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sezione lavoro; sentenza 1° marzo 1986, n. 1316; Pres. Antoci, Est. M. De Luca, P. M. Zema (concl....

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sezione lavoro; sentenza 1° marzo 1986, n. 1316; Pres. Antoci, Est. M. De Luca, P. M. Zema (concl. conf.); Monte dei Paschi di Siena (Avv. Dell'Olio, Casulli) c. Lisi ed altri (Avv. Nappi, Cerrai). Cassa Trib. Pisa 25 marzo 1982 e 20 luglio 1982 Source: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 1986), pp. 1875/1876-1877/1878 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23180741 . Accessed: 28/06/2014 08:14 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 92.63.97.126 on Sat, 28 Jun 2014 08:14:25 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione lavoro; sentenza 1° marzo 1986, n. 1316; Pres. Antoci, Est. M. De Luca, P. M. Zema(concl. conf.); Monte dei Paschi di Siena (Avv. Dell'Olio, Casulli) c. Lisi ed altri (Avv. Nappi,Cerrai). Cassa Trib. Pisa 25 marzo 1982 e 20 luglio 1982Source: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 1986), pp. 1875/1876-1877/1878Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23180741 .

Accessed: 28/06/2014 08:14

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1875 PARTE PRIMA 1876

che l'intera sospensiva, anche in relazione ai criteri di scelta, era

stata condotta con la ricerca del consenso sindacale, con l'adesio

ne alla rivendicazione di fondo che fossero evitati provvedimenti di espansione definitiva e con l'osservanza in ogni caso di quanto convenuto in sede collettiva.

La infondatezza dei motivi sinora esaminati rileva l'inconsisten

za del primo mezzo, col quale i ricorrenti, denunziando violazio

ne e falsa applicazione degli art. 112, 245, 437 c.p.c., 1343, 1344, 1345 c.c., 2, 21, 24 e 25 1. n. 675 del 1977 e dei principi generali in tema di c.i.g. ai sensi della 1. 20 marzo 1975 n. 164, nonché

omessa e insufficiente motivazione, deducono che, al di là delle

non contestate esigenze di ristrutturazione e riorganizzazione indu

striale presenti nel 1982, l'Alfa Romeo aveva fatto ricorso alla

c.i.g. per causa o motivo illecito ed in frode alla legge, utilizzan

do in concreto tale strumento per finalità diverse da quelle con

sentite.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 1° marzo

1986, n. 1316; Pres. Antoci, Est. M. De Luca, P. M. Zema

{conci, conf.); Monte dei Paschi di Siena (Avv. Dell'Olio,

Casulli) c. Lisi ed altri (Avv. Nappi, Cerrai). Cassa Trib.

Pisa 25 marzo 1982 e 20 luglio 1982.

Lavoro (rapporto) — Rapporto a tempo determinato — Messi

notificatori straordinari — Identità qualitativa rispetto a quella normale dell'impresa — Legittimità (L. 18 aprile 1962 n. 230,

disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato, art. 1; 1. 15 maggio 1963 n. 858, t.u. delle leggi sui servizi della

riscossione delle imposte dirette, art. 137; 1. 15 luglio 1966 n.

604, norme sui licenziamenti individuali, art. 3; d.p.r. 29

settembre 1973 n. 602, disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito, art. 25, 26; 1. 25 marzo 1983 n. 79, conversione in

legge, con modificazioni, del d.l. 29 gennaio 1983 n. 17,

contenente misure di contenimento del costo del lavoro e per

favorire l'occupazione, art. 8 bis).

Il rapporto di lavoro a termine intercorso fra l'ente esattore

ed i messi notificatori straordinari, assunti per provvedere alla notifica delle cartelle esattoriali nei termini di legge, deve

ritenersi legittimo qualora risulti acclarato il carattere di oc

casionalità o straordinarietà del servizio in relazione all'in

cremento assai rilevante della normale attività dell'impresa de

rivante da eventi, a loro volta, isolati, eccezionali e non ripe

tibili, cui non possa sopperirsi con il normale organico, anche

se trattasi di attività qualitativamente identica alla normale at

tività dell'impresa. (\)

Motivi della decisione. — (Omissis). 2. - Con il primo motivo,

denunciando violazione e falsa applicazione degli art. 1, lett. c) e

d), 1. 18 aprile 1962 n. 230, 25 e 26 d.p.r. 29 settembre 1973 n.

602, 137 t.u. 15 maggio 1963 n. 858, nonché omessa, insufficiente

e contraddittoria motivazione, in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5,

c.p.c., il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere ri

tenuto che — in quanto « rientra tra i compiti ordinari della

gestione esattoriale » — la notifica delle cartelle non possa essere

ricondotta ad alcuna delle ipotesi di legittima apposizione del ter

mine, previste, appunto, dalle lett. c) e d) dell'art. 1 1. 230/62, cit.

Quanto alla prima delle ipotesi menzionate, infatti, la sentenza

impugnata, ad avviso del ricorrente, omette di considerare; 1)

(1) La sentenza in epigrafe si allinea con l'orientamento dominante della Cassazione in materia, come viene dato atto nella motivazione:

negli esatti termini (assunzione a termine di messi notificatori straordi nari da parte del Monte dei Paschi di Siena), v. sent. 23 dicembre

1983, n. 7609, Foro it., Rep. 1984, voce Lavoro (rapporto), n. 779; in

generale, sul rapporto di lavoro a tempo determinato, v. Cass. 6 ottobre 1984, n. 5008, 4 ottobre 1984, n. 4926, e Pret. Teano 23

luglio 1984, id., 1984, I, 2735, con nota di richiami, cui adde Corte

cost., ord. 29 settembre 1983, n. 287, ibid., 620, con nota di richiami

(che ha dichiarato manifestamente inammissibile la questione di costi tuzionalità relativa all'assunzione a termine di personale per corsi di

insegnamento professionale di breve durata) e Cass., sez. un., 29 settembre 1983, n. 5740, id., 1983, 1, 2377, con nota di Mazzotta (che esclude il carattere di straordinarietà per l'incremento di vendite di un

negozio in periodo natalizio). Per il rapporto di lavoro a termine con la p.a. v., da ultimo, Corte

cofct. 3 marzo 1986, n. 40, in questo fascicolo, I, 1769, con nota di richiami.

Il Foro Italiano — 1986.

che la « presunta normalità qualitativa » dell'attività di notifica delle cartelle non è incompatibile con il suo « carattere straordi nario ed occasionale »; 2) che tale carattere è, nella specie, integrato dalla « capacità scompaginante della organizzazione a ziendale » di detta attività, cioè, in sostanza, dalla presenza di « punte di superlavoro non affrontabili con la normale struttura

organizzativa ».

Quanto alla seconda ipotesi, poi, osserva il ricorrente: 1) che la « specialità » dei messi notificatori è prevista dalla stessa legge (art. 137 t.u. 858/63 cit.) ; 2) che non sussiste la pretesa contrad dittorietà tra normalità e complementarità »; 3) che la « non continuità » di impiego nell'azienda, ignorata dalla sentenza

impugnata, è considerata, in dottrina, carattere riassuntivo degli altri caratteri contestualmente previsti dall'art. 1, lett. d), 1. n.

230/62. Con il secondo motivo, denunciando violazione e falsa applica

zione dell'art. 3 1. 15 luglio 1966 n. 604, nonché difetto di

motivazione, in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c., il ricorrente

censura, in subordine, la sentenza impugnata per avere escluso che la cessazione dell'incremento di attività, che aveva dato luogo alle assunzioni a termine in questione, possa, quantomeno, in

tegrare un giustificato motivo oggettivo di licenziamento. 3. - Il primo motivo del ricorso è fondato, nei limiti di seguito

precisati. Muovendo dalla premessa che la notifica delle cartelle « rientra

tra i compiti ordinari della gestione esattoriale », esercitata dal datore di lavoro, la sentenza impugnata esclude la configurabilità, nella specie, delle ipotesi di legittima apposizione del termine al contratto di lavoro, previste dall'art. 1 1. n. 230/62 alla lett. c (« quando l'assunzione abbia luogo per l'esecuzione di un'opera o di un servizio definiti e predeterminati nel tempo, aventi carattere straordinario od occasionale ») ed alla lett. d {« per le lavorazioni a fasi successive che richiedono maestranze diverse, per specializzazioni da quelle normalmente impiegate e limitata mente alle fasi complementari od integrative, per le quali non vi sia continuità d'impiego nell'ambito dell'azienda »).

Quanto alla prima ipotesi, questa corte, pur avendo talora accolto la soluzione opposta (v. le sentenze 11 giugno 1980, n.

3716, Foro it., 1981, I, 2272; 18 agosto 1978, n. 3898, id., Rep. 1979, voce Lavoro (rapporto), n. 562, e, di recente, la isolata sent. 25 febbraio 1984, n. 1348, id., Rep. 1984, voce cit., n. 776), si è andata prevalentemente orientando nel senso di escludere che la diversità qualitativa, rispetto alla « normale » attività dell'impren ditore, sia requisito indefettibile della « straordinarietà » ed « oc casionalità », che l'art. 1, lett. c, 1. n. 230/62 postula, alternati

vamente, per qualificare l'opera o il servizio, la cui esecuzione consente la stipulazione di contratti di lavoro a termine (v. per tutte le sentenze delle sezioni unite 29 settembre 1983, n. 5739, ibid., n. 784; 29 settembre 1983, n. 5740, id., 1983, 1, 2377; 29 set tembre 1983, n. 5741, id., Rep. 1983, voce cit., n. 841; le sen tenze 9 ottobre 1984, n. 5038, id., Rep. 1984, voce cit., n. 818; 4 ottobre 1984, n. 4926, id., 1984, I, 2735; 30 marzo 1984, n. 2139, id., Rep. 1984, voce cit., n. «43; 15 marzo 1984, n. 1770, ibid., n. 882; e, con specifico riferimento ai « messi notificatori straordinari », sent. 23 dicembre 1983, n. 7609, ibid., n. 779).

Ora nessun dato — testuale o logico — della legge in esame ne sorregge l'interpretazione restrittiva, che viene proposta dal

primo degli orientamenti giurisprudenziali menzionati e condivisa dalla sentenza impugnata.

Giuridicamente corretta appare, quindi, la tesi alternativa, ac colta dal secondo orientamento giurisprudenziale.

Tanto basta per ritenere fondata la prima censura, proposta con il motivo di ricorso in esame. Dovendo, però, enuncia re — in positivo — il principio di diritto, al quale il giudice di rinvio è tenuto ad uniformarsi nel riesame della presente contro versia (art. 384 c.p.c.), ritiene la corte di aderire all'insegnamento delle sezioni unite (vedine le sent. n. 5739, 5740, 5741/83, cit.), secondo cui « occasionale » o « straordinario » deve definirsi — a norma della disposizione in esame (art. 1, lett. c., 1. n. 230/62) — quell'opera o quel servizio, che, pur potendo consistere in attività qualitativamente identica alla « normale » attività del

l'impresa, ne determina, tuttavia, un incremento assai rilevante, che — dipendendo da eventi, a loro volta, occasionali o straor

dinari, cioè, « di carattere isolato e quindi eccezionali e di per sé non ripetibili negli stessi tempi e con le stesse modalità » — non

possa essere affrontato da una sia pur funzionale ed efficiente

organizzazione e programmazione aziendale, sebbene predisposta dall'imprenditore, tenendo conto delle caratteristiche proprie del settore merceologico, nel quale opera, e, segnatamente, delle fluttuazioni di mercato e degli incrementi di domanda relativi.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Nel ribadire tale orientamento, preme sottolineare che — ad

integrare la « occasionalità » o « straordinarietà » ai sensi delle

disposizioni in esame — non è sufficiente, in difetto degli altri

requisiti, la temporanea « necessità di intensificazione dell'attività

lavorativa, cui non sia possibile sopperire con il normale organi co » (c.d. punte stagionali).

Per tale ipotesi, infatti, la legittima apposizione del termine ai

contratti di lavoro è stata introdotta (anche) nel settore che ci

occupa, solo con la sopravvenuta disposizione innovativa dell'art. 8 bis 1. n. 79 di conversione del d.l. n. 17/83 — inapplicabile ratione temporis alla dedotta fattispecie — disposizione che non solo suppone la inesistenza nell'ordinamento di una precedente norma di contenuto identico, ma risponde, altresì, ad esigenze di flessibilità nell'uso della manodopera (evidenziata, tra l'altro, dall'accordo governo-parti sociali del 22 gennaio 1983, che la 1. n.

79/83 intende attuare), affatto diverse dalla rigorosa ispirazione garantistica della l. n. 230 del 1962.

Va, inoltre, aggiunto che, al fine del decidere, è, di per sé, irrilevante la eventuale previsione dell'assunzione a termine nella

disciplina collettiva applicabile, essendo questa tenuta ad osserva re l'esaminata disciplina legale inderogabile nella soggetta materia (sul punto, vedi Cass. 29 novembre 1983, n. 7173, id., Rep. 1984, voce cit., n. 780; 22 febbraio 1983, n. 1321, ibid., n. 788).

Esula, invece, dai compiti istituzionali di questa corte e rientra in quelli del giudice di rinvio lo stabilire se la notifica delle cartelle esattoriali abbia, in concreto, gli esaminati requisiti di « occasionalità » o « straordinarietà », che giustificano l'apposizio ne del termine ai dedotti contratti di lavoro (per la soluzione positiva della questione, in fattispecie identica a quella in esame, vedi Cass. n. 7609/83 cit.).

È invece infondata, ad avviso della corte, la censura che, con lo stesso mezzo, si muove alla sentenza impugnata per avere escluso, nella specie, la configurabilità della ipotesi di legittima apposizione del termine al contratto di lavoro, prevista dalla lett. d) dello stesso art. 1 1. n. 230 del 1962.

Invero, rientrando tra « i compiti ordinari della gestione esatto riale » esercitata dal datore di lavoro, la notifica delle cartelle, all'evidenza, non può configurare la ipotesi, prevista dalla dispo sizione ora in esame (art. 1, lett. d, 1. n. 230/62), di «fasi complementari o integrative, per le quali non vi sia continuità di impiego nell'ambito dell'azienda», di «lavorazioni..., che richie dono maestranze diverse, per specializzazione da quelle normal mente impiegate » (nello stesso senso Cass. n. 7609/83, cit.).

L'accoglimento del primo motivo di ricorso, sia pure nei limiti ora precisati, comporta l'assorbimento del secondo, in quanto subordinato, appunto, al rigetto del primo mezzo.

4. — Pertanto, mentre il secondo motivo va dichiarato assorbi to, la sentenza impugnata va cassata, negli stessi limiti dell'acco glimento del primo motivo, e la causa va rinviata ad altro giudice di appello, designato nel Tribunale di Firenze, che procederà al riesame della controversia, uniformandosi agli enun ciati principi. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 25 febbraio 1986, n. 1173; Pres. Franceschelli, Est. Cassata, P. M. Iannelli (conci, conf.); Soc. Giorni (Avv. Scognamiglio, Vin ciguerra) c. Marongiu e altri {Avv. D'Inzillo). Cassa Trib. Latina 8 luglio 1982.

Lavoro (rapporto) — Licenziamento — Diffusione di notizie che discreditano il datore di lavoro — Giusta causa — Sussistenza — Limiti — Errore del giudice di merito (Cost., art. 21; cod. civ., art. 1175, 1375, 2104, 2105, 2119).

È viziata la sentenza del giudice di merito che, al fine di valutare se costituisca giusta causa di licenziamento la diffusione (nel caso attraverso esposti alla procura della repubblica, all'autorità regionale e tramite interviste concesse alla stampa ed al tele giornale nonché mediante l'affissione nella bacheca aziendale di

copia degli esposti) di notizie che discreditano il datore di lavoro e l'attività da questi espletata, omette di considerare: a) se i comportamenti addebitati si traducano in obiettiva lesione della reputazione dell'impresa e dei suoi dirigenti; b) se le accuse (in ipotesi) infamanti siano state espresse per la realiz zazione di interessi giuridicamente rilevanti; c) se le modalità e l'ambito di diffusione delle notizie siano ragionevolmente ade guati alla protezione di tali interessi; d) se i fatti denunziati

Il Foro Italiano — 1986.

siano in parte o in tutto veri e come tali apprezzati dai

diffusori. (1)

Svolgimento del processo. — Essendo stati — previa contesta zione degli addebiti e successiva sospensione cautelare — licen ziati con lettera dell'I 1 marzo 1980 della società «Gestione

(1) Diritto di critica e contratto di lavoro.

1. - Ancora una volta il diritto di critica mette a rumore le cronache giudiziarie. Questa volta si tratta però di una tematica « interna » ad un rapporto (quello di lavoro) che ha delle antenne particolarmente sensibili a protezione, da una parte, della libera esplicazione dei diritti fondamentali nello specifico contesto ambientale e, dell'altra, dei valori dell'organizzazione produttiva.

Occorre subito dire che la problematica proposta dal « caso » risolto dalla Cassazione è di quelle che metterebbero a dura prova qualsiasi commentatore e per almeno due ottimi motivi.

In primo luogo la materia è di quelle che non si prestano a giudizi definitivi e prese di posizione assolute: scagli la prima pietra o la prima stilla d'inchiostro chi ritenga di poterlo fare impunemente (il lettore confronti, se vuole, le considerazioni in ordine ai rapporti fra libertà di stampa e tutela dell'onore, di R. iPardolesi, in nota a Cass. 18 ottobre 1984, n. 5259, Foro it., 1984, I, 2711).

Inoltre, se è lecito definirla cosi, si tratta di una tematica « intersti ziale » che sembra cioè collocarsi a cavallo fra tematiche diverse senza identificarsi integralmente con esse. In sostanza sembra che si possa identificare soltanto in negativo l'ambito con il quale « non » coincide la discussione proposta dal caso in questione; cosicché i possibili elementi valutativi devono essere ritagliati, come si vedrà, deducendoli da contesti diversi e riassemblandoli in modo da ricomporre un disegno unitario.

È anche per queste ragioni che la sentenza non merita le (non del tutto centrate) critiche, un po' sopra le righe, che le sono state rivolte sulla stampa quotidiana (v., ad es., le osservazioni di A. Dall'Ora sul Corriere della sera del 3 marzo 1986), che paiono forse dettate dall'onda di trascinamento delle valutazioni seguenti alla formulazione del « decalogo » del buon giornalista contenuta nella notissima Cass. 5259/84 (a commento della quale v. fin d'ora: Tenella-Sillani, Libertà di stampa e concorrenza sleale, in Giur. it., 1985, I, 1, 1100; G. Alpa e E. Roppo, in Nuova giur. civ., 1985, I, 215; Dogliotti, La Cassazione e i giornalisti: cronaca, critica e diritti della persona, nonché Ulisse, Note sui limiti della responsabilità civile del giornalista, in Giust. civ., 1985, I, 356, 364).

Semmai un rilievo che si può muovere alla decisione che si riporta consiste nell'aver ritenuto, un po' meccanicisticamente, integralmente estensibili al tema del diritto di critica nell'ambito del rapporto di la voro i giudizi e le valutazioni già formulate dalla giurisprudenza di legittimità nel diverso contesto della individuazione della difficile linea di discrimine fra libertà di stampa-diritto di critica e tutela dell'onore.

A dire il vero un minimo di assonanza rispetto a tali problematiche potrebbe derivare dalla identità del « veicolo » sul quale corrono le (presunte) diffamazioni. Si vuol dire cioè che, nel caso giunto all'atten zione del giudice di legittimità, una parte dell'effetto lesivo derivava dalla diffusione delle notizie, ritenute diffamanti il datore di lavoro, attraverso la stampa (intervista rilasciata ad un quotidiano) e la televisione: l'effetto diffusivo ed amplificante della lesione dell'immagi ne appariva quindi sostanzialmente analogo a quello provocato dalla corrosiva penna del giornalista.

Senonché fra il ravvisare assonanze ed il costruire su di esse un giudizio di equivalenza il passo non è poi cosi breve come potrebbe apparire.

Basta poco, infatti, per avvertire che le decisioni civili e penali che hanno ragionato e ragionano sul fenomeno della « diffamazione a mezzo stampa » si innervano su di una realtà sociale, prima che giuridica, profondamente diversa. I temi in discussione sono, in quel diverso contesto, la libertà di stampa (non quale semplice corollario del diritto di manifestazione del pensiero, ma assunta quale fonte di un « potere » autonomo), la libertà di informazione e diffusione delle notizie ed anche il rapporto fra diffusione dell'informazione ed acquisizione della stessa da parte del cronista (v. segnatamente per gli sviluppi di tale dibattito la sentenza della Cassazione, sez. un., 30 giugno 1984, Ansaloni, Foro it., 1984, II, 531, con nota di Fiandaca, Nuove tendenze repressive in tema di diffamazione a mezzo stampa?-, per un orientamento più liberal, nella giurisprudenza di merito, sempre penale, v. Trib. Roma 23 febbraio 1985, id., 1985, II, 563, con osservazioni di Rapisarda; Trib. Roma 25 febbraio 1984, ibid., 124; Pret. Firenze 2 maggio 1985, ibid., 399; più in generale sulla nozione di «diffama zione » v., di recente, Trib. Roma 14 aprile 1984, ibid., 124; nonché sul piano civilistico: Trib. Roma 15 novembre 1983, id., 1985, I, 281; Trib. Napoli 8 novembre 1984, Nuova giur. civ., 1985, I, 450, con commento di R. Pescara). Il tema che faceva e fa da sfondo alle strategie giudiziali nei confronti di tali fenomeni è, nella sostanza, anche e soprattutto quello dei rapporti fra poteri (istituzionalizzati e non). Cosicché la formulazione del decalogo del buon giornalista costituisce solo una momentanea e transitoria trincea di una più ampia guerra di posizione, attestata su vari fronti: il diritto del giornalista al segreto sulla fonte della notizia (tema sul quale è notoriamente aperto il fronte dell'intervento normativo v., ad es., le considerazioni di Neppi Modona, Il giornalista e i suoi segreti, ne La Repubblica del 12

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