Sezione lavoro; sentenza 11 agosto 1983, n. 5352; Pres. Coletti, Est. Pontrandolfi, P. M. Antoci(concl. conf.); Soc. Montefibre (Avv. Benedetti, Nicoletti) c. Provenda (Avv. Bernardinetti).Cassa senza rinvio Trib. Terni 6 gennaio 1978Source: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 12 (DICEMBRE 1983), pp. 3037/3038-3045/3046Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23176925 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
il valore dell'immobile alla data nella quale si verificano i pre
supposti ... e il valore, aumentato delle spese indicate nel suc
cessivo art. 11, che l'immobile aveva alla data dell'acquisto ovvero
della precedente tassazione ».
Ciò significa che il procedimento logico-giuridico per la deter
minazione dell'imponibile deve basarsi su due entità (di valore)
autonome, pur se riferentisi allo stesso bene, correlate ai due
momenti indicati dalla legge, con la conseguenza che deve ope rarsi un semplice calcolo della differenza tra esse al fine di sta
bilire il valore imponibile.
Questo meccanismo non esclude perciò che uno solo dei due
parametri di valutazione possa costituire oggetto di rettifica o di
contestazione, senza che l'altro dato ne sia necessariamente coin
volto.
Peraltro, pur affermandosi questo principio fondamentale in
conformità alle norme citate, non può non considerarsi l'ipotesi,
posta in rilievo da varie decisioni della Commissione tributaria
centrale e dalla stessa nota 7 novembre 1974 n. 12187/7488 del
ministero delle finanze, in cui in ordine alla denunzia prevista dall'art. 18, il valore iniziale sia stato erroneamente indicato in
misura minore con danno per il contribuente, senza che vi sia
stata rettifica per esso da parte dell'ufficio finanziario, mentre sia
stato rettificato l'altro valore, e cioè quello maggiore all'epoca
dell'applicazione della imposta, in corrispondenza ai prezzi del
mercato edilizio. In tal caso, è evidente che l'ufficio finanziario
non ha l'obbligo di procedere, a proprio svantaggio, ad una
analoga rettifica del valore iniziale denunziato dal contribuente, né la commissione tributaria può procedere ad un raffron
to fra termini diversi da quelli indicati secondo la norma di
legge. Non può negarsi che un estremo rigore al riguardo produrreb
be serie ingiustizie, tali da essere rilevanti anche sul piano della
legittimità costituzionale in relazione alla norma dell'art. 53 Cost.,
quando particolarmente vi siano stati errori del dichiarante, e ciò
con opportuna distinzione tra le due ipotesi previste dall'art. 6
secondo che il precedente acquisto, considerato per il termine
iniziale del raffronto, sia compreso nel decennio precedente al
l'impostazione o meno.
Invero, nel primo caso, il termine iniziale del raffronto è un
dato certo e documentale, già noto all'amministrazione finanziaria
con conseguente possibilità di controllo immediato e diretto, e
cioè il valore dichiarato dallo stesso contribuente per il preceden te trasferimento e quello accertato definitivamente per esso. In
tali casi, ovviamente, un successivo errore del contribuente sulla entità della precedente dischiarazione o dell'accertamento, riguar dando quei documenti in possesso dell'ufficio tributario, può ritenersi non pregiudizievole perché l'elemento posto a base della nuova imposizione è costituito dalla effettiva misura di quella iniziale dichiarazione e del relativo accertamento in conformità a dati conosciuti e accettati dall'ufficio finanziario. Non è fuor
luogo rilevare che in tali casi l'imposizione relativa all'atto
precedente, ai fini dell'imposta di registro e di successione, fatta
per la cifra più elevata è ulteriore motivo per legittimare e
giustificare la rilevabilità di quell'errore su elemento già reso noto da allora all'amministrazione finanziaria ohe ne aveva percepito la
maggiore imposta. Diverso è il caso di un errore di valutazione del contribuente
dichiarante nel caso di cui al 3° comma dello stesso art. 6, e cioè di appartenenza del bene per acquisto ultradecennale, perché in tal caso egli deve compiere valutazione soggettiva attuale con riferimento ai valori anteriori al decennio.
Va, poi, premesso che il potere di rettifica delle proprie denunzie da parte del contribuente è stato, ormai, riconosciuto in linea generale a tutela del medesimo per evitare le più gravi conseguenze delle denunzie non corrispondenti al vero con le
applicazioni di maggiori interessi e sovrattasse e che, in ogni caso, quelle rettifiche avrebbero il valore di una difesa per evitare un aumento dell'imponibile costituito dalla menzionata differenza.
Inoltre, poiché, come già rilevato, non può non ammettersi la rettifica nel caso previsto dallo stesso art. 6 per gli acquisti entro il decennio quando nella nuova denunzia di cui all'art. 18 vi sia stato errore nella indicazione sul menzionato dato documentale della precedente denunzia e del precedente accertamento, non sembra che possa escludersi nella stessa materia ogni deducibilità di un giustificabile errore per il caso di proprietà ultradecennale.
Conseguentemente, deve riconoscersi, in seguito ai maggiori accertamenti dell'ufficio con modifica del valore finale, un potere del contribuente di effettuare, a propria difesa, una rettifica per giustificabile errore della denunzia del valore iniziale già indicato, ma, proprio per il suo contenuto di eccezione difensiva, essa non può non essere sottoposta a due ulteriori limitazioni.
In primo luogo, quella rettifica non può essere diretta a ridurre
la differenza imponibile corrispondente alla coppia di valori già
denunziati, e quindi non può indicare un valore iniziale tale da
ridurre ulteriormente quella differenza secondo i valori dichiarati
rispetto al maggiore valore finale accertato dall'ufficio tributario.
Diversamente si avrebbe una pretesa del contribuente all'applica zione di un imponibile minore rispetto a quello già da lui
riconosciuto e accettato.
In secondo luogo, trattandosi di una rettifica a difesa del
contribuente fondata su sue valutazioni e deduzioni personali nell'ambito dei di lui poteri, quella variazione non può essere
effettuata dal giudice tributario se non in seguito a domanda ed
eccezione del medesimo, senza che si possa rilevare d'ufficio un
errore in quella dichiarazione di scienza non dedotta dalla parte interessata.
In base a tale delimitazione dei poteri delle commissioni
tributarie, la decisione impugnata — nella quale si è solo afferma
to un assoluto e incondizionato potere delle stesse di rettifica pur del valore iniziale dichiarato dal contribuente in caso di aumento
di quello finale — deve essere cassata con rinvio alla Commissio
ne centrale per nuovo esame.
Quest'ultima, nel disposto rinvio, dovrà attenersi al principio in
virtù del quale, nelle controversie relative all'imponibile ai fini
dell'i.n.v.i.m., nel caso di accertamento o di riconoscimento di un
maggior valore finale dell'immobile al quale si riferisce l'imposta, non si deve necessariamente riconoscere un aumento del valore iniziale rispetto a quello dichiarato dal contribuente e non
formante oggetto di contestazione. Può, tuttavia, il contribuente
in seguito alla intimazione di un maggior accertamento per il
valore finale, rettificare, a propria tempestiva difesa nell'osservan za del contraddittorio nei diversi gradi e delle relative preclusio ni, l'opposto valore iniziale come da lui dichiarato quando dimostri un proprio giustificabile errore e purché non sia ridotto
l'imponibile differenziale risultante dalla dichiarazione originaria. Le commissioni tributarie, a loro volta, non possono, senza tale
tempestiva rettifica del contribuente, modificare in aumento il valore iniziale dichiarato dal medesimo.
Il ricorso va, pertanto, accolto. (Omìssis)
I
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione lavoro; sentenza 11 ago sto 1983, n. 5352; Pres. Coletti, Est. Pontrandolfi, P. M. An
toci (conci, conf.); Soc. Montefibre (Aw. Benedetti, Nico
letti) c. Provenda (Avv. Bernardinetti). Cassa senza rinvio
Trib. Terni 6 gennaio 1978.
Procedimento civile — Azione di accertamento — Interesse ad
agire — Insussistenza — Fattispecie di rapporto di lavoro (Cod.
proc. civ., art. 100; cod. civ., art. 2120).
È inammissibile per carenza di interesse ad agire la domanda di
accertamento della fittizietà della interruzione del rapporto di
lavoro nel passaggio dalla categoria operaia alla categoria im
piegatizia, nel caso in cui il datore di lavoro non abbia mai
contestato tale fittizietà (nella motivazione la Cassazione af
ferma inoltre che anche qualora si ritenesse la incertezza della
situazione giuridica mancherebbe comunque un danno alla sfe ra giuridica dell'attore, poiché, essendo egli ancora in servizio,
il suo diritto alla indennità di anzianità non si è ancora perfe
zionato). (1)
(1-3) Le affermazioni enucleabili dalle sentenze che si riportano, in
ordine alla tutela di mero accertamento, sono essenzialmente due.
a) 'Per aversi tutela di mero accertamento (come in generale per
qualsiasi forma di tutela giurisdizionale) deve sussistere interesse ad
agire. Tale interesse si sostanzia in una situazione di incertezza in
ordine ad un rapporto giuridico, incertezza che provochi un danno effettivo ed attuale alla sfera giuridica dell'attore.
Genericamente sulla necessità della esistenza di una situazione di incertezza per aversi tutela di mero accertamento v. Cass. 27 giugno 1981, n. 4169, Foro it., Rep. 1981, voce Procedimento civile, n. 80; 28
giugno 1980, n. 4089, id., Rep. 1980, voce cit., n. 56; 7 luglio 1980, n.
4339, ibid., n. 58; Trib. Roma 26 gennaio 1979, ibid., n. 60, in materia di clausole contrattuali riguardanti oneri fiscali relativi ad un
rapporto di mutuo; Cass. 7 febbraio 1979, n. 830, id., Rep. 1979, voce cit., n. 50. Infine, v. Pret. Milano, ord. 8 giugno 1978, id., 1978, I, 2651, con nota di richiami, che, sul punto dell'interesse ad agire in mero accertamento, rinvia a Cass. 6 dicembre 1975, n. 4053, id., 1976, I, 1022, con osservazioni di A. -Proto (Pisani.
In senso conforme a Cass. 5352/83 qui riportata, cfr. Cass. 25 maggio
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3039 PARTE PRIMA 3040
II
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione lavoro; sentenza 14 mag
gio 1983, n. 3338; Pres. A. Caleca, Est. Scala, P. M. Miccio
(conci, conf.); I.n.a.i.l. (Avv. Cataldi, Oraziani) c. Alpinoli
(Aw. Agostini). Conferma Trib. La Spezia 16 luglio 1977.
Procedimento civile — Pensione di invalidità civile — Azione di
mero accertamento — Ammissibilità della domanda — Fattispe cie (Cod. proc. civ., art. 99, 100, 442; 1. 30 marzo 1971 n. 118, conversione in legge del d.l. 30 gennaio 1971 n. 5 e nuove norme in favore dei mutilati ed invalidi civili, art. 12).
È ammissibile la domanda con cui il lavoratore richiede il mero
accertamento della sussistenza del proprio diritto alla tutela
assicurativa contro le malattie professionali, in quanto si tratta di un vero e proprio diritto soggettivo (e non di una fattispecie incompleta) distinto dal diritto alla prestazione che nasce solo al verificarsi dell'evento protetto (nella motivazione la Cassa zione afferma che sussiste inoltre l'interesse ad agire poiché il
disconoscimento da parte dell'istituto di assicurazione della sussistenza del rischio ambientale crea una situazione di incer
tezza in ordine alla sussistenza del rapporto di assicurazio
ne). (2)
III
PRETURA DI TORINO; sentenza 31 marzo 1983; Giud. Peyron; Piacenza (Aw. Fiorio) c. Min. interno e Min. sanità.
Procedimento civile >— Pensione di invalidità civile — Azione di mero accertamento — Improponibilità della domanda — Fatti
specie (Cod. proc. civ., art. 99, 442; 1. 30 marzo 1971 n. 118, art. 12).
È improponibile la domanda con cui si richiede l'accertamento
della esistenza dei soli requisiti di carattere medico legale at
tinenti alla inabilità lavorativa, senza fare il riferimento né alla
condizione economica dell'interessato, né più in generale al riconoscimento del diritto alla pensione di invalidità civile, poi ché la tutela giurisdizionale di mero accertamento può avere ad
oggetto solo diritti soggettivi e non fatti o norme. (3)
1982, n. 3198, id., Rep. 1982, voce cit., n. 63, e Cass. 25 maggio 1982, n. 3199, ibid., n. 64.
Inoltre sempre sulla natura fittizia della interruzione del rapporto di lavoro quando il lavoratore cambi semplicemente di qualifica e permanga a lavorare nella stessa impresa, v. Pret. Milano 22 marzo 1979, id., Rep. 1979, voce Lavoro (rapporto), n. 1370; Cass. 18 aprile 1975, n. 1498, id., Rep. 1975, voce cit., n. 506, ed infine Cass. 12 ottobre 1974, n. 2823, id., 1974, I, 2984, con nota di richiami.
b) La tutela di mero accertamento (come ogni tipo di tutela giurisdizionale) può avere per oggetto solo diritti soggettivi, quindi né meri fatti né fattispecie in via di perfezionamento.
In generale su questo problema nell'ambito del rito di lavoro, v. Pret. Napoli 11 aprile 1979, 28 febbraio 1979 e 3 febbraio 1979, id., 1979, I, 1575, con nota di richiami.
In senso conforme a Cass. 3338/83 che si riporta, v. Cass. 3 novembre 1982, n. 5763, id., Rep. 1982, voce Infortuni sul lavoro, n. 86, che ha ritenuto erronee le motivazioni delle pur conformi Cass. 27
aprile 1982, n. 2606, ibid., n. 70, e 20 novembre 1981, n. 6165, id.,
Rep. 1981, voce cit., n. 46, le quali hanno affermato l'ammissibilità dell'azione pur non ritenendola diretta all'accertamento di un diritto
soggettivo perfetto, ma soltanto di un elemento della fattispecie. Jn senso contrario, v. Cass. 2 febbraio 1982, n. 624, id., Rep. 1982,
voce Previdenza sociale, n. 766 (dalla quale muove la motivazione di Pret. Torino 31 marzo 1983 che si riporta) che ha ritenuto ['«inam missibilità» (mentre il Pretore di Torino parla di «improponibilità») dell'azione del lavoratore tendente ad ottenere soltanto l'accertamento della sua esposizione al rischio d'inabilità da malattia professionale e non la costituzione della relativa rendita, cassando Trib. La Spezia 15
giugno 1976, id., Rep. 1978, voce Infortuni sul lavoro, n. 362. Nel senso che il potere del giudice del merito di qualificare
giuridicamente l'azione proposta in giudizio (cfr. Cass. 20 agosto 1981, n. 4956, id., Rep. 1981, voce cit., n. 110) trova limite nell'impossibilità di mutarne gli elementi costitutivi e nel rispetto del principio della
corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, v. Cass. 13 marzo 1982, n. 1646, id., Rep. 1982, voce cit., n. 13; 10 maggio 1980, n. 3082, id., Rep. 1980, voce cit., n. 64; 15 gennaio 1980, n. 370, ibid., n. 62 e in Giur. it., 1980, I, 1, 1034, con nota di Piria.
Per riferimenti sull'ammissibilità della domanda in relazione al
petitum nel rito di lavoro, cfr. Cass. 20 agosto 1980, n. 4959, Foro il., 1981, I, 1148, con nota di richiami di Trisorio Liuzzi.
Sulla competenza del pretore in funzione di giudice del lavoro sulle controversie vertenti sul diritto alla pensione di invalidità civile, nonché sulla legittimazione passiva del ministero dell'interno, cfr. Cass. 30 ottobre 1981, n. 5729, ibid., 2928, con nota di richiami.
In dottrina in genere sulla inammissibilità di azioni di mero accertamento aventi ad oggetto meri fatti v. A. 'Proto Pisani, Appunti
I
Svolgimento del processo. — Con ricorso depositato il 12
gennaio 1977, Provenda Corrado esponeva al Pretore di Terni, in
funzione di giudice del lavoro che era stato assunto dalla
Montefibre s.p.a. nell'ottobre 1951 in qualità di operaio e che,
all'atto di passaggio alla qualifica impiegatizia, avvenuto il 1°
dicembre 1962, gli era stata liquidata l'indennità di anzianità fino
ad allora maturata sul presupposto dì una fittizia interruzione del
rapporto di lavoro subordinato, peraltro espressamente consentita
dal contratto collettivo di lavoro allora in vigore per i dipendenti della industria chimica, mentre l'attuale contratto collettivo stabi
liva, per coloro che, come esso Provenda, avevano ottenuto la
liquidazione dell'indennità di anzianità al passaggio alla catego ria impiegatizia, che, all'atto della definitiva cessazione del rap
porto di lavoro, l'indennità in oggetto fosse calcolata nella misura
degli 8/30 dell'ultima retribuzione mensile per ciascuno degli anni
trascorsi nella qualifica operaia o speciale, anziché dei 15/30, dei
20/30 o dei 30/30 di tale ultima retribuzione, stabiliti per coloro
che non avevano ricevuto l'indennità di anzianità all'atto del
passaggio di categoria.
Premesso, pertanto, ohe la riferita disposizione del contratto
collettivo di lavoro, in vigore attualmente, perpetuava, implicita mente riconoscendola, anche se col fine di correggerla, la fittizia
interruzione del rapporto di lavoro precedentemente realizzata, il
Provenda chiedeva che fosse dichiarata fittizia l'interruzione
del rapporto operata all'atto del suo passaggio alla categoria
impiegatizia, con conseguente affermazione dell'obbligo della so
cietà convenuta di liquidargli l'indennità di anzianità in relazione
all'intera durata del rapporto. Costituitasi in giudizio, la società convenuta eccepiva prelimi
narmente la carenza di interesse ad agire dell'attore, osservando
che la domanda di costui appariva rivolta ad ottenere una
pronuncia relativamente alla liquidazione dell'indennità di anzia
nità da effettuarsi in un tempo futuro in cui avrebbe potuto essere vigente una normativa del tutto diversa da quella attuale
in considerazione della quale il ricorso di controparte era stato
avanzato. Nel merito, deduceva l'infondatezza della pretesa avver
saria, sostenendo la piena legittimità della disposizione transitoria
dell'attuale contratto collettivo di lavoro, che consentiva un
diverso calcolo dell'indennità di anzianità per coloro che già avessero percepito l'indennità in questione all'atto del passaggio di categoria. Sosteneva, poi, che la diversa e meno favorevole
previsione relativa, quanto alla determinazione dell'indennità di
anzianità, ai lavoratori già « liquidati » trovava logica giustifica zione nei vantaggi legati all'anticipata riscossione di parte dell'in
dennità suddetta. Sosteneva ancora che il danno riportato dal
Provenda per effetto della normativa transitoria relativa ai lavora
tori già « liquidati » non era comunque dimostrato, essendo lo
stesso Provenda ancora in servizio. Rilevando, infine che, nell'ipo tesi di disapplicazione della normativa transitoria, il Provenda sarebbe venuto a godere di una liquidazione non spettantegli, richiedeva, in via riconvenzionale e subordinata, la restituzione di
quanto erogato, maggiorato di interessi e rivalutazione. Nel corso del giudizio veniva sentito il legale rappresentante
della società convenuta, il quale precisava che non v'era stata interruzione del rapporto, anche se il Provenda aveva percepito l'indennità di anzianità in base alle norme contrattuali allora in
vigore. Con sentenza 5-23 maggio 1977 l'adito pretore dichiarava la
nullità dell'interruzione del rapporto di lavoro operata all'atto del
passaggio del Provenda alla categoria impiegatizia, conseguente mente dichiarava l'unicità del rapporto di lavoro corrente tra le
parti e condannava lo stesso Provenda alla restituzione della somma percepita a titolo di indennità di anzianità all'atto del
passaggio alla categoria impiegatizia, con gli interessi dalla do
manda, ravvisando nella fattispecie un'ipotesi di pagamento di indebito.
Su appello della società Montefibre, al quale resisteva il Pro
venda, il Tribunale di Terni, sezione lavoro, con sentenza 7 novembre 1977-6 gennaio 1978 respingeva il gravame e condan nava la società appellante al pagamento delle spese del secondo
grado di giudizio che liquidava in complessive lire 235.000.
Riguardo all'eccezione di mancanza dell'interesse ad agire, sollevata in primo grado dalla società convenuta e da questa ribadita nell'atto di appello, rilevava il tribunale che la sentenza
sulla tutela di mero accertamento, in Rìv. trim. dir. e proc. civ., 1979, 620, !(e in Appunti sulla giustizia civile, 75), spec. n. 10, ed ivi anche analisi di giurisprudenza, cui adde, sulla tutela di mero accertamento in generale, Montesano, Le tutele giurisdizionali dei diritti, Bari, 1981, 79 ss. e Chiarloni, Misure coercitive e tutela dei diritti, Milano, 1980, 217 ss.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
impugnata di primo grado conteneva fondamentalmente una di
chiarazione di nullità riguardante la fittizia interruzione del
rapporto di lavoro. Ora, la società appellante non aveva negato che la predetta interruzione fosse stata fittizia, laddove espressa mente aveva precisato di non avere sostenuto la novazione del
rapporto per il passaggio del Provenda alla categoria impiegatizia, ma ciò non escludeva l'interesse del Provenda alla pronuncia
giurisprudenziale, giacché, se è vero che il diritto all'indennità di
anzianità si perfeziona soltanto con la definitiva cessazione del
rapporto, pur tuttavia non poteva negarsi, nella specie, un rile
vante interesse (ai sensi dell'art. 1421 c.c., sufficiente per la
legittimazione all'azione) a far dichiarare la nullità di un'interru
zione che, seppure da ritenersi nulla e fittizia in relazione al
vigente art. 2120 c.c., mostrava, comunque, un'apparente concre
tizzazione nel fatto stesso della corresponsione dell'indennità di
anzianità per il periodo precedente a tale fittizia interruzione.
Nel merito, osservava il tribunale che l'anticipata corresponsio ne dell'indennità calcolata su una retribuzione di categoria prece dente e che, ai sensi della citata norma transitoria del contratto
collettivo nazionale di lavoro del 1970, avrebbe condizionato con
un minore coefficiente, per gli anni trascorsi nella categoria
precedente, la liquidazione definitiva, appariva in contrasto con
l'art. 2120 c.c., il quale, pur ammettendo la liquidazione «a
scaglioni », richiedeva, comunque e in via inderogabile, che la
liquidazione dell'indennità di anzianità fosse effettuata con riferi
mento all'ultima retribuzione, seppure con coefficienti diversi.
Invece, ammettendo la liquidazione anticipata, riferita a retri
buzione di categoria diversa da quella della definitiva cessazione
del rapporto, e condizionando la liquidazione definitiva con
specifici coefficienti fissati in relazione al fatto di tale anticipata
corresponsione, si veniva ad ammettere che l'indennità di anziani
tà potesse essere, almeno in parte, del tutto svincolata da ogni criterio di proporzionalità con l'ultima retribuzione, e ciò in
chiaro contrasto con l'art. 2120 c.c., che espressamente stabilisce
che l'ammontare dell'indennità sia fissato « in base all'ultima
retribuzione ».
Avverso la suddetta sentenza la Montefibre s.p.a. ha proposto rituale ricorso per cassazione affidato a due motivi di annulla
mento e illustrato da successiva memoria. Ha resistito il Provenda con rituale controricorso, anch'esso illustrato da successiva memo
ria.
Motivi dalla decisione. — Col primo motivo del ricorso, denunciando violazione e falsa applicazione dell'art. 100 c.p.c., nonché insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, la società ricorrente deduce l'erroneità della sentenza impugnata per avere ritenuto l'esistenza di un concreto interesse del Provenda ad agire, mentre tale interesse
difettava, essendo carenti entrambi i requisiti della presente azione di accertamento: la situazione di pregiudizio e l'attualità del pregiudizio medesimo.
Col medesimo motivo del ricorso, dedotto in via meramente subordinata al mancato accoglimento del primo, denunciando violazione e falsa applicazione degli art. 1362 e 2120 c.c., nonché contraddittoria e insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, la società contesta, sotto il doppio profilo della violazione delle norme di ermeneutica contrattuale e del vizio di
motivazione, la valutazione contenuta, nella sentenza impugnata, la quale ha ritenuto il contrasto della norma transitoria dell'art. 29 del vigente c.c.n.l. degli addetti all'industria chimica, con l'art.
2120 c.c.
11 primo motivo, che ripropone questioni identiche a quelle già risolte da questa corte in analoghe sentenze (Cass. 25 maggio 1982, nn. 3198 e 3199, Foro it., Rep. 1982, voce Procedimento
civile, nn. 63 , 64) è fondato.
La domanda attrice mirava ad un duplice accertamento:. il
primo relativo alla fittizietà dell'interruzione del rapporto di
lavoro (che, invece, doveva essere considerato unico) e il secondo
relativo all'applicabilità della normativa principale (esattamente,
quella che sarebbe stata in vigore alla definitiva cessazione del
rapporto di lavoro), previa dichiarazione di nullità della disposi zione transitoria contenuta in calce all'art. 29 c.c.n.l. 1970 per i
dipendenti dell'industria chimica, in vigore all'epoca di introdu
zione della lite.
Ora, va rilevato, in via generale, che, essendo nel nostro
ordinamento inibito al giudice risolvere solo questioni teoriche ai
fini di una pronuncia dal contenuto astratto e congetturale, nelle azioni dichiarative di accertamento l'interesse ad agire va ravvisa to nel superamento di una incertezza, considerata in termini
oggettivi e non soggettivi, sull'esistenza di un rapporto giuridico controverso e sull'esatta portata di obblighi negoziali, con concre to riferimento all'oggetto specifico della domanda, allo scopo di
rimuovere un'allegata situzione di pregiudizio (Cass. 7 luglio 1980, n. 4339, id., Rep, 1980, voce oit., n. 58).
Più in particolare, è principio consolidato in giurisprudenza che
l'interesse ad agire in giudizio si determina in relazione alla
concreta utilità che dall'esercizio della giurisdizione può derivare
alla parte; con la conseguenza che, nelle azioni di mero accerta
mento, tale interesse non sussiste qualora venga richiesta l'elimi
nazione di una situazione di incertezza in un rapporto giuridico dalla quale derivi un pregiudizio meramente potenziale e non
concreto e attuale (Cass. 22 gennaio 1980, n. 487, ibid., n. 55).
Orbene, nella fattispecie non è dato di ravvisare l'esistenza di
un interesse ad agire nel senso sopra indicato.
Infatti, dei due accertamenti richiesti, il primo — quello relativo
alla fittizietà dell'interruzione del rapporto di lavoro — non
dipendeva affatto da una situazione di incertezza da rimuovere,
nessuna contestazione essendo stata mossa, sul punto, dalla socie
tà Montefibre, la quale, anzi, come si evince dalla parte motiva
della stessa sentenza impugnata, si era espressa per l'esclusione di
una novazione del rapporto all'atto del passaggio del Provenda
alla categoria impiegatizia e non aveva negato la fittizietà dell'in
terruzione del rapporto di lavoro; chiara in tal senso essendo, del
resto, la stessa previsione della normativa collettiva, ricognitrice di
tale natura fittizia, sia implicitamente (commisurazione dell'inden
nità di anzianità alla totalità degli anni di servizio), sia esplicita mente (v. art. 29 del citato c.c.n.l. di categoria:« Il passaggio di
qualifica non costituisce di per sé motivo per la risoluzione del
rapporto di lavoro »).
A ciò aggiungasi l'orientamento di questa corte che, in tema, ha affermato che la proposizione, ripetuta in vari contratti
collettivi succedutisi nel tempo, secondo la quale il passaggio
degli operai alla categoria impiegatizia importerebbe la risoluzio
ne automatica del rapporto di lavoro e la contestuale riassunzione
del dipendente con la nuova qualifica, non ha portata precettiva, ma esprime soltanto un punto di vista adottato dalle parti contraenti come ragione giustificativa delle varie clausole regolanti
gli effetti dell'anzidetto passaggio di categoria sulle obbligazioni
attinenti al rapporto di lavoro (Cass. 12 ottobre 1974, n. 2822,
id., Rep. 1974, voce Lavoro (rapporto), n. 421); orientamento al
quale si affianca quello secondo cui il passaggio del lavoratore
dalla categoria operaia a quella impiegatizia non comporta, di
per sé solo, una novazione e, quindi, l'interruzione del rapporto di lavoro, salvo che non ricorrano, nelle singole fattispecie,
particolari elementi di fatto, obiettivamente valutabili di per se
stessi od anche inerenti alla variazione della categoria professio nale, i quali consentono di accertare la sussistenza di mutamenti
nell'oggetto delle obbligazioni per effetto di una reale volontà
nova ti va del rapporto; mutamenti che, peraltro, non sono ravvi
sabili nel solo fatto che sia .stata liquidata al lavoratore l'indenni
tà di anzianità maturata alla data del passaggio di categoria, anche se tale liquidazione sia conforme ad un contratto collettivo
(Cass. 12 ottobre 1974, n. 2823 id., 1974, I, 2984).
Quanto al secondo accertamento richiesto — quello riguardante la normativa da applicare — devesi osservare che il diritto all'indennità di anzianità si perfeziona soltanto al momento del
l'estinzione del rapporto di lavoro e rimane, pertanto, interamente
regolato dalla disciplina giuridica vigente in tale momento (Cass. 15 maggio 1981, n. 3213 id., Rep, 1981, voce cit., n. 1937), con la
conseguenza che, essendo il Provenda ancora in servizio, il suo diritto all'indennità di anzianità non può risultare già leso dalla
disposizione transitoria del contratto collettivo, sopra indicata,
vigente all'epoca d'inizio della controversia.
E, se è vero che l'interesse ad agire, nell'azione di accertamen
to, non implica necessariamente l'attuale verificarsi della lesione
di un diritto (Cass. 9 dicembre 1980, n. 6371, id., Rep. 1980, voce
cit„ n. 1176), occorre pur sempre un pregiudizio attuale che l'attore risentirebbe dall'incertezza del proprio diritto se non
provocasse l'accertamento giudiziale sulla concreta volontà della
legge (Cass. 27 giugno 1981, n. 4169, id., Rep. 1981, voce
Procedimento civile, n. 80), pregiudizio che non è ravvisabile nella
specie, dato che, tutt'al più, esiste un pregiudizio meramente
potenziale, non essendo dato di conoscere la normativa che
opererà all'epoca della cessazione del rapporto di lavoro.
Ne consegue che, risultando la domanda azionata in giudizio inammissibile per difetto di interesse giuridicamente rilevante, il
primo motivo del ricorso va accolto, con assorbimento del secon do motivo, peraltro dedotto in via subordinata, che rimane
precluso.
Poiché mancava un interesse ad agire e la causa non poteva essere promossa (art. 382, 3° comma, c.p.c.), ne consegue che la sentenza impugnata deve essere cassata senza rinvio. (Omissis)
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3043 PARTE PRIMA 3044
II
Svolgimento del processo. — Con ricorso al Pretore di La
Spezia del 2 settembre 1976 Alpinoli Pietro esponeva quanto se
gue: che dal 1946 aveva prestato la propria opera alle dipendenze della s.p.a. Cantieri di Muggiano con mansioni di saldatore auto
geno; che aveva operato a terra ed a bordo di navi in costruzione e
in demolizione, nello stesso ambiente particolarmente rumoroso, in cui lavoravano squadre di calafatti, scalpellatori e trapanisti; che la domanda da lui inoltrata il 5 aprile 1973, per conseguire una rendita per sordità da rumori, era stata respinta dall'I .n.a.i.l.
con provvedimento del 24 luglio 1973, perché secondo l'ente pre detto esso Alpinoli non sarebbe stato assoggettato allo specifico rischio.
Ciò premesso l'istante conveniva in giudizio l'I.n.a.i.l. per far
dichiarare illegittimo il provvedimento con cui il predetto istituto
aveva escluso la sussistenza del rischio. Il convenuto si costituiva
eccependo l'inammissibilità della domanda perché diretta non
all'accertamento di un diritto ma di un presupposto di esso. Il
pretore adito con sentenza del 25 gennaio 1977 accoglieva la do
manda ed il Tribunale di La Spezia, provvedendo sul gravame pro
posto dall'I.n.a.i.l., confermava con sentenza depositata il 16 luglio 1977 la decisione di primo grado. Riteneva il tribunale che oggetto di un'azione di accertamento può essere non soltanto la situazione
corrispondente alla « piena maturazione di un diritto » ma anche
un elemento di tale situazione dotato di autonomo rilievo e
giuridicamente incerto, e sussista pertanto l'interesse ad agire (art. 100 c.p.c.); che nella specie l'assicurato aveva con la propria azione perseguito un reale e concreto interesse, tendendo la stessa
azione a rimuovere un provvedimento che aveva negato la
sussistenza di uno dei presupposti di fatto cui la legge subordina
la nascita del diritto alla rendita di inabilità e che, una volta
divenuto definitivo, poteva costituire futuro ostacolo insuperabile al
fine di ottenere la rendita, realizzandosi gli altri requisiti non
ancora esistenti.
Avverso questa sentenza ricorre per cassazione l'I.n.a.i.l. con
unico motivo. L'intimato resiste concontroricorso, illustrato con
memoria.
Motivi della decisione. — Con l'unico motivo il ricorrente
denuncia violazione e falsa applicazione degli art. 99 e 100 c.p.c., 2697 c.c., 3, 74, 131 t.u. 30 giugno 1965 n. 1124 e dei principi gene rali sull'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie
professionali nonché vizio di motivazione (art. 360, nn. 3 e 5,
c.p.c.) per aver la sentenza impugnata, sulla base di una erronea
nozione d'interesse ad agire, ritenuto ammissibile un'azione di
mero accertamento di una pretesa di cui non erano ancora
maturati tutti gli elementi della fattispecie costitutiva (nel caso, il
grado minimo indennizzabile d'inabilità). Il ricorso è infondato. Nella specie l'azione proposta dall'Alpino
li ha per oggetto il mero accertamento di un valido rapporto di assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali, automa
ticamente sorto ope legis per la ricorrenza dei necessari requisiti
soggettivi ed oggettivi (v. sent. 5 luglio 1979, n. 3863, Foro it.,
Rep. 1979, voce Infortuni sul lavoro, n. 241) rapporto contestato dall'I.n.a.i.l. sotto il profilo della insussistenza del c.d. rischio
ambientale.
Contrariamente a quanto ritenuto nella sentenza impugnata (emendabile sul punto a norma dell'art. 384, ult. comma, c.p.c.) l'accertamento richiesto non verte su una fattispecie incompleta ma sulla operatività stessa dell'assicurazione per le malattie profes sionali (v. sent. 4 luglio 1979, n. 3792, ibid., n. 180) e sulla conse
guente attuale sussistenza di quel diritto del lavoratore alla tutela
assicurativa che, genericamente garantito dall'art. 38 Cost, e con
cretamente attribuito dal t.u. n. 1124 del 1965, e ben distinguibile dal diritto alle prestazioni (sanitarie ed economiche) che nasce con il verificarsi dell'evento protetto e consiste in un determinato tratta
mento collegato ad una posizione assicurativa, anche se indipen dente dall'adempimento contributivo. Orbene tale posizione assicu
rativa, alla cui doverosa, regolare costituzione è preordinato
l'obbligo del datore di lavoro di denunciare all'I.n.a.i.l. l'inizio
delle lavorazioni protette, fornendo le altre indicazioni necessarie
ai fini della valutazione del rischio e della determinazione del
premio di assicurazione, può formare oggetto di mero accertamen
to allorché l'istituto assicuratore alleghi, come nella specie, la
sussistenza del rischio ambientale e rifiuti la formale costituzione
della stessa posizione assicurativa.
L'interpretazione di cui sopra trova conferma nei principi
seguenti già affermati da questa corte.
L'esistenza di un valido rapporto di assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali, contestata dall'I.n.a.i.l. sotto il
profilo dell'insussistenza del cosiddetto rischio ambientale, può costituire oggetto di un'azione di mero accertamento da parte del
lavoratore, il quale, nonostante l'automaticità delle prestazioni assicurative (che, al verificarsi dell'evento protetto, competono, indipendentemente dalla formale costituzione del rapporto assicu
rativo e dal relativo adempimento contributivo) ed il carattere unilaterale e non vincolante dell'apprezzamento dell'istituto, ha un concreto interesse ad agire per l'immediata eliminazione dell'obiet tiva situazione d'incertezza in ordine alla sussistenza del rapporto assicurativo (v. sent. 6175/81, id., Rep. 1981, voce cit., n. 46, e
2606/82, id., Rep. 1982, voce cit., n. 60). Pertanto il ricorso va rigettato. <Omissis)
III
Svolgimento del processo e motivi della decisione. — Piacenza Anna in Bigatti espone di aver presentato in data 29 gennaio 1981
domanda di pensione di invalidità civile, respinta dalla commis sione regionale sanitaria per gli invalidi civili con delibera 2
giugno 1982; assume per contro di esser nell'impossibilità assoluta — per varie malattie — di espletare qualsiasi lavoro proficuo e
chiede « dichiararsi che nella fattispecie sussistono i requisiti
medico-legali di cui agli art. 12 e 13 1. 1971 n. 118 per l'ottenimento a carico dello Stato a cura del ministero degli interni e del ministro della sanità del trattamento economico di cui agli art. 12 e 13 1. 118/71 ... », evocando in giudizio il ministero della sanità ed il ministero degli interni.
Si sono costituiti — tardivamente — i ministeri della sanità e
degli interni eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva in quanto la 1. 25 dicembre 1978 n. 833 ha trasferito alla U.S.L., tra l'altro, anche l'attività di accertamento medico per l'invalidità
civile. (Omissis) Ritiene il pretore che la domanda non possa esser presa in
esame poiché il ricorrente non fa valere in giudizio un diritto
soggettivo bensì si limita a chiedere l'accertamento di un fatto, il
che non è consentito poiché la giurisdizione — sia di condanna, di
accertamento o costitutiva — ha per oggetto diritti soggettivi e
non fatti o norme (art. 24, 1° comma, Cost.; art. 99 c.p.c.; Cass. 2
febbraio 1982, n. 624, Foro it., Rep. 1982, voce Procedimento
civile, n. 67: « All'infuori dei casi espressamente previsti dalla
legge, le azioni di mero accertamento — nelle quali l'accertamen
to stesso, anziché avere un valore pregiudiziale come in tutte le
altre azioni di cognizione, esaurisce lo scopo del processo — pos sono avere ad oggetto, al pari di ogni altra forma di tutela giurisdi zionale contenziosa, soltanto i diritti e non anche i fatti, sia pure giuridicamente rilevanti »).
Nella materia in esame esiste un diritto soggettivo alla pensione di inabilità (art. 12 1. 30 marzo 1971 n. 118), diritto rientrante nel la giurisdizione dell'a.g.o. e nella competenza del giudice del lavoro ai sensi dell'art. 442 c.p.c. (Cass. 30 ottobre 1981, n. 5729, id., 1981, I, 2928); la fattispecie costitutiva di tale diritto consta: a) di un requisito di carattere medico-legale attinente all'inabilità lavora tiva (art. 2 e 12, 1° comma, 1. 118/71), la cui sussistenza è
accertata, in via amministrativa, dalle apposite commissioni sanita rie (art. 6, 7, 8, 9, 10 1. 118/71); b) di un requisito relativo alle condizioni economiche (art. 12, 2° e 3° comma, 1. cit.), la cui sussistenza è accertata, in via amministrativa, dal comitato pro vinciale di assistenza e beneficenza pubblica (art. 14 e 15 1. cit.), organo che delibera altresì la concessione della pensione.
Orbene, è palese che col ricorso in questione la ricorrente non ha dedotto in giudizio il diritto soggettivo alla pensione, poiché nulla ha detto circa il requisito sub b), ma ha solamente chiesto di accertare la sussistenza del requisito sub a), sussistenza che è stata
negata in sede amministrativa; ma ciò non è consentito, per
quanto detto in precedenza. È bensì' vero che l'art. 22 1. citata recita: « Contro i provvedi
menti definitivi previsti dagli art. 9 e 15 è ammessa la tutela
giurisdizionale dinanzi ai competenti organi ordinari e amministra
tivi », ma non pare allo servente che tale sibillina norma consenta di stravolgere principi generali della giurisdizione portando a conoscenza del giudice non più diritti soggettivi ma segmenti di
fattispecie (con la conseguenza che un unico diritto soggettivo —
quello alla pensione di inabilità civile — potrebbe dar luogo a due
distinti giudizi: uno per accertare il requisito medico-legale, l'altro
per accertare il requisito delle condizioni economiche; e magari poi un terzo per interpretare la legge!).
Il ricorso deve perciò esser dichiarato improponibile poiché il
petitum non può formare oggetto di una pronuncia giurisdiziona le: si deduca in giudizio l'intera fattispecie, si chieda l'accertamen
to del dritto alla pensione e, se si vuole, la condanna al pagamento della stessa ed allora il giudice potrà e dovrà accertare se si è
realizzata la fattispecie costitutiva del diritto e, quindi, anche se
sussistono i requisiti medico-legali controversi.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Ciò esime dal decidere la questione di legittimazione passiva;
pare peraltro opportuno segnalare come la pensione in questione sia posta dalla legge a carico del ministero dell'interno (art. 20 1.
cit): unico legittimato passivo a resistere pare perciò essere tale
ministero (implicitamente, Cass. 30 ottobre 1981, cit.; esplicitamen
te, Pret. Mistretta 7 maggio 1979, id., Rep. 1980, voce Invalidi, n.
15), il ministero della sanità -— e ora la U.S.L. — come soggetto dal quale dipendono le commissioni sanitarie previste dalla legge al fine dell'accertamento del requisito medico, non pare invece
legittimato passivo nella causa, se questa deve avere per oggetto il
diritto alla pensione e non solo l'impugnazione dell'accertamento
della commissione. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione II civile; sentenza 28 lu
glio 1983, n. 5204; Pres. Lo Coco, Est. Ioffrida, P. M. Cecere
(conci, conf.); U.p.i.c.a. di Como c. Brenna. Cassa Pret. Cantò
25 marzo 1981.
Commercio (disciplina del) — Commercio all'ingrosso — Vendita
ad utilizzatore professionale — Violazione del divieto di eserci zio congiunto di attività di commercio all'ingrosso e al detta
glio — Fattispecie (L. 11 giugno 1971 n. 426, disciplina del
commercio, art. 1, 23, 39).
Il grossista, che vende ad utilizzatore professionale un singolo
prodotto (nella specie, una 'cassetta stereo') non attinente
direttamente e specificamente all'attività esercitata dall'acquiren te, incorre nel divieto di esercizio congiunto, nello stesso locale, di attività di commercio all'ingrosso e al dettaglio. (1)
(1) La Cassazione torna sull'annoso problema della violazione del divieto di esercizio di attività di vendita congiunta al dettaglio e
all'ingrosso (per i cui termini generali, v. V. Ragonesi, La disciplina dell'attività commerciale, Milano, 1981, 267 ss.). E, ancora una volta, il decisum ribadisce un orientamento avversato dalla dottrina prevalen te (v. Frignani, Il « cash & carry » nella teoria dell'impresa di commer cio all'ingrosso, Padova, 1981, 176 ss.; Schlesinger, Commercio al l'ingrosso e limiti relativi alle merci acquistabili presso il grossista, in Riv. dir. ind., 1981, II, 386 ss.; Pardolesi, «Cash and carry», disciplina del commercio, concorrenza sleale, in Foro it., 1978, I, 765 ss.). Si trattava, nel caso di specie, di stabilire quali acquisti l'utilizza tore professionale può effettuare presso il grossista senza che quest'ul timo incorra nel menzionato divieto o, se si preferisce, per quali prodotti può ritenersi plausibile una utilizzazione a fini professionali. A
parere della Cassazione, tale destinazione è configurable solo in relazione a beni « direttamente e specificamente attinenti all'esercizio dell'attività professionale esercitata dall'acquirente ». Viene cosi ripro posto, in forma meno chiara, il requisito dell'« omogeneità » degli acquisti con l'attività dell'aquirente: « owerossia l'identità della merce acquistata con quella normalmente trattata od utilizzata in modo professionale» (cosi Cass. 12 maggio 1981, n. 3127, id., 1981, I, 1892, con nota di Pardolesi). In pratica, sarebbero leciti i soli acquisti di beni inerenti all'oggetto dell'attività d'impresa, con esclusione di tutti i prodotti che, pur necessari per l'esercizio di tale attività, non abbiano una diretta attinenza all'oggetto. Di rilievo è il contrasto tra la
posizione espressa dalla Suprema corte e la circolare n. 2261 /c emanata dal ministero dell'industria in data 8 marzo 1972, che cosi recita; « le norme di legge riguardanti gli utilizzatori professionali debbono intendersi applicabili non soltanto ai prodotti che formano oggetto dell'attività propria delle aziende agricole, industriali, artigiane e commerciali e a quelli direttamente utilizzati nell'esercizio dell'attivi tà, ma anche a qualsiasi prodotto che sia destinato al funzionamento dell'impresa » (conf. l'interpretazione proposta da Frignani, cit., 208-209, Schlesinger, cit., 388; e, da ultimo, G. Bernini, « Cash and carry»-, nuova frontiera del commercio all'ingrosso, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1983, 640, 645).
In questa seconda prospettiva, però, si dilata notevolmente il campo di beni per i quali diventa praticamente impossibile la distinzione, da parte del grossista, tra destinazione al funzionamento dell'impresa e destinazione al consumo privato. A ben vedere, è proprio da tale difficoltà di discernimento che si origina l'orientamento della Cassazio ne, che ha « tagliato corto » sul punto per far salva la nettezza di una
distinzione, quella tra ingrosso e dettaglio, « ormai ' pendente
' sul piano della realtà economica ove essa è ogni giorno più
' inquinata
'
dal sorgere di nuove forme di distribuzione » (cosi Guglielmetti, La nuova disciplina del commercio ed il commercio « self-service » all'ingros so in Italia, in Giur. it., 1977, IV, 193; v., anche, Pardolesi, cit., 765-766).
E appunto queste ultime risentono delle conseguenze negative del ' nuovo corso ', cui si rimprovera di causare un aumento dei costi dei
beni lato sensu strumentali e di eliminare il vantaggio dell'one-stop stopping (la possibilità, cioè, di acquistare presso un unico punto vendita tutti i prodotti necessari al funzionamento dell'impresa), propi ziato dalle nuove tendenze verso l'estensione dell'assortimento '
tipico '
del grossista: d'obbligo il rinvio al cap. I della monografia di
Il Foro Italiano — 1983 — Parte 1-196.
Svolgimento del processo. — Con decreto 19 dicembre 1977
l'ufficio provinciale commerciale e artigianato (U.p.i.c.a.) di Como
ingiungeva a Brenna Sergio di pagare all'ufficio registro di Cantù
la somma di lire 550.000, a titolo di sanzione amministrativa per aver violato l'art. 1 1. 11 giugno 1971 n. 426 vendendo a Chittaro
Giancarlo una radio cassetta, mentre era autorizzato ad esercitare
soltanto il commercio all'ingrosso di tale mercé. Avverso l'ingiun zione proponeva opposizione al Pretore di Cantu il Brenna,
chiedendone la revoca in quanto acquirente della radio cassetta
non era il Chittaro, persona solo incaricata al ritiro, ma la
impresa individuale Molteni Lino. A comprova esibiva fattura,
dichiarazione del Chittaro ed estratto del registro i.v.a., con
l'annotazione della vendita in questione. Si costituiva in giudizio
l'U.p.i.c.a. di Como chiedendo il rigetto dell'opposizione sull'as
sunto che, se pur vero che acquirente era il Molteni (e non il
Chittaro) cioè un imprenditore, questi non era un dettagliante dei
prodotti venduti dalla ditta del Brenna, ma un imbianchino, come
risultava dal certificato della camera di commercio. Ammesse ed
esperite prove per testi, il pretore con sentenza 25 marzo 1981
revocava l'ingiunzione de qua, condannando l'opposto al paga mento in favore dell'opponenente di spese e onorari.
Ricorrevano quindi, per cassazione l'U.p.i.c.a. di Como, e
l'amministrazione dell'industria e commercio, deducendo un uni
co mezzo di censura.
Motivi della decisione. — Osserva, innanzitutto, la corte che il
proposto gravame è di rituale, diretto ingresso in questa sede di
legittimità. Invero, l'iniziale accertata infrazione ex art. 1-39 1. 11
giugno 1971 n. 426 sulla disciplina del commercio, punita con
l'ammenda da lire 20.000 a lire 5.000.000, è stata per effetto
dell'art. 32 1. 24 novembre 1981 n. 689 depenalizzata e cosi
soggetta, ormai, solo a sanzione amministrativa, irroganda con
ordinanza-ingiunzione (art. 21) da parte dell'autorità competente; e contro tale ingiunzione i rimedi che dà la legge (art. 22 e 23) sono l'opposizione al pretore e indi il diretto ricorso in Cassazio
ne (« la sentenza è inappellabile ma è ricorribile per cassazione »
recita l'ult. comma dell'art. 23). Ciò premesso, lamentano i ricorrenti violazione e falsa applica
zione dell'art. 1 1. 11 giugno 1971 n. 426 in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c., nonché insufficiente, contraddittoria motivazione su
un punto decisivo della controversia: il pretore ha ritenuto che
nella specie non sussista l'infrazione di esercizio congiunto di
commercio al minuto e all'ingrosso di cui all'art. 1 1. n. 426/71, in quanto il prodotto in questione, radio-cassetta, sarebbe stato
venduto dal grossista di apparecchi radio, opponente Brenna
Sergio, alla ditta individuale Molteni, che tale prodotto avrebbe
acquistato per utilizzarlo professionalmente. Ciò, però, erronea
mente, perché il Molteni è un imbianchino e perciò versato in
attività del tutto diversa dal prodotto acquistato; mentre le addotte considerazioni in sentenza che la radio-cassetta potrebbe essere usata dall'acquirente nel suo laboratorio per rendere più
Frignani, cit. Resta da vedere se vi sia un apprezzabile cui prodest in termini di vantaggio (protezionistico) per gli interessi del dettaglio polverizzato, che — secondo una freschissima dichiarazione del presi dente della Confcommercio Orlando alla presentazione alla stampa del XVIII Expo CT di Milano, 4 novembre 1983 — chiude bottega al ritmo di oltre 5.000 punti-vendita annui.
Un ultimo rilievo, questa volta di carattere tecnico-formale, in riferimento al requisito dell'attività congiunta. Sulla scia della sentenza 3127/81, la Cassazione ha infatti ritenuto sussistente un'attività di vendita al minuto per il sol fatto che si sia venduta, a suo parere contra legem, una cassetta-stereo. Nell'affermare ciò, si va ben oltre gli stessi limiti entro cui il legislatore ha voluto circoscrivere la repressione dell'attività congiunta. « Attività », infatti, non è, per insegnamento costante (v., per tutti, Ascarelli, Corso di diritto commerciale3, Milano, 1962, 161 ss.), un atto isolato, ma compimento sistematico di una serie di atti. Né è certo concesso, con una sorta di presunzione iuris et de iure, dare per scontato che sussista attività di vendita ogni qualvolta sia rilevato il compimento di un singolo atto di vendita al
dettaglio. Non è un caso, dunque, che il recente indirizzo della Cassazione collida con la precedente giurisprudenza di merito (Pret. Torino, ord. 23 gennaio 1978, Foro it., 1978, I, 765, con nota
iPardolesi; Trib. Milano 12 aprile 1979, id., Rep. 1979, voce Commer cio (disciplina), n. 15; Pret. Firenze 2 maggio 1979, id., Rep. 1980, voce Provvedimenti d'urgenza, n. 129; Trib. Monza 18 maggio 1979, id. Rep. 1979, voce Commercio (disciplina), n. 18; nonché la stessa Pret. Cantó 25 marzo 1981 '(inedita) cassata dalla presente decisione; contra, Pret. Verona 26 aprile 1979 (inedita), avallata dalla dottrina
più autorevole (per tutti Sena, L'impresa di distribuzione, in Giur.
comm., 1977, I, 631, 634 e Schlesinger, cit., 390, che ironicamente afferma: «se la norma [art. 1 1. 426/71] andasse intesa cosi, essa sarebbe violata anche dal dettagliante che non impedisse nel suo
negozio acquisti destinati non già al ' consumo finale
' ma alla ri vendita »).
o. Troiano
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