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sezione lavoro; sentenza 10 febbraio 1998, n. 1366; Pres. Lanni, Est. Vigolo, P.M. Cinque (concl....

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Page 1: sezione lavoro; sentenza 10 febbraio 1998, n. 1366; Pres. Lanni, Est. Vigolo, P.M. Cinque (concl. conf.); Inps (Avv. Cantarini, Sarto) c. Pres. cons. ministri (Avv. dello Stato Vacirca),

sezione lavoro; sentenza 10 febbraio 1998, n. 1366; Pres. Lanni, Est. Vigolo, P.M. Cinque (concl.conf.); Inps (Avv. Cantarini, Sarto) c. Pres. cons. ministri (Avv. dello Stato Vacirca), Pacifico ealtri; Pacifico e altri (Avv. Ventura, Petronio) c. Inps. Conferma Trib. Parma 5 settembre 1994Source: Il Foro Italiano, Vol. 121, No. 5 (MAGGIO 1998), pp. 1469/1470-1481/1482Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23194445 .

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

I

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 10 feb

braio 1998, n. 1366; Pres. Lanni, Est. Vigolo, P.M. Cinque

(conci, conf.); Inps (Aw. Cantarini, Sarto) c. Pres. cons,

ministri (Avv. dello Stato Vacirca), Pacifico e altri; Pacifico

e altri (Avv. Ventura, Petronio) c. Inps. Conferma Trib.

Parma 5 settembre 1994.

Lavoro (rapporto di) — Dipendenti di imprese assoggettate a

procedure concorsuali — Danno per mancata attuazione di

direttiva Cee — Indennità — Interessi legali e rivalutazione

monetaria — Termine di decorrenza (Cod. proc. civ., art.

409, 429; d.leg. 27 gennaio 1992 n. 80, attuazione della diret

tiva Cee 80/987 in materia di tutela dei lavoratori subordinati

in caso di insolvenza del datore di lavoro, art. 2).

L'indennità per il danno derivante dalla mancata attuazione della

direttiva comunitaria 80/987/Cee, dovuta — ai sensi dell'art.

2, 7° comma, d.leg. n. 80 del 1992 — al dipendente di impre sa assoggettata a procedura concorsuale, essendo dotata di

natura indennitario-risarcitoria del pregiudizio subito dal la

voratore, è inerente al rapporto di lavoro e dà quindi luogo ad un «credito di valore» (ai sensi dell'art. 429, 3° comma,

c.p.c.) sottratto al principio nominalistico dell'art. 1224 c.c.;

pertanto, anche al fine di integrare il requisito della «adegua

tezza» dell'indennità, spettano al lavoratore gli interessi legali e la rivalutazione monetaria sulle somme dovute a tale titolo,

a partire dalla data della sentenza dichiarativa del fal limento. (1)

II

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 9 gennaio

1997, n. 133; Pres. Torieixo, Est. Picone, P.M. Martone

(conci, diff.); Inps (Avv. Sarto, Cantar ini, Mariello) c.

Campanelli (Avv. Pascucci). Conferma Trib. Orvieto 5 apri

te 1995.

Lavoro (rapporto di) — Dipendenti di imprese assoggettate a

procedure concorsuali — Danno per mancata attuazione di

direttiva Cee — Indennità — Interessi legali e rivalutazione

monetaria — Termine di decorrenza (Cod. proc. civ., art.

409, 429; d.leg. 27 gennaio 1992 n. 80, art. 2).

L'indennità per il danno derivante dalla mancata attuazione della

direttiva comunitaria n. 80/987/Cee, dovuta — ai sensi del

l'art. 2, 7° comma, d.leg. n. 80 del 1992 — al dipendente

di impresa assoggettata a procedura concorsuale, essendo do

tata di natura indennitario-risarcitoria del pregiudizio subito

dal lavoratore, è inerente al rapporto di lavoro e dà quindi

luogo ad un «credito di valore» (ai sensi dell'art. 429, 3 0 com

ma, c.p.c.) sottratto al principio nominalistico dell'art. 1224

c.c.; pertanto, anche al fine di integrare il requisito della «ade

guatezza» dell'indennità, spettano al lavoratore gli interessi

legali e la rivalutazione monetaria sulle somme dovute a tale

titolo, a partire dalla data in cui si è verificata la perdita

retributiva. (2)

(1-2) I. - Con le due sentenze in epigrafe, la Suprema corte affronta

uno dei problemi interpretativi più spinosi posti dall'applicazione del

d.leg. n. 80 del 1992. Quest'ultimo, attuando «tardivamente» la diretti

va comunitaria 80/987/Cee in materia di tutela dei lavoratori subordi

nati in caso di insolvenza del datore di lavoro (per una ricostruzione

dei rapporti fra disciplina interna e comunitaria, v. infra, par. IV),

ha introdotto un regime «bipolare» di garanzia, strutturato su un dupli

ce, distinto, livello: a) gli art. 1 e 2, 1° comma, istituiscono la disciplina

standard, valevole per il futuro, di tutela dei crediti di lavoro inerenti

gli ultimi tre mesi del rapporto di lavoro e maturati nei dodici mesi

precedenti la data di avvio del procedimento di esecuzione collettiva

0 individuale nei confronti del datore di lavoro, individuando nel fondo

di garanzia — istituito ai sensi della 1. n. 297 del 1982 (in materia di

trattamento di fine rapporto) — il soggetto gravato del relativo obbligo di pagamento; l'art. 2, 2° comma, detta modalità e limiti di operatività del sistema di garanzia; b) l'art. 2, 7° comma, stabilisce, invece, che

1 lavoratori dipendenti da datore di lavoro assoggettato alle procedure

di fallimento, concordato preventivo, liquidazione coatta amministrati

li. Foro Italiano — 1998.

I

Svolgimento del processo. — Con sentenza in data 15 ottobre

1993, il Pretore-giudice del lavoro di Parma condannava l'Inps a pagare ai sig. Angelo Pacifico, Nicola Onorato, Claudio Sal

zano, Mauro Adorni, Biagio Stuppello, Rosario Valente — ex

dipendenti della ditta Beta Serbatoi s.r.L, dichiarata fallita il

22 novembre 1983, verso la quale vantavano, tra l'altro, un

credito per le retribuzioni degli ultimi tre mesi — le somme

dai medesimi richieste, ma entro il limite massimo di lire

3.529.158 per ciascuno, a titolo di risarcimento del danno con

seguente alla mancata attuazione, da parte dello Stato italiano, della direttiva Cee n. 80/987 del consiglio in data 20 ottobre

va ovvero a procedura di amministrazione straordinaria, che hanno su bito un danno a causa della tardiva attuazione della direttiva comunita ria 80/987/Cee, possono agire in giudizio, entro un anno dall'entrata in vigore del decreto, per ottenere il pagamento di una indennità stabili ta nei termini, le misure e le modalità di cui ai commi 1°, 2° e 4° dell'art. 2 del decreto legislativo.

Tale secondo meccanismo, diretto a garantire i crediti pregressi, ma turati nel periodo compreso fra la scadenza del termine per l'adegua mento alla direttiva comunitaria e l'entrata in vigore del d.leg. n. 80 del 1992, sembra assicurare, in effetti, una sostanziale equivalenza fra l'indennità risarcitoria del danno derivante dal tardivo recepimento del la direttiva comunitaria e la garanzia retributiva c.d. «a regime». Tutta

via, l'art. 2, 7° comma, equiparando solamente in parte i due ambiti di disciplina (l'applicazione per relationem del disposto dell'art. 2 è, infatti, parziale), ha finito per ingenerare numerosi problemi di applica zione della normativa che regolamenta la proposizione dell'azione di danno e la definizione della relativa indennità risarcitoria, nonché diffi coltà di coordinamento con la prima parte della norma.

In particolare, l'art. 2, 7° comma, non richiama il 5° comma dello stesso articolo, a norma del quale sulla prestazione a carico del fondo di garanzia devono essere calcolati «interessi e rivalutazione monetaria a partire dalla data di presentazione della domanda». Da qui il proble ma giuridico posto all'attenzione dei giudici di legittimità nelle sentenze odierne: la somma corrisposta a titolo di indennità, ex art. 2, 7° com

ma, ha carattere forfetario, comprendendo ex ante interessi e rivaluta

zione, ovvero sono utilizzabili le modalità di computo previste dall'art.

2 d.leg. n. 80 del 1992, estendibile anche nella parte non espressamente richiamata dalla disciplina ad hoc sull'indennità per mancata trasposi zione nei termini della direttiva comunitaria?

II. - La Cassazione, in queste due sentenze, di tenore sostanzialmente

analogo, stabilisce che sulla somma corrisposta a titolo di indennità, ex art. 2, 7° comma, vanno senz'altro calcolati gli interessi legali e la rivalutazione monetaria.

A tale conclusione i giudici pervengono sulla base di un articolato

ragionamento, scindibile nei seguenti passaggi: 1) la Suprema corte prende le mosse da una sentenza della Corte di giustizia, in cui si afferma

che in caso di violazione manifesta e grave del diritto comunitario da

parte di uno Stato membro (è il caso della mancata trasposizione della

direttiva nell'ordinamento interno), da cui discende un pregiudizio per il cittadino, questi ha diritto ad un risarcimento del danno «adeguato» al pregiudizio subito; spetta all'ordinamento dello Stato membro stabi

lire i criteri per determinare l'entità del risarcimento medesimo, ma, in ogni caso, tali criteri non possono essere meno favorevoli di quelli che riguardano reclami analoghi nell'ambito del diritto interno né limi tare il danno risarcibile ai soli pregiudizi accertati, con esclusione del lucro cessante subito dai singoli (Corte giust. 5 marzo 1996, cause C-46/93 e 48/93, Brasserie du pècheur SA c. Repubblica federale di Germania; The Queen c. Secretary of State for Transport, ex parte: Factortame

Limited e a., in Foro it., 1996, IV, 322, con nota di G. Catalano; sui principi che disciplinano la responsabità degli Stati membri per vio

lazione del diritto comunitario, v., inoltre, Corte giust. 19 novembre

1991, causa C-6/90 e 9/90, Francovich c. Repubblica italiana; Bonifaci e altri c. Repubblica italiana, id., 1992, IV, 145, con nota di A. Barone R. Pardolesi; 8 ottobre 1996, cause C-178/94, 188/94, 189/94, 190/94,

Dillenkofer e altri c. Repubblica federale di Germania, in Riv. it. dir.

pubbl. comunitario, 1997, 101, con nota di N. Pecchioli; 26 marzo

1996, causa C-392/93, The Queen c. H.M. Treasury, «ex parte»: Bri

tish Telecommunications pic., in Foro it., 1996, IV, 321); 2) successiva

mente, la corte si sofferma sulla natura giuridica dell'indennità ex art.

2, 7° comma, sottolineando come questa, se, da un lato, appare onto

logicamente differente rispetto alla prestazione dovuta dal fondo in so

stituzione del datore di lavoro insolvente, dall'altro, non può essere

ricondotta alla fattispecie di risarcimento del danno per fatto illecito

dello Stato (ex art. 2043 c.c.), bensì possiede un'autonoma natura di

indennità avente contenuto riparatorio della perdita retributiva inerente

al rapporto di lavoro e, come tale, sottoposta al regime degli art. 409, n. 1, e 429, 3° comma, c.p.c., dunque, oggetto di un «credito di valo

re», sottratto al regime nominalistico dell'art. 1224 c.c.; la computabili tà nella somma dovuta a titolo di interessi legali e rivalutazione mone

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1471 PARTE PRIMA 1472

1980, omissione perdurata sino all'emanazione del d.leg. 27 gen naio 1992 n. 80, e quindi oltre il termine del 23 ottobre 1983

fissato nella direttiva cit. Sulla somma capitale il pretore con

dannava l'Inps a corrispondere altresì interessi legali e rivaluta

zione a decorrere dal centoventesimo giorno successivo alla di

chiarazione di fallimento. Per contro, dichiarava non legittima to passivamente il governo della repubblica italiana, contro il

quale il ricorso era stato pure diretto.

Su appello principale dell'istituto di previdenza ed incidentale

dei lavoratori (e nella contumacia del governo), il Tribunale

sezione del lavoro di Parma, con sentenza in data 30 giugno-5 settembre 1994, in parziale riforma della sentenza del pretore

taria, soddisfa, ad avviso della corte, anche quelle esigenze di «adegua tezza» dell'indennizzo messe in rilievo dalla Corte di giustizia; 3) a tale

conclusione, conclude la corte, non può opporsi il rilievo secondo il

quale all'Inps (quale soggetto gestore del fondo di garanzia) non po trebbero essere addebitati oneri accessori, quali rivalutazione e interes

si, in mancanza di una specifica colpa dell'ente medesimo, nel ritardo del pagamento dell'indennità: infatti, anche alla luce di quanto statuito dalla giurisprudenza comunitaria, l'obbligo risarcitorio o indennitario non può essere condizionato all'esistenza di un comportamento colposo dell'organo tenuto ad adempiere.

Fin qui le due sentenze scorrono lungo binari, sostanzialmente, pa ralleli. Una non lieve divergenza si manifesta sulla questione del dies a quo, ovvero della data a partire dalla quale si determina l'ammontare

degli interessi e delle somme a titolo di rivalutazione monetaria. Mentre nella prima fattispecie la Cassazione, confermando la tesi del giudice di merito, fa decorrere interessi e rivalutazione dalla data della sentenza dichiarativa di fallimento (in quanto è solo in quel momento che si

produce la lesione patrimoniale in capo al lavoratore addebitabile al fondo di garanzia), nella seconda, il decorso del termine è anticipato al momento del «verificarsi della perdita retributiva», con conseguente imposizione di un trattamento più favorevole per il lavoratore.

III. - Il principio di diritto era già stato enunciato in termini analoghi dalla corte in alcune recenti pronunce: cfr. Cass. 5 ottobre 1996, n.

8739, id., Rep. 1996, voce Lavoro (rapporto), n. 1128, e Riv. it. dir.

pubbl. comunitario, 1997, 1031; 27 settembre 1996, n. 8552, Foro it., Rep. 1996, voce cit., n. 1129 (in queste fattispecie, il momento del de corso di interessi e rivalutazione è collocato dalla corte nel periodo suc cessivo all'ammissione dei creditori allo stato passivo); 23 agosto 1996, n. 7770, ibid., n. 1643 (in cui il dies a quo è costituito dalla data del fallimento del datore di lavoro).

IV. - Nelle motivazioni delle presenti sentenze si avvertono gli echi di un ampio dibattito giurisprudenziale, nel corso del quale i giudici italiani hanno provveduto a chiarire molteplici profili problematici in dotti dall'applicazione del d.leg. n. 80 del 1992.

A tal riguardo, possono distinguersi quattro principali ambiti d'inter vento della giurisprudenza.

a) Azione di danno e legittimazione passiva. La giurisprudenza è co stantemente nel senso dell'imputazione della legittimazione passiva, in sede di azione diretta al conseguimento dell'indennità risarcitoria ex art.

2, 7° comma, in capo all'Inps, in quanto soggetto gestore del fondo di garanzia, al quale sono esplicitamente addebitati dal legislatore tutti

gli oneri finanziari derivanti dall'attuazione degli art. 1, 2 e 3 d.leg. n. 80 del 1992: il principio è stato enunciato, in primis, da Corte cost. 16 giugno 1993, n. 285, id., 1994, I, 392, con nota di L. Daniele e ribadito da Corte cost. 31 dicembre 1993, n. 512, ibid., 316; successiva mente, cfr. Cass. 13 giugno 1997, n. 5315, Mass., 515; 27 marzo 1996, n. 2750, id., Rep. 1996, voce cit., n. 1645; 8 marzo 1996, n. 1864, ibid., n. 1646; 8 marzo 1996, n. 1860, ibid., n. 1647; 15 gennaio 1996, n. 283, ibid., n. 1648; 19 gennaio 1996, n. 401, e 11 ottobre 1995, n. 10617, id., 1996, I, 503, con nota di E. Scoditti; 9 settembre 1995, n. 9547, id., Rep. 1996, voce cit., n. 1122; 19 luglio 1995, n. 7832, ibid., n. 1651; contra, isolatamente, Pret. Pistoia 20 ottobre 1992, id., Rep. 1994, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 73.

b) Natura della controversia e competenza giurisdizionale. Anche su

questo punto la giurisprudenza, dopo alcune iniziali oscillazioni, è paci ficamente nel senso dell'attribuzione della competenza al pretore del lavoro in quanto la domanda proposta ai sensi dell'art. 2, 7° comma, introduce una controversia di risarcimento del danno relativa ad un

rapporto di lavoro subordinato (ex art. 409, n. 1, c.p.c.): infatti, que st'ultimo costituisce il presupposto necessario della situazione di fatto in ordine alla quale è invocata la tutela giudiziale (ancorché la causa

petendi è costituita dalla mancata attuazione della direttiva comunita ria): in tal senso, cfr. Cass. 11 novembre 1994, n. 9475, id., 1995, I, 831, con nota di M. Monnini; 9 novembre 1994, n. 9339, id., Rep. 1995, voce cit., n. 55; 9 luglio 1994, n. 6482, ibid., n. 56; Pret. Verbania Domodossola 20 marzo 1995, id., Rep. 1996, voce cit., n. 54; Pret. Vicenza 14 febbraio 1995, ibid., voce Lavoro (rapporto), n. 1135; Pret. Camerino 13 maggio 1993, id., Rep. 1994, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 71; contra, isolatamente, Pret. Pisa-Pontedera 26 marzo 1993, id., Rep. 1993, voce cit., n. 68.

Il Foro Italiano — 1998.

(oltre a disporre una parziale compensazione delle spese di pri mo grado tra l'Inps e le lavoratrici) condannava l'istituto a pa

gare interessi legali e rivalutazione monetaria sulle somme capi tali riconosciute dal pretore con diversa decorrenza e cioè a far

tempo dalla sentenza dichiarativa di fallimento e compensava interamente le spese del grado.

Il tribunale ha escluso che il credito azionato avesse natura

previdenziale o retributiva; ha ritenuto, invece, che esso avesse

carattere risarcitorio siccome nascente da illecita omissione del

lo Stato riconducibile alla previsione di cui all'art. 2043 c.c.

e che le conseguenze che ne derivavano erano poste a carico

del fondo di garanzia gestito dall'istituto di previdenza di cui

e) Natura giuridica dell'indennità ex art. 2, 7" comma. Seppure in forma di obiter dictum, l'affermazione della natura risarcitoria — ine rente al rapporto di lavoro e non dipendente da un illecito extracontrat tuale ex art. 2043 c.c. — dell'indennità dovuta ai sensi dell'art. 2, 7°

comma, costituisce uno snodo fondamentale dell'orientamento giuris prudenziale in esame: a tal proposito, cfr. specialmente Corte cost. n.

285 del 1993, cit.; Cass. 5 ottobre 1996, n. 8739, cit.; 11 ottobre 1995, n. 10617, cit.; contra, isolatamente, Pret. Arezzo 25 febbraio 1994, id..

Rep. 1994, voce Lavoro (rapporto), n. 1686.

d) Modalità e limiti dell'obbligo risarcitorio. Numerosi profili proble matici relativi all'ambito di applicazione dello strumento indennitario ex art. 2, 7° comma, e connesse limitazioni sono stati vagliati dalla

giurisprudenza italiana: fra le pronunce più significative, cfr. Corte cost. 9 luglio 1996, n. 240, id., Rep. 1996, voce cit., nn. 1123-1125, e Giust.

civ., 1996, I, 2813, che ha dichiarato costituzionalmente legittima la norma del d.leg. n. 80 del 1992 (art. 2, 1° comma) che fissa il periodo di riferimento della garanzia del pagamento delle retribuzioni (inerenti gli ultimi tre mesi del rapporto di lavoro) in dodici mesi dalla cessazio ne del rapporto (anziché diciotto come previsto, fra l'altro, dalla diret tiva comunitaria, Corte cost. 31 dicembre 1993, n. 512, cit., che ha

rigettato l'eccezione di incostituzionalità dell'art. 2, 7° comma, nella

parte in cui detta modalità, limiti e oneri finanziari relativi all'indennità

per tardiva applicazione della direttiva comunitaria; per la legittimità del termine annuale di decadenza (a partire dalla data di entrata in

vigore del decreto) per l'esercizio dell'azione finalizzata ad ottenere l'in dennità ex art. 2, 7° comma, è infine Trib. Treviso 18 dicembre 1995, Foro it., Rep. 1996, voce cit., n. 130, e Informazioneprev., 1995, 1599.

V. - L'approvazione del d.leg. n. 80 del 1992 e la successiva prassi giurisprudenziale da questo originata ha stimolato un articolato dibatti to dottrinale.

La maggior parte degli interventi è sub specie di nota a sentenza: cfr. E. Scoditti, Profili di responsabilità civile per mancata attuazione di direttiva comunitaria: il caso «Francovich» in Cassazione, in Foro

it., 1996, I, 503; P. Passalacqua, Indennità per danno da mancata attuazione della direttiva Cee sulla tutela dei lavoratori in caso di insol venza del datore di lavoro, in Dir. lav., 1995, II, 560; E. Ales, Garan zia dall'insolvenza del datore di lavoro e procedure concorsuali: ancora un caso di ipergarantismo del legislatore nazionale?, ibid., 128; R. Co

sto, La Corte costituzionale ritorna sul tema dell'insolvenza del datore di lavoro e la tutela dei dipendenti, id., 1994, II, 32; R. Romei, La Corte costituzionale e il risarcimento del danno per tardiva attuazione della direttiva Cee n. 987/80 in materia di garanzia dei crediti di lavo

ro, in Riv. it. dir. lav., 1994, II, 278; A. Caiafa, Profili di costituzio nalità della normativa sul risarcimento del danno per la tardiva attua zione della direttiva Cee sulla tutela dei diritti dei lavoratori in caso di insolvenza del datore di lavoro, in Mass. giur. lav., 1994, 4; A. Ali

brandi, Sulla tutela dei crediti retributivi in caso di insolvenza del dato re di lavoro, in Arch, civ., 1994, 268; R. Cosio, Tutela comunitaria dei lavoratori dall'insolvenza del datore di lavoro, in Dir. e pratica lav., 1993, 1085. Non mancano, peraltro, contributi con carattere di maggio re organicità: v. L. Barboni-A. Furlani, Tutela dei crediti da lavoro e attuazione del diritto comunitario, Padova, 1996, spec. 51-97; P. Bon

tempi, L'impresa e le procedure concorsuali: l'insolvenza del datore di lavoro, in Dir. e pratica lav. Oro, 1995, fase. 3, 6; D. Crvale, Insolven za dell'imprenditore e tutela dei crediti di lavoro, in Riv. giur. lav., 1995, I, 441; M. Orione, La tutela dei diritti del lavoratore in caso di insolvenza del datore di lavoro fra ordinamento interno e disciplina comunitaria, in Nuova giur. civ., 1994, II, 199; A. Vallebona, La ga ranzia dei crediti di lavoro e della posizione previdenziale in caso di insolvenza del datore di lavoro, in Riv. it. dir. lav., 1993, I, 72.

VI. - Di recente, la Corte di giustizia, a seguito di alcune ordinanze di rinvio dei giudici di merito italiani, si è pronunciata in merito all'in

terpretazione della direttiva comunitaria 80/987/Cee, relativamente ai

profili dell'adeguatezza del risarcimento e della legittimità dei limiti pro cedurali e sostanziali introdotti dalla normativa italiana attuativa della direttiva medesima (d.leg. n. 80 del 1992): al riguardo v. sent. 10 luglio 1997, causa C-373/95, 10 luglio 1997, cause C-94/95 e C-95/95, e 10

luglio 1997, causa C-261/95, in questo fascicolo, IV, 213, con ampia nota di richiami. [G. Ricci]

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

al d.leg. 27 gennaio 1992 n. 80. Ha rilevato che, se il fatto

illecito si era concretizzato al 23 ottobre 1983 (scadenza del ter

mine per adempiere fissato allo Stato italiano dalla direttiva

cit.)> la lesione si era prodotta in danno dei lavoratori solo dal

giorno in cui era stata riconosciuta l'insolvenza dell'imprendito re e cioè con la sentenza dichiarativa di fallimento e, pertanto, dalla data di tale pronuncia dovevano decorrere interessi e riva

lutazione monetaria, senza necessità di costituzione in mora.

Per la cassazione della sentenza del tribunale ricorre l'Inps

con unico motivo. Resiste con controricorso il governo della

repubblica italiana. Anche i lavoratori hanno depositato con

troricorso contenente altresì ricorso incidentale condizionato, il

lustrato con memoria.

Motivi della decisione. — I due ricorsi, siccome diretti contro

la medesima sentenza, debbono essere riuniti a norma dell'art.

335 c.p.c. Con un solo mezzo di annullamento l'Inps deduce violazione

dell'art. 2, 2° e 7° comma, d.leg. 27 gennaio 1992 n. 80, viola

zione e falsa applicazione dell'art. 2043 c.c., nonché vizio di

motivazione (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.) e sostiene che il primo

giudice ha riconosciuto ai lavoratori il diritto agli accessori del

credito alla stregua di una errata ricostruzione della fattispecie

secondo il paradigma dell'art. 2043 c.c., mentre la stessa dizio

ne del d.leg. n. 80 del 1992 indica che il credito ha per oggetto un'indennità (rispondente ad esigenze di equità non commisura

te all'entità effettiva del pregiudizio) e non di un risarcimento

del danno. La stessa Corte costituzionale, con le sentenze n.

285 e n. 513 del 1993 (Foro it., 1994,1, 392 e 316) aveva escluso

che ai lavoratori spettasse un'azione di risarcimento del danno

da fatto illecito nei confronti del fondo gestito dall'Inps il quale

era assoggettato per effetto di legge all'azione volta al consegui

mento dell'indennizzo. Questo non costituiva un risarcimento

del danno da fatto illecito, dovendo essere determinato entro

limiti forfetari previsti dalla stessa legge, in funzione di sanato

ria della pregressa inadempienza, indipendentemente da qual

siasi imputabilità di un ipotetico fatto illecito e la relativa azio

ne era soggetta ad un termine decadenziale annuale decorrente

dall'entrata in vigore del d.leg. cit. Pertanto, gli oneri accesso

ri, se dovuti, non potrebbero decorrere che dal ricorso introdut

tivo del giudizio. Con l'unico motivo del ricorso incidentale condizionato, le

lavoratrici deducono violazione dell'art. 429 c.p.c. (art. 360, n.

3, c.p.c.) e sostengono che, facendo carico all'Inps una respon

sabilità comunque di natura risarcitoria, e trattandosi di con

troversia rientrante tra quelle di cui all'art. 409 c.p.c., a norma

dell'art. 429 stesso codice, gli accessori del credito avrebbero

pur sempre dovuto decorrere dalla data dell'insorgenza del cre

dito e cioè, nella concreta fattispecie, dalla data della sentenza

di fallimento. Il ricorso principale è infondato. Con la direttiva in data 20

ottobre 1980 n. 80/987 del consiglio delle Comunità europee,

concernente il riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri

relative alla tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolven

za del datore di lavoro, è stato stabilito (art. 3) l'obbligo dei

detti Stati di adottare le misure necessarie affinché gli organi

smi di garanzia assicurino il pagamento dei diritti dei lavoratori

subordinati relativi alla retribuzione del periodo situato prima

di una data determinata (tra una pluralità entro cui ciascuno

Stato ha facoltà di scegliere). Peraltro (art. 4), gli Stati membri

hanno facoltà di limitare l'obbligo di pagamento degli organi

smi di garanzia, comunque tenuti ad assicurare il pagamento

degli ultimi tre mesi di retribuzione nell'ambito dei sei mesi pre

cedenti la data di insorgere dell'insolvenza del datore di lavoro;

inoltre (3° comma), «per evitare di versare delle somme che

vanno oltre il fine sociale della presente direttiva, gli Stati mem

bri possono fissare un massimale per la garanzia di pagamento

dei diritti non pagati dei lavoratori subordinati». Gli Stati membri

(art. 5) fissano le modalità di organizzazione, di finanziamento

e di funzionamento degli organismi di garanzia, nel rispetto di

principi predeterminati. Con sentenza in data 2 febbraio 1989 (causa 22/87, Commis

sione Cee c. Repubblica italiana, in Foro it., Rep. 1989, voce

Comunità europee, n. 355) la Corte di giustizia delle Comunità

europee, ha accertato l'inadempienza della repubblica italiana

all'obbligo di «conformare» il proprio ordinamento alla diretti

va comunitaria cit., per non avere (tra l'altro) istituito gli orga

nismi di garanzia ivi previsti, neppure dopo la scadenza del ter

II Foro Italiano — 1998 — Parte I-28.

mine per provvedere del 23 ottobre 1983, risultante dalle dispo sizioni della stessa direttiva, e senza che, d'altra parte, esistessero

nell'ordinamento italiano altri istituti egualmente idonei a per

seguire le finalità delle disposizioni comunitarie, in particolare, in punto di retribuzioni dovute e non corrisposte ai lavoratori

nel corso del rapporto. Con successiva sentenza in data 19 novembre 1991 (cause riu

nite C-6/90 e C-9/90 Francovich c. Repubblica italiana; Boni

faci e altri c. Repubblica italiana, id., 1992, IV, 145), la Corte di giustizia delle Comunità europee, questa volta investita dal

l'autorità giudiziaria italiana, a norma dell'art. 177 del trattato

Cee, su questioni pregiudiziali sull'interpretazione dell'art. 189, 3° comma, del trattato, nonché della direttiva cit., ha statuito

che: 1) le disposizioni della direttiva che definiscono diritti dei lavoratori devono essere interpretate nel senso che gli interessati

non possono far valere tali diritti nei confronti dello Stato di

nanzi ai giudici nazionali in mancanza di provvedimenti di at tuazione adottati entro i termini; 2) uno Stato membro è tenuto

a risarcire i danni derivanti ai singoli dalla mancata attuazione

della direttiva alle seguenti condizioni (par. 38 ss. della sentenza

della Corte di giustizia): a) che dalla direttiva derivi attribuzio ne di diritti a favore dei singoli; b) che il contenuto di essi sia individuabile sulla base della direttiva medesima; c) che vi sia

un nesso causale tra la violazione dell'obbligo da parte dello

Stato ed il danno per il singolo soggetto leso.

La Corte di giustizia ha altresì precisato che: (par. 42) è nel

l'ambito delle norme del diritto nazionale relative alla responsa bilità che lo Stato è tenuto a riparare le conseguenze del danno

provocato; le diverse legislazioni nazionali in materia di risarci

mento dei danni non possono essere meno favorevoli di quelle che riguardano reclami analoghi di natura interna; spetta al giu

dice nazionale garantire, nell'ambito delle norme di diritto in

terno relative alla responsabilità, il diritto dei lavoratori ad ot

tenere il risarcimento dei danni provocati dalla mancata attua

zione della direttiva.

Con l'art. 48 1. 29 dicembre 1990 n. 428 il governo è stato

delegato all'attuazione della direttiva Cee cit., al che si è prov

veduto con il d.leg. 27 gennaio 1992 n. 80, mediante il quale

è stato, anzitutto, (art. 1) designato per il pagamento il fondo

di garanzia già istituito presso l'Inps dalla 1. 29 maggio 1982

n. 297 (recante: disciplina del trattamento di fine rapporto e

norme in materia pensionistica) per il pagamento dei crediti di

lavoro in caso di assoggettamento del datore di lavoro a proce

dure concorsuali o di amministrazione straordinaria (d.l. 30 gen

naio 1979 n. 26, convertito, con modificazioni, in 1. 3 aprile

1979 n. 95) e si sono quindi determinati l'ambito e le modalità

dell'intervento del predetto fondo, disciplinandosi sia (art. 2,

commi da uno a sei), l'intervento (a regime) relativo alle proce

dure che si fossero aperte dopo l'entrata in vigore del decreto

legislativo, sia (art. 2, 7° comma) la «determinazione dell'in

dennità eventualmente spettante [. . .] per il danno derivante

dalla mancata attuazione della direttiva (Cee) n. 987/80».

Tale assetto normativo è stato ben presto sottoposto al vaglio

della Corte costituzionale, la quale con una prima pronuncia in data 16 giugno 1993, n. 285 (id., 1993, I, 2392) ha ritenuto infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2,

7° comma, nella parte in cui detta modalità o limiti del risarci

mento del danno da parte dello Stato per la tardiva applicazio

ne della direttiva, in riferimento all'art. 76 Cost, ed in relazione

agli art. 2 e 48 della legge comunitaria del 1990.

Il giudice delle leggi — nel ritenere che soggetto passivo del

l'indennizzo previsto dal 7° comma dell'art. 2 d.leg. n. 80 del

1992 è l'Inps, così identificando in capo ad uno degli enti pub

blici nei quali si articola l'apparato dell'amministrazione indi

retta statale, l'obbligazione risarcitoria imposta allo Stato

ordinamento dalla sentenza della Corte di giustizia — ha anche

precisato che il rinvio da parte del 7° comma dell'art. 2 ai pre

cedenti commi 1°, 2° e 4° non era indice di identità di natura

dell'indennità per il ritardato adeguamento del diritto nazionale

a quello comunitario e della prestazione a carico del fondo pre

vista per il c.d. sistema a regime dai commi precedenti. La Cor

te costituzionale ha respinto il dubbio di costituzionalità del

l'art. 2, 7° comma, d.leg. cit. sotto il profilo dell'inosservanza

del criterio direttivo della legge-delega (di piena conformità del

la disciplina alla normativa comunitaria) e cioè sotto il prospet

tato profilo di un trattamento da parte della legge nazionale

di conformazione meno favorevole rispetto ad analoghe situa

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1475 PARTE PRIMA 1476

zioni di diritto interno, osservando che in sostanza, salvo even

tualmente che per la decorrenza di interessi e rivalutazione mo

netaria, la disciplina era identica a quella a regime se applicata retroattivamente.

Con una seconda pronuncia in data 31 dicembre 1993, n.

512 (id., 1994, I, 316), la Corte costituzionale ha dichiarato l'infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale degli art. 2, 6° e 7° comma, e 4 d.leg. cit., sollevate in relazione

agli art. 3, 24 e 25 Cost, a) sotto il profilo che il 6° comma

non consentirebbe di ritenere l'Inps, quale gestore del fondo,

passivamente legittimato alla pretesa di indennizzo riconosciuta

dal 7° comma ai lavoratori dipendenti da imprese divenute in

solventi dopo la scadenza del termine per l'attuazione della di

rettiva ed assoggettate a procedura concorsuale o di ammini

strazione straordinaria prima dell'entrata in vigore del decreto

legislativo e b) sotto il profilo dei commi 6° e 7° — non indivi duando il soggetto debitore dell'indennità — e rendendo così

difficoltosa la determinazione anche del giudice competente im

pedirebbero la tutela giurisdizionale dei diritti di lavoratori. Quanto al soggetto passivamente legittimato, la Corte costi

tuzionale ha richiamato la propria precedente pronuncia — ap

pena riepilogata — circa l'individuazione dell'Inps, per il trami

te del fondo di garanzia, quale obbligato a titolo di accollo

ex lege dei crediti a regime, originariamente sorti nei confronti

del datore di lavoro divenuto insolvente; alla stessa conclusione

il giudice delle leggi è pervenuto anche per i crediti sorti nel

periodo di inattuazione della legge comunitaria, soprattutto alla

luce della prescrizione — contenuta nella legge-delega n. 428

del 1990, art. 48, lett. g), e art. 2, lett. f) — che l'attuazione

della direttiva non debba comportare oneri per lo Stato e degli enti del settore pubblico allargato e che l'intervento legislativo del governo debba dare attuazione anche alla sentenza 19 no

vembre 1991 della Corte di giustizia. Di talché il richiamo al l'art. 2 d.leg. contenuto nel successivo art. 4 (sulla copertura

degli oneri relativi alle disposizioni di cui agli art. 1, 2 e 3) che pone tutti gli oneri a carico del fondo è indice dell'intenzio

ne del legislatore di porre, appunto, a carico del fondo di ga ranzia anche gli oneri derivanti dal 7° comma dell'art. 2 cit.

e quindi di costituire l'Inps quale oggetto tenuto a rispondere

dell'inadempienza. Con l'ulteriore precisazione che, in questo caso, il lavoratore non fa valere un credito di lavoro, bensì «un

diritto risarcitorio nei confronti di un organo o un ente [. . .]

dell'apparato statale, investito della correlativa obbligazione a

titolo originario». «Non varrebbe obiettare», osserva ancora la Corte costitu

zionale, «che in tal modo si fa ricadere sui datori di lavoro

[tenuti a contribuire per il finanziamento del fondo] l'onere del

risarcimento del danno derivato da fatto illecito ad essi non

imputabile, considerato che l'indennità prevista dall'art. 2, 7°

comma, è commisurata alla responsabilità debitoria che, anche

per il periodo di cui si discute, sarebbe accollata al fondo se la direttiva comunitaria fosse stata tempestivamente attuata».

Con sentenza 5 marzo 1996 nelle cause riunite C-46/93 e C-48/93 Brasserie dupècheur e Factortame (id., 1996, IV, 322), la Corte di giustizia delle Comunità europee, investita di que stioni pregiudiziali relative ai presupposti della responsabilità di uno Stato membro per danni causati ai singoli da violazioni del diritto comunitario ad esso imputabili, ha affermato che «il principio in forza del quale gli Stati membri sono tenuti a risarcire i danni causati ai singoli dalle violazioni del diritto comunitario ad essi imputabili trova applicazione allorché l'ina dempimento contestato è riconducibile al legislatore nazionale.

Nell'ipotesi in cui una violazione del diritto comunitario da

parte di uno Stato membro sia imputabile al legislatore nazio nale in un settore ove esso disponga di un ampio potere discre zionale in ordine alle scelte normative, i singoli soggetti pregiu dicati hanno diritto al risarcimento del danno qualora: a) la norma comunitaria violata sia preordinata ad attribuire loro di

ritti; b) la violazione sia manifesta e grave; c) ricorre un nesso di causalità diretto tra tale violazione e il danno subito dai sin

goli; tale obbligo risarcitorio è definito dalle norme nazionali relative alla responsabilità, fermo restando che le condizioni co sì stabilite non debbono essere meno favorevoli di quelle che

riguardano analoghi reclami di natura interna, né tali da rende re praticamente impossibile o eccessivamente difficile ottenere il risarcimento.

Il risarcimento del danno, spettante al singolo in caso di vio

li. Foro Italiano — 1998.

lazione manifesta e grave del diritto comunitario da parte di

un organo di uno Stato membro non può essere subordinato

all'esistenza di una condotta dolosa o colposa da parte dell'or

gano stesso.

Posto che: a) il risarcimento, a carico degli Stati membri, dei danni da essi causati ai singoli in conseguenza di violazioni

del diritto comunitario deve essere adeguato al danno subito;

b) in mancanza di disposizioni comunitarie in materia, spetta all'ordinamento di ciascuno Stato membro stabilire i criteri per la determinazione dell'entità del risarcimento; c) che tali criteri

non possano comunque essere meno favorevoli di quelli che ri

guardano reclami o azioni analoghi fondati sul diritto interno

né possono in alcun modo essere tali da rendere praticamente

impossibile o eccessivamente difficile il risarcimento, deve rite nersi non conforme al diritto comunitario una disciplina che, in via generale, limiti il danno risarcibile ai soli pregiudizi arre

cati a determinati beni, specialmente tutelati con esclusione del

lucro cessante subito dai singoli [. . .].

L'obbligo, a carico degli Stati membri, di risarcire i danni causati ai singoli da violazioni del diritto comunitario ad essi

imputabili non può essere limitato ai soli danni subiti successi

vamente alla pronuncia della sentenza che accerti l'inadempi mento contestato».

In siffatto contesto normativo e giurisprudenziale (costituzio nale e comunitario), questa corte (sent. 9 luglio 1996, n. 8739,

id., Rep. 1996, voce Lavoro (rapporto), n. 1128, e giurispru denza ivi richiamata) ha ritenuto che la parametrazione del trat

tamento risarcitorio di cui al 7° comma dell'art. 2 d.leg. n.

80 del 1992 cit. sul trattamento a regime delle situazioni disci

plinate dai primi sei commi dello stesso articolo non comporta identità di natura tra la prestazione dovuta per la riparazione di un pregiudizio e di quella dovuta dal fondo in sostituzione

del datore di lavoro insolvente, tanto che non si applica alla

prestazione riferibile alle situazioni pregresse il 3° comma (cioè non opera il rinvio ad alcune disposizioni dell'art. 2 1. n. 297

del 1982 per la disciplina della prestazione del fondo relativa

al trattamento di fine rapporto), né il 5° comma che, derogan do all'art. 429 c.p.c., fissa la decorrenza di interessi e rivaluta

zione dalla data di presentazione della domanda, inoltre solo

l'indennità prevista dal 7° comma è assoggettata a decadenza

annuale.

Tenuto conto della rispettiva distinzione ed autonomia tra or

dinamento comunitario ed ordinamento interno, non necessa

riamente il comportamento di uno Stato qualificato come anti

giuridico in ambito comunitario ha identica connotazione in am

bito interno e la giurisprudenza di questa corte ha normalmente escluso che il danno derivante dalla mancata attuazione nei ter mini prescritti di una direttiva delle Comunità economiche eu

ropee, la cui attuazione avrebbe comportato l'attribuzione ai

singoli di ben determinati diritti, sia riconducibile alla previsio ne di cui agli art. 2043 ss. c.c. Questa corte di legittimità ha anche precisato che il contrasto eventuale tra norma interna e norma comunitaria non comporta né la caducazione né l'abro

gazione della prima, ma solo la sua eventuale disapplicazione. Rileva, pertanto, il collegio che, nel caso di specie, l'art. 2,

7° comma, d.leg. n. 80 del 1992, cit., prevede un'indennità che, come osservato dalla Corte costituzionale, è sostanzialmente iden tica all'importo capitale delle prestazioni a carico del fondo di

garanzia a regime, e quindi vi è stato un effettivo adeguamento, sotto tale profilo, alle norme dell'ordinamento comunitario, co sì come interpretate dalla Corte di giustizia delle Comunità

europee. Per quanto attiene agli interessi e rivalutazione, mentre per

le ipotesi di insolvenza che dovessero verificarsi successivamen te all'entrata in vigore del d.leg. cit., l'art. 2, 5° comma, dispo ne che gli stessi sono dovuti dalla data della domanda di presta zione, manca qualsiasi disposizione concernente gli interessi e la rivalutazione sull'indennità dovuta a norma del 7° comma.

Non ritiene la corte che siffatta omissione possa essere inter

pretata, come si pretende dall'Inps, nel senso che, trattandosi di indennità forfetaria questa, nei termini enunciati dalla nor

ma, sarebbe comprensiva anche degli interessi e della rivaluta

zione, onde la loro mancata menzione da parte della norma avrebbe il senso di esclusione del relativo diritto.

Deve, infatti, ritenersi che seppure non si tratti del risarci mento del danno quale previsto dall'art. 2043 c.c., si tratta pur sempre di una indennità avente contenuto riparatorio e quindi,

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

perché la riparazione sia effettiva, oggetto di un credito di valo

re. E, se è vero che — per quanto affermato dalla Corte di

giustizia nella sentenza del 5 marzo 1996 spetta alle norme na

zionali relative alla responsabilità definire il contenuto dell'ob

bligo risarcitorio (la definizione della fattispecie quale risarci mento del danno operata, in via autonoma, dall'ordinamento

comunitario non può essere, tuttavia, del tutto indifferente alla

regolamentazione della fattispecie medesima in ambito interno)

—, tale contenuto non può essere meno favorevole di quello attinente a situazioni interne analoghe e nel nostro ordinamento

interno non sono previste, di regola, indennità che comprenda no in sé anche il danno derivante dal ritardo con il quale esse

vengono corrisposte rispetto al pregiudizio che intendono in qual che misura riparare. Inoltre, il principio espresso dalla Corte

di giustizia con la sentenza 5 marzo 1996, scondo cui l'obbligo risarcitorio a carico degli Stati membri per violazioni del diritto comunitario, non può escludere il lucro cessante, induce a rite

nere, quanto meno in via interpretativa della disposizione inter

na, che questa debba concernere anche il danno derivante dal

l'impossibilità di fruire della naturale fecondità del danaro e

della possibilità di reimpiego delle somme spettanti.

Questa corte, decidendo in punto di competenza sulle contro

versie relative all'indennità in questione, ha affermato che il

credito relativo deve ricomprendersi tra quelli inerenti al rap

porto di lavoro ex art. 409, n. 1, c.p.c. in quanto l'indennità

ha la funzione di compensare una perdita retributiva (Cass. 9

luglio 1994, n. 6482, id., Rep. 1994, voce Lavoro e previdenza

controversie), n. 56; 9 novembre 1994, n. 9339, ibid., n. 68; 11 novembre 1994, n. 9475, id., 1995, I, 831) ed ha quindi rile vato (cfr. sent. n. 8739 del 1996 e giurisprudenza ivi richiamata) e che «per effetto del perfetto parallelismo esistente tra la nor

ma sostanziale di cui all'art. 429, 3° comma, c.p.c. e la norma

processuale di cui all'art. 409 dello stesso codice, tutti i crediti

inerenti ai rapporti rientranti nell'elencazione contenuta in que st'ultima norma sono assoggettati al regime giuridico dettato

dall'art. 429, 3° comma, c.p.c. (che in parte parifica i crediti

di lavoro a quelli di valore, sottraendoli all'ordinario regime nominalistico di cui è espressione l'art. 1224 c.c.)».

Mentre il comportamento omissivo illegittimo (sotto il profi lo comunitario) dello Stato italiano che ha dato luogo al diritto

all'indennità posta a carico del fondo costituito presso l'Inps risale alla data (23 ottobre 1983) entro cui l'ordinamento inter

no avrebbe dovuto conformarsi alla direttiva comunitaria cit., la lesione patrimoniale in capo ai lavoratori addebitabile al fon

do si è concretizzata soltanto con l'insolvenza dell'imprenditore datore di lavoro, accertata con la sentenza dichiarativa di falli

mento dalla quale correttamente il giudice di merito ha fatto

decorrere interessi legali e rivalutazione monetaria.

Pertanto, la mancata regolamentazione esplicita della specifi ca materia della rivalutazione e degli interesi nel 7° comma del

l'art. 2 d.leg. n. 80 del 1992, con riferimento all'indennità do

vuta per la mancata conformazione alla direttiva comunitaria

(mentre il 5° comma precisa che interessi e rivalutazione sulla

prestazione a regime sono dovuti dalla data della domanda), ben può trovare logica spiegazione nella circostanza che una

domanda di prestazione sostitutiva di quella a carico del datore

di lavoro insolvente non era concepibile prima dell'entrata in

vigore del d.leg. citato, onde per la diversa ipotesi dell'inden

nizzo del danno da mancata attuazione della direttiva comuni

taria avrebbero dovuto valere i principi desumibili dall'ordina

mento ed in particolare dall'art. 429 in relazione all'art. 409

c.p.c., come sopra argomentato. A tali conclusioni non può essere di ostacolo l'osservazione

che il credito in questione, storicamente nascente da un'inadem

pienza dell'imprenditore datore di lavoro, ed avente quale sog

getto passivo (secondo l'ordinamento comunitario) lo Stato o

(secondo l'ordinamento interno) il fondo costituito presso l'Inps al quale il d.leg. ha addossato in via originaria l'obbligazione relativa, non avrebbe potuto avere ad oggetto anche gli interessi

e la rivalutazione, non essendo addebitabile all'Inps alcun dan

no da ritardo.

Lo Stato italiano, infatti, nel conformarsi alla direttiva euro

pea non avrebbe potuto addossare alla propria amministrazione

indiretta un obbligo di minore contenuto rispetto a quello iden

tificato dalla Corte di giustizia delle Comunità europee e risul

tante dall'interpretazione dalla stessa fornita della direttiva co

li Foro Italiano — 1998.

munitaria: in sostanziale conformità deve, conseguentemente, essere interpretata anche la disposizione attuativa interna.

Giova ricordare la già menzionata affermazione della Corte

di giustizia (sentenza 5 marzo 1996, cit.), secondo cui, in caso

di danno da violazione manifesta e grave (e tale è indubbiamen

te la protratta inattuazione da parte dello Stato italiano della

direttiva, cit.) l'obbligo risarcitorio (nel nostro diritto interno,

indennitario) non può essere condizionato alla colpa dell'orga no (nel caso di specie l'Inps) tenuto ad adempiere, onde l'istitu

to non può dedurre l'incolpevolezza del ritardo nel pagamento dell'indennità.

Il dispositivo della sentenza impugnata è, pertanto, conforme

a legge, anche se la motivazione del tribunale deve intendersi

corretta (particolarmente in punto di natura indennitaria e non

risarcitoria ex art. 2043 c.c. del ristoro riconosciuto dal d.leg. 27 gennaio 1992 n. 80) nei sensi delle considerazioni sin qui svolte.

Occorre, comunque, precisare, in relazione al controricorso

del governo della repubblica italiana, che l'avvenuta identifica

zione (della quale si è detto ai fini della corretta identificazione dell'obbligo di indennizzo, in relazione anche alle deduzioni del

ricorrente principale), da parte dei giudici di merito, dell'Inps

quale legittimato passivo rispetto alla pretesa delle lavoratrici, non costituisce oggetto di impugnazione in questa sede, onde

sul punto si è formato il giudicato. Il ricorso incidentale condizionato (all'accoglimento del ricorso

principale) è assorbito stante il rigetto dell'impugnazione pro

posta dall'Inps.

II

Svolgimento del processo. — Il Pretore di Orvieto ha rigetta to la domanda proposta da Veronica Campanelli per ottenere

dall'Inps il risarcimento del danno subito per il mancato tempe stivo recepimento della direttiva Cee 20 ottobre 1980 n. 987, ai sensi dell'art. 2, 7° comma, d.leg. 27 gennaio 1992 n. 80.

Il pretore ha ritenuto che la Campanelli avesse percepito l'in

dennità di mobilità, non cumulabile con l'indennità prevista dalla

norma sopra richiamata.

Sull'appello della lavoratrice, il Tribunale di Orvieto ha rifor

mato la sentenza di primo grado, condannando l'Inps al paga mento della somma di lire 2.817.000, oltre interessi e rivaluta

zione dal 25 febbraio 1991, nonché al rimborso delle spese del

doppio grado di giudizio. Il tribunale, dato atto che l'Inps non contestava la circostan

za che la Campanelli, in realtà, non aveva percepito l'indennità

di mobilità, in relazione alle questioni che interessano il giudi zio di Cassazione, ha osservato che:

— dichiarato in data 25 febbraio 1991 il fallimento dell'im presa sua datrice di lavoro, la Campanelli, non aveva percepito le retribuzioni relative ai mesi di novembre e dicembre 1990, nonché gennaio 1991, per un totale di lire 2.817.000, dal quale non poteva sottrarsi l'importo di lire 559.204, somma attribui

tale in sede fallimentare, sia perché all'Inps non era consentito

dedurre la circostanza per la prima volta in appello, sia perché la somma in questione era da imputare, ai sensi dell'art. 1193

c.c., al credito relativo alla retribuzione del mese di gennaio 1990; — la natura risarcitoria del credito — quindi, di valore e

non di valuta — comportava che rivalutazione ed interessi do

vessero essere attribuiti con decorrenza dalla data di dichiara

zione del fallimento, non risultando applicabile la norma gene rale dell'art. 16, 6° comma, 1. 412/91, in quanto derogata dal

l'art. 2, 7° comma, d.leg. 80/92.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso articola

to in tre motivi l'Inps, ulteriormente illustrato con memoria de

positata ai sensi dell'art. 378 c.p.c. Ha resistito con controri

corso Veronica Campanelli. Motivi della decisione. — (Omissis). 2. - Con il secondo mo

tivo di ricorso, denunziando la violazione e la falsa applicazio ne dell'art. 2, 2° e 7° comma, d.l. 27 gennaio 1992 n. 80, degli art. 2043 e 1219 c.c., nonché il vizio della motivazione, l'Inps deduce che erroneamente la sentenza impugnata ha attribuito

al lavoratore la rivalutazione e gli interessi legali dalla data di

dichiarazione del fallimento. Secondo il ricorrente, la Corte co

stituzionale, con le sentenze 285/93 (Foro it., 1993, I, 392) e

512/93 (id., 1994, I, 316), ha precisato la diversità di natura dei crediti di cui al 1° comma rispetto a quelli di cui al 7°

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1479 PARTE PRIMA 1480

comma dell'art. 2 d.l. 80/92, trattandosi nel primo caso di cre

diti di lavoro e nel secondo caso di una prestazione indennitaria

della quale l'Inps era stato investito «a carattere originario», ma non certo di un credito di natura risarcitoria e, quindi, di

valore. La sentenza impugnata, inoltre, non aveva considerato

che il diritto era stato attribuito dal menzionato decreto legisla

tivo, per cui il credito non esisteva e non poteva essere fatto

valere prima dell'entrata in vigore della norma; di conseguenza, il fallimento del datore di lavoro rappresentava il presupposto di fatto richiesto per l'insorgenza del diritto di credito, ma era

privo di ogni rilievo giuridico per il periodo antecedente l'ema

nazione del d.leg. 80/92. In ogni caso, la disciplina dettata dal

7° comma dell'art. 2 d.leg. 80/92 non consente di ritenere ap

plicabili le norme relative alla responsabilità civile.

3. - Con il terzo motivo del ricorso, denunziando la violazio

ne dell'art. 16, 6° comma, 1. n. 412 del 1991, nonché il vizio

della motivazione, l'istituto qualifica incongrua l'affermazione

del tribunale secondo cui la norma speciale del decreto del 1992

costituisce deroga alla disposizione generale contenuta nell'art.

16, 6° comma, della richiamata legge. 4. - La corte, esaminati i motivi di ricorso nell'ambito di un

discorso necessariamente unitario, li giudicava privi di fonda

mento, ancorché la motivazione della sentenza impugnata ne

cessiti di alcune integrazioni e correzioni (art. 384, 2° comma,

c.p.c.). 5. - In base alla delega conferita al governo dall'art. 48 1.

29 dicembre 1990 n. 428 (legge comunitaria per il 1990), è stato

emanato il d.leg. 27 gennaio 1992 n. 80 con il quale si è data

attuazione alla direttiva comunitaria n. 987 del 1980 in materia

di tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del da

tore di lavoro.

La normativa prevede — per il personale dipendente da im

prese assoggettate alle procedure di fallimento, concordato pre

ventivo, liquidazione coatta amministrativa ovvero alla proce dura dell'amministrazione straordinaria — un diversificato si

stema di tutela per le procedure concorsuali avviate

successivamente all'entrata in vigore della legge, rispetto a quel le avviate in epoca precedente.

Infatti, gli art. 1 e 2 del menzionato decreto legislativo con

templano le due diverse ipotesi, con la disciplina della tutela

dei crediti di lavoro mediante l'intervento del fondo di garanzia — istituito e funzionante ai sensi della 1. 29 maggio 1982 n.

297 — ma limitatamente alle procedure successive all'entrata

in vigore della disciplina (art. 2, 6° comma); mentre, per le

fattispecie anteriori, viene attribuita ai lavoratori un'indennità

di importo sostanzialmente corrispondente a quello posto espres samente a carico del fondo, da richiedere con azione proponibi le entro un anno dall'entrata in vigore del decreto, «per il dan

no derivante dalla mancata attuazione della direttiva Cee 80/987»

(art. 2, 7° comma). 6. - Il problema interpretativo dell'individuazione del sogget

to tenuto al pagamento dell'indennità di cui al 7° comma del

l'art. 2 del decreto è stato definitivamente risolto nel senso che

la legittimazione passiva compete all'Inps, quale gestore del fondo

di garanzia e non allo Stato (Corte cost. n. 285 e n. 512 del

1993; Cass. 19 luglio 1995, n. 7832, id., Rep. 1996, voce Lavo

ro (rapporto), n. 1128; 11 ottobre 1995, n. 10617, id., 1996,

I, 503; 19 gennaio 1996, n. 401, ibid.; 27 marzo 1996, n. 2750,

id., Rep. 1996, voce cit., n. 1645). 7. - La coincidenza del soggetto obbligato al pagamento non

comporta la sostanziale omologazione delle due ipotesi, in con

trasto con l'esplicita esclusione, da parte del 6° comma dell'art.

2 del decreto, della retroattività della disciplina «ordinaria». In

fatti, il rinvio ai commi 1°, 2° e 4° ha soltanto la funzione

di indicare il parametro per la determinazione dell'indennità, i termini e le modalità di pagamento, ma non vale a conferire

identità di natura alla prestazione dovuta per la riparazione di

un pregiudizio ed a quella dovuta dal fondo in sostituzione del

datore di lavoro insolvente secondo lo schema dell'accollo ex lege. Coerente con la diversità di natura è il differenziato regime

giuridico: non si applica alla prestazione riferibile alle situazioni

pregresse il 3° comma (che rinvia ad alcune disposizioni del

l'art. 2 1. 297/82 per la disciplina della prestazione «ordinaria»

del fondo), né il 5° comma, che deroga all'art. 429 c.p.c. fis

sando la decorrenza degli interessi e della svalutazione (rectius

rivalutazione) monetaria dalla data di presentazione della do

li. Foro Italiano — 1998.

manda; soltanto l'indennità prevista dal 7° comma, infine, è

assoggettata al termine di decadenza annuale.

8. - Il regime giuridico del credito all'indennità di cui al 7° comma dell'art. 2 del decreto, nel difetto di specificazioni nor

mative, deve dedursi dalla natura giuridica, quale risulta dai

profili strutturali e funzionali del credito stesso.

9. - La giurisprudenza della corte ha escluso che il danno

derivante dalla mancata attuazione nei termini prescritti di una

direttiva Cee, in violazione degli art. 5 e 189 del trattato istituti

vo della Comunità — attuazione dalla quale sarebbe derivata

l'attribuzione ai singoli di diritti dal contenuto ben individuato

sulla base della direttiva stessa, secondo il principio precisato dalla sentenza della Corte di giustizia Cee 19 novembre 1991, cause 6/90 e 9/90 (id., 1992, IV, 145) e ribadito nella successiva

sentenza 14 luglio 1994, causa 91/92 (id., 1995, IV, 38) — co

stituisca la conseguenza di un fatto imputabile come illecito ci

vile (art. 2043 ss. c.c.) allo Stato inadempiente (cfr., in partico

lare, Cass. 7832/95 e 10617/95, cit.). Ciò in base alla considerazione che, stante il carattere auto

nomo e distinto tra i due ordinamenti, comunitario e interno, il comportamento del legislatore è suscettibile di essere qualifi cato come antigiuridico nell'ambito dell'ordinamento comuni

tario, ma non alla stregua dell'ordinamento interno, secondo

principi fondamentali che risultano evidenti nella stessa Costi

tuzione.

10. - Sulla base del principio della «non applicabilità» della

normativa nazionale (sia essa precedente che successiva) contra

stante con quella comunitaria — che non implica fenomeni né

di caducazione, né di abrogazione della norma statale conflig

gente con quella comunitaria —, il trattamento giuridico del

caso di specie è attratto (ratione materiaé) nell'ambido di appli cazione del diritto comunitario, in modo che al giudice è de

mandato il controllo dell'adeguamento dell'ordinamento inter

no a quello comunitario, adeguamento che diviene così automa

tico, dovendo la normativa interna cedere il passo a quella comunitaria ove risulti essere con quest'ultima contrastante.

11. - L'ordinamento comunitario è, in senso proprio, diritto

di scopi e non di mezzi: mentre la norma comunitaria prescrive il risultato, quella interna predispone i mezzi per conseguirlo.

Ne segue che, per risultare adeguato al diritto comunitario, il diritto interno deve assicurare una congrua riparazione del

pregiudizio subito dal singolo per il fatto di non aver acquistato la titolarità di un diritto in conseguenza della violazione dell'or

dinamento comunitario.

12. - I parametri per valutare la conformità del diritto inter

no ai risultati imposti dall'ordinamento comunitario, sono stati

enunciati dalla Corte di giustizia Cee nella risoluzione delle que stioni pregiudiziali concernenti: 1) l'ambito della responsabilità dello Stato per gli atti e le omissioni del legislatore nazionale

contrari al diritto comunitario; 2) i presupposti della responsa bilità; 3) la possibilità di subordinare il risarcimento all'esisten

za di una colpa; 4) l'entità del risarcimento; 5) la delimitazione

del periodo coperto dal risarcimento (sentenza 5 marzo 1996, cause riunite 46/93 e 48/93, id., 1996, IV, 322).

I detti parametri sono stati precisati secondo i seguenti principi:

a) Anche l'inadempimento riconducibile al legislatore nazio

nale obbliga lo Stato a risarcire i danni causati ai singoli dalle

violazioni del diritto comunitario.

b) Il diritto al risarcimento deve essere riconosciuto allorché

la norma comunitaria, non dotata del carattere self-executing, sia preordinata ad attribuire diritti ai singoli, la violazione sia manifesta e grave e ricorra un nesso causale diretto tra tale vio

lazione ed il danno subito dai singoli, fermo restando che è

nell'ambito delle norme del diritto nazionale relative alla re

sponsabilità che lo Stato è tenuto a riparare il danno, ma a

condizioni non meno favorevoli di quelle che riguardano analo

ghi reclami di natura interna e comunque non tali da rendere

praticamente impossibile o eccessivamente difficile ottenere il

risarcimento.

e) Il risarcimento del danno non può esser subordinato alla

sussistenza del dolo o della colpa.

d) Il risarcimento deve essere adeguato al danno subito, spet tando all'ordinamento giuridico interno stabilire i criteri di li

quidazione, che non possono essere meno favorevoli di quelli

applicabili ad analoghi reclami di natura interna, o tali da ren

dere praticamente impossibile o eccessivamente difficile ottene

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

re il risarcimento. In ogni caso, non può essere escluso in via

generale il risarcimento di componenti del danno, quale il lucro

cessante.

d) Il risarcimento non può essere limitato ai soli danni subiti

successivamente alla pronunzia di una sentenza della Corte di

giustizia che accerti l'inadempimento. 13. - Nel tracciato quadro di regole e principi, non può esser

vi dubbio che, mediante il peculiare meccanismo della «non ap

plicazione» del diritto interno configgente con l'ordinamento

comunitario, anche in mancanza di uno specifico intervento le

gislativo volto a regolare il diritto al risarcimento del danno

subito per violazione del diritto comunitario — in generale o

con riferimento a fattispecie particolari — il giudice, sulla base

dei presupposti oggettivi sopra indicati, deve riconoscere e tute

lare il diritto di credito (non derivante da una fattispecie di ille

cito riconducibile agli art. 2043 ss. c.c.) del cittadino a ricevere

una somma di denaro che rappresenti un'adeguata riparazione del pregiudizio subito.

14. - In relazione alla fattispecie particolare del pregiudizio subito per inosservanza della direttiva comunitaria sulla tutela

dei lavoratori dipendenti da imprese insolventi, vi è stato il men

zionato specifico intervento normativo, che ha determinato l'in

dennità spettante, il soggetto obbligato a corrisponderla, le con

dizioni ed il procedimento per conseguirla. 15. - Decidendo sulla questione della competenza sulle relati

ve controversie, la giurisprudenza della corte (uniformandosi alle

indicazioni già contenute nelle citate sentenze della Corte costi

tuzionale) ha ritenuto che il credito all'indennità di cui all'art.

2, 7° comma, d.leg. 80/92 debba comprendersi tra quelli ine

renti al rapporto di lavoro di cui all'art. 409, n. 1, c.p.c., trat

tandosi di indennità la cui funzione è quella di compensare una

perdita retributiva (Cass. 9 luglio 1994, n. 6482, id., Rep. 1994,

voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 56; 9 novembre 1994,

n. 9339, ibid., n. 68; 11 novembre 1994, n. 9475, id., 1995, I, 831).

Ne discende l'inapplicabilità alla fattispecie dell'art. 16, 6°

comma, 1. 412/91, in quanto preordinata a disciplinare esclusi

vamente gli effetti del ritardo nell'adempimento dei crediti di

natura previdenziale ed assistenziale (cfr. Corte cost. n. 196 del

1993, id., 1993, I, 2425; vedi anche, Cass. 17 marzo 1994, n.

2555, id., Rep. 1994, voce Invalidi civili, n. 24; 21 gennaio 1995, n. 680, id., 1995, I, 1189).

16. - Il tribunale ha accertato in fatto che il pregiudizio subi

to dalla lavoratrice era consistito nella perdita delle retribuzioni

inerenti agli ultimi tre mesi del rapporto per complessive lire

2.817.000, pregiudizio non diminuito dalla percezione della som

ma di lire 559.204 in sede fallimentare, in quanto esistevano

altri crediti retributivi non soddisfatti.

In punto di diritto, il tribunale ha commesso l'errore di qua lificare questione nuova, non deducibile in appello, l'argomen tazione difensiva basata sulla circostanza dell'avvenuto paga

mento di somme di denaro e rivolta alla contestazione del quan tum rivendicato dal creditore; altresì erroneo è il richiamo dell'art.

1193 c.c., poiché, secondo la giurisprudenza della corte, i criteri

di imputazione dei pagamenti si applicano a quelli eseguiti vo

lontariamente, non ai pagamenti coattivi che hanno luogo in

sede esecutiva o fallimentare (cfr., da ultimo, Cass. 18 ottobre

1991, n. 11014, id., Rep. 1991, voce Obbligazioni in genere, n. 28).

Ma il dispositivo della sentenza impugnata è conforme al di

ritto, atteso che la lavoratrice non ha azionato crediti retributi

vi, ma quello alla riparazione del danno derivante dalla manca

ta attuazione della diretiva Cee, danno che il legislatore ha prov

veduto a liquidare con l'attribuzione di un indennizzo non

superiore alle retribuzioni concernenti gli ultimi tre mesi del rap

porto ed entro il massimale dell'importo pari a tre volte la mi

sura massima del trattamento mensile di integrazione salariale

straordinaria. Quindi, il tribunale, con affermazione non speci

ficamente censurata, ha ritenuto che, a causa dell'esistenza di

altri crediti retributivi rimasti insoddisfatti, il ricevimento di som me in sede fallimentare non avesse contribuito a diminuire il

pregiudizio subito dalla lavoratrice, e pregiudizio da riparare

nell'ambito di un diverso rapporto obbligatorio. 17. - Per effetto del perfetto parallelismo esistente tra la nor

ma sostanziale di cui all'art. 429 c.p.c. e la norma processuale

di cui all'art. 409 dello stesso codice, tutti i crediti inerenti ai

rapporti rientranti nell'elencazione contenuta in quest'ultima nor

II Foro Italiano — 1998.

ma sono assoggettati al regime giuridico dettato dall'art. 429, 3° comma, c.p.c. (cfr. Cass., sez. un., 30 maggio 1989, n. 2627, 5 giugno 1989, n. 2698, e 24 agosto 1989, n. 3752, id., Rep.

1989, voce Lavoro e previdenza (controversie), nn. 203, 202, 126). 18. - Sul piano concettuale, occorre superare l'obiezione che,

anche ai sensi dell'art. 429, 3° comma, c.p.c., rivalutazione e

interessi legali non possono avere una decorrenza anteriore al

momento della nascita e dell'esigibilità del credito.

Si è già ampiamente posto in evidenza che del credito di cui

si discute gli interessati sarebbero stati titolari anche in assenza

dello specifico intervento normativo; che il credito alla ripara zione del pregiudizio subito per effetto dell'esercizio del potere

legislativo ha natura indennitaria, in quanto rivolto a compen sare l'avente diritto della perdita subita, per cui non si tratta

di obbligazione di valuta, ma di valore, rappresentando il dena

ro soltanto l'espressione monetaria dell'utilità sottratta al patri

monio; che, comunque, l'ordinamento comunitario impone di

riconoscere esistente il credito fin dal momento in cui il pregiu dizio si è verificato e di non escludere il risarcimento del lucro

cessante.

19. - Pertanto, la sola lettura che consenta di ritenere confor

me al diritto comunitario l'intervento attuato dal legislatore, conduce ad applicare al credito relativo all'indennità il regime

giuridico dettato dal 3° comma dell'art. 429 c.p.c. (che in parte

parifica i crediti di lavoro a quelli di valore, sottraendoli all'or

dinario regime nominalistico di cui è espressione l'art. 1224 c.c.), con decorrenza (retroattiva, rispetto all'entrata in vigore della

norma) della rivalutazione e degli interessi dalla maturazione

del credito, cioè dal verificarsi della perdita retributiva.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 12 feb

braio 1998, n. 1484; Pres. Cantillo, Est. Sotgiu, P.M. Me

le (conci, conf.); Marfè (Aw. Falcone) c. Min. finanze. Cassa

Comm. trib. centrale 18 febbraio 1995, n. 540.

Tributi in genere — Accertamento — Notifica — Nuovo domi

cilio comunicato nella dichiarazione annuale — Efficacia

(D.p.r. 29 settembre 1973 n. 600, disposizioni comuni in ma

teria di accertamento delle imposte sui redditi, art. 60).

È efficace la variazione di domicilio comunicata dal contribuen

te per il mezzo della dichiarazione annuale dei redditi; deve

pertanto ritenersi illegittima la notifica degli avvisi di accerta

mento effettuata in luogo diverso da quello indicato nella me

desima dichiarazione. (1)

Svolgimento del processo. — Nicola Marfè ha impugnato la

iscrizione a ruolo dei tributi Irpef ed Ilor, relativi agli anni dal

1976 al 1979, eccependo la mancata notifica degli avvisi di ac

(1) In precedenza, Cass. 10 febbraio 1992, n. 1473, Foro it., 1993,

I, 1203, aveva statuito che, ai fini della notifica di un avviso di accerta

mento, non è equiparabile alla elezione di domicilio la dovuta indica

zione nella dichiarazione dei redditi del domicilio del contribuente.

Più di recente, Comm. trib. centrale 22 novembre 1996, n. 5818,

id., 1997, III, 551, aveva affermato che l'elezione di domicilio effettua

ta dal contribuente nella dichiarazione annuale dei redditi è efficace

per tutte le notifiche successive alla presentazione di questa e quindi non solo per le notifiche relative alla predetta dichiarazione.

Ad avviso della sentenza in epigrafe l'amministrazione finanziaria

avrebbe dovuto rilevare il domicilio fiscale del contribuente dall'ultima

dichiarazione dei redditi e in tale luogo effettuare la notifica dell'avviso

di accertamento. Sulle possibilità che tale orientamento offre al contribuente che cer

chi di sottrarsi alle notifiche a lui destinate, cfr. le note a Cass. 1473/92

e Comm. trib. centrale 5818/96.

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