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Sezione lavoro; sentenza 11 agosto 1983, n. 5352; Pres. Coletti, Est. Pontrandolfi, P. M. Antoci...

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Sezione lavoro; sentenza 11 agosto 1983, n. 5352; Pres. Coletti, Est. Pontrandolfi, P. M. Antoci (concl. conf.); Soc. Montefibre (Avv. Benedetti, Nicoletti) c. Provenda (Avv. Bernardinetti). Cassa senza rinvio Trib. Terni 6 gennaio 1978 Source: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 12 (DICEMBRE 1983), pp. 3037/3038-3045/3046 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23176925 . Accessed: 28/06/2014 19:15 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.220.202.46 on Sat, 28 Jun 2014 19:15:32 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Sezione lavoro; sentenza 11 agosto 1983, n. 5352; Pres. Coletti, Est. Pontrandolfi, P. M. Antoci(concl. conf.); Soc. Montefibre (Avv. Benedetti, Nicoletti) c. Provenda (Avv. Bernardinetti).Cassa senza rinvio Trib. Terni 6 gennaio 1978Source: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 12 (DICEMBRE 1983), pp. 3037/3038-3045/3046Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23176925 .

Accessed: 28/06/2014 19:15

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

il valore dell'immobile alla data nella quale si verificano i pre

supposti ... e il valore, aumentato delle spese indicate nel suc

cessivo art. 11, che l'immobile aveva alla data dell'acquisto ovvero

della precedente tassazione ».

Ciò significa che il procedimento logico-giuridico per la deter

minazione dell'imponibile deve basarsi su due entità (di valore)

autonome, pur se riferentisi allo stesso bene, correlate ai due

momenti indicati dalla legge, con la conseguenza che deve ope rarsi un semplice calcolo della differenza tra esse al fine di sta

bilire il valore imponibile.

Questo meccanismo non esclude perciò che uno solo dei due

parametri di valutazione possa costituire oggetto di rettifica o di

contestazione, senza che l'altro dato ne sia necessariamente coin

volto.

Peraltro, pur affermandosi questo principio fondamentale in

conformità alle norme citate, non può non considerarsi l'ipotesi,

posta in rilievo da varie decisioni della Commissione tributaria

centrale e dalla stessa nota 7 novembre 1974 n. 12187/7488 del

ministero delle finanze, in cui in ordine alla denunzia prevista dall'art. 18, il valore iniziale sia stato erroneamente indicato in

misura minore con danno per il contribuente, senza che vi sia

stata rettifica per esso da parte dell'ufficio finanziario, mentre sia

stato rettificato l'altro valore, e cioè quello maggiore all'epoca

dell'applicazione della imposta, in corrispondenza ai prezzi del

mercato edilizio. In tal caso, è evidente che l'ufficio finanziario

non ha l'obbligo di procedere, a proprio svantaggio, ad una

analoga rettifica del valore iniziale denunziato dal contribuente, né la commissione tributaria può procedere ad un raffron

to fra termini diversi da quelli indicati secondo la norma di

legge. Non può negarsi che un estremo rigore al riguardo produrreb

be serie ingiustizie, tali da essere rilevanti anche sul piano della

legittimità costituzionale in relazione alla norma dell'art. 53 Cost.,

quando particolarmente vi siano stati errori del dichiarante, e ciò

con opportuna distinzione tra le due ipotesi previste dall'art. 6

secondo che il precedente acquisto, considerato per il termine

iniziale del raffronto, sia compreso nel decennio precedente al

l'impostazione o meno.

Invero, nel primo caso, il termine iniziale del raffronto è un

dato certo e documentale, già noto all'amministrazione finanziaria

con conseguente possibilità di controllo immediato e diretto, e

cioè il valore dichiarato dallo stesso contribuente per il preceden te trasferimento e quello accertato definitivamente per esso. In

tali casi, ovviamente, un successivo errore del contribuente sulla entità della precedente dischiarazione o dell'accertamento, riguar dando quei documenti in possesso dell'ufficio tributario, può ritenersi non pregiudizievole perché l'elemento posto a base della nuova imposizione è costituito dalla effettiva misura di quella iniziale dichiarazione e del relativo accertamento in conformità a dati conosciuti e accettati dall'ufficio finanziario. Non è fuor

luogo rilevare che in tali casi l'imposizione relativa all'atto

precedente, ai fini dell'imposta di registro e di successione, fatta

per la cifra più elevata è ulteriore motivo per legittimare e

giustificare la rilevabilità di quell'errore su elemento già reso noto da allora all'amministrazione finanziaria ohe ne aveva percepito la

maggiore imposta. Diverso è il caso di un errore di valutazione del contribuente

dichiarante nel caso di cui al 3° comma dello stesso art. 6, e cioè di appartenenza del bene per acquisto ultradecennale, perché in tal caso egli deve compiere valutazione soggettiva attuale con riferimento ai valori anteriori al decennio.

Va, poi, premesso che il potere di rettifica delle proprie denunzie da parte del contribuente è stato, ormai, riconosciuto in linea generale a tutela del medesimo per evitare le più gravi conseguenze delle denunzie non corrispondenti al vero con le

applicazioni di maggiori interessi e sovrattasse e che, in ogni caso, quelle rettifiche avrebbero il valore di una difesa per evitare un aumento dell'imponibile costituito dalla menzionata differenza.

Inoltre, poiché, come già rilevato, non può non ammettersi la rettifica nel caso previsto dallo stesso art. 6 per gli acquisti entro il decennio quando nella nuova denunzia di cui all'art. 18 vi sia stato errore nella indicazione sul menzionato dato documentale della precedente denunzia e del precedente accertamento, non sembra che possa escludersi nella stessa materia ogni deducibilità di un giustificabile errore per il caso di proprietà ultradecennale.

Conseguentemente, deve riconoscersi, in seguito ai maggiori accertamenti dell'ufficio con modifica del valore finale, un potere del contribuente di effettuare, a propria difesa, una rettifica per giustificabile errore della denunzia del valore iniziale già indicato, ma, proprio per il suo contenuto di eccezione difensiva, essa non può non essere sottoposta a due ulteriori limitazioni.

In primo luogo, quella rettifica non può essere diretta a ridurre

la differenza imponibile corrispondente alla coppia di valori già

denunziati, e quindi non può indicare un valore iniziale tale da

ridurre ulteriormente quella differenza secondo i valori dichiarati

rispetto al maggiore valore finale accertato dall'ufficio tributario.

Diversamente si avrebbe una pretesa del contribuente all'applica zione di un imponibile minore rispetto a quello già da lui

riconosciuto e accettato.

In secondo luogo, trattandosi di una rettifica a difesa del

contribuente fondata su sue valutazioni e deduzioni personali nell'ambito dei di lui poteri, quella variazione non può essere

effettuata dal giudice tributario se non in seguito a domanda ed

eccezione del medesimo, senza che si possa rilevare d'ufficio un

errore in quella dichiarazione di scienza non dedotta dalla parte interessata.

In base a tale delimitazione dei poteri delle commissioni

tributarie, la decisione impugnata — nella quale si è solo afferma

to un assoluto e incondizionato potere delle stesse di rettifica pur del valore iniziale dichiarato dal contribuente in caso di aumento

di quello finale — deve essere cassata con rinvio alla Commissio

ne centrale per nuovo esame.

Quest'ultima, nel disposto rinvio, dovrà attenersi al principio in

virtù del quale, nelle controversie relative all'imponibile ai fini

dell'i.n.v.i.m., nel caso di accertamento o di riconoscimento di un

maggior valore finale dell'immobile al quale si riferisce l'imposta, non si deve necessariamente riconoscere un aumento del valore iniziale rispetto a quello dichiarato dal contribuente e non

formante oggetto di contestazione. Può, tuttavia, il contribuente

in seguito alla intimazione di un maggior accertamento per il

valore finale, rettificare, a propria tempestiva difesa nell'osservan za del contraddittorio nei diversi gradi e delle relative preclusio ni, l'opposto valore iniziale come da lui dichiarato quando dimostri un proprio giustificabile errore e purché non sia ridotto

l'imponibile differenziale risultante dalla dichiarazione originaria. Le commissioni tributarie, a loro volta, non possono, senza tale

tempestiva rettifica del contribuente, modificare in aumento il valore iniziale dichiarato dal medesimo.

Il ricorso va, pertanto, accolto. (Omìssis)

I

CORTE DI CASSAZIONE; Sezione lavoro; sentenza 11 ago sto 1983, n. 5352; Pres. Coletti, Est. Pontrandolfi, P. M. An

toci (conci, conf.); Soc. Montefibre (Aw. Benedetti, Nico

letti) c. Provenda (Avv. Bernardinetti). Cassa senza rinvio

Trib. Terni 6 gennaio 1978.

Procedimento civile — Azione di accertamento — Interesse ad

agire — Insussistenza — Fattispecie di rapporto di lavoro (Cod.

proc. civ., art. 100; cod. civ., art. 2120).

È inammissibile per carenza di interesse ad agire la domanda di

accertamento della fittizietà della interruzione del rapporto di

lavoro nel passaggio dalla categoria operaia alla categoria im

piegatizia, nel caso in cui il datore di lavoro non abbia mai

contestato tale fittizietà (nella motivazione la Cassazione af

ferma inoltre che anche qualora si ritenesse la incertezza della

situazione giuridica mancherebbe comunque un danno alla sfe ra giuridica dell'attore, poiché, essendo egli ancora in servizio,

il suo diritto alla indennità di anzianità non si è ancora perfe

zionato). (1)

(1-3) Le affermazioni enucleabili dalle sentenze che si riportano, in

ordine alla tutela di mero accertamento, sono essenzialmente due.

a) 'Per aversi tutela di mero accertamento (come in generale per

qualsiasi forma di tutela giurisdizionale) deve sussistere interesse ad

agire. Tale interesse si sostanzia in una situazione di incertezza in

ordine ad un rapporto giuridico, incertezza che provochi un danno effettivo ed attuale alla sfera giuridica dell'attore.

Genericamente sulla necessità della esistenza di una situazione di incertezza per aversi tutela di mero accertamento v. Cass. 27 giugno 1981, n. 4169, Foro it., Rep. 1981, voce Procedimento civile, n. 80; 28

giugno 1980, n. 4089, id., Rep. 1980, voce cit., n. 56; 7 luglio 1980, n.

4339, ibid., n. 58; Trib. Roma 26 gennaio 1979, ibid., n. 60, in materia di clausole contrattuali riguardanti oneri fiscali relativi ad un

rapporto di mutuo; Cass. 7 febbraio 1979, n. 830, id., Rep. 1979, voce cit., n. 50. Infine, v. Pret. Milano, ord. 8 giugno 1978, id., 1978, I, 2651, con nota di richiami, che, sul punto dell'interesse ad agire in mero accertamento, rinvia a Cass. 6 dicembre 1975, n. 4053, id., 1976, I, 1022, con osservazioni di A. -Proto (Pisani.

In senso conforme a Cass. 5352/83 qui riportata, cfr. Cass. 25 maggio

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3039 PARTE PRIMA 3040

II

CORTE DI CASSAZIONE; Sezione lavoro; sentenza 14 mag

gio 1983, n. 3338; Pres. A. Caleca, Est. Scala, P. M. Miccio

(conci, conf.); I.n.a.i.l. (Avv. Cataldi, Oraziani) c. Alpinoli

(Aw. Agostini). Conferma Trib. La Spezia 16 luglio 1977.

Procedimento civile — Pensione di invalidità civile — Azione di

mero accertamento — Ammissibilità della domanda — Fattispe cie (Cod. proc. civ., art. 99, 100, 442; 1. 30 marzo 1971 n. 118, conversione in legge del d.l. 30 gennaio 1971 n. 5 e nuove norme in favore dei mutilati ed invalidi civili, art. 12).

È ammissibile la domanda con cui il lavoratore richiede il mero

accertamento della sussistenza del proprio diritto alla tutela

assicurativa contro le malattie professionali, in quanto si tratta di un vero e proprio diritto soggettivo (e non di una fattispecie incompleta) distinto dal diritto alla prestazione che nasce solo al verificarsi dell'evento protetto (nella motivazione la Cassa zione afferma che sussiste inoltre l'interesse ad agire poiché il

disconoscimento da parte dell'istituto di assicurazione della sussistenza del rischio ambientale crea una situazione di incer

tezza in ordine alla sussistenza del rapporto di assicurazio

ne). (2)

III

PRETURA DI TORINO; sentenza 31 marzo 1983; Giud. Peyron; Piacenza (Aw. Fiorio) c. Min. interno e Min. sanità.

Procedimento civile >— Pensione di invalidità civile — Azione di mero accertamento — Improponibilità della domanda — Fatti

specie (Cod. proc. civ., art. 99, 442; 1. 30 marzo 1971 n. 118, art. 12).

È improponibile la domanda con cui si richiede l'accertamento

della esistenza dei soli requisiti di carattere medico legale at

tinenti alla inabilità lavorativa, senza fare il riferimento né alla

condizione economica dell'interessato, né più in generale al riconoscimento del diritto alla pensione di invalidità civile, poi ché la tutela giurisdizionale di mero accertamento può avere ad

oggetto solo diritti soggettivi e non fatti o norme. (3)

1982, n. 3198, id., Rep. 1982, voce cit., n. 63, e Cass. 25 maggio 1982, n. 3199, ibid., n. 64.

Inoltre sempre sulla natura fittizia della interruzione del rapporto di lavoro quando il lavoratore cambi semplicemente di qualifica e permanga a lavorare nella stessa impresa, v. Pret. Milano 22 marzo 1979, id., Rep. 1979, voce Lavoro (rapporto), n. 1370; Cass. 18 aprile 1975, n. 1498, id., Rep. 1975, voce cit., n. 506, ed infine Cass. 12 ottobre 1974, n. 2823, id., 1974, I, 2984, con nota di richiami.

b) La tutela di mero accertamento (come ogni tipo di tutela giurisdizionale) può avere per oggetto solo diritti soggettivi, quindi né meri fatti né fattispecie in via di perfezionamento.

In generale su questo problema nell'ambito del rito di lavoro, v. Pret. Napoli 11 aprile 1979, 28 febbraio 1979 e 3 febbraio 1979, id., 1979, I, 1575, con nota di richiami.

In senso conforme a Cass. 3338/83 che si riporta, v. Cass. 3 novembre 1982, n. 5763, id., Rep. 1982, voce Infortuni sul lavoro, n. 86, che ha ritenuto erronee le motivazioni delle pur conformi Cass. 27

aprile 1982, n. 2606, ibid., n. 70, e 20 novembre 1981, n. 6165, id.,

Rep. 1981, voce cit., n. 46, le quali hanno affermato l'ammissibilità dell'azione pur non ritenendola diretta all'accertamento di un diritto

soggettivo perfetto, ma soltanto di un elemento della fattispecie. Jn senso contrario, v. Cass. 2 febbraio 1982, n. 624, id., Rep. 1982,

voce Previdenza sociale, n. 766 (dalla quale muove la motivazione di Pret. Torino 31 marzo 1983 che si riporta) che ha ritenuto ['«inam missibilità» (mentre il Pretore di Torino parla di «improponibilità») dell'azione del lavoratore tendente ad ottenere soltanto l'accertamento della sua esposizione al rischio d'inabilità da malattia professionale e non la costituzione della relativa rendita, cassando Trib. La Spezia 15

giugno 1976, id., Rep. 1978, voce Infortuni sul lavoro, n. 362. Nel senso che il potere del giudice del merito di qualificare

giuridicamente l'azione proposta in giudizio (cfr. Cass. 20 agosto 1981, n. 4956, id., Rep. 1981, voce cit., n. 110) trova limite nell'impossibilità di mutarne gli elementi costitutivi e nel rispetto del principio della

corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, v. Cass. 13 marzo 1982, n. 1646, id., Rep. 1982, voce cit., n. 13; 10 maggio 1980, n. 3082, id., Rep. 1980, voce cit., n. 64; 15 gennaio 1980, n. 370, ibid., n. 62 e in Giur. it., 1980, I, 1, 1034, con nota di Piria.

Per riferimenti sull'ammissibilità della domanda in relazione al

petitum nel rito di lavoro, cfr. Cass. 20 agosto 1980, n. 4959, Foro il., 1981, I, 1148, con nota di richiami di Trisorio Liuzzi.

Sulla competenza del pretore in funzione di giudice del lavoro sulle controversie vertenti sul diritto alla pensione di invalidità civile, nonché sulla legittimazione passiva del ministero dell'interno, cfr. Cass. 30 ottobre 1981, n. 5729, ibid., 2928, con nota di richiami.

In dottrina in genere sulla inammissibilità di azioni di mero accertamento aventi ad oggetto meri fatti v. A. 'Proto Pisani, Appunti

I

Svolgimento del processo. — Con ricorso depositato il 12

gennaio 1977, Provenda Corrado esponeva al Pretore di Terni, in

funzione di giudice del lavoro che era stato assunto dalla

Montefibre s.p.a. nell'ottobre 1951 in qualità di operaio e che,

all'atto di passaggio alla qualifica impiegatizia, avvenuto il 1°

dicembre 1962, gli era stata liquidata l'indennità di anzianità fino

ad allora maturata sul presupposto dì una fittizia interruzione del

rapporto di lavoro subordinato, peraltro espressamente consentita

dal contratto collettivo di lavoro allora in vigore per i dipendenti della industria chimica, mentre l'attuale contratto collettivo stabi

liva, per coloro che, come esso Provenda, avevano ottenuto la

liquidazione dell'indennità di anzianità al passaggio alla catego ria impiegatizia, che, all'atto della definitiva cessazione del rap

porto di lavoro, l'indennità in oggetto fosse calcolata nella misura

degli 8/30 dell'ultima retribuzione mensile per ciascuno degli anni

trascorsi nella qualifica operaia o speciale, anziché dei 15/30, dei

20/30 o dei 30/30 di tale ultima retribuzione, stabiliti per coloro

che non avevano ricevuto l'indennità di anzianità all'atto del

passaggio di categoria.

Premesso, pertanto, ohe la riferita disposizione del contratto

collettivo di lavoro, in vigore attualmente, perpetuava, implicita mente riconoscendola, anche se col fine di correggerla, la fittizia

interruzione del rapporto di lavoro precedentemente realizzata, il

Provenda chiedeva che fosse dichiarata fittizia l'interruzione

del rapporto operata all'atto del suo passaggio alla categoria

impiegatizia, con conseguente affermazione dell'obbligo della so

cietà convenuta di liquidargli l'indennità di anzianità in relazione

all'intera durata del rapporto. Costituitasi in giudizio, la società convenuta eccepiva prelimi

narmente la carenza di interesse ad agire dell'attore, osservando

che la domanda di costui appariva rivolta ad ottenere una

pronuncia relativamente alla liquidazione dell'indennità di anzia

nità da effettuarsi in un tempo futuro in cui avrebbe potuto essere vigente una normativa del tutto diversa da quella attuale

in considerazione della quale il ricorso di controparte era stato

avanzato. Nel merito, deduceva l'infondatezza della pretesa avver

saria, sostenendo la piena legittimità della disposizione transitoria

dell'attuale contratto collettivo di lavoro, che consentiva un

diverso calcolo dell'indennità di anzianità per coloro che già avessero percepito l'indennità in questione all'atto del passaggio di categoria. Sosteneva, poi, che la diversa e meno favorevole

previsione relativa, quanto alla determinazione dell'indennità di

anzianità, ai lavoratori già « liquidati » trovava logica giustifica zione nei vantaggi legati all'anticipata riscossione di parte dell'in

dennità suddetta. Sosteneva ancora che il danno riportato dal

Provenda per effetto della normativa transitoria relativa ai lavora

tori già « liquidati » non era comunque dimostrato, essendo lo

stesso Provenda ancora in servizio. Rilevando, infine che, nell'ipo tesi di disapplicazione della normativa transitoria, il Provenda sarebbe venuto a godere di una liquidazione non spettantegli, richiedeva, in via riconvenzionale e subordinata, la restituzione di

quanto erogato, maggiorato di interessi e rivalutazione. Nel corso del giudizio veniva sentito il legale rappresentante

della società convenuta, il quale precisava che non v'era stata interruzione del rapporto, anche se il Provenda aveva percepito l'indennità di anzianità in base alle norme contrattuali allora in

vigore. Con sentenza 5-23 maggio 1977 l'adito pretore dichiarava la

nullità dell'interruzione del rapporto di lavoro operata all'atto del

passaggio del Provenda alla categoria impiegatizia, conseguente mente dichiarava l'unicità del rapporto di lavoro corrente tra le

parti e condannava lo stesso Provenda alla restituzione della somma percepita a titolo di indennità di anzianità all'atto del

passaggio alla categoria impiegatizia, con gli interessi dalla do

manda, ravvisando nella fattispecie un'ipotesi di pagamento di indebito.

Su appello della società Montefibre, al quale resisteva il Pro

venda, il Tribunale di Terni, sezione lavoro, con sentenza 7 novembre 1977-6 gennaio 1978 respingeva il gravame e condan nava la società appellante al pagamento delle spese del secondo

grado di giudizio che liquidava in complessive lire 235.000.

Riguardo all'eccezione di mancanza dell'interesse ad agire, sollevata in primo grado dalla società convenuta e da questa ribadita nell'atto di appello, rilevava il tribunale che la sentenza

sulla tutela di mero accertamento, in Rìv. trim. dir. e proc. civ., 1979, 620, !(e in Appunti sulla giustizia civile, 75), spec. n. 10, ed ivi anche analisi di giurisprudenza, cui adde, sulla tutela di mero accertamento in generale, Montesano, Le tutele giurisdizionali dei diritti, Bari, 1981, 79 ss. e Chiarloni, Misure coercitive e tutela dei diritti, Milano, 1980, 217 ss.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

impugnata di primo grado conteneva fondamentalmente una di

chiarazione di nullità riguardante la fittizia interruzione del

rapporto di lavoro. Ora, la società appellante non aveva negato che la predetta interruzione fosse stata fittizia, laddove espressa mente aveva precisato di non avere sostenuto la novazione del

rapporto per il passaggio del Provenda alla categoria impiegatizia, ma ciò non escludeva l'interesse del Provenda alla pronuncia

giurisprudenziale, giacché, se è vero che il diritto all'indennità di

anzianità si perfeziona soltanto con la definitiva cessazione del

rapporto, pur tuttavia non poteva negarsi, nella specie, un rile

vante interesse (ai sensi dell'art. 1421 c.c., sufficiente per la

legittimazione all'azione) a far dichiarare la nullità di un'interru

zione che, seppure da ritenersi nulla e fittizia in relazione al

vigente art. 2120 c.c., mostrava, comunque, un'apparente concre

tizzazione nel fatto stesso della corresponsione dell'indennità di

anzianità per il periodo precedente a tale fittizia interruzione.

Nel merito, osservava il tribunale che l'anticipata corresponsio ne dell'indennità calcolata su una retribuzione di categoria prece dente e che, ai sensi della citata norma transitoria del contratto

collettivo nazionale di lavoro del 1970, avrebbe condizionato con

un minore coefficiente, per gli anni trascorsi nella categoria

precedente, la liquidazione definitiva, appariva in contrasto con

l'art. 2120 c.c., il quale, pur ammettendo la liquidazione «a

scaglioni », richiedeva, comunque e in via inderogabile, che la

liquidazione dell'indennità di anzianità fosse effettuata con riferi

mento all'ultima retribuzione, seppure con coefficienti diversi.

Invece, ammettendo la liquidazione anticipata, riferita a retri

buzione di categoria diversa da quella della definitiva cessazione

del rapporto, e condizionando la liquidazione definitiva con

specifici coefficienti fissati in relazione al fatto di tale anticipata

corresponsione, si veniva ad ammettere che l'indennità di anziani

tà potesse essere, almeno in parte, del tutto svincolata da ogni criterio di proporzionalità con l'ultima retribuzione, e ciò in

chiaro contrasto con l'art. 2120 c.c., che espressamente stabilisce

che l'ammontare dell'indennità sia fissato « in base all'ultima

retribuzione ».

Avverso la suddetta sentenza la Montefibre s.p.a. ha proposto rituale ricorso per cassazione affidato a due motivi di annulla

mento e illustrato da successiva memoria. Ha resistito il Provenda con rituale controricorso, anch'esso illustrato da successiva memo

ria.

Motivi dalla decisione. — Col primo motivo del ricorso, denunciando violazione e falsa applicazione dell'art. 100 c.p.c., nonché insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, la società ricorrente deduce l'erroneità della sentenza impugnata per avere ritenuto l'esistenza di un concreto interesse del Provenda ad agire, mentre tale interesse

difettava, essendo carenti entrambi i requisiti della presente azione di accertamento: la situazione di pregiudizio e l'attualità del pregiudizio medesimo.

Col medesimo motivo del ricorso, dedotto in via meramente subordinata al mancato accoglimento del primo, denunciando violazione e falsa applicazione degli art. 1362 e 2120 c.c., nonché contraddittoria e insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, la società contesta, sotto il doppio profilo della violazione delle norme di ermeneutica contrattuale e del vizio di

motivazione, la valutazione contenuta, nella sentenza impugnata, la quale ha ritenuto il contrasto della norma transitoria dell'art. 29 del vigente c.c.n.l. degli addetti all'industria chimica, con l'art.

2120 c.c.

11 primo motivo, che ripropone questioni identiche a quelle già risolte da questa corte in analoghe sentenze (Cass. 25 maggio 1982, nn. 3198 e 3199, Foro it., Rep. 1982, voce Procedimento

civile, nn. 63 , 64) è fondato.

La domanda attrice mirava ad un duplice accertamento:. il

primo relativo alla fittizietà dell'interruzione del rapporto di

lavoro (che, invece, doveva essere considerato unico) e il secondo

relativo all'applicabilità della normativa principale (esattamente,

quella che sarebbe stata in vigore alla definitiva cessazione del

rapporto di lavoro), previa dichiarazione di nullità della disposi zione transitoria contenuta in calce all'art. 29 c.c.n.l. 1970 per i

dipendenti dell'industria chimica, in vigore all'epoca di introdu

zione della lite.

Ora, va rilevato, in via generale, che, essendo nel nostro

ordinamento inibito al giudice risolvere solo questioni teoriche ai

fini di una pronuncia dal contenuto astratto e congetturale, nelle azioni dichiarative di accertamento l'interesse ad agire va ravvisa to nel superamento di una incertezza, considerata in termini

oggettivi e non soggettivi, sull'esistenza di un rapporto giuridico controverso e sull'esatta portata di obblighi negoziali, con concre to riferimento all'oggetto specifico della domanda, allo scopo di

rimuovere un'allegata situzione di pregiudizio (Cass. 7 luglio 1980, n. 4339, id., Rep, 1980, voce oit., n. 58).

Più in particolare, è principio consolidato in giurisprudenza che

l'interesse ad agire in giudizio si determina in relazione alla

concreta utilità che dall'esercizio della giurisdizione può derivare

alla parte; con la conseguenza che, nelle azioni di mero accerta

mento, tale interesse non sussiste qualora venga richiesta l'elimi

nazione di una situazione di incertezza in un rapporto giuridico dalla quale derivi un pregiudizio meramente potenziale e non

concreto e attuale (Cass. 22 gennaio 1980, n. 487, ibid., n. 55).

Orbene, nella fattispecie non è dato di ravvisare l'esistenza di

un interesse ad agire nel senso sopra indicato.

Infatti, dei due accertamenti richiesti, il primo — quello relativo

alla fittizietà dell'interruzione del rapporto di lavoro — non

dipendeva affatto da una situazione di incertezza da rimuovere,

nessuna contestazione essendo stata mossa, sul punto, dalla socie

tà Montefibre, la quale, anzi, come si evince dalla parte motiva

della stessa sentenza impugnata, si era espressa per l'esclusione di

una novazione del rapporto all'atto del passaggio del Provenda

alla categoria impiegatizia e non aveva negato la fittizietà dell'in

terruzione del rapporto di lavoro; chiara in tal senso essendo, del

resto, la stessa previsione della normativa collettiva, ricognitrice di

tale natura fittizia, sia implicitamente (commisurazione dell'inden

nità di anzianità alla totalità degli anni di servizio), sia esplicita mente (v. art. 29 del citato c.c.n.l. di categoria:« Il passaggio di

qualifica non costituisce di per sé motivo per la risoluzione del

rapporto di lavoro »).

A ciò aggiungasi l'orientamento di questa corte che, in tema, ha affermato che la proposizione, ripetuta in vari contratti

collettivi succedutisi nel tempo, secondo la quale il passaggio

degli operai alla categoria impiegatizia importerebbe la risoluzio

ne automatica del rapporto di lavoro e la contestuale riassunzione

del dipendente con la nuova qualifica, non ha portata precettiva, ma esprime soltanto un punto di vista adottato dalle parti contraenti come ragione giustificativa delle varie clausole regolanti

gli effetti dell'anzidetto passaggio di categoria sulle obbligazioni

attinenti al rapporto di lavoro (Cass. 12 ottobre 1974, n. 2822,

id., Rep. 1974, voce Lavoro (rapporto), n. 421); orientamento al

quale si affianca quello secondo cui il passaggio del lavoratore

dalla categoria operaia a quella impiegatizia non comporta, di

per sé solo, una novazione e, quindi, l'interruzione del rapporto di lavoro, salvo che non ricorrano, nelle singole fattispecie,

particolari elementi di fatto, obiettivamente valutabili di per se

stessi od anche inerenti alla variazione della categoria professio nale, i quali consentono di accertare la sussistenza di mutamenti

nell'oggetto delle obbligazioni per effetto di una reale volontà

nova ti va del rapporto; mutamenti che, peraltro, non sono ravvi

sabili nel solo fatto che sia .stata liquidata al lavoratore l'indenni

tà di anzianità maturata alla data del passaggio di categoria, anche se tale liquidazione sia conforme ad un contratto collettivo

(Cass. 12 ottobre 1974, n. 2823 id., 1974, I, 2984).

Quanto al secondo accertamento richiesto — quello riguardante la normativa da applicare — devesi osservare che il diritto all'indennità di anzianità si perfeziona soltanto al momento del

l'estinzione del rapporto di lavoro e rimane, pertanto, interamente

regolato dalla disciplina giuridica vigente in tale momento (Cass. 15 maggio 1981, n. 3213 id., Rep, 1981, voce cit., n. 1937), con la

conseguenza che, essendo il Provenda ancora in servizio, il suo diritto all'indennità di anzianità non può risultare già leso dalla

disposizione transitoria del contratto collettivo, sopra indicata,

vigente all'epoca d'inizio della controversia.

E, se è vero che l'interesse ad agire, nell'azione di accertamen

to, non implica necessariamente l'attuale verificarsi della lesione

di un diritto (Cass. 9 dicembre 1980, n. 6371, id., Rep. 1980, voce

cit„ n. 1176), occorre pur sempre un pregiudizio attuale che l'attore risentirebbe dall'incertezza del proprio diritto se non

provocasse l'accertamento giudiziale sulla concreta volontà della

legge (Cass. 27 giugno 1981, n. 4169, id., Rep. 1981, voce

Procedimento civile, n. 80), pregiudizio che non è ravvisabile nella

specie, dato che, tutt'al più, esiste un pregiudizio meramente

potenziale, non essendo dato di conoscere la normativa che

opererà all'epoca della cessazione del rapporto di lavoro.

Ne consegue che, risultando la domanda azionata in giudizio inammissibile per difetto di interesse giuridicamente rilevante, il

primo motivo del ricorso va accolto, con assorbimento del secon do motivo, peraltro dedotto in via subordinata, che rimane

precluso.

Poiché mancava un interesse ad agire e la causa non poteva essere promossa (art. 382, 3° comma, c.p.c.), ne consegue che la sentenza impugnata deve essere cassata senza rinvio. (Omissis)

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3043 PARTE PRIMA 3044

II

Svolgimento del processo. — Con ricorso al Pretore di La

Spezia del 2 settembre 1976 Alpinoli Pietro esponeva quanto se

gue: che dal 1946 aveva prestato la propria opera alle dipendenze della s.p.a. Cantieri di Muggiano con mansioni di saldatore auto

geno; che aveva operato a terra ed a bordo di navi in costruzione e

in demolizione, nello stesso ambiente particolarmente rumoroso, in cui lavoravano squadre di calafatti, scalpellatori e trapanisti; che la domanda da lui inoltrata il 5 aprile 1973, per conseguire una rendita per sordità da rumori, era stata respinta dall'I .n.a.i.l.

con provvedimento del 24 luglio 1973, perché secondo l'ente pre detto esso Alpinoli non sarebbe stato assoggettato allo specifico rischio.

Ciò premesso l'istante conveniva in giudizio l'I.n.a.i.l. per far

dichiarare illegittimo il provvedimento con cui il predetto istituto

aveva escluso la sussistenza del rischio. Il convenuto si costituiva

eccependo l'inammissibilità della domanda perché diretta non

all'accertamento di un diritto ma di un presupposto di esso. Il

pretore adito con sentenza del 25 gennaio 1977 accoglieva la do

manda ed il Tribunale di La Spezia, provvedendo sul gravame pro

posto dall'I.n.a.i.l., confermava con sentenza depositata il 16 luglio 1977 la decisione di primo grado. Riteneva il tribunale che oggetto di un'azione di accertamento può essere non soltanto la situazione

corrispondente alla « piena maturazione di un diritto » ma anche

un elemento di tale situazione dotato di autonomo rilievo e

giuridicamente incerto, e sussista pertanto l'interesse ad agire (art. 100 c.p.c.); che nella specie l'assicurato aveva con la propria azione perseguito un reale e concreto interesse, tendendo la stessa

azione a rimuovere un provvedimento che aveva negato la

sussistenza di uno dei presupposti di fatto cui la legge subordina

la nascita del diritto alla rendita di inabilità e che, una volta

divenuto definitivo, poteva costituire futuro ostacolo insuperabile al

fine di ottenere la rendita, realizzandosi gli altri requisiti non

ancora esistenti.

Avverso questa sentenza ricorre per cassazione l'I.n.a.i.l. con

unico motivo. L'intimato resiste concontroricorso, illustrato con

memoria.

Motivi della decisione. — Con l'unico motivo il ricorrente

denuncia violazione e falsa applicazione degli art. 99 e 100 c.p.c., 2697 c.c., 3, 74, 131 t.u. 30 giugno 1965 n. 1124 e dei principi gene rali sull'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie

professionali nonché vizio di motivazione (art. 360, nn. 3 e 5,

c.p.c.) per aver la sentenza impugnata, sulla base di una erronea

nozione d'interesse ad agire, ritenuto ammissibile un'azione di

mero accertamento di una pretesa di cui non erano ancora

maturati tutti gli elementi della fattispecie costitutiva (nel caso, il

grado minimo indennizzabile d'inabilità). Il ricorso è infondato. Nella specie l'azione proposta dall'Alpino

li ha per oggetto il mero accertamento di un valido rapporto di assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali, automa

ticamente sorto ope legis per la ricorrenza dei necessari requisiti

soggettivi ed oggettivi (v. sent. 5 luglio 1979, n. 3863, Foro it.,

Rep. 1979, voce Infortuni sul lavoro, n. 241) rapporto contestato dall'I.n.a.i.l. sotto il profilo della insussistenza del c.d. rischio

ambientale.

Contrariamente a quanto ritenuto nella sentenza impugnata (emendabile sul punto a norma dell'art. 384, ult. comma, c.p.c.) l'accertamento richiesto non verte su una fattispecie incompleta ma sulla operatività stessa dell'assicurazione per le malattie profes sionali (v. sent. 4 luglio 1979, n. 3792, ibid., n. 180) e sulla conse

guente attuale sussistenza di quel diritto del lavoratore alla tutela

assicurativa che, genericamente garantito dall'art. 38 Cost, e con

cretamente attribuito dal t.u. n. 1124 del 1965, e ben distinguibile dal diritto alle prestazioni (sanitarie ed economiche) che nasce con il verificarsi dell'evento protetto e consiste in un determinato tratta

mento collegato ad una posizione assicurativa, anche se indipen dente dall'adempimento contributivo. Orbene tale posizione assicu

rativa, alla cui doverosa, regolare costituzione è preordinato

l'obbligo del datore di lavoro di denunciare all'I.n.a.i.l. l'inizio

delle lavorazioni protette, fornendo le altre indicazioni necessarie

ai fini della valutazione del rischio e della determinazione del

premio di assicurazione, può formare oggetto di mero accertamen

to allorché l'istituto assicuratore alleghi, come nella specie, la

sussistenza del rischio ambientale e rifiuti la formale costituzione

della stessa posizione assicurativa.

L'interpretazione di cui sopra trova conferma nei principi

seguenti già affermati da questa corte.

L'esistenza di un valido rapporto di assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali, contestata dall'I.n.a.i.l. sotto il

profilo dell'insussistenza del cosiddetto rischio ambientale, può costituire oggetto di un'azione di mero accertamento da parte del

lavoratore, il quale, nonostante l'automaticità delle prestazioni assicurative (che, al verificarsi dell'evento protetto, competono, indipendentemente dalla formale costituzione del rapporto assicu

rativo e dal relativo adempimento contributivo) ed il carattere unilaterale e non vincolante dell'apprezzamento dell'istituto, ha un concreto interesse ad agire per l'immediata eliminazione dell'obiet tiva situazione d'incertezza in ordine alla sussistenza del rapporto assicurativo (v. sent. 6175/81, id., Rep. 1981, voce cit., n. 46, e

2606/82, id., Rep. 1982, voce cit., n. 60). Pertanto il ricorso va rigettato. <Omissis)

III

Svolgimento del processo e motivi della decisione. — Piacenza Anna in Bigatti espone di aver presentato in data 29 gennaio 1981

domanda di pensione di invalidità civile, respinta dalla commis sione regionale sanitaria per gli invalidi civili con delibera 2

giugno 1982; assume per contro di esser nell'impossibilità assoluta — per varie malattie — di espletare qualsiasi lavoro proficuo e

chiede « dichiararsi che nella fattispecie sussistono i requisiti

medico-legali di cui agli art. 12 e 13 1. 1971 n. 118 per l'ottenimento a carico dello Stato a cura del ministero degli interni e del ministro della sanità del trattamento economico di cui agli art. 12 e 13 1. 118/71 ... », evocando in giudizio il ministero della sanità ed il ministero degli interni.

Si sono costituiti — tardivamente — i ministeri della sanità e

degli interni eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva in quanto la 1. 25 dicembre 1978 n. 833 ha trasferito alla U.S.L., tra l'altro, anche l'attività di accertamento medico per l'invalidità

civile. (Omissis) Ritiene il pretore che la domanda non possa esser presa in

esame poiché il ricorrente non fa valere in giudizio un diritto

soggettivo bensì si limita a chiedere l'accertamento di un fatto, il

che non è consentito poiché la giurisdizione — sia di condanna, di

accertamento o costitutiva — ha per oggetto diritti soggettivi e

non fatti o norme (art. 24, 1° comma, Cost.; art. 99 c.p.c.; Cass. 2

febbraio 1982, n. 624, Foro it., Rep. 1982, voce Procedimento

civile, n. 67: « All'infuori dei casi espressamente previsti dalla

legge, le azioni di mero accertamento — nelle quali l'accertamen

to stesso, anziché avere un valore pregiudiziale come in tutte le

altre azioni di cognizione, esaurisce lo scopo del processo — pos sono avere ad oggetto, al pari di ogni altra forma di tutela giurisdi zionale contenziosa, soltanto i diritti e non anche i fatti, sia pure giuridicamente rilevanti »).

Nella materia in esame esiste un diritto soggettivo alla pensione di inabilità (art. 12 1. 30 marzo 1971 n. 118), diritto rientrante nel la giurisdizione dell'a.g.o. e nella competenza del giudice del lavoro ai sensi dell'art. 442 c.p.c. (Cass. 30 ottobre 1981, n. 5729, id., 1981, I, 2928); la fattispecie costitutiva di tale diritto consta: a) di un requisito di carattere medico-legale attinente all'inabilità lavora tiva (art. 2 e 12, 1° comma, 1. 118/71), la cui sussistenza è

accertata, in via amministrativa, dalle apposite commissioni sanita rie (art. 6, 7, 8, 9, 10 1. 118/71); b) di un requisito relativo alle condizioni economiche (art. 12, 2° e 3° comma, 1. cit.), la cui sussistenza è accertata, in via amministrativa, dal comitato pro vinciale di assistenza e beneficenza pubblica (art. 14 e 15 1. cit.), organo che delibera altresì la concessione della pensione.

Orbene, è palese che col ricorso in questione la ricorrente non ha dedotto in giudizio il diritto soggettivo alla pensione, poiché nulla ha detto circa il requisito sub b), ma ha solamente chiesto di accertare la sussistenza del requisito sub a), sussistenza che è stata

negata in sede amministrativa; ma ciò non è consentito, per

quanto detto in precedenza. È bensì' vero che l'art. 22 1. citata recita: « Contro i provvedi

menti definitivi previsti dagli art. 9 e 15 è ammessa la tutela

giurisdizionale dinanzi ai competenti organi ordinari e amministra

tivi », ma non pare allo servente che tale sibillina norma consenta di stravolgere principi generali della giurisdizione portando a conoscenza del giudice non più diritti soggettivi ma segmenti di

fattispecie (con la conseguenza che un unico diritto soggettivo —

quello alla pensione di inabilità civile — potrebbe dar luogo a due

distinti giudizi: uno per accertare il requisito medico-legale, l'altro

per accertare il requisito delle condizioni economiche; e magari poi un terzo per interpretare la legge!).

Il ricorso deve perciò esser dichiarato improponibile poiché il

petitum non può formare oggetto di una pronuncia giurisdiziona le: si deduca in giudizio l'intera fattispecie, si chieda l'accertamen

to del dritto alla pensione e, se si vuole, la condanna al pagamento della stessa ed allora il giudice potrà e dovrà accertare se si è

realizzata la fattispecie costitutiva del diritto e, quindi, anche se

sussistono i requisiti medico-legali controversi.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Ciò esime dal decidere la questione di legittimazione passiva;

pare peraltro opportuno segnalare come la pensione in questione sia posta dalla legge a carico del ministero dell'interno (art. 20 1.

cit): unico legittimato passivo a resistere pare perciò essere tale

ministero (implicitamente, Cass. 30 ottobre 1981, cit.; esplicitamen

te, Pret. Mistretta 7 maggio 1979, id., Rep. 1980, voce Invalidi, n.

15), il ministero della sanità -— e ora la U.S.L. — come soggetto dal quale dipendono le commissioni sanitarie previste dalla legge al fine dell'accertamento del requisito medico, non pare invece

legittimato passivo nella causa, se questa deve avere per oggetto il

diritto alla pensione e non solo l'impugnazione dell'accertamento

della commissione. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; Sezione II civile; sentenza 28 lu

glio 1983, n. 5204; Pres. Lo Coco, Est. Ioffrida, P. M. Cecere

(conci, conf.); U.p.i.c.a. di Como c. Brenna. Cassa Pret. Cantò

25 marzo 1981.

Commercio (disciplina del) — Commercio all'ingrosso — Vendita

ad utilizzatore professionale — Violazione del divieto di eserci zio congiunto di attività di commercio all'ingrosso e al detta

glio — Fattispecie (L. 11 giugno 1971 n. 426, disciplina del

commercio, art. 1, 23, 39).

Il grossista, che vende ad utilizzatore professionale un singolo

prodotto (nella specie, una 'cassetta stereo') non attinente

direttamente e specificamente all'attività esercitata dall'acquiren te, incorre nel divieto di esercizio congiunto, nello stesso locale, di attività di commercio all'ingrosso e al dettaglio. (1)

(1) La Cassazione torna sull'annoso problema della violazione del divieto di esercizio di attività di vendita congiunta al dettaglio e

all'ingrosso (per i cui termini generali, v. V. Ragonesi, La disciplina dell'attività commerciale, Milano, 1981, 267 ss.). E, ancora una volta, il decisum ribadisce un orientamento avversato dalla dottrina prevalen te (v. Frignani, Il « cash & carry » nella teoria dell'impresa di commer cio all'ingrosso, Padova, 1981, 176 ss.; Schlesinger, Commercio al l'ingrosso e limiti relativi alle merci acquistabili presso il grossista, in Riv. dir. ind., 1981, II, 386 ss.; Pardolesi, «Cash and carry», disciplina del commercio, concorrenza sleale, in Foro it., 1978, I, 765 ss.). Si trattava, nel caso di specie, di stabilire quali acquisti l'utilizza tore professionale può effettuare presso il grossista senza che quest'ul timo incorra nel menzionato divieto o, se si preferisce, per quali prodotti può ritenersi plausibile una utilizzazione a fini professionali. A

parere della Cassazione, tale destinazione è configurable solo in relazione a beni « direttamente e specificamente attinenti all'esercizio dell'attività professionale esercitata dall'acquirente ». Viene cosi ripro posto, in forma meno chiara, il requisito dell'« omogeneità » degli acquisti con l'attività dell'aquirente: « owerossia l'identità della merce acquistata con quella normalmente trattata od utilizzata in modo professionale» (cosi Cass. 12 maggio 1981, n. 3127, id., 1981, I, 1892, con nota di Pardolesi). In pratica, sarebbero leciti i soli acquisti di beni inerenti all'oggetto dell'attività d'impresa, con esclusione di tutti i prodotti che, pur necessari per l'esercizio di tale attività, non abbiano una diretta attinenza all'oggetto. Di rilievo è il contrasto tra la

posizione espressa dalla Suprema corte e la circolare n. 2261 /c emanata dal ministero dell'industria in data 8 marzo 1972, che cosi recita; « le norme di legge riguardanti gli utilizzatori professionali debbono intendersi applicabili non soltanto ai prodotti che formano oggetto dell'attività propria delle aziende agricole, industriali, artigiane e commerciali e a quelli direttamente utilizzati nell'esercizio dell'attivi tà, ma anche a qualsiasi prodotto che sia destinato al funzionamento dell'impresa » (conf. l'interpretazione proposta da Frignani, cit., 208-209, Schlesinger, cit., 388; e, da ultimo, G. Bernini, « Cash and carry»-, nuova frontiera del commercio all'ingrosso, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1983, 640, 645).

In questa seconda prospettiva, però, si dilata notevolmente il campo di beni per i quali diventa praticamente impossibile la distinzione, da parte del grossista, tra destinazione al funzionamento dell'impresa e destinazione al consumo privato. A ben vedere, è proprio da tale difficoltà di discernimento che si origina l'orientamento della Cassazio ne, che ha « tagliato corto » sul punto per far salva la nettezza di una

distinzione, quella tra ingrosso e dettaglio, « ormai ' pendente

' sul piano della realtà economica ove essa è ogni giorno più

' inquinata

'

dal sorgere di nuove forme di distribuzione » (cosi Guglielmetti, La nuova disciplina del commercio ed il commercio « self-service » all'ingros so in Italia, in Giur. it., 1977, IV, 193; v., anche, Pardolesi, cit., 765-766).

E appunto queste ultime risentono delle conseguenze negative del ' nuovo corso ', cui si rimprovera di causare un aumento dei costi dei

beni lato sensu strumentali e di eliminare il vantaggio dell'one-stop stopping (la possibilità, cioè, di acquistare presso un unico punto vendita tutti i prodotti necessari al funzionamento dell'impresa), propi ziato dalle nuove tendenze verso l'estensione dell'assortimento '

tipico '

del grossista: d'obbligo il rinvio al cap. I della monografia di

Il Foro Italiano — 1983 — Parte 1-196.

Svolgimento del processo. — Con decreto 19 dicembre 1977

l'ufficio provinciale commerciale e artigianato (U.p.i.c.a.) di Como

ingiungeva a Brenna Sergio di pagare all'ufficio registro di Cantù

la somma di lire 550.000, a titolo di sanzione amministrativa per aver violato l'art. 1 1. 11 giugno 1971 n. 426 vendendo a Chittaro

Giancarlo una radio cassetta, mentre era autorizzato ad esercitare

soltanto il commercio all'ingrosso di tale mercé. Avverso l'ingiun zione proponeva opposizione al Pretore di Cantu il Brenna,

chiedendone la revoca in quanto acquirente della radio cassetta

non era il Chittaro, persona solo incaricata al ritiro, ma la

impresa individuale Molteni Lino. A comprova esibiva fattura,

dichiarazione del Chittaro ed estratto del registro i.v.a., con

l'annotazione della vendita in questione. Si costituiva in giudizio

l'U.p.i.c.a. di Como chiedendo il rigetto dell'opposizione sull'as

sunto che, se pur vero che acquirente era il Molteni (e non il

Chittaro) cioè un imprenditore, questi non era un dettagliante dei

prodotti venduti dalla ditta del Brenna, ma un imbianchino, come

risultava dal certificato della camera di commercio. Ammesse ed

esperite prove per testi, il pretore con sentenza 25 marzo 1981

revocava l'ingiunzione de qua, condannando l'opposto al paga mento in favore dell'opponenente di spese e onorari.

Ricorrevano quindi, per cassazione l'U.p.i.c.a. di Como, e

l'amministrazione dell'industria e commercio, deducendo un uni

co mezzo di censura.

Motivi della decisione. — Osserva, innanzitutto, la corte che il

proposto gravame è di rituale, diretto ingresso in questa sede di

legittimità. Invero, l'iniziale accertata infrazione ex art. 1-39 1. 11

giugno 1971 n. 426 sulla disciplina del commercio, punita con

l'ammenda da lire 20.000 a lire 5.000.000, è stata per effetto

dell'art. 32 1. 24 novembre 1981 n. 689 depenalizzata e cosi

soggetta, ormai, solo a sanzione amministrativa, irroganda con

ordinanza-ingiunzione (art. 21) da parte dell'autorità competente; e contro tale ingiunzione i rimedi che dà la legge (art. 22 e 23) sono l'opposizione al pretore e indi il diretto ricorso in Cassazio

ne (« la sentenza è inappellabile ma è ricorribile per cassazione »

recita l'ult. comma dell'art. 23). Ciò premesso, lamentano i ricorrenti violazione e falsa applica

zione dell'art. 1 1. 11 giugno 1971 n. 426 in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c., nonché insufficiente, contraddittoria motivazione su

un punto decisivo della controversia: il pretore ha ritenuto che

nella specie non sussista l'infrazione di esercizio congiunto di

commercio al minuto e all'ingrosso di cui all'art. 1 1. n. 426/71, in quanto il prodotto in questione, radio-cassetta, sarebbe stato

venduto dal grossista di apparecchi radio, opponente Brenna

Sergio, alla ditta individuale Molteni, che tale prodotto avrebbe

acquistato per utilizzarlo professionalmente. Ciò, però, erronea

mente, perché il Molteni è un imbianchino e perciò versato in

attività del tutto diversa dal prodotto acquistato; mentre le addotte considerazioni in sentenza che la radio-cassetta potrebbe essere usata dall'acquirente nel suo laboratorio per rendere più

Frignani, cit. Resta da vedere se vi sia un apprezzabile cui prodest in termini di vantaggio (protezionistico) per gli interessi del dettaglio polverizzato, che — secondo una freschissima dichiarazione del presi dente della Confcommercio Orlando alla presentazione alla stampa del XVIII Expo CT di Milano, 4 novembre 1983 — chiude bottega al ritmo di oltre 5.000 punti-vendita annui.

Un ultimo rilievo, questa volta di carattere tecnico-formale, in riferimento al requisito dell'attività congiunta. Sulla scia della sentenza 3127/81, la Cassazione ha infatti ritenuto sussistente un'attività di vendita al minuto per il sol fatto che si sia venduta, a suo parere contra legem, una cassetta-stereo. Nell'affermare ciò, si va ben oltre gli stessi limiti entro cui il legislatore ha voluto circoscrivere la repressione dell'attività congiunta. « Attività », infatti, non è, per insegnamento costante (v., per tutti, Ascarelli, Corso di diritto commerciale3, Milano, 1962, 161 ss.), un atto isolato, ma compimento sistematico di una serie di atti. Né è certo concesso, con una sorta di presunzione iuris et de iure, dare per scontato che sussista attività di vendita ogni qualvolta sia rilevato il compimento di un singolo atto di vendita al

dettaglio. Non è un caso, dunque, che il recente indirizzo della Cassazione collida con la precedente giurisprudenza di merito (Pret. Torino, ord. 23 gennaio 1978, Foro it., 1978, I, 765, con nota

iPardolesi; Trib. Milano 12 aprile 1979, id., Rep. 1979, voce Commer cio (disciplina), n. 15; Pret. Firenze 2 maggio 1979, id., Rep. 1980, voce Provvedimenti d'urgenza, n. 129; Trib. Monza 18 maggio 1979, id. Rep. 1979, voce Commercio (disciplina), n. 18; nonché la stessa Pret. Cantó 25 marzo 1981 '(inedita) cassata dalla presente decisione; contra, Pret. Verona 26 aprile 1979 (inedita), avallata dalla dottrina

più autorevole (per tutti Sena, L'impresa di distribuzione, in Giur.

comm., 1977, I, 631, 634 e Schlesinger, cit., 390, che ironicamente afferma: «se la norma [art. 1 1. 426/71] andasse intesa cosi, essa sarebbe violata anche dal dettagliante che non impedisse nel suo

negozio acquisti destinati non già al ' consumo finale

' ma alla ri vendita »).

o. Troiano

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