sezione lavoro; sentenza 1° marzo 1985, n. 1782; Pres. Franceschelli, Est. Genghini, P. M. LaValva (concl. conf.); Castellano (Avv. Vinci, Lo Vecchio Musti) c. Soc. CARD. Dichiarainammissibile ricorso avverso Pret. Bari, ord. 22 dicembre 1980Source: Il Foro Italiano, Vol. 108, No. 6 (GIUGNO 1985), pp. 1683/1684-1693/1694Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23178532 .
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1683 PARTE PRIMA 1684
di potere (in senso privatistico) e cioè un movente diverso dallo
scopo esternato dell'atto, ovvero un'incongrua, errata e non im
parziale valutazione della situazione esaminata. Tali deviazioni
possono assumere il livello dell'illecito, se si accorda la preferen za, per esempio, proprio al soggetto non fornito di quei requisiti che si dichiara di volere privilegiare. Il limite della sindacabilità dell'atto di autonomia (tenuto conto del principio fondamentale, secondo cui nessun commerciante ha il diritto di diventare distributore di un produttore) consiste nella potenzialità dannosa
dell'atto, e cioè nella sua interferenza illecita sull'azienda —
anche in fieri — del soggetto che se ne lamenta.
Pertanto, in parziale difformità rispetto al principio enunciato da Cass. n. 2634/83, deve affermarsi che non è sufficiente la discrezionalità della scelta, per affermare che essa viola le regole normali di concorrenza, in quanto è necessaria l'arbitraria discri minazione o l'erronea applicazione delle regole e dei procedimenti prefissati.
Invero, si potrebbe ritenere illecita la discrezionalità della scelta soltanto se si potesse ritenere configurabile un diritto
soggettivo ad essere scelto; diritto che invece non esiste, come si è dimostrato supra. Occorre pertanto un « vizio » della discrezio nalità consistente nell'inosservanza di regole di correttezza, a causa di una immotivata discriminazione e disparità di trattamen to ovvero della violazione delle regole o delle procedure prefissate, a vantaggio di un imprenditore e con ingiusto (potenzia le) danno di un altro.
V) Con la sesta censura si deduce che la corte d'appello, dopo aver rilevato l'esistenza di un atto di boicottaggio, avrebbe dovuto pronunciare d'ufficio la nullità dell'accordo, trattandosi di fatto perseguibile penalmente (art. 507 c.p.), nonché ordinare il rilascio in favore del Tirelli del tesserino di prelevamento, anche
agli effetti dell'esatta delimitazione dell'ambito temporale del danno risarcibile. Il collegio osserva che la censura è assorbita
dall'accoglimento del ricorso principale e dalle altre considerazio ni fatte nel paragrafo precedente. A parte la circostanza che la sentenza impugnata non ha accertato affatto il delitto di boicot
taggio e che l'affermazione dell'esistenza di esso come atto illecito ex art. 2043 c.c. è stata annullata, si osserva infatti che la domanda deve essere riesaminata alla stregua della disciplina dell'art. 2598 c.c. ss., ed osservando i seguenti principi di diritto:
« Un accordo fra associazioni di produttori (nella specie: editori) e di commercianti (nella specie: giornalai) inteso a
regolare la procedura di istituzione ed assegnazione dei punti di vendita non può essere valutato sotto il profilo della responsabili tà extracontrattuale ex art. 2043 c.c. in danno del soggetto estraneo all'accordo stesso che non abbia ottenuto l'assegnazione, per difetto della lesione diretta ed immediata di un diritto
soggettivo a rivestire la posizione di distributore del prodotto, che
non può essere basato sull'art. 41 Cost., in assenza di altra norma
(stante l'inapplicabilità dell'art. 2597 c.c.) regolante il rapporto
interprivato di cui si tratta. Tale accordo può essere invece
valutato, sia nel suo contenuto che nella sua attuazione, soltanto
nell'ambito della disciplina della concorrenza sleale di diritto
interno, se difettano i presupposti di applicabilità della normativa della CEE ».
« Le associazioni sindacali di categoria degli imprenditori pos sono rispondere di concorrenza sleale, a norma degli art. 2598 ss.
c.c., per gli atti compiuti in pregiudizio di imprenditori non
iscritti, consistenti nella stipulazione e/o esecuzione di un accordo
restrittivo della concorrenza, avente ad oggetto il compimento di
un atto rientrante nell'ambito dell'esercizio concreto dell'organiz zazione sindacale (quale è la designazione nominativa del distri
butore del prodotto secondo criteri selettivi) se tali atti sono
compiuti nell'interesse di un altro imprenditore concorrente col
primo, anche non iscritto alle associazioni predette, che abbia
chiesto ed ottenuto l'applicazione a suo vantaggio dell'accordo. In
tal caso, infatti, si riscontra — in astratto — la figura del terzo
non imprenditore che coopera nell'illecito concorrenziale dell'im
prenditore e risponde solidalmente con quest'ultimo ».
« Un accordo fra associazioni di produttori (nella specie:
editori) e di rivenditori (nella specie: giornalai) che consente la
distribuzione del prodotto soltanto ai rivenditori prescelti dalle
predette associazioni in base a regole predeterminate inerenti alla
procedura ed ai criteri di scelta, non può qualificarsi come
boicottaggio in danno degli imprenditori non scelti (e quindi
professionalmente scorretto ex art. 2598 c.c.) quando l'esclusione
delle relazioni economiche di altri soggetti non sia assoluta e
riguardante tutti gli estranei all'accordo, ma si dia la possibilità di accedere all'accordo stesso in base al riscontro dell'esistenza di
requisiti qualitativi obiettivi correlati all'esigenza della razionaliz
zazione e del miglioramento della distribuzione del prodotto; e
Il Foro Italiano — 1985.
quando si apportano limiti, nell'interesse della categoria generale dei rivenditori, all'autonomia dei produttori ».
« Il suddetto accordo non può considerarsi contrario alla cor
rettezza professionale ex art. 2598, n. 3, c.c., se risulta che la
scelta dei rivenditori viene effettuata secondo criteri qualitativi
oggettivi, riguardanti le capacità del rivenditore e l'idoneità della
sua azienda, in relazione alle esigenze della migliore distribuzione
dei prodotti e che tali criteri sono fissati uniformemente in base
ad una procedura nella quale sono valutate comparativamente le
situazioni e le posizioni precostituite sul mercato di più aspiranti al medesimo punto di vendita ».
« L'applicazione del suddetto accordo può essere considerato
come atto contrario alla correttezza ex art. 2598, n. 3, c.c., non in
base alla semplice valutazione discrezionale dei suddetti requisiti e per il conseguente rifiuto nei confronti di un aspirante alla
rivendita ritenuto dotato di requisiti inferiori rispetto a quello
scelto, ma soltanto se sono stati violati i criteri prefissati o non è
stata seguita una regolare procedura o è posta in essere un'in
congrua, errata o non imparziale valutazione delle situazioni
esaminate. In tal caso, se l'atto è potenzialmente produttivo di
danno a carico dell'escluso, con vantaggio potenziale di altro
imprenditore concorrente, può essere considerato come atto di
concorrenza sleale ».
La sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti
e la causa va rimessa per nuovo esame, alla stregua dei principi enunciati e degli altri desumibili dalla presente sentenza, ad altro
giudice che si designa in altra sezione della Corte d'appello di
Roma. (Omissis)
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 1° marzo
1985, n. 1782; Pres. Franceschelli, Est. Genghini, P. M. La
Valva (conci, conf.); Castellano (Avv. Vinci, Lo Vecchio
Musti) c. Soc. CARD. Dichiara inammissibile ricorso avverso
Pret. Bari, ord. 22 dicembre 1980.
Provvedimenti di urgenza — Revoca — Ricorso per cassa
zione — Inammissibilità (Cost., art. 111 ; cod. proc. civ., art.
295, 298, 360, 690, 700, 702).
È inammissibile il ricorso per cassazione ex art. Ill Cost, av
verso l'ordinanza di revoca del provvedimento d'urgenza ex
art. 700 c.p.c., stante la sua natura strumentale e ordinatoria
(in motivazione si sottolinea che la revocabilità del provve dimento cautelare è possibile non solo per il cambiamento
delle circostanze sul periculum in mora ma anche in rela
zione dell'accertamento del fumus boni iuris).(l)
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezione II civile; sentenza 15 di
cembre 1984, n. 6579; Pres. Pieri, Est. Perrotti, P. M. Fabi
(conci, diff.); Alaimo e altri (Avv. Boffa, Balsamo, Bruno) c.
Cirrito e Latona (Avv. Mormino, Algozini). Dichiara inammis
sibile ricorso avverso Trib. Termini Imerese, ord. 17 giugno 1983 e App. Palermo, ord. 15 luglio 1983.
Provvedimenti di urgenza — Natura di sentenza — Appellabilità — Ricorso per cassazione — Inammissibilità (Cost., art. Ili; cod. proc. civ., art. 339, 360, 689, 700, 702, 739; 1. 11 febbraio
1971 n. 11, nuova disciplina dell'affitto di fondi rustici, art. 26; 1. 3 maggio 1982 n. 203, norme sui contratti agrari, art. 47).
I provvedimenti d'urgenza ex art. 700 c.p.c., stante la loro natura
strumentale non sono suscettibili di impugnazione autonoma; tuttavia se il giudice adito ante causam ex art. 700 c.p.c.,
competente anche per il merito, unifichi la fase interdittale e
il giudizio di merito emettendo in luogo del provvedimento
d'urgenza un vero e proprio provvedimento definitivo di meri
to, questo, stante il suo carattere decisorio, ha natura di sen
tenza ed è impugnabile tramite l'appello e non il ricorso per cassazione ex art. Ili, 2° comma, Cost. (2)
(1-3) I. - Cass. 1782/85 si segnala per l'ampio obiter dictum in tema di revocabilità dei provvedimenti d'urgenza ex art. 700 c.p.c., su cui cfr. anche l'ordinanza del Tribunale di Grosseto.
Nello stesso senso della decisione del tribunale, in casi analoghi di
pronuncia da parte del pretore adito ante causam ed istanza di revoca
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Ill
TRIBUNALE DI GROSSETO; ordinanza 17 gennaio 1984; Giud.
istr. Amatista; Unione nazionale autoscuole e studi di consu
lenza automobilistica (Avv. Medugno) c. Automobile club
d'Italia e Automobile club di Grosseto (Avv. Pace).
Provvedimenti di urgenza — Revocabilità — Ammissibilità (Cod.
proc. civ., art. 177, 700, 701).
L'ordinanza resa dal pretore quale provvedimento d'urgenza deve intendersi revocabile dal giudice istruttore, pendendo la
causa di merito (nella specie, in base a provvedimento ex art.
700 c.p.c., era stato ordinato all'Automobile club di Grosseto di
astenersi dall'inviare agli automobilisti, interessati alla revisione
di autoveicoli, ulteriori cartoline pubblicitarie). (3)
avanti al giudice istruttore del tribunale adito per la causa di merito, v., da ultimo, Trib. Roma, ord. 1° aprile 1983, Foro it., 1983, I, 1098, con nota di richiami (e in Giur. it., 1983, I, 2, 634, con nota di
Cuffaro). Esplicitamente in senso contrario v. Trib. Torino, ord. 14
giugno 1983, Foro it., 1983, I, 2558 (con ampia e articolata motivazio ne nella quale si esaminano i tre diversi orientamenti giurisprudenziali sul punto) e Trib. Camerino, ord. 22 dicembre 1983, id., 1984, I, 277, entrambe con ulteriori note di richiami.
Sulla revocabilità del provvedimento d'urgenza ex art. 700 c.p.c. nel corso o prima dell'inizio del giudizio di merito ma sempre da parte dello stesso giudice che l'ha pronunciato, v. Trib. Crema 3 maggio 1982, id., Rep. 1983, voce Provvedimenti d'urgenza, n. 116 (e per esteso in Banca, borsa, ecc., 1982, II, 311, con nota di Salanitro); Cass. 5 maggio 1981, n. 2774, Foro it., 1981, I, 1252, con nota di richiami e osservazioni di C. M. Barone; Pret. Siracusa 21 ottobre
1980, id., 1981, I, 559, con ulteriore nota di richiami nella quale si
riepilogano le diverse posizioni della dottrina e della giurisprudenza. Mentre la decisione della Cassazione in epigrafe argomenta a favore
della revocabilità della natura cautelare, come tale intrinsecamente provvisoria, del provvedimento d'urgenza ex art. 700 c.p.c. (su cui v.
Tommaseo, I provvedimenti d'urgenza, Padova, 1983, 147 ss., 317 ss.; D'Auria, L'esecuzione dei provvedimenti cautelari, ecc., in Riv. giur. lav., 1979, II, 1092; A. Proto Pisani, I provvedimenti d'urgenza ex art. 700 c.p.c., in Appunti sulla giustizia civile, Bari, 1982, 412 s.), l'ordinanza del Tribunale di Grosseto si fonda sull'argomento (già proprio di
Andrioli, Commento, Napoli, 1964, IV3, 275) secondo cui, sostenen do la tesi contraria, si darebbe ingresso ad un provvedimento non suscettibile di modifica fino all'esaurimento del giudizio di merito
(come invero sembra disposto dall'art. 24, 4° comma, 1. 990/69 e 18, 7° comma, 1. 300/70), e ritiene di poter superare l'ostacolo della dizione letterale «stesso giudice», di cui all'art. 177 c.p.c., per equiparare il caso del provvedimento d'urgenza reso dal giudice istruttore in corso di causa a quello reso dal pretore ante causam, non
competente poi per il merito. Nella motivazione di Cass. 1782/85 si rinvengono gli scarsi e
contraddittori precedenti della Corte di cassazione in argomento (tutti svolti, come nella decisione in epigrafe, a livello di obiter dicta).
II. - Le due pronunce della Corte di cassazione in epigrafe, richiamando espressamente alcune precedenti sentenze (Cass. 27 gen naio 1983, n. 754, Foro it., Rep. 1983, voce cit., n. 113; 25 novembre 1983, n. 7082, ibid., n. 117; 24 maggio 1980, n. 3420, id., Rep. 1980, voce cit., n. 85; 7 luglio 1979, n. 3890, id., Rep. 1979, voce cit., n. 7) confermano il proprio indirizzo ormai consolidato della generale inimpugnabilità in via autonoma dei provvedimenti d'urgenza, smentendo ulteriormente l'isolata pronuncia delle sez. un. 3 ottobre 1977, n. 4180, id., 1978, I, 1409, con nota critica di Cipriani, Atti urgenti e provvedimenti cautelari durante la sospensione del processo di merito, laddove si era affermata la diretta impugnabilità ex art. 111 Cost, dei provvedimenti d'urgenza qualora avessero sostan zialmente natura di sentenza.
In senso conforme alle sentenze in epigrafe v. Cass. 8 luglio 1983, n. 4619, id., Rep. 1983, voce cit., n. 113; 27 gennaio 1983, n. 754, ibid., n. 108; 5 maggio 1981, n. 2722, id., Rep. 1982, voce cit., n. 96; 13 maggio 1980, n. 3144, id., Rep. 1980, voce cit., n. 82; Trib. Roma 1° aprile 1980, ibid., n. 86; Cass. 19 gennaio 1980, n. 444, ibid., n. 84; 14 novembre 1978, n. 5241, id., Rep. 1979, voce cit., n. 54; nelle motivazioni v. anche Cass. 10 aprile 1978, n.
1680, I, 226 e 15 febbraio 1978, n. 712, id., 1978, I, 1456, con nota di richiami di A. Lener.
In particolare sulla inammissibilità del ricorso in Cassazione ex art. Ill Cost., cfr. Cass. 25 novembre 1983, n. 7082, id., Rep. 1983, voce
cit., n. 117; 14 ottobre 1983, n. 5998, ibid., n. Ili; 16 luglio 1983, n. 4905, ibid., n. 112; 8 luglio 1983, n. 4619, cit.; 27 gennaio 1983, n. 754, cit.; 28 aprile 1981, n. 2552, id., 1981, I, 2203, con nota di richiami di Cipriani.
Sulla inappellabilità del provvedimento emesso ex art. 700 c.p.c. in
quanto ha natura di ordinanza nonostante la forma di sentenza, più specificamente, cfr. Trib. Roma 1° aprile 1980, cit.; Trib. Roma 14 settembre 1979, id., 1979, I, 2132; Cass. 20 dicembre 1978, n. 6116, id., Rep. 1978, voce cit., n. 51; 4 agosto 1978, n. 3842, ibid., n. 52; 17 marzo 1978, n. 1328, cit., con nota di richiami di A. Lener.
Con l'orientamento sopra esposto della giurisprudenza è allineata la
prevalente dottrina, in generale sulla struttura cautelare e non deciso
li- Foro Italiano — 1985.
I
Motivi della decisione. — Con il primo mezzo il ricorrente si duole per la violazione degli art. 295 e 298 c.p.c. (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.) in quanto il pretore non poteva riservarsi senza
motivazione sulla istanza di sospensione per pregiudizialità del
procedimento penale; ine consegue la nullità dell'attività proces suale successiva, incluso il provvedimento di revoca dell'ordi nanza emessa ai sensi dell'art. 700 c.p.c.
Con il secondo motivo il ricorrente censura i cennati provve dimenti per violazione degli art. 700, 702 e 690 c.p.c. (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.) in quanto il provvedimento di urgenza concesso inaudita altera parte era stato confermato a seguito dell'udienza
tenuta ai sensi dell'art. 690 c.p.c. ed il pretore non poteva, successivamente, revocare nel corso del giudizio di merito quel provvedimento prima della pronuncia definitiva.
Il ricorso è inammissibile. Questa corte ha ripetutamente affermato che il provvedimento che nega la sospensione del
processo ai sensi dell'art. 295 c.p.c., al pari di quello che la
dispone o la revoca, ha carattere ordinatorio e non decisorio, in
quanto regola lo svolgimento del processo senza pronunziare sulle
pretese dedotte in giudizio, e, pertanto, è soltanto revocabile da
parte del giudice che lo ha emesso, ma non è suscettibile di
impugnazione, neppure mediante ricorso per cassazione ex art.
Ill Cost, persino se adottato erroneamente sotto forma di
sentenza (Cass. 221/80, Foro it., Rep. 1980, voce Procedimento
civile, n. 180; 1871/76, id., Rep. 1976, voce oit., n. 194). In ordine alla ricorribilità dei provvedimenti, invero, l'aspetto
essenziale da prendersi in considerazione è la decisorietà o meno, atteso che solo questa è suscettibile di quella immancabile tutela
giurisdizionale che il costituente ha inteso garantire. Quanto affermato in ordine al provvedimento di sospensione,
vale altresì' per il provvedimento di urgenza ex art. 700 c.p.c. che
addirittura non è impugnabile data la sua natura cautelare e
strumentale essendo destinato ad esaurire la sua funzione con la
decisione di merito (Cass., sez. un., n. 754/83, id., Rep. 1983, voce Provvedimenti d'urgenza, n. 113), e, in tal senso, sia il
provvedimento di urgenza, sia il decreto successivo dello stesso
giudice di sospensione della esecutività del provvedimento di
reintrgrazione non hanno carattere decisorio, e perciò non sono
ria dei provvedimenti d'urgenza v. Tommaseo, I provvedimenti d'ur genza, cit.; A. Proto Pisani, I provvedimenti d'urgenza ex art. 700 c.p.c., cit. Sulla inammissibilità di un'impugnazione in via autonoma con esclusione anche del ricorso in Cassazione ex art. Ili, 2° comma, Cost. v. da ultimo: Aieli.o-Giacobbe-Preden, Guida ai provve dimenti d'urgenza, Milano, 1982, 141 ss.; Arieta, I provvedimenti d'urgenza ex art. 700 c.p.c., Padova, 1982, 138 ss.; M. e A. Dini, I provvedimenti d'urgenza nel diritto processuale civile e nel diritto del lavoro, Milano, 1981, 1, 515 ss.; Mandrioli, Corso di diritto proces suale civile, Torino, 1981, III, 254.
III. - In senso conforme alla seconda decisione in epigrafe, favore vole all'appellabilità (con l'esclusione dell'impugnabilità ex art. Ili Cost.) contro la pronuncia definitiva del merito emessa dal giudice in luogo del provvedimento d'urgenza richiesto, in conseguenza dell'u nificazione della fase cautelare con quella di merito, cfr. Cass. 8 luglio 1983, n. 4619, cit.; 16 luglio 1983, n. 4905, cit.; in motivazione, dove sono peraltro richiamati precedenti casi di unificazione delle fasi cautelari e di merito, v. Cass. 5 maggio 1981, n. 2774, cit., con nota di richiami di C. M. Barone. Per l'appellabilità dei provvedimenti emessi ex art. 700 c.p.c. v. pure Cass. 28 aprile 1981, n. 2552, cit., annotata da Cipriani, che si riferisce alla ipotesi di provvedimento d'urgenza contenente statuizioni di merito, non seguito dall'ordinario giudizio di merito, che secondo la Suprema corte è impugnabile con l'appello e non col ricorso in Cassazione ex art. Ill Cost., in virtù del principio più volte ribadito « della prevalenza del contenuto dell'atto sulla sua forma esteriore, ai fini della interpretazione e qualificazione di un atto come provvedimento impugnabile ».
In dottrina in senso conforme v., da ultimo, M. e A. Dini, I provvedimenti, cit., 626. Diversamente Arieta, I provvedimenti, cit., 141 ss., il quale, pur sensibile all'esigenza di consentire un rimedio giurisdizionale per quei provvedimenti « abnormi » non corrispondenti alla loro natura in quanto a contenuto decisorio, cioè diretti ad incidere in modo definitivo sul rapporto dedotto alla stessa stregua della sentenza, propone in senso contrario alla sentenza in epigrafe, l'esperibilità del ricorso straordinario per cassazione ex art. Ili, 2° comma. Cost, escludendo invece l'esperibilità dell'appello « dal momen to che la devoluzione al giudice superiore di una controversia presuppone necessariamente che il giudizio di primo grado si sia svolto con le garanzie (e non solo di contraddittorio) e, soprattutto, con la cognizione che sono tipiche del giudizio di primo grado ».
IV. - Sui rapporti tra provvedimenti d'urgenza ex art. 700 c.p.c. e regolamento di giurisdizione ex art. 41 e 367 c.p.c., v., da ultimo, Corte cost. 19 dicembre 1984, n. 293, Foro it., 1985, I, 651, con nota di Cipriani, La Corte costituzionale, il regolamento di giurisdizione e i provvedimenti d'urgenza; cfr. anche Pret. Rogliano, ord. 7 maggio 1985, in questo fascicolo, I, 1713, con nota di richiami.
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1687 PARTE PRIMA 1688
ricorribili in Cassazzione (Cass. n. 3420/80 id., Rep. 1980, voce
cit., n. 85). Né, evidentemente, il carattere della decisorietà potreb be dedursi dal fatto che trattandosi di provvedimento non revo cabile da parte dello stesso giudice che ha emanato l'at
to o da parte del giudice di merito prima della pronuncia definitiva con la revoca si verrrebbe ad incidere in modo irrime
diabile su una situazione soggettiva ormai entrata a far parte della sfera giuridica dell'interessato.
Questa corte, non ignora che la dottrina e la stessa giurispru denza (sent. 6 novembre 1964, n. 2688, id., 1965, I, 43 e sez. un.
28 aprile 1948, id., Rep. 1948, voce cit., n. 7, inoltre Cass.
1° luglio 1958, n. 2343, id., Rep. 1958, voce cit., n. 3), si sono talvolta espiresse per la non revocabilità del provvedi mento di urgenza, talora addirittura sino al passaggio in giudicato della pronuncia sul merito, tal'altra ritenendo che in ogni caso la
pronuncia sul merito di primo grado negativa dei presupposti del
già concesso provvedimento di urgenza ne caducasse gli effetti.
Ma ritiene preferibile aderire ad una concessione del provve dimento di urgenza piti aderente al suo intrinseco carattere
strumentale ed ordinatorio, che pure è stato talora sottolineato sia
dalla dottrina più autorevole, sia dalla stessa giurisprudenza di
questa stessa corte (sent. 4 gennaio 1966, n. 62, id., Rep. 1966, voce
cit., n. 31; sez. un. n. 2722 del 5 maggio 1981, id., Rep. 1982, voce
cit., n. 96; n. 3420 del 24 maggio 1980, id., Rep. 1980, voce cit., n.
85). In realtà già dalla sentenza n. 62 del 1966 si deduceva con
chiarezza come i provvedimenti cautelari o di urgenza, essendo in
defettibilmente sottoposti al controllo del giudice di merito (art. 702 c.p.c. in relazione agli art. 689 ss. c.p.c.) potessero essere revo
cati ancor prima di definire il giudizio di merito, e persino durante
la sospensione del giudizio di merito a seguito di proposizione di
regolamento di giurisdizione; ciò sia in considerazione della
autonomia del procedimento cautelare rispetto a quello di merito, sia perché essendo il potere di revoca uguale e contrario a quello di emanazione, se durante il giudizio di merito o durante la
quiescenza dello stesso è consentito l'esercizio positivo del potere cautelare, non può non ritenersi consentito parallelamente l'eser
cizio dello stesso potere in forma negativa.
D'altra parte, una volta ammesso il potere di sospensione e di
revoca del provvedimento di urgenza da parte del giudice istrut
tore, non vi è nessuna giustificazione per un diverso trattamento
rispetto ai provvedimenti adottati dal pretore, medesima essendo
la ratio e gli interessi da tutelare. Nè possono trarsi utili
argomenti contrari dalla necessità di convalida del sequestro,
poiché appunto in materia di provvedimenti di urgenza non
sussiste un autonomo giudizio di convalida. Tale parallellismo è
escluso dal rinvio agli art. 689 ss. c.p.c. contenuto nell'art. 702
c.p.c.: nel sequestro si ha una misura conservativa dei beni per
garantire l'efficacia di una futura composizione del conflitto
d'interesse tra le parti, mantenendo tra esse un equilibrio che
altrimenti potrebbe essere irrimediabilmente compromesso. I
provvedimenti di urgenza, invece anticipano provvisoriamente in
favore di una delle parti, gli effetti della decisione di merito, tanto che si deve ritenere che anziché mantenere una situazione di equilibrio, siano rivolti a ricostruirla; essi infatti vengono concessi in relazione ad un pericolo suscettibile di evoluzione con il decorso del tempo necessario al giudizio, e questo presupposto mal si concilia con la immutabilità prevista dall'art. 683 c.p.c.
La stessa mancanza di un giudizio di convalida (a differenza di
quanto avviene nel sequestro) sta a sottolineare la provvisorietà del concesso rimedio, la impossibilità di una interpretazione analogica dell'art. 683 cit. ed anche lo stretto collegamento con la
situazione contingente desumibile dall'inciso « secondo le circo stanze ».
È stato cosi giustamente sottolineato come fossero revocabili i
provvedimenti nunciatori, quelli di istruzione preventiva in corso
di causa, la cautio pro expensis (prima della abrogazione per contrarietà all'art. 24 Cost.), la esecuzione provvisoria della senten
za (art. 283 c.p.c.), il processo di esecuzione (art. 624 c.p.c.), le
disposizioni temporanee date dal giudice in materia di assegno alimentare (art. 446 c.c.) o di assegno alimentare in pendenza di
procedimento di separazione dei coniugi (art. 708 c.p.c.). In tutti
questi casi se si verificano mutamenti delle circostanze, ma anche
dal fumus boni iuris, le ordinanze possono essere revocate o
modificate dal giudice competente a norma dell'art. 177 c.p.c., è
evidente che tale norma non può ritenersi rivolta, per la sua
stessa formulazione e collocazione, a disciplinare soltanto le
ordinanze probatorie.
La natura strumentale dei provvedimenti di urgenza consente
di affermare la revocabilità degli stessi non solo per il cambia
mento delle circostanze sul periculum in mora, o sul pregiudizio
Il Foro Italiano — 1985.
imminente ed irreparabile del diritto oggetto della pretesa, ma
anche sull'accertamento stesso di tale diritto (il fumus); che in
effetti alla cognizione semipiena è subentrata una cognizione completa, nel corso della quale ben può verificarsi che siano
venuti meno alcuni o tutti gli elementi sui quali si era fondato il rimedio cautelare. In quello stesso momento in cui il giudice istruttore o il pretore hanno acquisito difformi elementi di valuta
zione, il periculum non è più quello prospettato al momento della
richiesta del provvedimento cautelare, ma è costituito dalla stessa permanenza del provvedimento di urgenza che perpetua degli effetti al di fuori delle condizioni che ne avevano giustifica to la emanazione. Ed è appunto questa la ragione per la quale già si è ritenuto che la sentenza di merito che avesse ritenuto infondata la pretesa, a tutela della quale era stato concesso un
provvedimento di urgenza, specialmente se munita di clausola di
provvisoria esecuzione, ma secondo parte della dottrina e della
giurisprudenza, in ogni caso fosse idonea a caducare gli effetti del provvedimento di urgenza. La revocabilità è in effetti insita nel provvedimento cautelare, per la sua stessa natura: nella misura provvisoria, come è stato autorevolmente affermato, si deve distinguere la sua giustificazione attuale cioè dii fron te alle apparenze del momento, e la sua giustificazione ul tima: la misura provvisoria attua un effettiva volontà di legge, ma una volontà che consiste nel garantire l'attuazione di un'altra
supposta volontà di legge; se in seguito quest'altra volontà è risultata inesistente, anche la volontà attuata con la misura
provvisoria, si manifesta come una volontà che non avrebbe dovuto esistere.
Il caso in esame appare esemplare delle cennate considerazioni, e l'ampia motivazione datane dal pretore nella ordinanza ne è
puntuale conferma: il provvedimento di reintegra è stato conces so in sede di sommaria cognizione; successivamente, in sede di
merito, il pretore rilevava elementi che consentivano di figurare ipotesi di reato, a carico del prestatore di opera reintegrato, in danno del datore di lavoro, tanto che rimetteva gli atti al
procuratore della repubblica, ed altri elementi che facevano venir meno il fumus boni iuris apprezzato precedentemente; per modo che il pretore, prima di sospendere il processo ai sensi dell'art. 295 c.p.c. riteneva il suo incensurabile appezzamento di revoca
re il provvedimento cautelare del quale non ravvisava più la
opportunità. Questa ordinanza, al pari del provvedimento di urgenza, è stata
emanata nell'ambito di un potere ordinatorio del giudice che non attiene alla decisione del merito e non ha pertanto contenuto
decisorio; ne consegue la non impugnabilità in sede di legittimità e la inammissibilità del proposto ricorso: anche per quanto riguar da il potere del pretore di riservarsi la decisione in ordine alla istanza di sospensione prima di provvedere.
II
Motivi della decisione. — I due ricorsi, che propongono le medesime censure, vanno riuniti.
Premettono i ricorrenti che la sentenza 1° marzo 1980, passata in giudicato, aveva risolto, per morosità, il rapporto agrario intercorso fra il fu Rizzo Salvatore ed il fu Cullotta Ferdinando
(rispettivamente affittuario e concedente), ma non investiva il
rapporto, diversamente formatosi, fra le attuali resistenti, da una
parte, e Alaimo Paolo, Di Nardo Antonio e la impresa familiare
coltivatrice, formata da essi e dai fratelli Rizzo, dall'altra. Tale rapporto essi intendevano tutelare e, in via propedeutica,
avevano proposto, contro le attività messe in atto dalle intimate — che stavano strutturando l'azienda, privandoli del proprio lavoro — il ricorso per ottenere il provvedimento di urgenza. Ad avviso dei ricorrenti, le controparti il giorno 24 settembre 1982, pur non potendo agire in esecutivis in base alla sentenza, avevano iniziato l'esecuzione forzata in base ad un precetto destinato ai soli fratelli Rizzo e non ad Alaimo e a Di Marco, nè alla famiglia colonica. L'esecuzione però, a loro parere, non era stata portata a compimento e si era convertita in un accordo, sottoscritto anche dalle precedenti, che riconosceva ad Alaimo e a Di Marco di proseguire nella coltivazione del fondo; con lo stesso atto Alaimo e Di Marco, nonché i medesimi insieme ai fratelli Rizzo, avevano dichiarato di rinunciare alle azioni intra prese nei confronti del procedenti alla esecuzione; ma, essendo tale rinuncia nulla, sia a norma dell'art. 1965 c.c., sia a norma dell'art. 58 1. n. 203/82 ed essendo la procedura esecutiva interrotta ed estinta in quanto iniziata senza tener conto del diverso rapporto, le proprietarie illegittimamente avevano in vaso il fondo in data 21 aprile 1983, cagionando ad essi ricorrenti grave danno sia nell'attività che nella durata, con
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
la relativa dissoluzione dei loro diritti al lavoro, alla produzione dei mezzi di sussistenza, a trarre frutto dalle colture avviate e ad
impostarne delle nuove, a tutelare l'integrità della famiglia colo
nica.
Ad avviso dei ricorrenti, la sezione specializzata del tribunale, con il provvedimento di cui sopra, avrebbe risolto nel merito la
questione, travalicando, con la costruzione decisoria della pro
nunzia, l'ambito di esercizio delle proprie facoltà in ordine al
richiesto provvedimento di urgenza. Di qui il reclamo alla corte d'appello (sezione specializzata), la
cui ammissibilità discenderebbe dall'applicazione degli art. 739
742 bis c.p.c. Ma la corte, disattendendo tutte le censure mosse
al « provvedimento-sentenza » del tribunale (specialmente per il suo carattere decisorio e risolutivo del merito della controver
sia), aveva affermato il principio della inammissibilità in assoluto
della impugnazione, senza tener conto dei vizi di ultra ed extra
petizione del provvedimento, che aveva anticipatamente deciso
nel merito.
Tanto esposto, i ricorrenti sviluppano i concetti di cui sopra in
due premesse in diritto, di cui la prima sulla impugnabilità
generale dei provvedimenti ex art. 700 c.p.c. ante causam e la
seconda sulla impugnabilità del provvedimento di urgenza che
rivesta carattere decisionale, esorbitando dai limiti della procedu ra ed instaurando una situazione suscettibile di definire stabil
mente l'oggetto della controversia.
A loro avviso, la generale impugnabilità del provvedimento in
esaem deriverebbe: dal suo carattere giurisdizionale e dall'au
tonomia della procedura; dalla considerazione che nessun divieto
espresso vi è nell'art. 702 c.p.c., mentre, quando il legislatore ha
inteso affermare la non impugnabilità di un provvedimento, in
tema di procedimenti cautelari, lo ha espressamente stabilito; dalla non applicabilità dell'art. 177 c.p.c., che riguarda solo i
provvedimenti emessi nel corso dell'istruttoria; dal rinvio
globale contenuto nell'art. 47 1. 203/82 all'art. 26 1. n. 11/71, che, a parere dei ricorrenti, introdurrebbe i provvedimenti cautelari
nella procedura camerale, con conseguente applicabilità dell'art.
739 c.p.c., che detta appunto disposizioni comuni ai procedimenti in camera di consiglio, secondo l'espressa previsione dell'art. 742
bis c.p.c.; dal carattere « aperto », e cioè di rinvio, della
norma di cui all'art. 702 c.p.c., in relazione alla natura precettiva del citato art. 742 bis stesso codice; dalla considerazione che il
carattere interinale e provvisorio dei provvedimenti di urgenza adottati ante causam, non sarebbe di ostacolo alla loro impugna bilità.
La impugnabilità ex art. Ill Cost, dei provvedimenti in esame,
salvo che la procedura di rinvio non consenta altro più specifico
rimedio, sarebbe certamente ammissibile in ipotesi, come quella di specie, in cui il carattere difinitivo del provvedimento esclude
rebbe la proponibilità di ogni altra domanda nelle forme ordina
rie. Non sarebbe ipotizzabile l'appellabilità del provvedimento di
urgenza, neanche sotto il profilo che lo stesso abbia assunto i
caratteri propri di una sentenza, perchè mancherebbe nella specie il presupposto del procedimento di primo grado con le relative
garanzie del provvedimento di cognizione; l'impugnabilità me
diante appello riguarderebbe, a norma dell'art. 339 c.p.c., solo le
sentenze pronunciate in primo grado e tale non sarebbe il
procedimento svoltosi nelle forme di cui all'art. 702 c.p.c.
A tali premesse e per quanto possa occorrere i ricorrenti fanno
seguire gli otto motivi con i quali censurano il provvedimento della sezione specializzata del tribunale, sotto vari aspetti, per violazione delle norme di cui agli art. 700, 702, 112 e 99 c.p.c., nonché per i vizi di motivazione, in relazione all'art. 360, nn. 3 e
5, stesso codice; censurano altresì l'ordinanza della sezione spe cializzata della corte d'appello, con due motivi, per violazione
degli art. Ill Cost, e 702 bis, 739 c.p.c., in relazione all'art. 360, n. 2, stesso codice, non essendo prescritto nella specie il regola mento di competenza, nonché per vizi di motivazione (omesso
esame e travisamento) ili relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.
Replicano le controricorrenti, invocando l'orientamento giuri
sprudenziale di questa corte nel senso della non impugnabilità dei
provvedimenti di urgenza, che, essendo privi dei requisiti di un
provvedimento decisorio, non ammetterebbero alcun controllo
esercitatole con autonoma impugnazione, sia essa di appello o di
ricorso per cassazione ex art. Ill Cost.; la declaratoria di
inammissibilità non conterebbe alcuna statuizione di merito, ca
pace, di acquistare autorità di cosa giudicata sostanziale.
Rilevano poi la contraddittorietà della impugnazione, perchè ove mai l'ordinanza del tribunale fosse sottratta all'appello ed al
reclamo e perciò impugnabile a norma dell'art. Ill Cost., la
declaratoria di inammissibilità non conterrebbe alcuna statuizione
Il Foro Italiano — 1985 — Parte I-109.
di merito, capace di aquistare autorità di cosa giudicata sostanzia le.
Rilevano poi la contraddittorietà dell'impugnazione perchè, ove mai l'ordinanza del tribunale fosse sottratta all'appello ed al reclamo e perciò impugnabile a norma dell'art. Ill Cost., nessuna censura sarebbe ammissibile avverso l'ordinanza della corte
d'appello, ove, invece, l'ordinanza del tribunale fosse recla
mabile, non sarebbe ammissibile il ricorso per cassazione ex art. 111 Cost.; il incorso avverso l'ordinanza del tribuna le sarebbe inoltre inammissibile per tardività, perchè il termine
per l'impugnazione avrebbe cominciato a decorrere dal 17 giugno 1983, data del suo deposito (che equivarrebbe a notifica), tenuto conto della non applicabilità delle norme sulla sospensione dei termini ai giudizi innanzi alle sezioni specializzate agrarie; non
sarebbe, comunque, ammissibile nel nostro sistema processuale il
ricorso cumulativo avverso due provvedimenti di due diversi
organi giurisprudenziali; altro motivo di inammissibilità del ricor so avverso l'ordinanza del tribunale deriverebbe dal fatto che il relativo potere di impugnativa si sarebbe consumato con il
gravame proposto alla corte d'appello. Deducono, infine, l'inammissibilità delle censure rivolte alle
valutazioni di merito fatte dal tribunale, nonché la fondatezza delle considerazioni svolte dal tribunale medesimo.
Prendendo pregiudizialmente in esame per il suo carattere assorbente la questione della inammissibilità dei ricorsi, questa corte osserva: non sussiste la dedotta inammissibilità della im
pugnazione in dipendenza del fatto che con unico ricorso sono stati impugnati due provvedimenti, emessi ciascuno da un diver so organo giudiziario: il sistema processuale vigente ammette
espressamente (art. 104 c.p.c.) il cumulo delle domande, non altrimenti connesse, contro la stessa parte e tale principio può essere applicato anche nei successivi gradi di giurisdizione, salva la facoltà di separazione nelle ipotesi di cui all'art. 103, cpv., c.p.c. Ciò a prescindere dal fatto che nella specie sono stati
proposti due ricorsi, che, per evidenti ragioni di economia, sono stati poi riuniti.
Per quel che riguarda la eccepita tardiività del ricorso in
relazione al provvedimento del tribunale, con la conseguente inammissibilità che ne discenderebbe, va applicato il principio per cui il termine breve di impugnazione decorre soltanto dalla notifica della sentenza, senza possibilità di equipollenti, con la
conseguenza che tale decorrenza non si configura nei confronti di
soggetti processuali che non siano né notificanti, né notificati, a nulla rilevando che essi siano venuti altrimenti a conoscenza della sentenza (cfr. Cass. 11 gennàio 1982, n. 116, id., Rep. 1982, voce Impugnazioni civili, n. 25).
E neanche può discutersi di consumazione dell'impugnazione avverso il provvedimento della sezione specializzata del tribunale in conseguenza del reclamo proposto alla corte d'appello, tenuto conto dei diversi presupposti richiesti per il reclamo rispetto a
quelli richiesti per ;il ricorso ex art. Ill Cost.; proprio dalla inammissibilità del primo potrebbe discendere, ove ne ricorressero le condizioni, l'ammissibilità del secondo.
Deve, pertanto, esaminarsi se tali condizioni siano ravvisabili nel caso di specie in cui si deduce, per le ragioni sopra esposte, sia la generale impugnabilità dei provvedimenti adottati ex art. 700 c.p.c., sia la impugnabilità ex art. Ill Cost, dei provvedi menti in esame.
Del tutto inconferente, ai fini della generale impugnabilità dei
provvedimenti di urgenza (ex art. 700 c.p.c.), è il richiamo al suo carattere giurisdizionale ed all'autonomia della procedura, perché è proprio quest'ultimo requisito (l'autonomia) che manca in ogni caso a tutti i procedimenti cautelari (capo III, titolo I del libro IV c.p.c.), i quali hanno sempre, come carattere essenziale e
costante, una funzione puramente strutturale, cosi che i provve dimenti a cui tendono, in rapporto ai futuri provvedimenti di
cognizione o di esecuzione, hanno carattere meramente sussidia rio.
In applicazione di tali principi è stato ritenuto, con un costante
orientamento giurisprudenziale, che i provvedimenti di urgenza (art. 700) hanno natura strumentale e funzione cautelativa del
tutto provvisoria, in quanto volta ad evitare che la futura
pronunzia del giudice possa restare pregiudicata nel tempo neces
sario per ottenerla e destinati a perdere la loro efficacia e vigore a seguito della decisione di merito nella quale rimangono assorbi
ti e caducati con l'esaurimento della funzione cautelare che li
caratterizza; pertanto, poiché essi sono privi dei requisiti propri della sentenza o, comunque, di un provvedimento deciso rio atto a produrre effetti di diritto sostanziale e processuale con autorità di giudicato, il controllo sugli stessi non può esercitarsi
con un'autonoma impugnazione, sia esso l'appello o il ricorso
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1691 PARTE PRIMA 1692
per cassazione ex art. Ill Cost., esaurendosi la funzione dei
detti provvedimenti con la decisione di merito (cfr. Cass. 25
novembre 1983, n. 7082, id., Rep. 1983, voce Provvedimenti di
urgenza, n. 117; Cass. 7 luglio 1979, n. 3890, id., Rep. 1979, voce
cit., n. 71, per citarne solo alcune tra le più recenti).
Né è conferente il richiamo fatto dai ricorrenti al principio ubi
voluit dixit o al carattere « aperto » della norma di cui all'art.
702 c.p.c. o alle leggi agrarie (n. 203/82 n. 11/71), sia perché la
forma prevista per il procedimento (in quanto applicabile) non
può incidere sulla sua sostanza, cioè sulla sua intrinseca natura, sia perché le norme (art. 37 e 26 rispettivamente) contenute nelle
leggi agrarie limitano la loro portata precettiva a devolvere alle
sezioni specializzate agrarie i provvedimenti cautelari in discus
sione, senza per nulla incidere sulla loro natura che è e resta
quella cautelare, con il relativo carattere di strumentalità e
provvisorietà, che non consente, in via generale, l'invocata auto
noma impugnabilità, trattandosi di provvedimenti riesaminabili
solo nella competente sede di merito.
Per le stesse considerazioni deve escludersi l'applicabilità de
gli art. 739-742 c.p.c. circa la reclamabilità dei provvedimen ti cautelari in esame: il fatto che questi dal punto di
vista sistematico possano anche rientrare nei provvedimenti camerali non autorizza certamente a snaturarne i requisiti essen
ziali di cui sopra, ammettendo una possibilità di reclamo al
giudice superiore in contrasto con i principi che governano
imprescindibilmente la struttura del procedimento e la natura
giuridica del provvedimento. Tanto ritenuto in relazione alla non impugnabilità in via
generale dei provvedimenti cautelari, ivi compresi quelli ex art.
700 c.p.c., va esaminata l'altra questione pregiudiziale che
riguarda la impugnabilità con il ricorso per cassazione ex art. Ili
Cost, dei provvedimenti in esame ed in particolare di quello della
sezione specializzata del tribunale che, pur nella forma di ordi
nanza, avrebbe assunto i caratteri propri di una sentenza, per avere conclusivamente deciso (in senso negativo) ogni aspetto
processuale e di merito delle questioni sottoposte, con relativa
condanna alle spese, in modo da escludere ogni possibilità di
riesame nel successivo giudizio di cognizione piena. Il tribunale avrebbe cosi travalicato i limiti del provvedimento
di urgenza, emettendo una pronuncia definitiva, suscettibile di
costituire giudicato preclusivo di ogni altra possibile azione.
Ora, che il provvedimento della sezione specializzata del tribuna
le abbia esaminato, non certo sommariamente, ogni aspetto delle
questioni sottoposte, sia con riguardo agli effetti preclusivi del giu dicato di cui alla sentenza 1° marzo 1980 sia sulla portata di questa in relazione ad altri soggetti attuali ricorrenti (Alaimo e Di Marco),
sia sulla interpretazione della sentenza stessa, ed altresì sulla
interpretazione del negozio di cui al verbale 29 settembre 1982, non sembra si possa disconoscere.
Ciò in considerazione soprattutto del fatto che le affermazioni
(negative) contenute in motivazione escludono « in radice » ogni
possibilità per i ricorrenti di azionare comunque i diritti vantati e
non solo, quindi, al dichiarato fine di cui all'art. 700 c.p.c., ma anche ai fini sostanziali.
E poiché la portata precettiva di una pronuncia giurisdizionale va individuata tenendo conto non soltanto delle statuizioni for malmente contenute nel dispositivo, ma anche delle enunciazioni contenute nella motivazione, quando queste univocamente chiari scano il contenuto del decisum (confr. Cass. 4 novembre 1982, n.
5796, id., Rep. 1982, voce Sentenza civile, n. 56; 28 aprile 1981, n.
2591, id., Rep. 1981, voce cit., n. 84; 8 ottobre 1981, n. 5288, ibid , n. 85; 10 novembre 1981, n. 5943, ibid., n. 86; 12 dicembre 1980, n. 6409, id., Rep. 1980, voce cit., n. 53) deve convenirsi che il
provvedimento di cui sopra ha sostanzialmente natura decisoria, tale da incidere sui diritti soggettivi delle parti, ha cioè natura
sostanziale di sentenza, per il fatto stesso che esclude inequivoca bilmente la sussistenza dei diritti azionati o da azionare.
Ma, ai fini della impugnabilità di un provvedimento giurisdi zionale con il ricorso per cassazione, a norma dell'art. Ill Cost., è necessario che esso presenti oltre al requisito della decisorietà, anche quello della definitività, il quale va inteso nel senso che
contro il provvedimento medesimo non deve essere previsto dal
l'ordinamento alcun altro mezzo di impugnazione.
I ricorrenti, pur sostenendo che il provvedimento impugnato ha natura sostanziale di sentenza, ne escludono l'appellabilità perché mancherebbe nella specie il presupposto del procedimento di
primo grado, con le relative garanzie del procedimento ordinario di cognizione e perché l'impugnabilità mediante appello riguarde rebbe solo le sentenze pronunciate in primo grado, a norma dell'art. 339 c.p.c.
Il Foro Italiano — 1985.
Tale tesi non può essere condivisa da questa corte: invero, una
volta che si riconosce al provvedimento natura sostanziale di
sentenza, tutti i vizi del procedimento che lo hanno preceduto costituiscono eventualmente motivi di nullità che si risolvono
normalmente in motivi di gravame. Pertanto, dal fatto che il
giudice di merito, competente sia per la fase interdittale che per il giudizio di merito, unificando sostanzialmente le due procedure, abbia emesso un provvedimento che per il suo carattere decisorio
ha natura di sentenza, non può farsi discendere la non appellabi lità di tale sentenza che, per tale suo carattere e per il fatto che
indubbiamente proviene da un giudice di primo grado, finisce per essere, per ciò solo, soggetta all'ordinario mezzo di impugnazione
dell'appello, nel quale appunto possono essere dedotti tutti i vizi da cui eventualmente il provvedimento sia affetto.
È stato, infatti, ritenuto che ove una situazione di unificazione della fase cautelare con quella di merito si riscontri, nel senso
che il giudice adito competente per entrambe (com'è il caso della sezione specializzata agraria del tribunale), emani, in luogo del
chiesto provvedimento d'urgenza, un vero e proprio provvedimen to definitivo del merito, questo non può essere che una sentenza, con la conseguenza che la sua impugnabilità non è quella di cui. all'art. Ill Cost., ma quella (normale) dell'appello (cfr. Cass., sez. un., 5 maggio 1981, ti. 2774, id., 1981, I, 1252; 16 luglio 1983, n. 4905, id., Rep. 1983, voce Provvedimenti d'urgenza, n. 112; sez. un. 2 novembre 1979, n. 5689, id., Rep. 1979, voce cit., n. 28).
A tale orientamento giurisprudenziale questa corte intende
aderire, in considerazione della prevalenza che il carattere sostan zialmente decisorio del provvedimento deve avere sulla sua for
ma, con la conseguenza che il ricorso ex art. Ill Cost, avverso il
provvedimento del tribunale va dichiarato inammissibile. E tale va dichiarato anche il ricorso avverso l'ordinanza della sezione
specializzata della corte d'appello che, essendo strettamente rima sta nei limiti della procedura di urgenza, non è certamente ricorribile.
D'altra parte la riconosciuta appellabilità del provvedimento del
giudice di primo grado esclude di per sé la sua recalmabilità (ciò
indipendentemente da quanto sopra si è detto in via generale). (Omissis)
III
Fatto. — L'Automobile club italiano e l'Automobile club pro vinciale di Grosseto chiedono al g.i. la revoca del provvedimento 23 luglio 1982 del Pretore di Grosseto, il quale, a seguito di ricorso avanzato, ex art. 700 c.p.c. dall'Unione nazionale autoscuo le e studi di consulenza automobilistica (UNASCA), ha ordinato all'Automobile club di Grosseto « di astenersi dall'inviare agli automobilisti, interessati alla revisione (di autoveicoli) ulteriori cartoline pubblicitarie ».
L'A.c.i. rilevato, preliminarmente, che, nei poteri del g.i. della causa per il merito, rientra sicuramente quello di modificare o di revocare il provvedimento di urgenza (valutazione fatta in rela zione ai combinato disposto degli art. 700-701 e 177 c.p.c. ed
in riferimento ad una sentenza recente delle sezioni unite della Cassazione (5 maggio 1981, n. 2774, Foro it., 1981, I, 1252), cui, in
sede di applicazione, ha fatto seguito la pronuncia del g.i. del Tribunale di Roma, della causa Cons, ministri - Coop. Il Manife sto - Ente nazionale cellulosa, in data 1° aprile 1983, id., 1983, I, 1098, la cui ordinanza è stata prodotta in fotocopia agli atti del
guidizio), sostiene che i'I pretore, nell'emettere la contestata ordi
nanza, « ha erroneamente valutato i fatti allegati ... a sostegno del ricorso », affermando, altrettanto erroneamente, che nella
specie « ricorrono i presupposti richiesti dell'art. 700 c.p.c. per l'emanazione dei provvedimenti di urgenza ». A tale richiesta si
oppongono le attrici, i cui difensori, con una esauriente disamina, contestano la domanda avversaria, deducendo: 1) che la assoluta
intangibilità, non impugnabilità, irrevocabilità e immodificabilità della ordinanza emessa dal pretore, ex art. 700 c.p.c., da parte del g.i. della causa del merito, è nella natura del provvedimento di urgenza; 2) che la possibilità di revocare o modificare tale
provvedimento di urgenza sussisterebbe, a tutto voler concedere, « soltanto in presenza di circostanze sopravvenute » o « per so
pravvenuto mutamento delle circostanze », di guisa che non sarebbe consentito al g.i. della causa di merito « la rivalutazione
degli stessi profili di diritto delle medesime circostanze di fatto, che hanno già formato oggetto di esame da parte del giudice della urgenza, nell'esercizio di una potestà giurisdizionale assolu tamente impensabile ».
Diritto. — Preliminare è l'esame sulle deduzioni sub 1). Le questioni che le parti sottopongono al g.i. sono certamente
complesse ed hanno formato oggetto di varie discussioni (specie
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
in dottrina) con orientamenti diversi e contrastanti: all'uopo è
sufficiente richiamarsi a quanto evidenziato e citato dalle parti nelle richiamate « note autorizzate ». Una cosa, però, è certa: se nel nostro ordinamento non fosse consentito al g.i. della causa di merito di riesaminare l'ordinanza con cui il pretore, ex art. 700
c.p.c., ha emanato il provvedimento di urgenza, si configurerebbe la possibilità di esistenza e di produttività di effetti ad un prov vedimento praticamente intangibile, contro o nei confronti del
quale non sarebbe possibile alcun rimedio. E se, per ipotesi, il
pretore avesse pronunciato senza che fossero esistiti i presupposti che il legislatore chiaramente enuncia in subiecta materia il prov vedimento cosi emanato potrebbe tranquillamente continuare a
produrre i suoi effetti illegittimi fino alla sentenza definitiva.
Sarebbe, comunque e se non andiamo errati, l'unico provvedi mento giudiziario non suscettibile di modifica fino all'esaurimento
della causa del merito. Orbene, se tutto quanto detto fosse
possibile, non poche sarebbero le perplessità sul piano giuridico. Del resto le stesse argomentazioni con le quali le attrici difendo
no la intangibilità e immodificabilità del provvedimento di urgen za del pretore, prestano il fianco a non poche critiche, tutte sotto
il profilo del garantismo processuale cui il nostro codice di rito
si A uniformato.
Dire, infatti, che l'ordinanza emanata ex art. 700 c.p.c. non è
suscettibile di riesame, quando, invece, un riesame sarebbe possi bile se la stessa ordinanza fosse stata emessa dallo stesso gi. ex
art. 701 c.p.c., come, sotto tale ultimo aspetto, la stessa Cassazio
ne ha più volte ritenuto (si confronti, per tutte, la sentenza 4
gennaio 1966, n. 62, id., 1966, I, 1088: « le ordinanze di' urgenza «mesce dal gi., ai sensi dell'art. 701 c.p.c. al pari delle ordinanze
che ammettono mezzi istruttori, sono modificabili o revocabili dal
giudice che le ha pronunciate ») significherebbe porre su piani diversi due provvedimenti che, per natura, sono identici tra di
loro (ordinanze di urgenza) e che si differenziano solo in
relazione al giudice che li ha emanati (pretore o g.i.): il che si
tradurrebbe in una palese differenza di trattamento che, come
tale, coinvolgerebbe temi di natura costituzionale. Ed inoltre: se
in entrambi i casi la natura dei provvedimenti è identica (ripetesi:
ordinanza) non si possono applicare delle regole per un provve dimento e non applicarle per l'altro. Se di ordinanza si tratta
deve trovare applicazione, in entrambi i casi, l'art. 177 c.p.c., con
i limiti e/o le esclusioni di cui si numeri 1), 2), 3) e 4) del 3°
comma.
Ma l'art. 177 c.p.c., come sottolineano le attrici, fa testuale
riferimento al giudice « che ha emanato l'ordinanza », al quale è,
poi, riconosciuto il potere di modificarla o revocarla. La dizione
letterale della norma è effettivamente in questo senso; ma trattasi
di questione meramente formale, giacché lo spirito della stessa, come si evince dalla sua intestazione (« Effetto e revoca delle
ordinanze ») è nel senso che la caratteristica di tale tipo di
provvedimenti è, appunto, la modificabilità o la revocabilità e,
cioè, il « riesame ». Se, quindi, il provvedimento di urgenza del pretore è, come il provvedimento, un'ordinanza, quel prov vedimento deve soggiacere alle regole di modificabilità o re
vocabilità di cui alla richiamata norma, e questo sia perché è
da escludere che l'ordinanza emessa ex art. 700 c.p.c. sia privile
giata rispetto a quella emessa ex art. 701 c.p.c., sia perché sarebbe inammissibile che al cittadino nei confronti del quale è
stato emesso un provvedimento di urgenza da parte del pretore (e, quindi, ante causam) non venisse riconosciuto un diritto (che
poi è una garanzia) che, invece, è riconosciuto al cittadino nei
confronti del quale è stato emesso analogo provvedimento da
parte, però, del g.i.
Non si possono, ora, affidare le sorti di una vicenda procesuale a simili regole del caso o della fortuna. A dirimere, comunque,
qualsiasi questione è, per fortuna, intervenuta la sentenza a
sezioni unite della Cassazione del 5 maggio 1981, n. 2774 (id.,
1981, I, 1252), che per i motivi sopra spiegati non potrebbe mai
considerarsi, come erroneamente sostengono le attrici, un obiter
dictum.
Per quanto si riferisce all'oggetto del riesame del g.i. della
causa di merito, sulla ordinanza emanata ex art. 700 c.p.c., le
argomentazioni delle attrici, riportate in narrativa sub 2), si
superano agevolmente con la considerazione che se un riesame è
ammesso, questo deve essere della stessa portata e della stessa
natura del riesame previsto dal richiamato art. 177 c.p.c. E,
quindi, anche sotto tale aspetto va precisato che i limiti che, secondo la tesi che qui si contesta, dovrebbe, comunque, incon
trare il g.i., non sarebbero concepibili, giacché, in caso contrario, si profilerebbero le identiche situazioni di disparità di trattamento
in precedenza evidenziate.
Il Foro Italiano — 1985.
L'unico limite (che, però, riguarda tutte le ordinanze istruttorie) è quello che non venga pregiudicata la decisione della causa. Per
il resto si ricorda l'orientamento giurisprudenziale (ormai consoli
dato: v., da ultimo, Cass. 21 marzo 1977, n. 1096, id., Rep. 1977, voce Sentenza civile, n. Ili) secondo cui « il potere del giudice di
revocare o modificare le ordinanze può essere esercitato non solo
per circostanze sopravvenute, ma anche per la nuova valutazione
di circostanze preesistenti ». Ebbene i convenuti richiedono al g.i. un riesame sulla sussistenza dei presupposti di che all'art. 700
c.p.c. Va, peraltro, precisato che quanto sostenuto nelle « note
autorizzate » A.c.i. del 9 novembre 1983, 9 ss. non può essere
considerato dal g.i., in quanto sono ivi trattate questioni che
ineriscono al merito della causa, esame, questo, che è precluso all'istruttore.
Orbene il pretore ha motivato la ordinanza del 23 luglio 1982
soffermandosi in particolare sulla particolare posizione di privile
gio, nei confronti delle altre agenzie automobilistiche, dell'Auto
mobile club di Grosseto, che, senza particolari oneri, ha potuto e
può attingere dal P.R.A. i nominativi dei proprietari delle auto
da revisionare, e sul conseguenziale « sviamento » della clientela
dalle altre agenzie. Nessuna parola, invece, il pretore ha speso per dimostrare la sus
sistenza, dn concreto, di un grave nocumento imminente ed irrepara
bile, come tale da salvaguardare in attesa della decisione, nel
merito, della causa. Vi è, quindi, una omissione (chiaramente
involontaria) di motivazione, ammenoché non si volesse sostenere
che il nocumento in questione sarebbe insito nello stesso compor tamento dell'A.c.i. Grosseto. Il che, ovviamente, non è. E, quindi, il g.i. deve colmare questa lacuna dell'ordinanza del pretore, onde
confermarla se il nocumento di cui alla norma in concreto
sussista e revocarla in caso contrario. Va, a questo punto, evidenziato che le attrici, nelle note del 1° giugno 1983, iden
tificano (erroneamente) il nocumento di cui si parla, in concetti
tipici di altri istituti di cautela processuale: jumus boni iuris e
periculum in mora. Ma il concetto di « grave e irreparabile nocumento » coinvolge ben altri temi, che non sono stati trattati
dal pretore e neppure accennati dall'UNASCA.
Ritiene il g.i. che può anche ammettersi la sussistenza di un
grave danno per l'UNASCA a seguito della concorrenza dell'Au
tomobil club (se ed in quanto tale concorrenza dovesse essere
ritenuta « sleale »). E se grave risulterà il nocumento, i convenuti
ne risponderanno in proporzione della comprovata gravità. Ma certamente non siamo di fronte ad un nocumento imminen
te ed irreparabile (si tenga presente che l'art. 700 c.p.c. usa la
locazione « e »: « pregiudizio imminente e irreparabile ») dove
« pregiudizio » è « grave danno ».
Irreparabile è ciò che non è suscettibile di essere riparato; è
ciò che determina (se il danno lamentato dovesse derivare da
colpa altrui) una situazione non più risanabile. Nella pratica
quotidiana l'art. 700 si applica, ad esempio, nei casi di gravi lesioni ad edifici (con pericolo di crollo) ovvero a fatti in
relazione ai quali, se dovessero produrre efletti, non sarebbe, poi,
possibile il ripristino dello status quo antea. Ora, nel caso di
specie il danno dell'UNASCA è un danno patrimoniale, che sarà
adeguatamente « riparato » con un congruo risarcimento, qualora la domanda delle attrici dovesse essere accolta. Si tenga presente che l'UNASCA agisce contro l'Automobil club per ottenere pro
prio il risarcimento dei danni che sostiene di aver subito. Per di
più tale danno, una volta quantificato, potrà essere rivalutato e
questa è un'ulteriore conferma della riparabilità del nocumento
lamentato dell'UNASCA. Non si comprendono, quindi, le ragioni in base alle quali dovrebbe, in un regime di libertà, essere vietato
all'A.c.i. di Grosseto l'espletamento di una determinata attività
solo perché l'UNASCA la ritenga sleale e prima che, sulla
dedotta slealtà, si sia pronunciato definitivamente il tribunale.
Non sussistendo, conclusivamente, il presupposto del nocumen
to irreparabile, la ordinanza del pretore deve essere revocata.
Il giudizio procederà, quindi, per il merito e le parti compari ranno all'udienza di cui appresso.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 1° marzo
1985, n. 1768; Pres. Grimaldi, Est. Tondo, P. M. Amirante
(conci, conf.); I.n.pjs. (Avv. Romoli, Lironcurti) c. Soc.
Xilopan (Avv. Mereu, Massoni). Conferma Trib. Pavia 14
giugno 1979.
Previdenza sociale — Contributi — Sgravio — Lavoro « supple mentare » (Cod. civ., art. 2107, 2108; r.d.l. 15 marzo 1923 n.
692, limitazioni dell'orario di lavoro per gli operai e impiegati
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