sezione lavoro; sentenza 10 dicembre 1996, n. 11009; Pres. O. Fanelli, Est. Evangelista, P.M.Cinque (concl. conf.); Inps (Avv. Vario, Starnoni, Ausenda) c. Barzaghi (Avv. Zupo, Vitelli).Cassa Trib. Monza 7 marzo 1990Source: Il Foro Italiano, Vol. 120, No. 1 (GENNAIO 1997), pp. 79/80-93/94Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23191291 .
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PARTE PRIMA
ria che estenda la collazione alle erogazioni di cui all'art. 742
c.c. potrà subire la reazione della legge, nei modi e nelle forme
da questa prevista. Del resto, il principio, ribadito in modo
espresso con riguardo alla dispensa dalla collazione (art. 732, ultimo cpv., c.c.), deve ritenersi immanente ad ogni disposizio ne del testatore che concerna l'istituto in questione sotto il pro filo della sua idoneità ad incidere sulla misura dell'attribuzione
patrimoniale e quindi operante anche nei casi in cui la collazio
ne fosse da lui imposta per spese fatte precedentemente a favo
re dell'erede in adempimento di doveri morali e sociali, come
sono quelle erogate in occasione del matrimonio o secondo gli usi.
Si comprende quindi che la norma di cui all'art. 742 c.c., che dispensa dalla collazione le liberalità e le spese in esse previ
ste, non pone un principio inderogabile che non possa essere
superato dalla volontà del testatore, dovendosi a lui riconoscere
la facoltà di imporla anche in tali casi, alla stregua di uno stru
mento per incidere sulla misura dell'attribuzione patrimoniale a favore dell'erede, onde essa incontra soltanto il limite che
l'ordinamento, a tutela dei diritti dei congiunti più stretti, pone con gli art. 536 ss. c.c. alla libertà del de cuius di disporre dei
propri beni dopo la sua morte.
Si rijeva poi l'infondatezza della tesi con cui si prospetta che, essendo stata la risoluzione della disposizione testamentaria pre vista per i figli del de cuius, essa non opererebbe per il Poddi
ghe che ne è il nipote. Si deve infatti rilevare che egli è succedu
to per rappresentazione, onde è subentrato nel luogo o nel gra do della sua ascendente e quindi nella stessa posizione giuridica, essendo quindi titolare delle sue stesse posizioni giuridiche atti
ve e passive. In ordine poi alla censura con cui si contesta la sussistenza
stessa della donazione, essa è nuova e quindi inammissibile.
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 10 dicem
bre 1996, n. 11009; Pres. o. Fanelli, Est. Evangelista, P.M.
Cinque (conci, conf.); Inps (Avv. Vario, Starnoni, Ausen
da) c. Barzaghi (Avv. Zupo, Vitelli). Cassa Trib. Monza 7 marzo 1990.
Previdenza e assistenza sociale — Pensione — Integrazione al
minimo — Superamento dei limiti di reddito — Indebito — Ripetibilità — Estremi (Cod. civ., art. 2033; r.d. 28 agosto 1924 n. 1422, regolamento per l'esecuzione del r.d. 30 dicem
bre 1923 n. 3184 concernente provvedimenti per l'assicurazio
ne obbligatoria contro l'invalidità e la vecchiaia, art. 80: d.l.
12 settembre 1983 n. 463, misure urgenti in materia previden ziale e sanitaria e per il contenimento della spesa pubblica,
disposizioni per vari settori della pubblica amministrazione
e proroga di taluni termini, art. 6; 1. 11 novembre 1983 n.
638, conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 12 set
tembre 1983 n. 463; 1. 9 marzo 1989 n. 88, ristrutturazione
dell'Inps e dell'Inail, art. 52; 1. 30 dicembre 1991 n. 412, di
sposizioni in materia di finanza pubblica, art. 13).
Nel vigore dell'art. 80 r.d. 28 agosto 1924 n. 1422, in ipotesi di erogazione indebita dell'integrazione al minimo della pen sione per effetto del superamento dei limiti di reddito, i paga menti effettuati sono ripetibili ai sensi dell'art. 6 d.l. 12 set tembre 1983 n. 463, convertito in l. 11 novembre 1983 n.
638, solo se la rettifica dell'errore sia avvenuta entro l'anno
decorrente dal momento in cui l'Inps ha avuto disponibilità delle informazioni necessarie per l'accertamento del reddito
del pensionato. (1)
(1-2) Entrambe le decisioni fanno leva su Corte cost. 24 maggio 1996, n. 166, Foro it., 1996,1, 2292, con nota di V. Ferrari, che ha rigettato la questione di costituzionalità dell'art. 6 d.l. n. 463 del 1983, converti
li, Foro Italiano — 1997.
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 10 dicem
bre 1996, n. 11008; Pres. O. Fanelli, Est. Evangelista, P.M.
Cinque (conci, conf.); Inps (Avv. Vario, Ausenda, Starno
ni) c. Ceso. Cassa Trib. Biella 23 aprile 1990.
Previdenza e assistenza sociale — Pensione — Trattamenti ag
giuntivi collegati alle variazioni del costo della vita — Indebi
to — Ripetibilità — Estremi (Cod. civ., art. 2033; r.d. 28 agosto 1924 n. 1422, art. 80; 1. 21 dicembre 1978 n. 843,
disposizioni per la formazione del bilancio annuale e plurien nale dello Stato (legge finanziaria), art. 19; 1. 9 marzo 1989
n. 88, art. 52; 1. 30 dicembre 1991 n. 412 art. 13).
Nel vigore dell'art. 80 r.d. 28 agosto 1924 n. 1422, in ipotesi di erogazione indebita di trattamenti aggiuntivi collegati alle
variazioni del costo della vita, percepiti dal pensionato in vio
lazione dell'art. 19 l. 21 dicembre 1978 n. 843, è consentita
la ripetibilità dei pagamenti effettuati solo se la rettifica del
l'errore sia avvenuta entro l'anno decorrente dal momento
in cui le condizioni ostative dell'erogabilità di tali trattamenti
siano divenute note, o comunque erano conoscibili con un
comportamento diligente da parte dell'Inps, ovvero dal mo
mento dell'entrata in vigore della l. n. 843 del 1978 nel caso
di conoscenza o conoscibilità anteriore. (2)
III
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 6 novem
bre 1996, n. 9709; Pres. Lanni, Est. La Terza, P.M. Detto
ri (conci, diff.); Inps (Avv. Barbuto, De Angelis, Pescoso
lido) c. Manici (Avv. Magno, Silvagna). Cassa Trib. Parma
28 maggio 1993.
Previdenza e assistenza sociale — Pensione in «prò rata» estero — Integrazione al minimo — Indebito — Ripetibilità — Estre
mi (Cod. civ., art. 1176, 2033; r.d. 28 agosto 1924 n. 1422, art. 80; 1. 30 aprile 1969 n. 153, revisione dei trattamenti pen sionistici e norme in materia di sicurezza sociale, art. 8; 1.
9 marzo 1989 n. 88, art. 52; 1. 30 dicembre 1991 n. 412, art.
13).
Prima dell'entrata in vigore dell'art. 3, 14° comma, l. 8 agosto 1995 n. 335, che ha imposto l'obbligo del ricalcolo annuale
dell'integrazione al minimo della pensione provvisoria eroga ta dall'Inps in concorso con enti previdenziali esteri, l'eroga zione indebita dell'integrazione al minimo accertata successi
vamente alla comunicazione del pro rata estero non soggiace alla regola della irripetibilità, se non dal momento in cui si
verifichi una inerzia dell'istituto che lo ponga in errore colpe vole nella erogazione. (3)
to in 1. n. 638 del 1983, nella parte in cui consente all'Inps la ripetizione •
dell'indebito formatosi sull'integrazione al minimo della pensione, an che in deroga alla normativa vigente (art. 80 r.d. n. 1422 del 1924, art. 52 1. n. 88 del 1989, art. 13 1. n. 412 del 1991), ed ha dichiarato inammissibile la questione di costituzionalità dell'art. 2033 c.c., in quanto erroneamente ritenuto applicabile all'indebito previdenziale avente ad
oggetto la percezione di trattamenti aggiuntivi collegati alle variazioni del costo della vita.
La prima delle riportate decisioni, in motivazione, qualifica «di natu ra affatto distinta» la norma di cui all'art. 6, cit., sulla ripetizione del l'indebito pagamento dell'integrazione al minimo, sia rispetto alla di
sposizione generale di cui all'art. 2033 c.c., sia rispetto alle disposizioni che disciplinano l'indebito previdenziale (in tal senso uniformandosi a
Cass., sez. un., 22 febbraio 1995, n. 1965, id., Rep. 1995, voce Previ denza sociale, n. 583). Tuttavia ritiene comunque applicabile l'art. 80 r.d. n. 1422 del 1924, che era la disposizione in materia di indebito
previdenziale vigente al tempo della fattispecie. La seconda decisione, invece, non individua nella disposizione che
ha vietato la percezione cumulativa di trattamenti aggiuntivi collegati alle variazioni del costo della vita (art. 19 1. n. 843 del 1978) una norma che disciplini in alcun modo la ripetizione dell'indebito previdenziale, donde l'assoggettabilità della fattispecie alla normativa speciale.
(3) Nel senso che non è sussumibile nelle fattispecie legali di cui agli art. 2033 c.c., 80 r.d. n. 1422 del 1924 e 52 1. n. 88 del 1989, l'ipotesi di ripetibilità della integrazione al minimo liquidata dall'Inps con la totalizzazione di periodi lavorativi svolti all'estero non più dovuta a
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
I
Svolgimento del processo. — Con ricorso depositato il 4 no
vembre 1988, l'Inps proponeva appello al Tribunale di Monza
avverso la sentenza con la quale il locale pretore aveva dichiara
to non ripetibile la somma di lire 3.805.075, erogata da esso
appellante, fra il luglio 1984 ed il dicembre 1986, a Barzaghi
Angela, a titolo di integrazione al trattamento minimo della pen sione di vecchiaia fruita da quest'ultimo, e chiesta in restituzio
ne all'assicurata con lettera del 15 dicembre 1986.
L'adito tribunale ha rigettato il gravame osservando, in parti
colare, che: — la fattispecie è regolata dall'art. 52 1. n. 88 del 1989, an
corché la suddetta richiesta di ripetizione sia stata formulata
dall'Inps, anteriormente all'entrata in vigore della legge stessa,
sopravvenuta dopo la decisione di primo grado: — la citata norma deve interpretarsi nel senso che, salvo il
limite del dolo dell'assicurato, l'erronea erogazione all'assicura
to di somme non dovute non comporta, per l'istituto assicura
tore, il diritto alla relativa ripetizione, quale che sia la causa
dell'errore ed anche se questo risulti tale soltanto alla stregua di fatti o discipline successivi ai pagamenti, vale a dire soltanto
in senso oggettivo; — non sussiste dolo dell'assicurata, la quale ha ottenuto, per
il periodo in contestazione la suddetta integrazione, sulla base
di una dichiarazione presuntiva di reddito legittimamente pre sentata all'istituto.
Per la cassazione di questa sentenza ricorre l'Inps, sulla base
di un unico, complesso motivo, cui resiste l'assicurata con con
troricorso, illustrato da successiva memoria.
Motivi della decisione. — L'istituto ricorrente, denunciando
violazione e falsa applicazione dell'art. 52 1. 9 marzo 1989 n.
88, in una con vizi di motivazione, si duole che il tribunale
abbia considerato irripetibile anche quanto pagato indebitamente
per errore incolpevole. Precisa, al riguardo, di avere corrisposto
l'integrazione al trattamento minimo durante il periodo di cui
sopra esclusivamente sulla base di una dichiarazione reddituale
presunta presentata dall'interessata e di averla, poi, soppressa, allorché quest'ultima, in sede di dichiarazione reddituale effetti
va, aveva reso noto di usufruire di un reddito ostativo dell'inte
grazione stessa: sicché, pur dovendosi escludere che il compor tamento di quest'ultima integrasse gli estremi del dolo, doveva
nondimeno negarsi l'addebitabilità all'istituto dell'indebito pa
gamento delle somme in contestazione.
seguito di liquidazione di pensione estera, v. Cass., sez. un., 22 feb braio 1995, n. 1967, Foro it., Rep. 1995, voce Previdenza sociale, n.
1003, e Riv. giur. lav., 1995, II, 518, con nota di Sordi.
* * *
Le decisioni in epigrafe intervengono in fattispecie distinte in cui l'in
debito trova ragione d'essere nella fisiologica sfasatura temporale che il meccanismo di liquidazione della prestazione previdenziale comporta tra il momento del pagamento e quello dell'accertamento dell'esatto ammontare della prestazione dovuta.
La soluzione proposta, in tutti i tre casi, è di ritenere non configura bile un'ipotesi di indebito previdenziale assistito da irripetibilità (nelle articolate forme che, ratione temporis, prevedono gli art. 80 r.d. n. 1422 del 1924, 52 1. n. 88 del 1989 e 13 1. n. 412 del 1991) a condizione che l'Inps, conosciuta o dovendo conoscere la sussistenza dell'errore
nel pagamento, si sia attivato per rettificarlo. Potrebbe sembrare contraddittorio escludere, da una parte, l'applica
bilità della normativa speciale e, dall'altra, rapportare ai termini e alle
modalità previste da quella stessa normativa il comportamento dell'isti
tuto previdenziale per ricavarne se si debba applicare la regola generale della ripetibilità dell'indebito o quella speciale dell'irripetibilità in pre senza di determinate condizioni. Ma, a ben vedere, la questione si pone su un piano diverso ed attiene all'individuazione dell'esistenza dell'erro
re come presupposto dell'indebito.
La verifica del comportamento dell'ente previdenziale assume, dun
que, rilevanza per stabilire se vi sia o meno un errore da rettificare
e che non sia stato rettificato: solo in questa ipotesi può ritenersi confi
gurata una fattispecie di indebito previdenziale che fa scattare la disci
plina speciale (rispetto alla quale, è bene ricordare il concetto formula
to da Corte cost. n. 166 del 1996, cit., l'art. 2033 c.c. svolge la funzione
di norma di chiusura), mentre al di fuori di tale ipotesi si verte in tema
di indebito civilistico. [V. Ferrari]
Il Foro Italiano — 1997.
L'esposta censura, che si compendia nell'assunto di ripetibili tà di somme corrisposte a titolo di integrazione al trattamento
minimo, ma risultate, poi, non dovute per avvenuto supera mento dei limiti reddituali, accertato secondo il sistema predi
sposto dalla disciplina del trattamento stesso, è fondata nei li
miti di cui alle considerazioni che seguono, per ragioni giuridi che diverse da quelle esposte dal ricorrente e consistenti nella
necessità di desumere da tale specifica disciplina, e non dalla
più generale disposizione dell'art. 52 1. n. 88 del 1989, la regola dei pagamenti indebiti.
Né a tanto osta la mancanza di uno specifico esame da parte del tribunale e di una specifica deduzione da parte del ricorren
te in ordine alla questione attinente alla individuazione della
norma applicabile nella specie tra quelle succedutesi nel tempo,
poiché è devoluta al giudice, anche e tanto più in sede di legitti
mità, l'individuazione ed interpretazione della norma da appli
care, quando ancora il «bene della vita» costituente oggetto della
domanda — come, nel caso in esame, l'indebito chiesto in ripe tizione — non sia stato definitivamente attribuito, ma sia l'og
getto attuale della controversia (cfr. Cass., sez. un., n. 1315
del 1995, Foro it., 1995, I, 786). Occorre, dunque, in proposito osservare, così prestandosi ade
sione all'orientamento espresso dalle sezioni unite di questa cor
te con la sentenza n. 1965 del 1995 (id., Rep. 1995, voce Previ
denza sociale, n. 583), che la fattispecie in esame è sussumibile
nell'ipotesi di cui all'art. 6, 1°, 4° e 11° comma, d.l. 12 settem
bre 1983 n. 463, convertito nella 1. 11 novembre 1983 n. 638.
Invero, da tale norma è previsto che: a) l'erogazione dell'in
tegrazione al minimo è ammissibile soltanto in caso di non su
peramento di un dato limite di reddito (1° comma); b) per l'ac
certamento del reddito di cui al 1 ° comma gli interessati debbo
no presentare alle gestioni previdenziali di competenza la
dichiarazione di cui all'art. 24 1. 13 aprile 1977 n. 114 (4° com
ma); c) l'ente erogatore può procedere al recupero sul tratta
mento di pensione delle somme erogate in eccedenza, anche in
deroga ai limiti posti dalla normativa vigente (comma 11 quinquies).
Come per casi analoghi (v. ipotesi previste dall'art. 8 stesso
d.l. n. 463 del 1983 e dall'art. 8 1. n. 153 del 1969), bene può
parlarsi di fisiologica sfasatura temporale tra il momento in cui
deve avvenire l'erogazione della pensione e il momento in cui
può venir meno, oggettivamente, la condizione reddituale, co
me evento giustificativo degli effetti risolutori previsti dal citato
11 ° comma, e bene può rilevarsi che la norma attribuisce rilievo
retroattivo al fatto — della cui verificazione si è già prevista dall'ente erogatore la possibilità — che il pensionato abbia rice
vuto un reddito superiore al limite di legge, con conseguente
recupero, e, cioè, con ripetibilità delle somme risultate indebite, ache in deroga ai limiti previsti dalla normativa vigente.
Per la previsione espressa di tale deroga, di conseguenza, la
norma, speciale rispetto all'ipotesi generale di repetitio indebiti
di cui all'art. 2033 c.c., può qualificarsi anche di natura affatto
distinta, oltre che rispetto a tale disposizione, anche rispetto alle altre concorrenti ipotesi limitative dell'obbligazione restitu
toria di cui a tale ultimo articolo, e cioè alle ipotesi previste dagli art. 80 r.d. 28 agosto 1924 n. 1422, 52 1. 9 marzo 1989
n. 88 e 13 1. 30 dicembre 1991 n. 412.
Invero, la ripetibilità delle integrazioni non dovute per ragio ni di reddito è ammessa non perché si possa far questione di
errore commesso dall'istituto, come previsto dagli art. 80, 52
e 13 citati, ovvero dell'errore che, pur non espressamente previ sto dall'art. 2033 c.c., è però — secondo autorevole dottrina — da questo supposto, ma perché essa è prevista espressamente dal particolare sistema emergente dal citato art. 6, comma
11 quinquies, dal quale è esclusa la configurabilità di un errore
per effetto della rilevata fisiologia del sistema stesso che ha in
sè una sfasatura nel rapporto erogazione — accertamento del
reddito.
Così identificata la regula iuris pertinente al caso di specie,
deve, peraltro, ricordarsi che, in ordine alla medesima, sono
stati prospettati dubbi di illegittimità (v., fra le altre, l'ordinan
za di questa corte 24 maggio 1995, n. 367, id., Rep. 1995, voce
Pensione, n. 689), essendo apparsa non manifestamente infon
data, in riferimento agli art. 3 e 38, 1° comma, Cost., la que stione di legittimità costituzionale dell'art. 6, comma 11 quinquies d.l. 12 settembre 1983 n. 463, convertito con modificazioni nel
la 1. 11 novembre 1983 n. 638: ciò per la paventata sussistenza
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PARTE PRIMA
di una palese e non giustificata disparità di trattamento fra pen sionati cui si applica tale norma — la quale consente la ripetibi
lità, anche in deroga ai limiti posti dalla normativa vigente e
astraendo dalla buona fede dell'accipiens, delle somme versate
a titolo d'integrazione al minino e non dovute per mancanza
del requisito reddituale di cui al 1° comma dello stesso art. 6 — e pensionati percettori di un diverso indebito pensionistico, ai quali si applica l'art. 52 1. 9 marzo 1989 n. 88, nonché pen sionati ex dipendenti pubblici, ai quali si applica l'art. 206 d.p.r. 29 dicembre 1973 n. 1092 (quale «autenticamente interpretato» dall'art. 3 1. 7 agosto 1985 n. 428); e per l'evidente (in relazione
al secondo dei suindicati parametri costituzionali) incidenza di
detta ripetibilità su somme destinate al soddisfacimento dei bi
sogni fondamentali e delle esigenze di vita del pensionato e del
la sua famiglia. La Corte costituzionale, tuttavia, ha giudicato non fondati
questi dubbi, con la sentenza, interpretativa di rigetto n. 166
del 1996 (id1996, I, 2292). Ha, in particolare, posto in luce che «la fisiologica sfasatura
temporale nel rapporto erogazione - accertamento del reddito, nella quale risiede la ragione giustificativa della speciale disci
plina de qua, si consuma nel momento in cui sopravviene per
l'Inps la possibilità di verificare il superamento del limite reddi
tuale che condiziona il beneficio dell'integrazione: da questo mo
mento la protratta ignoranza delle condizioni di fatto o di dirit
to ostative alla erogazione si risolve essa pure, per l'istituto, in una falsa rappresentazione della realtà». Il che, se non can
cella «le diversità di fattispecie e di disciplina che impedisco no», ad avviso del giudice delle leggi, «il confronto fra l'art.
6, comma 11 quinquies, d.l. n. 463 del 1983 con l'art. 52 1.
n. 88 del 1989, ai fini dell'art. 3 Cost., disvela nondimeno nel
primo una lacuna di previsione relativamente ad un caso diffe
renziato da una connotazione che lo colloca fuori dalla ratio
della norma e quindi tale che l'applicazione di questa appare
incongrua: il caso in cui l'Inps continui a corrispondre l'inte
grazione, pur trovandosi in grado di accertare il superamento del limite di reddito».
Ne consegue che, assunta in tesi, per le già esposte ragioni,
l'impossibilità, ratione materiae, di sottrarre tale caso all'ambi
to oggettivo di applicabilità della ripetuta norma speciale per
assoggettarlo all'operatività dell'art. 80, 3° comma, r.d. n. 1422
del 1924 o, ratione temporis, dell'art. 52 1. n. 88 del 1989 (v. le già citate sentenze delle sezioni unite n. 1315 e n. 1965 del
1995), la suddetta lacuna impone all'interprete di ricercare un
diverso tipo di soluzione ermeneutica e ad «operare una ridu
zione teleologica (cioè funzionale alla ratio legis) della disposi zione speciale, introducendo una corrispondente eccezione, con
forme ad un principio direttivo del sistema dell'indebito previ
denziale, ricavabile dalle norme particolari che lo compongono».
Soggiunge ancora la Corte costituzionale con la sentenza n.
166 cit. che, in termini negativi, e perciò bisognosi di specifica zione in rapporto alle varie ipotesi, questo «principio di setto
re» è enucleabile nel senso che «diversamente dalla generale re
gola codicistica (art. 2033 c.c.) di incondizionata ripetibilità del
l'indebito, trova applicazione la diversa regola, propria di tale
sottosistema, che esclude la ripetizione in presenza di una situa zione di fatto avente come minimo comune denominatore la
non addebitabilità al percipiente della erogazione non dovuta». In particolare, con riguardo ad indebite erogazioni dell'inte
grazione al trattamento minimo, quelle necessarie specificazioni dell'enunciato «principio di settore» sono desumibili, secondo
la stessa Corte costituzionale, del coordinamento dell'art. 6, com
ma 11 quinquies, col precedente 4° comma, del d.l. n. 463 del
1983, sì da argomentarne, «secondo un criterio di logica pratica o di ragionevolezza, che la ripetibilità cessa là dove l'ente previ denziale abbia continuato il pagamento dell'integrazione al mi
nimo, pur avendo la disponibilità delle informazioni necessarie
per l'accertamento del reddito del pensionato o in seguito alla
tempestiva presentazione della dichiarazione sostitutiva del cer tificato fiscale» di cui al suddetto 4° comma, ovvero in seguito ad altri eventi di analogo effetto informativo, come, ad esem
pio, la comunicazione del datore di lavoro alle cui dipendenze il pensionato abbia trovato occupazione o il sopravvenire dell'e
rogazione di un ulteriore trattamento pensionistico a carico del lo stesso istituto.
Deve, infine, sottolinearsi il rilievo, ancora una volta mutua
to dalla citata sentenza n. 166 del 1996 della Corte costituziona
li. Foro Italiano — 1997.
le, secondo cui «il limite, così individuato, della ripetibilità san
cita» dall'art. 6, comma 11 quinquies, d.l. n. 463 del 1983 «non
può trovare applicazione immediata dal momento in cui si de
terminano per l'Inps le condizioni di verificabilità del reddito
dell'assicurato», in quanto, affinché «i dati disponibili siano
effettivamente acquisti dall'istituto ed immessi nei circuiti delle
verifiche contabili sono necessari tempi tecnici», da determinar
si in relazione alle particolarità del caso e che, in difetto di
elementi idonei a comportarne la fissazione in diversa misura,
possono equitativamente parametrarsi sulle previsioni dell'art.
13, 2° comma, 1. n. 412 del 1991, invocabili come criterio di
orientamento e valutazione, anche nei casi, come quello di spe
cie, di inapplicabilità diretta, ratione temporis, della norma, se
condo la quale «l'Inps procede annualmente alla verifica delle
situazioni reddituali dei pensionati incidenti sulla misura o sul
diritto alle prestazioni pensionistiche e provvede, entro l'anno
successivo, al recupero di quanto eventualmente pagato in ec
cedenza».
Ritenuto che solo l'esposta lettura dell'esaminato tessuto nor
mativo appare idonea a garantirne la compatibilità con i so
vraordinati precetti della Costituzione, indicati nella surriferita
ordinanza di rimessione, ad essa reputa la corte di doversi uni
formare, così da formulare il seguente principio di diritto:
«In tema di integrazione delle pensioni al trattamento mini
mo, ove le prestazioni per questo titolo eseguite risultino non
dovute, per effetto del superamento, da parte dell'assicurato, dei limiti di reddito che condizionano il diritto alle medesime, ma senza che l'indebito sia a quest'ultimo addebitabile, le rela
tive somme, esclusa l'applicabilità dell'art. 52 1. n. 88 del 1989, sono ripetibili dall'istituto assicuratore, ai sensi del combinato
disposto dei commi 11 quinquies e 4, dell'art. 6 d.l. n. 463
del 1983, solo quando, entro l'anno (così determinabile, in di
fetto di diretta applicabilita del disposto dell'art. 13, 2° com
ma, 1. n. 412 del 1992, desumendo da esso un parametro di
valutazione per la fissazione — in via di equitativa composizio ne dei contrapposti interessi e salva l'incidenza da riconoscere
alle peculiarità del caso — di un termine di uguale misura) dal
momento in cui ha avuto disponibilità delle informazioni neces
sarie per l'accertamento del reddito del pensionato, abbia prov veduto ad esercitare il relativo diritto; mentre, nell'opposta ipo
tesi, tale esercizio non ha effetto sui pagamenti eseguiti».
L'impugnata sentenza, avendo deciso la controversia in base
all'art. 52 1. n. 88 del 1989 ed essendo giunta alla conseguenza
dell'irripetibilità delle somme in contestazione, sul solo rilievo
dell'assenza di dolo dell'assicurato, senza avere riguardo alla
tempestività o non della rettifica dell'errore, deve essere cassata
alla stregua dell'esposto principio, con rinvio ad altro giudice
equiordinato che, in applicazione di questo, provvederà ai rela
tivi accertamenti di fatto, la cui necessità preclude la decisione
nel merito già in questa sede di legittimità, ai sensi dell'art.
384, 1° comma, c.p.c., nel testo novellato dall'art. 66 1. 26 no
vembre 1990 n. 353.
II
Svolgimento del processo. — Con ricorso notificato il 23 gen naio 1990, l'Inps proponeva appello avverso la sentenza del Pre
tore di Biella, con la quale era stata dichiarata l'irripetibilità della somma di lire 22.800.425, nei confronti di Ilde Ceso Bo
na, quale indebito verificatosi a seguito di erogazione alla pen sionata di somme imputabili al titolo delle quote fisse di contin
genza di cui all'art. 10 1. n. 160 del 1975, divenute indebite in forza del disposto dell'art. 19 1. n. 843 del 1978.
L'adito Tribunale di Biella, con sentenza depositata in can celleria il 23 aprile e notificata all'Inps il 26 aprile 1990, rigetta va il gravame, osservando che la fattispecie era soggetta al di
sposto dell'art. 52 1. n. 88 del 1989, da interpretarsi nel senso
della sua idoneità a precludere la ripetizione di somme versate dall'istituto previdenziale al pensionato, senza dolo del medesi
mo, a qualsiasi titolo, ivi comprese quelle costituenti persistente
erogazione di prestazioni soppresse da una sopravvenuta dispo sizione.
Per la cassazione di questa sentenza ricorre l'Inps, sulla base di un unico, articolato motivo. L'intimata, nonostante la ritua le e tempestiva notificazione del ricorso, non si è costituita.
Motivi della decisione. — L'istituto ricorrente, denunciando
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
violazione e falsa applicazione dell'art. 80 r.d. 28 agosto 1924
n. 1442 e dell'art. 52 1. 9 marzo 1989 n. 88, in una con vizi
di motivazione, rileva che erroneamente i giudici del merito hanno
ritenuto applicabile la disciplina speciale dell'indebito previden
ziale, in luogo dell'art. 2033 c.c., pur trattandosi di una fatti
specie non riconducibile al modello dell'errore sulla misura del
la pensione, in sede di assegnazione della medesima o di succes
siva riliquidazione, ma di ritardo nel dare esecuzione ad una
sopravvenuta norma di legge che sopprimeva il diritto alla pre stazione previdenziale.
Il ricorso è fondato nei sensi e nei limiti di cui alla seguente motivazione e va, quindi, accolto per quanto di ragione.
Le sezioni unite di questa corte, con la sentenza n. 1315 del
1995 (Foro it., 1995, I, 786), hanno persuasivamente dimostra
to, con riguardo al caso di pagamenti di quote di ratei di pen sione da considerare indebiti, ai sensi dell'art. 19 1. 1° dicembre
1978 n. 843 ed avvenuti, come nella specie, anteriormente alla
data di entrata in vigore della 1. n. 88 del 1989, che:
a) «in tema di prestazioni previdenziali indebite, l'applicabili tà delle eccezioni all'art. 2033 c.c., apportate dagli art. 80 r.d.
1422/24, 52 1. 88/89 e 13 1. n. 412 del 1991, prescinde da una
specifica deduzione, ad opera delle parti, della questione di di
ritto intertemporale, e deve quindi essere affermata anche d'uf
ficio, con riferimento alla data di esecuzione del pagamento delle
somme delle quali è in contestazione la restituzione, essendo
esclusa la retroattività delle indicate norme succedutesi nel tem
po, aventi per contenuto la discipina della fattispecie «indebi
to», come fatto costitutivo della sola obbligazione ex lege resti
tutoria, e dei limiti di quest'ultima, non anche di effetti duratu
ri della fattispecie medesima»;
b) ove, alla stregua di questo criterio, debba considerarsi ve
rificato l'indebito nel vigore dell'art. 80 r.d. 1422/24, il neces
sario riferimento a questa norma impone di rilevare, in confor
mità anche ad anteriore giurisprudenza delle stesse sezioni unite
(v. sent. 5 giugno 1989, n. 2701, id., 1990, I, 3239), che il 3° comma della relativa disposizione «è inapplicabile nel caso di
cui sopra, trattandosi di mero ritardo nell'accertamento di suc
cessive modificazioni normative, automaticamente operative nel
senso della estinzione del diritto originariamente esistente, e che,
di conseguenza, sono ripetibili — anche in mancanza di un for
male provvedimento dell'istituto comunicato all'interessato —, in applicazione dell'art. 2033 c.c. i pagamenti effettuati in vio
lazione dell'art. 19 cit., che, modificando la posizione dell'assi
stito, ha estinto il diritto alla quota aggiuntiva già spettante al pluripensionato (di diritto trattandosi e non di semplice mi
sura della prestazione previdenziale, posto che gli elementi inte
grativi della pensione sono nella specie oggetto di autonomo
diritto, dipendente da presupposti di fatto e di diritto propri e diversi rispetto a quelli richiesti per la sussistenza del generico diritto alla pensione)».
A questo orientamento — una volta considerato che, trattan
dosi di pagamenti indebiti avvenuti anteriormente all'entrata in
vigore della 1. n. 88 del 1989, ad essi non può trovare applica zione l'art. 52 della stessa legge — sostanzialmente corrisponde
l'avviso del ricorrente in ordine alla necessità di ritenere inap
plicabile anche il disposto dell'art. 80 r.d. 24 agosto 1924 n.
1422, non essendo tali pagamenti avvenuti in virtù di provvedi menti di liquidazione o riliquidazione del trattamento pensio nistico.
Deve, peraltro, rilevarsi che circa la riferita conclusione del
l'assoggettabilità al disposto dell'art. 2033 c.c. delle indebite ero
gazioni ricevute in buona fede dagli assicurati, dei trattamenti
pensionistici aggiuntivi di cui all'art. 19, 1° comma, dell'art.
19 1. n. 848 del 1978, sono stati sollevati, da parte di questa
stessa corte, dubbi di illegititmità costituzionale, in riferimento
agli art. 3 e 38, 1° comma, Cost., essendosi ritenuta sussistente
una ingiustificata disparità di trattamento dei pensionati percet
tori in buona fede di tali somme rispetto ai pensionati ex dipen
denti pubblici, cui si applica l'art. 206 d.p.r. 29 dicembre 1973 n. 1092 («autenticamente interpretato», con norma peraltro re
troattiva, dall'art. 3 1. 7 agosto 1985 n. 428), nonché rispetto
a indebito pensionistico soggetto, in presenza di «rettifiche di
errori materiali» (e in quanto percepito nel vigore della stessa
norma) alla disciplina dell'art. 80 r.d. 28 agosto 1924 n. 1422,
attesa altresì (in relazione al diritto sancito dal 1° comma del
l'art. 38 Cost.) la normale incidenza della ripetizione ai sensi
della suindicata norma codicistica su risorse destinate al soddi
Ii Foro Italiano — 1997.
sfacimento di bisogni primari del pensionato e della sua fami
glia (v. Cass., ord. 24 maggio 1995, n. 366, id., Rep. 1995, voce Pensione, n. 688).
La Corte costituzionale, con sentenza n. 166 del 1996 (id.,
1996, I, 2292), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione per errata individuazione della norma impugnabile.
Ha, in particolare, precisato che:
a) «l'art. 2033 c.c., per se stesso non è censurabile in riferi
mento ad alcun parametro costituzionale, essendo improntato al principio di giustizia che vieta l'arricchimento senza causa
a detrimento altrui»;
b) «nel diritto previdenziale questo principio è mitigato da
disposizioni ispirate a criteri di equità e di solidarietà, sicché l'art. 2033 si riduce alla funzione di norma di chiusura, operan te nei soli casi non soggetti a discipline speciali»;
c) di conseguenza, una volta che, come nel caso di specie, la norma previdenziale, che, escludendo un determinato indebi
to dal proprio ambito applicativo, per rimetterlo alla regola ci
vilistica, venga individuata dal giudice — in conformità alle sen
tenze n. 903 e n. 1315 del 1995 cit. delle sezioni unite della
Corte di cassazione — nell'art. 80, 3° comma, r.d. n. 1422 del
1924, su questa norma, non sull'art. 2033 c.c., devono cadere
i dubbi di legittimità formulabili in relazione ai suddetti para metri costituzionali.
La stessa Corte costituzionale, d'altra parte, ha, in precedenti
occasioni, conclusivamente dimostrato che è inammissibile, ri
guardando norma contenuta in atto privo di forza di legge (per ché di natura regolamentare) la questione di legittimità costitu
zionale dell'art. 80, 3° comma, r.d. n. 1422 del 1924, denuncia
to in riferimento agli art. 3 e 38, 2° comma, Cost., in quanto non esclude la ripetizione dell'indebito in tutti i casi in cui i
ratei di pensione non dovuti dall'Inps sono riscossi in buona
fede dai pensionati (v. Corte cost. 18 maggio 1989, n. 265, id.,
1990, I, 1767; 21 luglio 1988, n. 854, id., Rep. 1989, voce Pre
videnza sociale, n. 702).
Precluso, dunque, il sindacato del giudice delle leggi sulla le
gittimità della norma regolamentare di previsione della esclusio
ne della situazione in esame dall'ambito della speciale disciplina dell'indebito dalla norma medesima delineata, esso compete —
nella persistenza dei dubbi che avevano determinato le questioni di costituzionalità giudicate inammissibili, ora per la rilevata
aberratio ictus (Corte cost. n. 166 del 1996, cit.) ed allora per la natura della disposizione denunciata (Corte cost. n. 265 del
1989 e n. 854 del 1988, cit.) — al giudice ordinario, potendone
derivare, nell'ipotesi di riscontrata fondatezza dei medesimi, o
un'opzione ermeneutica idonea a depurare la norma dei profili di incostituzionalità ovvero una disapplicazione di questa, in
parte qua, per contrasto con precetti di sovraordinata efficacia
formale (ivi compresi quelli di rango costituzionale: arg. ex Cass.,
sez. un., 11 luglio 1994, n. 6535, sic). La prima di queste alternative sembra difficilmente praticabi
le, per le ragioni esposte dalla già riferita giurisprudenza delle
sezioni unite di questa corte, che il collegio condivide e fa pro
prie, nella parte concernente il rilievo della non riconducibilità
della perequazione automatica disciplinata dalle norme succe
dutesi in materia (art. 19 1. n. 153 del 1969, art. 10, 5° comma, 1. n. 160 del 1975) alle ipotesi contemplate dall'art. 80 cit., di
«assegnazione» (intesa come liquidazione o riliquidazione i della
pensione. La diversità delle due situazioni, tuttavia, se vale ad ai credi
tare la norma di previsione del già detto contenuto pre( ettivo
di asegnazione dell'indebito in materia di perequazione au toma
tica all'area residuale di operatività dell'art. 2033 c.c., non esclu
de, però, che esse possano presentare, ex parte accipientis, un
elemento comune, quale è quello dell'assenza di responsabilità nella determinazione del comportamento del solvens.
In effetti, la Corte costituzionale ha rilevato con la sentenza
n. 431 del 1993 (id., 1994, I, 332) ed espressamente ribadito con la successiva n. 166 del 1996, cit., che, nell'ambito dell'or
dinamento previdenziale, è individuabile un «principio di setto re», una direttiva propria dello specifico sottosistema, che ri
guarda il tema dell'indebito ed implica, sia pure «in termini
negativi, e perciò bisognosi di specificazione in rapporto alle
varie ipotesi» che, «diversamente dalla generale regola codicisti
ca di incondizionata ripetibilità dell'indebito, trova applicazio
ne la diversa regola, propria di tale sottosistema, che esclude
la ripetizione in presenza di una situazione di fatto avente come
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PARTE PRIMA
minimo comun denominatore la non addebitabilità al percipien te della erogazione non dovuta».
È agevole, allora, desumerne che la legittimità, alla stregua del principio costituzionale di eguaglianza, di disposizioni tali
da escludere l'applicabilità della riferita regola di settore, in fa
vore della disciplina generale codificata, è subordinata al riscontro
della carenza, nelle situazioni ricadenti nell'area di esclusione, del suddetto minimo denominatore, comune a quelle disciplina te da norme conformi alla regola stessa.
Giusto questo criterio, osserva la corte che una carenza sif
fatta non può certo ricollegarsi automaticamente alla sopravve nienza di disposizioni che sopprimano il diritto ad una delle
componenti di cui consta il complessivo trattamento pensioni stico fruito dall'assicurato fino ad un determinato momento, essendo essa un elemento di per sé indifferente rispetto all'even
tualità dell'addebitabilità o meno aWaccipiens dell'indebita ero
gazione.
Invero, in assenza di norme che impongano specifici oneri
di comunicazione all'ente previdenziale di situazioni divenute
incompatibili con la persistente fruizione di una determinata pre
stazione, il silenzio dell'assicurato che continui a fruire della
prestazione, nonostante la presumibile conoscenza della soprav venuta legge limitativa, non rappresenta il fatto causativo del
l'erogazione non dovuta, più o diversamente che nel caso in
cui identico atteggiamento sia dato riscontrare rispetto all'origi naria assegnazione o alla successiva riliquidazione della pensio ne in misura superiore a quella dovuta per legge.
D'altra parte, più volte questa corte ha avuto occasione di
precisare — ai fini dell'identificazione del dolo dell'assicurato
che, ai sensi dell'art. 80 r.d. n. 1422 del 1924, consente l'illimi
tata ripetibilità dell'indebito — come questa condizione psicolo
gica può concretizzarsi solo quando l'inerzia della parte si inse
risca in un complesso comportamento, adeguatamente preordi
nato, con malizia o astuzia, a realizzare l'inganno perseguito, si da non essere identificabile il difetto dei suddetti obblighi legali di comunicazione a carico dell'accipiens, col semplice si
lenzio, anche su situazioni di interesse del solvens, o con una
reticenza che non immuti la rappresentazione della realtà, ma
si limiti a non contrastare la percezione della realtà alla quale sia pervenuta la controparte (Cass. 29 luglio 1986, n. 4849, id.,
Rep. 1986, voce cit., n. 817; 4 luglio 1981, n. 4383, id., 1982,
I, 461). Orbene, né l'art. 19 1. n. 843 del 1978, che introduce il regi
me limitativo degli adeguamenti delle pensioni al costo della
vita, in relazione al quale si configurano gli indebiti qui in con
testazione, impone al pensionato alcun onere di comunicazione
all'ente previdenziale di situazioni in presenza delle quali divie
ne applicabile tale regime; né un onere siffatto può desumersi, con riguardo all'epoca della vigenza dell'art. 80 r.d. n. 1422
del 1924 (alla quale, come dianzi riferito, deve farsi riferimento in considerazione della data degli indebiti suddetti), dalla dispo sizione generale di cui alla seconda parte del 1° comma dell'art.
13 1. n. 412 del 1991 ove si stabilisce che la omessa od incom
pleta segnalazione, da parte del pensionato, di fatti incidenti
sul diritto o sulla misura della pensione goduta, che non sono
già noti all'ente, consente la ripetizione dell'indebito: infatti, la declaratoria di illegittimità costituzionale (Corte cost. 10 feb
braio 1993, n. 39, id., 1993, I, 1766) di quest'ultima norma
nella parte in cui prevedeva l'applicabilità della disciplina ivi
stabilita anche ai rapporti sorti anteriormente alla data della
sua entrata in vigore o, comunque, pendenti alla medesima da
ta, comporta l'ineluttabile conseguenza della sottrazione dei me
desimi alla innovativa regola dell'equiparazione, nei limiti espo sti, del silenzio al dolo.
Ciò premesso, è agevole rilevare che, nel discrimine posto dall'art. 80 fra situazioni assoggettate alla disciplina speciale ivi
dettata e la situazione dell'indebito ex art. 19 1. n. 843 del 1978, che lo stesso articolo affida, invece, al dominio della disciplina comune, non è ravvisabile altro fondamento, alla stregua del
sopra riferito «diritto vivente» formatosi in sede di interpreta zione di questa disposizione, che la sopravvenuta caducazione
del diritto alla prestazione, senza che a questa consegua di ne
cessità, ex parte accipientis, come si è dianzi osservato, una di
versa condizione subiettiva, la quale, sotto il profilo dell'adde
bitabilità dell'indebito, appaia idonea a giustificare nel primo caso e ad escludere nell'altro la mitigazione del principio gene
II Foro Italiano — 1997.
rale della ripetibilità di quanto indebitamente versato dall'ente
previdenziale. Nella parte in cui esclude dal proprio ambito di operatività
l'indebito ex art. 19 1. n. 843 del 1978, l'art. 80 r.d. n. 1422
del 1924 disvela, dunque, il proprio contrasto col principio co
stituzionale di eguaglianza, in quanto, senza ragionevole giusti
ficazione, assoggetta a diverso trattamento situazioni che pre sentano il minimo comune denominatore idoneo ad attrarle nel
l'orbita della «direttiva di sistema», vale a dire della tendenziale
irripetibilità dell'indebito. Corollari ne sono, giuste le superiori osservazioni, la disap
plicazione di questa disposizione e la rimozione dell'ostacolo
da essa posto alla vis espansiva della detta direttiva, della quale vanno soltanto ricercate, in relazione alla particolare ipotesi con
siderata, le specificazioni che la rendano suscettibile di concreta
applicazione. Al riguardo è possibile rilevare che il sistema delineato dal
l'art. 80 cit., col prevedere la temporanea precarietà delle asse
gnazioni di pensione e, quindi, la libera ripetibilità delle somme
erroneamente versate, solo nel caso in cui il rilievo dell'errore
intervenga entro l'anno dall'avviso dell'assegnazione stessa, re
stando, invece, esclusa la retroattività delle rettifiche ultrannali, si impronta, da un lato, alla ratio di negare la ripetibilità di
quanto corrisposto dall'istituto assicuratore nonostante l'astrat
ta conoscibilità, da parte del medesimo, degli elementi di fatto
e di diritto rilevanti per una diversa determinazione della pre stazione dovuta; e, dall'altro lato, alla necessità di escludere
che siffatta conseguenza si produca illieo et immediate all'avve
rarsi della condizione suddetta e di consentire, con l'attribuzio
ne di un congruo spatium deliberandi, l'osservanza dei necessa
ri tempi tecnici perché i dati disponibili siano effettivamente
acquisiti dall'istituto ed immessi nei circuiti delle verifiche con
tabili. Orbene, un ragionevole coordinamento della ripetuta diretti
va generale con le specificazioni desumibili da questo sistema
rende la prima suscettibile di concreta operatività rispetto alla
fattispecie di trattamenti aggiuntivi collegati alle variazioni del
costo della vita, percepito dai titolari di pensioni in violazione
dell'art. 19 1. 21 dicembre 1978 n. 843, ma senza che ai medesi
mi sia addebitabile l'indebita erogazione.
Pertanto, dal momento in cui le condizioni ostative dell'ero
gabilità dei trattamenti suddetti siano note all'ente previdenzia
le, ovvero da esso conoscibili facendo uso della diligenza richie
stagli dalla sua qualità di soggetto erogatore della prestazione, deve ritenersi decorrente lo spatium deliberandi entro il quale la rettifica dell'errore può avvenire con effetto retroattivo, men
tre, una volta che da quel momento sia decorso l'anno, le ero
gazioni erroneamente eseguite si consolidano, rimanendo con
sentita soltanto la cessazione di ulteriori pagamenti imputabili ad identico titolo. Può, inoltre, osservarsi che la rettifica può ben avvenire con comportamento concludente, consistente cioè
nella pura e semplice cessazione della prestazione non più dovu
ta, trattandosi di dare esecuzione ad una specifica disposizione automaticamente (v. Cass. n. 1315 del 1995, cit.) soppressiva del relativo diritto e non recante alcuna previsione della necessi tà di provvedimenti formali dell'istituto assicuratore.
Ovviamente, poi, ove l'epoca della conoscenza effettiva o della
conoscibilità, nel senso sopra esposto, delle cause ostative della
persistente erogazione della prestazione fosse anteriore alla data
di entrata in vigore della 1. n. 843 del 1978 (come nel caso in
cui vi sia cumulo di pensioni erogate entrambe dal medesimo
ente), solo a questa data dovrà farsi riferimento per l'identifica
zione del dies a quo del termine attribuito all'istituto per l'eser
cizio del diritto di ripetizione nei sensi e con gli effetti surriferiti. In considerazione di tutto quanto precede, si perviene alla
formulazione del seguente principio di diritto:
«Nell'ipotesi di trattamenti aggiuntivi collegati alle variazioni
del costo della vita, percepiti da titolari di pensioni in violazio
ne dell'art. 19 1. 21 dicembre 1978 n. 843 e nel vigore dell'art. 80 r.d. 28 agosto 1924 n. 1422, le somme indebitamente versate
dall'istituto assicuratore sono interamente ripetibili, sebbene la relativa erogazione non possa addebitarsi all'assicurato, solo
quando la rettifica dell'errore sia avvenuta — anche soltanto
implicitamente e cioè con la soppressione della prestazione non dovuta — entro l'anno dal momento in cui le condizioni ostati ve dell'erogabilità dei trattamenti suddetti siano divenute note
all'istituto stesso, o da esso conoscibili facendo uso della dili
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
genza richiestagli dalla sua qualità di soggetto erogatore della
prestazione; ovvero dalla data di entrata in vigore della citata
1. n. 843 del 1978, nel caso di conoscenza effettiva o conoscibi
lità collocabile in epoca anteriore a tale data. Viceversa, la retti
fica successiva alla scadenza del detto termine annuale non ha
effetto sui pagamenti già effettuati».
L'impugnata sentenza, avendo deciso la controversia in base
all'art. 52 1. n. 88 del 1989 ed essendo giunta alla conseguenza
dell'irripetibilità delle somme in contestazione, sul solo rilievo
dell'assenza di dolo dell'assicurato, senza avere riguardo alla
tempestività o non della rettifica dell'errore, deve essere cassata
alla stregua dell'esposto principio, con rinvio ad altro giudice
equiordinato che, in applicazione di questo, provvederà ai rela
tivi accertamenti di fatto, la cui necessità preclude la decisione
nel merito già in questa sede di legittimità, ai sensi dell'art.
384, 1° comma, c.p.c., nel testo novellato dall'art. 66 1. 26 no
vembre 1990 n. 353. Allo stesso giudice di rinvio, che si designa nel Tribunale di Ivrea si rimette, ai sensi dell'art. 385, 3° com
ma, c.p.c.
Ili
Svolgimento del processo. — Manici Adele, titolare dal 1969
di pensione Inps di vecchiaia in regime internazionale, con ri
corso depositato il 28 febbraio 1992 chiedeva al Pretore del la
voro di Parma di dichiarare irripetibile la somma di lire 4.737.800
chiestale dall'Inps in restituzione il 7 gennaio 1991 perché corri
sposta indebitamente, per tardivo adeguamento della pensione italiana rispetto agli aggiornamenti intervenuti sulla pensione
estera; chiedeva anche la condanna dell'istituto alla restituzione
delle somme recuperate nel frattempo a tale titolo sugli importi di pensione e al ripristino della stessa.
Costituitosi l'Inps, che chiedeva il rigetto della domanda in
vocando il disposto dell'art. 8 1. 30 aprile 1969 n. 153, in quan to norma speciale non derogata dall'art. 52 1. 9 marzo 1988
n. 89 in tema di ripetizione dell'indebito, il pretore riteneva che
la somma fosse irripetibile ai sensi dell'art. 52 1. 88/89, dal mo
mento che, anche se inizialmente l'erogazione della pensione era
stata regolare, vi era stato poi l'errore dell'Inps che non aveva
tempestivamente richiesto informazioni all'ente previdenziale stra
niero sull'ammontare delle prestazioni erogate: infatti solo il
12 gennaio 1990 l'Inps aveva chiesto all'ente francese l'ammon
tare della pensione erogato dal 1983 al 1990, cagionando così
l'accumulo dell'indebito, che si riferiva al periodo 1° ottobre
1983-31 gennaio 1989.
Sull'appello dell'Inps, la sentenza veniva confermata dal Tri
bunale di Parma, con sentenza del 28 maggio 1993, che rigetta va la tesi dell'Inps secondo cui non vi sarebbe stato errore da
parte sua, perché l'indebito era stato causato da un mutamento
delle circostanze di fatto e di diritto non comunicato dall'assi
curata nonostante un suo preciso onere al riguardo; affermava
il tribunale, sulla scorta di quanto ritenuto dalla Corte costitu
zionale con la sentenza n. 383 del 1990 (Foro it., 1990, I, 3062) che la sanatoria di cui all'art. 52 1. 88/89 deve trovare sempre
applicazione purché l'errore dell'istituto «di qualsiasi natura»
non sia causato da dolo dell'interessato, senza che rilevi l'impu tabilità o meno dell'errore, perché, in caso contrario, si finireb
be per introdurre un ulteriore requisito non richiesto dalla nor
ma; nel caso in esame l'errore dell'istituto era stato causato
del mancato funzionamento del meccanismo di informazione
tra gli Stati Cee, previsto dall'art. 84 del regolamento comuni
tario 1408/71, che aveva determinato il protrarsi per molti anni
della erogazione dell'integrazione al minimo anche dopo il rico
noscimento della pensione estera; escludeva poi il tribunale che
fosse applicabile la disposizione dell'art. 13 1. 412/91 in quan
to, secondo la sentenza della Corte costituzionale 39/93 (id.,
1993, I, 1766), la stessa non è norma interpretativa dell'art.
52 1. 88/89, ma disposizione innovativa insuscettibile di applica zione retroattiva agli indebiti venuti in essere nella vigenza della
normativa precedente. Avverso detta sentenza propone ricorso l'Inps sulla base di
un unico complesso motivo. Resiste la Manici con controricor
so e note.
Motivi della decisione. — L'Inps deduce violazione e falsa
applicazione dell'art. 8 1. 153/69, dell'art. 52 1. 88/89 in rela
zione all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.: premesso infatti che l'assi
curata aveva ottenuto la pensione mediante totalizzazione dei
Il Foro Italiano — 1997.
contributi versati in Italia e in Francia, sarebbe applicabile alla
fattispecie non la normativa sulla sanatoria in caso di provvedi menti erronei dell'istituto successivamente rettificati o annulla
ti, che rimangono senza effetto sui pagamenti medio tempore
percepiti in buona fede, ma si verserebbe, ai sensi dell'art. 8
1. 153/69, nell'ipotesi di obbligo di anticipazione riassorbibile sulla base degli accadimenti successivi, di talché non avrebbe
senso dichiarare l'irripetibilità di somme che costituiscono mera
anticipazione del dovuto e che la legge stessa dichiara riassorbi
bili, cioè ripetibili, per la parte risultante come non dovuta al
l'esito della liquidazione dei pro rata esteri.
Il ricorso appare fondato. In primo luogo la ripetibilità delle
integrazioni erogate indebitamente a seguito di liquidazione di
pro rata estero trova fondamento nel dato normativo non solo
del citato art. 8 1. n. 153/69, ma anche dell'art. 11 1. n. 155
del 23 aprile 1981, il quale prevede che l'Inps possa effettuare
recuperi in deroga ai limniti di cui all'art. 69 1. 153/69 (e quindi oltre al limite di un quinto del loro ammontare) anche quando trattasi di somme corrisposte in più nelle operazioni di adegua mento periodico di pensioni in regime internazionale.
Le sezioni unite con sentenza n. 1967 del 1995 (id., Rep. 1995, voce Previdenza sociale, n. 1003) hanno ritenuto che, nel caso
di integrazione al minimo liquidata dall'Inps con la totalizza
zione di periodi lavorativi svolti all'estero, non più dovuta a
seguito di liquidazione di pensione estera, la ripetibilità discen
de non dalla normativa prevista in via generale per i casi di
errore da parte dell'istituto, ma dal particolare meccanismo li
quidatorio di cui all'art. 8 1. n. 153 del 1969, che è caratterizza
to da una liquidazione provvisoria che attiene alla concessione
dell'anticipazione sulla pensione e dal riassorbimento dell'inte
grazione al minimo in relazione ai pro rata che saranno corri
sposti da organismi assicuratori esteri; si tratta quindi, secondo
detta pronuncia, di una disciplina che contiene in sé, come fi
siologica, l'ipotesi, al momento di attribuzione dell'anticipazio
ne, che si debba addivenire ad una nuova determinazione in
sede di concessione della prestazione definitiva e quindi a con
guagli. Ed infatti l'Inps è obbligato, ai sensi dell'ultimo comma del
l'art. 8 1. 153/69, a corrispondere l'integrazione al minimo (quan do la pensione a calcolo sia al di sotto) ed è anche obbligato al recupero (questo il senso dell'espressione «è riassorbita» usa
to dalla legge) quando l'organismo estero erogherà il pro rata
di sua pertinenza. La peculiarità del meccanismo liquidatorio renderebbe quindi
inapplicabili le norme generali di cui all'art. 2033 c.c., all'art.
80 r.d. n. 1422 del 1924 e all'art. 52 1. 88/89, per insussistenza
dell'errore dell'Inps che tutte dette norme, sia pure con diversi
accenti, presuppongono. Ritiene tuttavia la sentenza impugnata (emessa invero prima
della pubblicazione di quella delle sezioni unite) che la fattispe cie particolare di cui all'art. 8 1. 153/69 sia ravvisabile nel mo
mento in cui l'integrazione comincia ad essere erogata, mentre
non sarebbe configurabile in seguito, ossia quando se ne conti
nua il pagamento anche in data successiva a quella in cui viene
concesso il pro rata o la pensione dallo Stato estero, perché in quest'ultimo caso sussiste un innegabile errore da parte del
l'Inps e tale errore, secondo il dictum della sentenza della Corte
costituzionale n. 383 del 1990, cit., giustificherebbe l'applica zione della disciplina generale di cui alle norme citate e quindi la irripetibilità dell'indebito creatosi.
La tesi del tribunale, che pur solleva profili problematici de
gni di interesse, dal momento che su una tematica affine la Corte
costituzionale si è di recente pronunciata, non appare meritevo
le di accoglimento. Ed infatti la Corte costituzionale con la sentenza n. 166 del
24 maggio 1996 (id., 1966, I, 2292), intervenendo appunto su
una materia che propone analoghe problematiche, ha confer
mato anzitutto l'esistenza di regimi speciali di ripetibilità diversi
da quelli sanciti in via generale dalle norme sopra ricordate e
l'irriducibilità del primo tipo di regime al secondo.
La sentenza della Corte costituzionale prende le mosse dalla
sentenza delle sezioni unite 1965/95 (id., Rep. 1995, voce cit.,
n. 583) sull'art. 6, comma 11 quinquies, 1. 11 novembre 1983
n. 638, norma che prevede il recupero delle somme erogate in
eccedenza senza limiti e condizioni nel caso di integrazione al
trattamento minimo corrisposta al titolare e risultante non do
vuta per superamento dei limiti di reddito indicati nel 1° com
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PARTE PRIMA
ma dello stesso art. 6. In detta sentenza le sezioni unite avevano
affermato la specialità della normativa, e quindi l'inapplicabili tà dei regimi generali in materia di indebito, ed avevano ricono
sciuto la ripetibilità delle erogazioni, ritenendo che in tal caso
l'indebito non si forma a causa di un errore dell'Inps, bensì
in forza della «fisiologica sfasatura temporale tra il momento
in cui deve avvenire l'erogazione della pensione e il momento
in cui può venir meno, oggettivamente, la condizione reddituale».
Davanti alla Corte costituzionale i remittenti (cfr. ordinanze
della Corte di cassazione del 7 aprile 1995) avevano osservato
che la fisiologica sfasatura temporale nel rapporto erogazione accertamento del reddito, in cui le sezioni unite 1965/95, cit., avevano riposto la ragione giustificativa della speciale discipli
na, si consuma nel momento in cui sopravviene per l'Inps la
possibilità di verificare il superamento del limite reddituale del
l'anno precedente: da questo momento la protratta ignoranza delle condizioni di fatto e di diritto ostative alla erogazione si
risolve essa pure per l'ente in una falsa rappresentazione della
realtà.
La Corte costituzionale ha risposto preliminarmente che «il
rilievo non vale certo a cancellare la diversità di fattispecie e
di disciplina che impediscono il confronto dell'art. 6, comma
11 quinquies, 1. 638/83 con l'art. 52 1. 88/89 ai fini dell'art.
3 Cost.».
La corte riconferma così l'esistenza e la coerenza costituzio
nale dei regimi speciali di ripetibilità, e quindi indirettamente
anche del regime speciale di cui è causa, così come ritenuto
dalla già citata sentenza delle sezioni unite 1967/95, cit.
Lo stesso giudice delle leggi individua poi, sempre con la cita
ta sentenza 166/96, una interpretazione costituzionalmente cor
retta (alla luce dell'art. 38 Cost, e funzionale alla ratio legis) della normativa di cui alla 1. 638/83 secondo la quale: «la ripe tibilità cessa là dove l'ente previdenziale abbia continuato il pa
gamento dell'integrazione al minimo pur avendo la disponibili tà delle informazioni necessarie per l'accertamento del reddito
del pensionato o in seguito alla tempestiva presentazione della
dichiarazione sostitutiva del certificato fiscale... ovvero perché entrambe le pensioni sono pagate dall'ente stesso, che perciò è in condizione di conoscere da sé se e quando l'importo della
prima sia aumentato oltre il limite di reddito ostativo dell'inte
grazione al minimo sulla seconda».
Prosegue la corte affermando che «il limite così individuato
della ripetibilità sancita dalla disposizione denunciata non può trovare applicazione immediata dal momento in cui si determi
nano per l'Inps le condizioni di verificabilità del reddito dell'as
sicurato. Perché i dati disponibili siano effettivamente acquisiti dall'istituto, e immessi nei circuiti delle verifiche contabili sono
necessari tempi tecnici che il giudice valuterà avuto riguardo eventualmente ai termini indicati dall'art. 13, 2° comma, 1.
412/91, non applicabile ratione temporis nei casi di specie, ma
utilizzabile come criterio di orientamento». Per una interpretazione costituzionalmente corretta della sia
pur diversa normativa del caso in esame, devono quindi essere
applicati i principi testé enunciati dalla Corte costituzionale, stante la ricorrenza di elementi analoghi nell'una e nell'altra materia. Ed infatti in entrambi i casi viene imposto all'Inps di integrare al minimo la pensione in sede di prima liquidazione e di revoca re poi l'integrazione, nell'un caso in ragione del superameto dei limiti di reddito, e nel caso che ne occupa in ragione della
liquidazione di trattamento estero.
Pertanto, nei casi in cui l'Inps persiste nel liquidare l'integra zione al minimo anche nel periodo successivo al pagamento del
pro rata o della pensione da parte dell'ente assicurativo estero, l'indebito così formatosi deve essere considerato «irripetibile» a partire dal momento in cui l'Inps viene a conoscenza di tale
erogazione (ovvero allo spirare di un congruo termine da tale
momento, che tenga conto dei tempi tecnici, necessari per im mettere il dato nei circuiti delle verifiche contabili) perché da
quel momento l'Inps ha l'obbligo di aggiornare la quota di pen sione di sua spettanza con il «riassorbimento» dell'integrazione al minimo, in tutto o in parte a seconda dell'ammontare che si ottiene cumulando trattamento italiano e trattamento estero.
Dalla stessa pronuncia della Corte costituzionale 166/96, cit., emerge allora il principio per cui la ripetibilità è consentita nel diverso caso in cui l'Inps continui ad erogare l'integrazione al minimo anche dopo la liquidazione della pensione estera, senza
però avere conoscenza dell'esistenza di quest'ultima.
Il Foro Italiano — 1997.
Il che ricorre nel caso in esame, essendo incontestato che l'i
stituto non ebbe a ricevere alcuna comunicazione dall'ente este
ro e che fu lo stesso Inps, nel gennaio 1990, a chiedere informa
zioni a quest'ultimo, venendo così a conoscenza che si era for
mato l'indebito per il periodo dal 1° ottobre 1983 al 31 gennaio 1989.
Stante però la diversità tra la normativa riguardante il caso
in cui l'integrazione al minimo venga erogata nonostante il su
peramento dei limiti di reddito, ai sensi dell'art. 6 1. 11 novem
bre 1983 n. 638 (fattispecie di cui si è occupata la Corte costitu
zionale con la sentenza 166/96) e la normativa riguardante il
caso in cui l'integrazione al minimo venga erogata nonostante
il godimento di pensione estera, si impone un esame ulteriore
per accertare se l'Inps, con i dati in suo possesso, sia in grado di sapere preventivamente, e quindi ancor prima e senza neces
sità della comunicazione da parte dell'ente previdenziale stra
niero, che la prestazione estera viene erogata: in questo secondo
caso, facendo applicazione dei principi sopra enunciati dalla Cor
te costituzionale 166/96, conseguirebbe la irripetibilità dell'in
debito, dal momento che, secondo quella pronuncia, la ripetibi lità cessa quando l'ente previdenziale abbia continuato il paga mento dell'integrazione al minimo pur avendo la disponibilità delle informazioni necessarie sulla esistenza della causa ostativa
alla erogazione. A tal fine appare necessario esaminare le distinte normative
applicabili caso per caso, regolanti la previdenza dei lavoratori
migranti, con i relativi meccanismi di coordinamento in caso
di liquidazione di più trattamenti ed i relativi rapporti che si
instaurano tra gli enti previdenziali degli Stati interessati. Dette
normative sono previste da accordi bilaterali per quanto riguar da gli Stati che sono fuori dell'Unione europea, mentre per gli Stati che ne fanno parte, come la Francia, la normativa si trova
nel regolamento Cee n. 1408 del 14 giugno 1971 e successive
modifiche, nonché nel regolamento di esecuzione n. 574 del 21
marzo 1972.
Ai sensi del regolamento 1408/71 il diritto alla pensione di
vecchiaia per coloro che hanno lavorato in due o più Stati membri
è accertato da ciascuna delle istituzioni competenti dei singoli Stati «in base alla propria legislazione nazionale».
Considerato peraltro che le legislazioni dei diversi Stati preve dono limiti di età e criteri diversi per la concessione della pen
sione, può accadere che il diritto ad ottenere tale prestazione
potrà sorgere in uno Stato prima che in un altro.
Ogni istituzione nel liquidare la pensione in base alla propria
legislazione nazionale applica tre criteri fondamentali: a) il di
ritto a pensione viene accertato sommando tutti i periodi di la
voro svolti dall'interessato nei vari paesi (principio del cumulo
di periodi lavorativi e dei contributi); b) si provvede quindi a determinare l'ammontare teorico della prestazione (c.d. pensio ne virtuale) alla quale l'interessato avrebbe diritto se tutti i pe riodi di assicurazione fossero stati compiuti esclusivamente sot to la propria legislazione; c) gli enti assicuratori procedono poi a ridurre la pensione così determinata in «proporzione» al pe riodo di assicurazione compiuto sotto la legislazione propria ed il risultato di questa operazione costituisce l'ammontare della
pensione parziale, il c.d. pro rata, dovuto all'interessato dall'i
stituzione stessa.
Ne consegue che il lavoratore che ha lavorato in più Stati dell'Unione europea può aver diritto ad una molteplicità di trat
tamenti a carico di Stati diversi, ciascuno con diversa decorren za e misura: ad es. un pro rata a carico di uno Stato ed una
pensione autonoma a carico di altro Stato, ovvero due pro rata a carico ciascuno di due diversi Stati.
Per calcolare il pro rata di sua spettanza, l'Inps, come tutti
gli organismi assicurativi stranieri, viene a conoscenza, al mo mento della domanda di pensione, dei periodi di assicurazione o di residenza compiuti dal lavoratore sotto la legislazione degli Stati membri, ciò in quanto l'art. 42 del regolamento Cee n. 574 del 21 marzo 1972 e succ. mod. (di attuazione del regola mento 1408/71) prevede che il lavoratore compili apposito for mulario recante dette notizie.
Questi dati servono all'ente previdenziale che riceve la do manda per accertare se il richiedente ha diritto alla prestazione di vecchiaia sulla base del solo periodo di lavoro compiuto in
Italia, la c.d. pensione autonoma, ovvero se vi abbia diritto totalizzando i periodi di lavoro compiuti negli Stati membri del l'Unione europea.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Ma da questi dati l'Inps non può evincere la data in cui, ai sensi della legislazione dell'altro Stato, decorrerà la pensione di vecchiaia, in quanto l'età varia da legislazione a legislazione,
quindi non è in condizione di sapere quando lo Stato estero
erogherà la prestazione di sua spettanza.
Inoltre, l'Inps, anche conoscendo l'età in cui si matura la
pensione di vecchiaia nell'altro Stato, non è comunque in con
dizione di conoscere, dalla documentazione che l'assicurato pre senta al momento della domanda di pensione italiana, altre no
tizie essenziali ai fini della cessazione dell'integrazione al mini
mo: non può sapere ad esempio se il lavoratore ha chiesto
nell'altro Stato di soprassedere alla liquidazione della prestazio ne di vecchiaia, come ha facoltà di fare ex art. 44, 2° comma,
del regolamento 1408/71, e — quel che più conta — l'Inps non
è in condizione di calcolare l'ammontare della prestazione stra
niera, che è elemento invero fondamentale per le sue determina
zioni, dal momento che deve cessare di erogare l'integrazione al minimo solo se cumulando i due pro rata si superi il tratta
mento minimo; in caso contrario l'Inps dovrà comunque eroga re l'integrazione sia pure in misura inferiore, ma comunque tale
da garantire il trattamento minimo.
Stante l'insussistenza nei regolamenti citati di norme che fac
ciano carico agli enti previdenziali degli Stati membri di cono
scere la normativa previdenziale degli altri Stati, dal momento
che ciascun ente, come già rilevato, liquida la prestazione sulla
base esclusivamente della legislazione nazionale, deve escludersi
che l'Inps possa essere a conoscenza, nel momento in cui eroga la prestazione di sua spettanza, della data di decorrenza e della
misura della prestazione di vecchiaia che nel futuro l'istituzione
estera andrà ad erogare.
L'Inps pertanto non può sospendere l'erogazione dell'inte
grazione al minimo a seguito della liquidazione di una pensione estera se non dopo la ricezione di apposita comunicazione da
parte dell'istituzione estera sulla decorrenza e sulla misura di
quella prestazione. Né si può ritenere sussistente l'obbligo a carico dell'Inps di
richiedere periodicamente informazioni presso l'ente assicurati
vo estero, con la conseguenza che la mancata attivazione del
meccanismo informativo, costituendo violazione del dovere di
normale diligenza che il debitore deve usare nell'adempiere le
obbligazioni (art. 1176 c.c.), potrebbe volgersi a suo danno e
quindi determinare l'irripetibilità dell'indebito. Ed infatti non vi è alcuna norma, né nella legislazione comu
nitaria (che nel caso in esame deve essere applicata) né in quella nazionale applicabile ratione temporis, che imponga all'Inps di
reperire dette notizie dagli organismi assicuratori esteri entro
un termine determinato, o con una determinata periodicità.
Infatti, nel citato regolamento comunitario 1408/71 sui regi
mi di sicurezza sociale dei lavoratori che si spostano all'interno
della Unione europea si prevede genericamente all'art. 84, in
tema di cooperazione delle autorità competenti, che «le autorità
competenti degli Stati membri si comunicano tutte le informa
zioni concernenti: a) i provvedimenti presi per l'applicazione
del presente regolamento»; b) «le modifiche delle loro legisla
zioni che possono influire sull'applicazione del presente regola mento». Si tratta quindi di obbligo del tutto generico e svinco
lato da cadenze temporali. Vi è poi la circolare n. 105 del 19 dicembre 1975 della com
missione amministrativa della Comunità (detta commissione è
espressamente prevista dall'art. 80 del regolamento Cee 1408/71
con il compito di sviluppare la collaborazione tra gli Stati mem
bri in materia di sicurezza sociale) ricordata nella sentenza di
primo grado, la quale impone agli Stati membri di procedere
a comunicazioni quando siano versati i «complementi» ai sensi
dell'art. 50 del regolamento Cee 1408/71. In detta norma si
prevede che l'ammontare della pensione liquidata in uno Stato
con la totalizzazione di periodi assicurativi esteri non possa es
sere inferiore (se il beneficiario risiede in quello Stato) all'am
montare minimo fissato dalla legislazione nazionale e che, se
il pro rata spettante è inferiore al minimo, l'istituzione dello
Stato che eroga la prestazione deve versare un «complemento»,
in modo da raggiungere appunto l'ammontare minimo. Si trat
ta quindi dell'obbligo dell'integrazione al minimo sancito dalla
disciplina comunitaria, e ribadito dalla legislazione nazionale
dall'art. 8 1. 153/69 sopra citato.
La suddetta circolare prevede che l'istituzione che eroga il
complemento è tenuta a darne informazione alla istituzione del
II Foro Italiano — 1997.
lo Stato membro in cui il beneficiario avrà diritto a prestazione ai sensi dell'art. 46 del regolamento, ossia sulla base del princi
pio della totalizzazione dei periodi assicurativi; indi si prevede che l'istituzione che eroga le prestazioni di cui all'art. 46 del
regolamento, ossia la prestazione con il principio della totaliz
zazione, comunichi a sua volta alla istituzione, che versa il com
plemento, l'importo della prestazione di cui è debitrice; questa comunicazione deve essere fatta una volta l'anno nel mese di
gennaio. Dette comunicazioni sono quindi dettate proprio al fine di
evitare la formazione di indebiti, dal momento che lo Stato che
eroga il complemento, venendo a sapere tempestivamente della
liquidazione del trattamento estero, può immediatamente sospen dere l'integrazione al minimo non più dovuta.
L'Inps pertanto nei casi in cui eroga un pro rata con l'inte
grazione al minimo, deve comunicare alla istituzione dello Stato
estero (dove il pensionato ha lavorato e che quindi sarà verosi
milmente obbligata nel futuro ad erogare una prestazione di
vecchiaia) che sta liquidando un «complemento»; non sono pre visti a suo carico obblighi di accertamento periodico per il tem
po successivo, ma spetta invece all'altro Stato, al momento in
cui eroga la prestazione, di darne notizia all'Inps. Nel caso in esame è incontestato che la Francia non ebbe
a fare tale comunicazione.
Si può quindi concludere che nel contesto normativo vigente
all'epoca dei fatti per cui è causa nessuna norma né comunita
ria né nazionale imponeva all'Inps, in caso di liquidazione di
pensioni di vecchiaia con la totalizzazione di periodi assicurativi
stranieri, di richiedere informazioni agli enti assicurativi esteri
sulla esistenza e la misura della prestazione a loro carico.
Ed infatti un tale obbligo è stato introdotto dall'art. 3, 14°
comma, 1. 8 agosto 1995 n. 335, il quale dispone che il 3° com
ma dell'art. 8 1. 30 aprile 1969 n. 153 è sostituito dal seguente: «Ai fini dell'integrazione ai suddetti trattamenti minimi si tiene
conto dell'eventuale trattamento pensionistico corrisposto a ca
rico di organismi assicurativi di paesi legati all'Italia da accordi
0 convenzioni internazionali di sicurezza sociale; a decorrere dal
1° gennaio 1996 detta integrazione viene annualmente ricalcola
ta in funzione delle variazioni di importo dei predetti tratta
menti pensionistici esteri intervenute al 1° gennaio di ciascun
anno... Le modalità di accertamento degli importi pensionistici esteri ed il tasso di cambio da utilizzare per la conversione in
lire italiane di tali importi saranno stabiliti con il decreto del
ministro del lavoro e della previdenza sociale di concerto con
1 ministri degli affari esteri e del tesoro».
Pertanto, solo con detta norma è stato imposto l'obbligo del
ricalcolo annuale dell'integrazione in funzione dei mutamenti
del trattamento estero e si prevede l'emanazione di un regola mento per stabilire le modalità di accertamento dei trattamenti
pensionistici esteri: ciò comprova che in precedenza non era con
templato né un obbligo di ricalcolo periodico a seconda delle
variazioni dei trattamenti esteri né un obbligo di accertamento
periodico presso l'istituzione straniera.
Vi è infine da considerare che l'Inps, quando eroga la pensio
ne provvisoria con l'integrazione al minimo, deve espressamen te avvertire l'assicurato che si tratta di una «liquidazione prov
visoria», ed infatti l'art. 45, 4° comma, reg. Cee 574/72 (recan te norme di attuazione del regolamento Cee 1408/71) dispone che l'istituzione tenuta ad erogare prestazioni a titolo provviso rio «ne informa immediatamente il richiedente, richiamandone
esplicitamente l'attenzione sul carattere provvisorio del provve
dimento adottato a tal fine...».
Ne consegue che l'assicurato, a differenza di quanto avviene
in tutti gli altri casi di liquidazione di pensione, è a conoscenza
del carattere provvisorio dell'ammontare corrisposto e quindi
anche della possibilità che nel corso del tempo si determinino
differenze tra il dovuto e il percepito. Il ricorso va quindi accolto per quanto di ragione e la senten
za impugnata va cassata, con rinvio ad un giudice di pari gra
do, che si designa nel Tribunale di Piacenza, al quale si rimette
altresì la pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione.
Detto tribunale si atterrà ai principi enunciati e deciderà, alla
luce di questi, anche sulla domanda di ripristino della prestazio
ne, formulata dalla Manici nel ricorso introduttivo, che i giudi
ci di merito avevano accolto sulla base del principio di diritto
riconosciuto errato e sulla quale sono necessari accertamenti in
fatto, che non possono essere compiuti in questa sede.
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