisprudenziale (ormai consoli

dato: v., da ultimo, Cass. 21 marzo 1977, n. 1096, id., Rep. 1977, voce Sentenza civile, n. Ili) secondo cui « il potere del giudice di

revocare o modificare le ordinanze può essere esercitato non solo

per circostanze sopravvenute, ma anche per la nuova valutazione

di circostanze preesistenti ». Ebbene i convenuti richiedono al g.i. un riesame sulla sussistenza dei presupposti di che all'art. 700

c.p.c. Va, peraltro, precisato che quanto sostenuto nelle « note

autorizzate » A.c.i. del 9 novembre 1983, 9 ss. non può essere

considerato dal g.i., in quanto sono ivi trattate questioni che

ineriscono al merito della causa, esame, questo, che è precluso all'istruttore.

Orbene il pretore ha motivato la ordinanza del 23 luglio 1982

soffermandosi in particolare sulla particolare posizione di privile

gio, nei confronti delle altre agenzie automobilistiche, dell'Auto

mobile club di Grosseto, che, senza particolari oneri, ha potuto e

può attingere dal P.R.A. i nominativi dei proprietari delle auto

da revisionare, e sul conseguenziale « sviamento » della clientela

dalle altre agenzie. Nessuna parola, invece, il pretore ha speso per dimostrare la sus

sistenza, dn concreto, di un grave nocumento imminente ed irrepara

bile, come tale da salvaguardare in attesa della decisione, nel

merito, della causa. Vi è, quindi, una omissione (chiaramente

involontaria) di motivazione, ammenoché non si volesse sostenere

che il nocumento in questione sarebbe insito nello stesso compor tamento dell'A.c.i. Grosseto. Il che, ovviamente, non è. E, quindi, il g.i. deve colmare questa lacuna dell'ordinanza del pretore, onde

confermarla se il nocumento di cui alla norma in concreto

sussista e revocarla in caso contrario. Va, a questo punto, evidenziato che le attrici, nelle note del 1° giugno 1983, iden

tificano (erroneamente) il nocumento di cui si parla, in concetti

tipici di altri istituti di cautela processuale: jumus boni iuris e

periculum in mora. Ma il concetto di « grave e irreparabile nocumento » coinvolge ben altri temi, che non sono stati trattati

dal pretore e neppure accennati dall'UNASCA.

Ritiene il g.i. che può anche ammettersi la sussistenza di un

grave danno per l'UNASCA a seguito della concorrenza dell'Au

tomobil club (se ed in quanto tale concorrenza dovesse essere

ritenuta « sleale »). E se grave risulterà il nocumento, i convenuti

ne risponderanno in proporzione della comprovata gravità. Ma certamente non siamo di fronte ad un nocumento imminen

te ed irreparabile (si tenga presente che l'art. 700 c.p.c. usa la

locazione « e »: « pregiudizio imminente e irreparabile ») dove

« pregiudizio » è « grave danno ».

Irreparabile è ciò che non è suscettibile di essere riparato; è

ciò che determina (se il danno lamentato dovesse derivare da

colpa altrui) una situazione non più risanabile. Nella pratica

quotidiana l'art. 700 si applica, ad esempio, nei casi di gravi lesioni ad edifici (con pericolo di crollo) ovvero a fatti in

relazione ai quali, se dovessero produrre efletti, non sarebbe, poi,

possibile il ripristino dello status quo antea. Ora, nel caso di

specie il danno dell'UNASCA è un danno patrimoniale, che sarà

adeguatamente « riparato » con un congruo risarcimento, qualora la domanda delle attrici dovesse essere accolta. Si tenga presente che l'UNASCA agisce contro l'Automobil club per ottenere pro

prio il risarcimento dei danni che sostiene di aver subito. Per di

più tale danno, una volta quantificato, potrà essere rivalutato e

questa è un'ulteriore conferma della riparabilità del nocumento

lamentato dell'UNASCA. Non si comprendono, quindi, le ragioni in base alle quali dovrebbe, in un regime di libertà, essere vietato

all'A.c.i. di Grosseto l'espletamento di una determinata attività

solo perché l'UNASCA la ritenga sleale e prima che, sulla

dedotta slealtà, si sia pronunciato definitivamente il tribunale.

Non sussistendo, conclusivamente, il presupposto del nocumen

to irreparabile, la ordinanza del pretore deve essere revocata.

Il giudizio procederà, quindi, per il merito e le parti compari ranno all'udienza di cui appresso.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 1° marzo

1985, n. 1768; Pres. Grimaldi, Est. Tondo, P. M. Amirante

(conci, conf.); I.n.pjs. (Avv. Romoli, Lironcurti) c. Soc.

Xilopan (Avv. Mereu, Massoni). Conferma Trib. Pavia 14

giugno 1979.

Previdenza sociale — Contributi — Sgravio — Lavoro « supple mentare » (Cod. civ., art. 2107, 2108; r.d.l. 15 marzo 1923 n.

692, limitazioni dell'orario di lavoro per gli operai e impiegati

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