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sezione lavoro; sentenza 10 maggio 2002, n. 6763; Pres. Mileo, Est. De Luca, P.M. Destro (concl....

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sezione lavoro; sentenza 10 maggio 2002, n. 6763; Pres. Mileo, Est. De Luca, P.M. Destro (concl. conf.); Giuffrida (Avv. Sgrò) c. Soc. Ferrovie dello Stato (Avv. Corbo). Conferma Trib. Catania 26 aprile 1999 Source: Il Foro Italiano, Vol. 125, No. 11 (NOVEMBRE 2002), pp. 3111/3112-3115/3116 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23196700 . Accessed: 25/06/2014 10:11 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 188.72.126.196 on Wed, 25 Jun 2014 10:11:46 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione lavoro; sentenza 10 maggio 2002, n. 6763; Pres. Mileo, Est. De Luca, P.M. Destro (concl.conf.); Giuffrida (Avv. Sgrò) c. Soc. Ferrovie dello Stato (Avv. Corbo). Conferma Trib. Catania26 aprile 1999Source: Il Foro Italiano, Vol. 125, No. 11 (NOVEMBRE 2002), pp. 3111/3112-3115/3116Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23196700 .

Accessed: 25/06/2014 10:11

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PARTE PRIMA

nità se non violando le diverse norme di legge che regolano l'li

na o l'altra indennità.

In ordine alla proposta questione di legittimità costituzionale

dell'art. 13 1. 1° aprile 1995 n. 98, in relazione agli art. 3 e 36

Cost., la censura manca del necessario carattere della rilevanza, non essendo dimostrato né dedotto che la misura dell'indennità

di buonuscita, calcolata su una base stipendiale più ridotta ma

sull'ultima retribuzione e con un incremento dell'anzianità, co

me evidenziato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 243

del 1993, sia inferiore a quella che si avrebbe, se la medesima

fosse calcolata con i criteri del trattamento di fine rapporto. Va

infatti ribadito che quel che rileva ai fini dei principi costituzio nali di cui si denunzia la violazione è il risultato complessivo dei vari meccanismi, come ha precisato la citata sentenza, e non

la divergenza per uno dei criteri del calcolo se compensata da

divergenze di segno opposto di altri criteri del medesimo siste

ma di calcolo.

Infine va rilevato che, ove sussistesse un differenziato tratta

mento ai fini dell'indennità di fine rapporto tra i ferrovieri col

locati a riposo prima e dopo il 1995, esso non costituirebbe

violazione del principio costituzionale di eguaglianza, in quanto la diversità temporale, diversificando le situazioni, ne impedisce il raffronto (Cass. 27 ottobre 2000, n. 14223, id., Rep. 2000, vo

ce Lavoro (rapporto), n. 1992). Il ricorso deve essere pertanto rigettato.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 10 mag

gio 2002, n. 6763; Pres. Mileo, Est. De Luca, P.M. Destro

(conci, conf.); Giuffrida (Avv. Sgrò) c. Soc. Ferrovie dello

Stato (Avv. Corbo). Conferma Trib. Catania 26 aprile 1999.

Lavoro (rapporto di) — Esercizio dello «ius variandi» —

Legittimità — Condizioni (Cod. civ., art. 2103). Lavoro (rapporto di) — Retribuzione — Irriducibilità —

Limiti (Cod. civ., art. 2103).

L'esercizio dello ius variandi rientra nella discrezionalità del

datore di lavoro, fermi restando il rispetto del principio di

equivalenza delle mansioni e l'osservanza dei doveri di cor

rettezza e buona fede nell'esecuzione del rapporto di lavo ro. (1)

La garanzia dell' irriducibilità della retribuzione, prevista dal l'art. 2103 c.c., riguarda le indennità corrisposte in conside

razione delle qualità professionali intrinseche alle mansioni del lavoratore, mentre non si estende alle indennità erogate in ragione di particolari modalità della prestazione lavorati

va, le quali, essendo corrisposte soltanto per compensare particolari disagi o difficoltà del lavoratore, possono essere

soppresse allorché vengono meno le specifiche situazioni che le abbiano generate. (2)

(1-2) I. - In generale, sui profili di equivalenza delle mansioni, che

giustificano il legittimo esercizio dello ius variandi datoriale, cfr. Cass. 1° settembre 2000, n. 11457, Foro it., Rep. 2001, voce Lavoro (rap porto), n. 787; 12 ottobre 1999, n. 11479, id.. Rep. 2000, voce cit., n. 881; 10 agosto 1999, n. 8577, ibid., n. 885; 17 marzo 1999, n. 2428, id..

Rep. 1999, voce cit., n. 953. II. - Sulla sostanziale inesistenza di un principio d'irriducibilità della

retribuzione, a seguito dello spostamento a diverse mansioni, ancorché

equivalenti, quantomeno nei limiti indicati nella massima in epigrafe, la

giurisprudenza è ormai ampiamente consolidata: per alcuni precedenti, cfr. Cass. 7 dicembre 2000, n. 15517, id., Rep. 2000, voce cit., n. 1256; 8 giugno 1999, n. 5659, ibid., n. 1324; 19 settembre 1986, n. 5682, id., 1987,1, 861, con nota di richiami.

III. - In dottrina, per alcune considerazioni in argomento, cfr. S. Fi gurati, Mutamento di mansioni e limiti del principio dì irriducibilità della retribuzione, in Mass. giur. lav., 1996, 327; E. Gragnoli, Asse

II Foro Italiano — 2002.

Svolgimento del processo. — Con ricorso al Pretore di Cata

nia in data 1° agosto 1995, Salvatore Giuffrida conveniva in

giudizio la datrice di lavoro, Ferrovie dello Stato - società di

trasporti e servizi per azioni, per ottenere — previa declaratoria

d'illegittimità del mutamento di mansioni (da addetto all'orga nizzazione ed al collaudo del lavoro di altri dipendenti presso l'officina manutenzione locomotive di Catania ad addetto alle

sole mansioni organizzative), in quanto di natura disciplinare e,

inoltre, perché sorretto da motivazione contraddittoria fondata

sulle proprie condizioni di salute (ipoacusia) — la reintegrazio

ne nelle mansioni precedentemente svolte nonché il risarci

mento del danno subito in dipendenza del venire meno, nel

l'esercizio delle nuove mansioni, di emolumenti percepiti nel

l'esercizio delle mansioni precedenti (quali: indennità di lavoro

straordinario, per il turno di sabato, di pronto soccorso e di repe ribilità).

Nel contraddittorio delle parti, il pretore adito accoglieva la

domanda — pur negando la natura disciplinare del provvedi

mento di mutamento delle mansioni e la dequalificazione pro fessionale del lavoratore in dipendenza del medesimo provve dimento — in base al rilievo che era stato accertato in giudizio che il lavoratore non era affetto da ipoacusia da rumore e che,

comunque, era da escludersi la sussistenza di qualsiasi aggra vamento di tale patologia in dipendenza dell'adibizione alle

mansioni precedentemente svolte.

A seguito df gravame della società soccombente, il Tribunale

di Catania, in riforma dell'appellata sentenza, rigettava la do

manda di Salvatore Giuffrida — con la sentenza ora denunciata — in base ai rilievi seguenti:

— esclusa la natura disciplinare del provvedimento di muta

mento delle mansioni e la dequalificazione professionale in di

pendenza del provvedimento medesimo — sulla base dell'ac

certamento del primo giudice — non si possono muovere censu

re alla società datrice di lavoro; — sebbene sia stato escluso — ex post

— dalla consulenza

tecnica svolta in prime cure, il pericolo di aggravamento delle

infermità del Giuffrida — addotto a motivazione di quel prov vedimento — risultava (da prescrizione della divisione sanitaria

delle Ferrovie dello Stato) all'atto del provvedimento medesimo

e ne giustificava l'adozione; —

gli emolumenti (indennità di lavoro straordinario, per il

turno di sabato, di pronto soccorso e di reperibilità) — dei quali

si lamenta la perdita a seguito del mutamento di mansioni —

sono diretti a compensare modalità estrinseche della prestazione lavorativa e, come tali, possono legittimamente venir meno al

lorché non sussistono più le circostanze estrinseche cui sono

connesse.

Avverso la sentenza d'appello, il soccombente propone ricor

so per cassazione, affidato a due motivi.

La società intimata resiste con controricorso, illustrato da

memoria.

Motivi della decisione. — 1. - Con il primo motivo di ricorso — denunciando (ai sensi dell'art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione e

falsa applicazione di norme di diritto (art. 2103, 1175, 1375

c.c.) — Salvatore Giuffrida censura la sentenza impugnata per averlo adibito a mansioni diverse e non equivalenti a quelle pre cedentemente svolte, in pregiudizio della propria professionali tà, sebbene l'accertamento della divisione sanitaria delle Ferro vie dello Stato, da un lato, giustificasse soltanto un mutamento

temporaneo e provvisorio delle mansioni e, dall'altro, fosse

stato superato dalla c.t.u., così violando sia i limiti allo ius va

riandi, sia i principi di correttezza e buona fede.

Con il secondo motivo dello stesso ricorso — denunciando

vizio di motivazione (ai sensi dell'art. 360, n. 5, c.p.c.) — Sal

vatore Giuffrida censura la sentenza impugnata per avere, bensì, riconosciuto l'insussistenza di qualsiasi pericolo di aggrava mento delle proprie condizioni di salute, ma di averne ricavato, tuttavia, conclusioni incoerenti in ordine alla legittimità della

propria adibizione permanente a mansioni non equivalenti a

quelle precedentemente svolte.

Il ricorso non è fondato.

gnazioni a mansioni equivalenti, irriducibilità della retribuzione e in dennità accessorie, in Riv. it. dir. lav., 1993, II, 170. Per un quadro complessivo della disciplina, cfr. M. Brollo. La mobilità interna del lavoratore. Mutamento di mansioni e trasferimento, in P. Schlesinger (a cura di), Commentario al codice civile, Milano, 1997, sub art. 2103.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

2. - La denuncia di un vizio di motivazione, nella sentenza

impugnata con ricorso per cassazione (ai sensi dell'art. 360, n.

5, c.p.c.), non conferisce al giudice di legittimità il potere di rie

saminare autonomamente il merito dell'intera vicenda proces suale sottoposta al suo vaglio, bensì soltanto quello di controlla

re, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza

logico-formale, le argomentazioni — svolte dal giudice del me

rito, al quale spetta in via esclusiva l'accertamento dei fatti, al

l'esito dell'insindacabile selezione e valutazione delle fonti del

proprio convincimento — con la conseguenza che il vizio di

motivazione deve emergere — secondo l'orientamento (ora)

consolidato della giurisprudenza di questa corte (v., per tutte, le

sentenze 13045/97, Foro it., Rep. 1997, voce Cassazione civile, n. 81, delle sezioni unite, e 4667/01, id., Rep. 2001, voce cit., n.

129; 14858/00, id., Rep. 2000, voce cit., n. 138; 9716/00, ibid., n. 114; 4916/00, ibid., n. 118; 8383/99, id., Rep. 1999, voce cit., n. 119, delle sezioni semplici)

— dall'esame del ragionamento svolto dal giudice di merito, quale risulta dalla sentenza impu

gnata, e può ritenersi sussistente solo quando, in quel ragiona

mento, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insuffi

ciente) esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d'ufficio, ovvero quando esista insanabile

contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale

da non consentire l'identificazione del procedimento logico

giuridico posto a base della decisione; mentre non rileva la mera

divergenza tra valore e significato, attribuiti dallo stesso giudice di merito agli elementi da lui vagliati, ed il valore e significato diversi che, agli stessi elementi, siano attribuiti dal ricorrente e, in genere, dalle parti.

Tuttavia un vizio siffatto non sussiste nella motivazione della

decisione impugnata, quale risulta dalla sentenza d'appello non

ché da accertamenti e statuizioni, che ne risultano confermati,

della sentenza di primo grado (v., per tutte, Cass. n. 1075 del

1995, id., Rep. 1995, voce cit., n. 26). Alla luce dell'enunciato principio, sono da escludersi, altresì,

i denunciati vizi di violazione di norme di diritto (errores in iu

dicando). 3. - Intanto non è censurabile, in sede di legittimità, l'accer

tamento di fatto con autorità di giudicato (art. 2909 c.c.) — non

essendo stata appellata, sul punto, la sentenza del pretore — cir

ca l'equivalenza tra le mansioni, assegnate al lavoratore (ed at

tuale ricorrente) nell'esercizio dello ius variandi (art. 2103 c.c.), e quelle precedentemente svolte.

Destituita di qualsiasi fondamento risulta, pertanto, la denun

cia di asserita illegittimità dell'esercizio dello ius variandi (art. 2103 c.c., cit.).

Peraltro la sentenza impugnata non merita censure, laddove

limita la garanzia d'irriducibilità della retribuzione (ai sensi dello stesso art. 2103 c.c., cit.), nel caso di esercizio legittimo —

appunto — dello ius variandi, alla sola retribuzione compen

sativa delle qualità professionali intrinseche essenziali delle

mansioni precedenti, che ne risulta tutelata, mentre esclude la

stessa garanzia — in coerenza con l'orientamento giurispruden

ziale consolidato di questa corte (v., per tutte, le sentenze

15517/00, id., Rep. 2000, voce Lavoro (rapporto), n. 1256; 5659/99, ibid., n. 1324; 11460/97, id., Rep. 1998, voce cit., n.

1193; 8704/97, ibid., n. 1194) — per quelle componenti della retribuzione, che siano erogate, invece, per compensare parti colari modalità della prestazione lavorativa, cioè caratteristiche

estrinseche non correlate con le prospettate qualità professionali della stessa, e, come tali suscettibili di riduzione una volta ve

nute meno, nelle nuove mansioni, quelle caratteristiche estrinse

che che ne risultavano compensate. Coerentemente, il tribunale nega, quindi, la garanzia d'irridu

cibilità per gli emolumenti pretesi dall'attuale ricorrente (quali le indennità di reperibilità, pronto soccorso e lavoro straordina

rio) in quanto — all'esito dell'accertamento di fatto dello stesso

giudice di merito, sorretto da motivazione non investita da spe cifiche censure (e, comunque, congrua ed immune da vizi) —

quelle «indennità» risultano «dirette a compensare delle moda

lità estrinseche della prestazione (...) che possono legittima mente venire meno allorché non sussistono più le circostanze

estrinseche cui sono connesse».

Tanto basta per rigettare le censure del ricorrente, che inve

stono — sotto profili diversi — l'esercizio legittimo dello ius

variandi.

4. - Invero le condizioni di salute del lavoratore ed attuale ri

II Foro Italiano — 2002 — Parte I-58.

corrente (ipoacusia da rumore e rischio del suo aggravamento) — addotte a motivazione del mutamento di mansioni, del quale si discute — non assumono rilievo, per quanto si è detto, al fine

dell'esercizio legittimo dello ius variandi (ai sensi dell'art.

2103 c.c., cit.). A tal fine, infatti, è sufficiente l'equivalenza tra le nuove

mansioni e quelle precedentemente svolte.

Non risulta violata, peraltro, la garanzia d'irriducibilità della

retribuzione.

Pertanto non incidono — sulla legittimità dell'esercizio dello

ius variandi, appunto — le risultanze contrastanti in ordine alle

prospettate condizioni di salute del lavoratore: il relativo accer

tamento — all'atto dell'esercizio dello ius variandi — è stato

successivamente smentito, infatti, dalla consulenza tecnica

svolta nel giudizio di primo grado. Le stesse condizioni di salute e le risultanze relative non

sembrano rilevare, peraltro, neanche ai fini della violazione dei

principi di correttezza e buona fede (ai sensi degli art. 1175 e

1375 c.c.), parimenti denunciata dal ricorrente in funzione del

preteso risarcimento dei danni, asseritamente subiti in dipen denza della mancata percezione delle ricordate indennità, a se

guito del mutamento di mansioni.

5. - Nel rispetto delle disposizioni di legge in materia (art. 2103 c.c.) — come integrate dalla (eventuale) disciplina collet

tiva, in senso (necessariamente) più garantistico a favore del la

voratore (v. Cass. 1563/94, id., Rep. 1994, voce cit., n. 833) —

l'esercizio dello ius variandi rientra nella discrezionalità del

datore di lavoro, che non è di per sé sottratta — in linea gene rale — all'osservanza dei doveri di correttezza e buona fede e,

per il caso di violazione, al rimedio del risarcimento dei danni

(v., per tutte, Cass., sez. un., 10178/90, id., Rep. 1991, voce cit., n. 750; 494/SU/00, id., 2001, I, 2475; sezioni semplici 682/01, id., Rep. 2001, voce cit., n. 779; 11291/00, id., Rep. 2000, voce cit., n. 850; 8468/00, ibid., n. 1217).

Tuttavia le clausole generali di correttezza e buona fede —

che operano nell'ambito sia dei singoli rapporti obbligatori (art. 1175 c.c.), sia del complessivo assetto di interessi sotteso al

l'esecuzione del contratto (art. 1375 c.c.) — non introducono

nei rapporti giuridici diritti ed obblighi, diversi da quelli legis lativamente o contrattualmente previsti, ma sono destinate ad

operare all'interno dei rapporti medesimi, in funzione integrati va di altre fonti, con la conseguenza che rilevano — secondo la

giurisprudenza di questa corte (v., per tutte, le sentenze 4570/96

delle sezioni unite, id., 1996, I, 1989, anche in motivazione, e

3775/94, id., 1995,1, 1296; 9867/98, id., Rep. 1999, voce cit., n. 983; 15517/00, cit., delle sezioni semplici)

— soltanto come

modalità di comportamento delle parti, ai fini della concreta

realizzazione delle rispettive posizioni di diritto o di obbligo, e — in quanto attengono alle modalità comportamentali ed ese

cutive del contratto, quale esso è stato stipulato dalle parti — si

pongono nel sistema — come limite interno di ogni situazione

giuridica soggettiva, attiva o passiva, contrattualmente assunta o

legislativamente imposta, appunto — così concorrendo, da un

lato, alla relativa conformazione, in senso (eventualmente) am

pliativo o restrittivo rispetto alla fisionomia apparente, e, dal

l'altro, consentendo al giudice di verificarne la coerenza con i

valori espressi nel rapporto. Ne risulta garantita, per tale via, l'apertura del sistema giuri

dico ad un rapporto dialettico costante con il contesto socio

economico e culturale di riferimento.

6. - Alla luce del principio di diritto enunciato, l'esercizio

dello ius variandi è affidato alla discrezionalità del datore di la

voro — nel rispetto delle previste regole (equivalenza tra le

nuove mansioni e quelle precedentemente svolte, appunto, e ga ranzia di irriducibilità della retribuzione), incontroverso nella

specie — ma non deve essere giustificato da alcuna ragione

(come quelle previste per il trasferimento) né, comunque, sor

retto da motivazione.

Un obbligo siffatto (di giustificazione, appunto, e di motiva zione) non è previsto dalla legge

— né da altra fonte — e, pe

raltro, non può essere autonomamente imposto, per quanto si è

detto, dalle clausole generali di correttezza e buona fede.

Ciò non esclude, tuttavia, che il datore di lavoro — nell'eser

cizio dello ius variandi, affidato alla sua discrezionalità — pos

sa violare quelle clausole generali ed essere tenuto, di conse

guenza, a risarcire i danni che ne derivino.

Correttezza e buona fede — quale limite interno di ogni si

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PARTE PRIMA

tuazione giuridica soggettiva, attiva o passiva, contrattualmente

assunta o legislativamente imposta —

impongono, infatti, a cia

scun contraente di cooperare alla realizzazione dell'interesse di

controparte e, come tali, costituiscono — secondo la giurispru denza di questa corte (v., per tutte, le sentenze 15517/00, cit.;

7440/00, id., Rep. 2000, voce cit., n. 1026; 6900/97, id., 1998,1, 1582) — il filtro necessario per impedire che l'esercizio della

discrezionalità di ciascuna delle parti del rapporto (quale, nella

specie, il datore di lavoro) possa sfociare in una discriminazio

ne, vessazione o, comunque, in un mero arbitrio in danno di

controparte. La prospettata violazione di clausole generali, tuttavia, risulta

nella specie esclusa dalla sentenza impugnata, laddove — all'e

sito di un accertamento di fatto incensurabile, in sede di legitti mità, perché sorretto da motivazione non investita da specifiche censure (e, comunque, congrua ed immune da vizi) — ha rite

nuto il mutamento di mansioni, del quale si discute, giustificato dalle condizioni di salute del lavoratore (ed attuale ricorrente) —

quali risultavano in quel momento — e ne ha, perciò, impli citamente escluso il carattere discriminatorio, vessatorio o, co

munque, arbitrario.

Anche a voler prescindere da tali considerazioni, peraltro as

sorbenti, il risarcimento andrebbe comunque negato, tuttavia, in

difetto di qualsiasi danno ingiusto del lavoratore (ed attuale ri

corrente), non potendosi considerare ingiusta la mancata corre

sponsione a seguito del mutamento di mansioni — che integra il

preteso danno — di indennità (quali, nella specie, quelle di re

peribilità, pronto soccorso e lavoro straordinario), che — all'e

sito di accertamento di fatto incensurabile — risultano, per

quanto si è detto, «dirette a compensare modalità estrinseche

della prestazione (...)» e, perciò, «possono legittimamente venir

meno allorché non sussistono più le circostanze estrinseche cui

sono connesse».

7. - Pertanto, il ricorso va integralmente rigettato.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 10 maggio 2002, n. 6735; Pres. Carbone, Est. Vittoria, P.M.

Russo (conci, diff.); Soc. Ras (Avv. Spadafora) c. Mechelli e

altro (Avv. Ferretti), Giornelli (Avv. Palumbo), Soc. Vitto

ria assicurazioni (Avv. Spina) e altra. Conferma App. Perugia 24 maggio 2000.

Professioni intellettuali — Malformazione del feto — Omes

sa informazione — Interruzione della gravidanza — Peri

colo per la salute della donna — Stato al momento della

nascita — Estensione al momento antecedente (Cost., art.

32; cod. civ., art. 1218; 1. 22 maggio 1978 n. 194, norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria

della gravidanza, art. 6, 7). Professioni intellettuali — Malformazione del feto — Omes

sa informazione — Interruzione della gravidanza — Pos

sibilità di vita autonoma del feto — Onere della prova (Cod. civ., art. 2697; 1. 22 maggio 1978 n. 194, art. 6, 7).

Professioni intellettuali — Malformazione del feto — Omes sa informazione — Interruzione della gravidanza — Deci

sione della donna — Regolarità causale — Volontà con

traria — Onere della prova (Cod. civ., art. 1218, 1223,

2697; 1. 22 maggio 1978 n. 194, art. 6, 7). Professioni intellettuali — Malformazione del feto — Omes

sa informazione — Interruzione della gravidanza — Peri

colo per la salute della donna — Danni risarcibili (Cost., art. 32; cod. civ., art. 1218, 1223; 1. 22 maggio 1978 n. 194, art. 6, 7).

In caso di mancata rilevazione delle malformazioni fetali da

parte del ginecologo, la relazione tra l'inadempimento del

Il Foro Italiano — 2002.

debitore e la lesione de! diritto all'interruzione della gravi danza oltre il novantesimo giorno impone di verificare se

l'informazione dovuta avrebbe potuto determinare un grave

pericolo per la salute psicofisica della donna; a tal fine è

possibile valorizzare la situazione venutasi a determinare al

momento della nascita, ben potendo da ciò desumersi che un

tale stato si sarebbe potuto verificare se la circostanza fosse stata comunicata prima del parto. (1)

In caso di mancata rilevazione delle malformazioni fetali da

parte del ginecologo, al fine di verificare l'incidenza dell 7

nadempimento all'obbligazione professionale sul diritto al

l'interruzione della gravidanza (il cui esercizio presuppone che il feto non abbia possibilità di vita autonoma se non sus

siste un pericolo per la vita della donna), occorre far riferi mento al livello di maturità del feto nel momento dell'ina

dempimento e la relativa prova incombe sul debitore conve

nuto. (2) In caso di perdita del diritto alla scelta se interrompere, o no,

la gravidanza in presenza di malformazioni fetali, è possibile assumere come normale e conforme al piano della regolarità causale la decisione della donna di interrompere la gravidan za se tempestivamente informata, potendo semmai divenire

oggetto di indagine qualora siano allegati elementi per rite

nere il contrario. (3)

L'inadempimento del ginecologo, il quale erroneamente non

rilevi una malformazione del feto, determina il diritto, non

solo della donna, ma anche del marito, al risarcimento del

danno patrimoniale e non patrimoniale, compreso quello de

rivante dal trauma dovuto alla scoperta della condizione del

figlio. (4)

( 1 -4) I. - Con la pronuncia in epigrafe si conclude la sofferta vicenda

processuale dei coniugi umbri i quali, dolorosamente segnati dalla na scita di un figlio affetto da una gravissima sindrome invalidante, ebbero a promuovere l'azione risarcitoria nei confronti del ginecologo incari cato di assistere la madre durante la gestazione, addebitandogli la man cata rilevazione delle malformazioni fetali, omissione prospettata come

preclusiva circa la scelta della donna di non portare a termine la gravi danza. 11 Supremo collegio conferma la condanna inflitta dalla corte di merito (v. App. Perugia 24 maggio 2000, Foro it., Rep. 2001, voce

Professioni intellettuali, nn. 129, 130, annotata da E. Bellisario, Na scita indesiderata e vita non voluta: esperienze europee a confronto, in

Familia, 2001, 824, e E. Romano, Responsabilità medica da nascita in

desiderata, in Rass. giur. umbra, 2000, 640), che aveva riconosciuto la

responsabilità del professionista incapace di diagnosticare le anomalie del nascituro, incrementando notevolmente, rispetto a quanto statuito dai giudici di prime cure (v. Trib. Perugia 7 settembre 1998, Foro it., 1999, I. 1804, con nota di A. Palmieri), l'entità della somma da liqui dare agli istanti.

Ritorna così in Cassazione uno dei filoni in cui si articola la casistica in tema di wrongful birth e wrongful life (R. Simone, Danno alla perso na per nascita indesiderata, in Danno e resp., 2002, 469 s., enumera ben sei sottocategorie, suscettibili a propria volta di arricchirsi di ulte riori sfumature), quello che trova il suo evento generatore nell'inesatta od omessa informazione (frutto, in genere, di errore diagnostico), da

parte del sanitario, circa le condizioni del concepito ed i rischi di me nomazioni verificabili al momento della nascita. Usualmente, ipotesi del genere vengono alla ribalta in controversie civili, dove l'autore del l'illecito è passibile di una condanna ad una prestazione pecuniaria in favore della madre e/o del padre. Nondimeno, quando gli esami diagno stici non sono condotti con accuratezza, il medico può andar incontro ad una sanzione penale per il reato di lesioni personali (per un'ipotesi applicativa, v. Trib. Locri-Siderno 6 ottobre 2000, Foro it.. Rep. 2001, voce Danni civili, nn. 142, 211, 239 [annotata da P. Ziviz, Danno bio

logico e danno esistenziale: parallelismi e sovrapposizioni, in Resp. civ., 2001, 417; F. Bilotta, Il danno esistenziale: l'isola che non c'e

ra, in Danno e resp., 2001, 39; R. Torino, Nascita inaspettata di figlia malfanne e danno esistenziale della madre, in Corriere giur., 2001, 786; M. Bona, Mancata diagnosi di malformazioni fetali: responsabi lità del medico ecografìsta e risarcimento del danno esistenziale da

«wrongful birth», in Giur. it., 2001, 735; G. Cassano, Danno esisten ziale, e così sia!, in Dir. famiglia, 2001, 1052; Id., Responsabilità da

procreazione e danno esistenziale, in Famiglia e dir., 2001, 421; Id., In tema di danno esistenziale: brevi puntualizzazioni, in Giur. merito, 2001, 1048; A.C. Zanuzzi, Danno esistenziale e responsabilità da ina

dempimento dell'obbligazione in un caso di «malpractice» medica, ibid., 1042; R. Iacovazzi, Il danno «esistenziale»: brevi considerazioni su «an» e «quantum» della nuova ipotesi risarcitoria, in Temi romana, 2000, 1202; E. Bellisario, Nascita indesiderata, cit.], che si è altresì

pronunciata sulle richieste risarcitone della parte civile). L'altro filone principale, caratterizzato dal fallimento (occultato dal

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