sezione lavoro; sentenza 11 aprile 2003, n. 5775; Pres. Mileo, Est. Guglielmucci, P.M. Matera(concl. conf.); Martinelli (Avv. Gobbi) c. Soc. coop. Tartufai del Candigliano (Avv. Cabibbo,Blasi). Cassa Trib. Urbino 22 maggio 2000Source: Il Foro Italiano, Vol. 126, No. 9 (SETTEMBRE 2003), pp. 2395/2396-2397/2398Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23198435 .
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2395 PARTE PRIMA 2396
procedura concorsuale potrebbe rispondere degli obblighi deri
vanti dal lodo arbitrale soltanto in proprio e limitatamente alla
propria quota di partecipazione al r.t.i., in quanto, a seguito della dichiarazione di fallimento della Cogei s.p.a., il mandato
già conferito alla società dalle altre imprese, si sarebbe sciolto ai
sensi dell'art. 78 1. fall, e del d.leg. n. 406 del 1991: il contrad dittorio avrebbe dovuto essere perciò integrato nei confronti
delle altre imprese facenti parte del raggruppamento, quali li
tisconsorti necessari. (Omissis) 3. - Il primo motivo, relativo alla violazione del contradditto
rio, è fondato.
L'art. 814, 2° comma, c.p.c. dispone che nell'ipotesi in cui
gli arbitri provvedano direttamente alla liquidazione delle spese e dell'onorario, e le parti non l'accettino, il loro ammontare è
determinato dal presidente del tribunale, sentite le parti. Secondo la giurisprudenza di questa corte, il procedimento di
liquidazione ha carattere contenzioso (ancorché si svolga con
rito camerale e in unico grado), deve essere osservato il fonda
mentale principio del contraddittorio e non implica compromis sioni o limitazioni del diritto di difesa delle parti (Cass. 25 gen naio 1983, n. 688, Foro it., 1983,1, 952; cfr., nella stessa linea, tra le altre, Cass. 26 agosto 2002, n. 12490, id., Rep. 2002, voce
Arbitrato, nn. 116-118). In questo quadro di riferimento occorre verificare se sussiste
la denunciata violazione di legge, posto che le parti sostanziali
del giudizio arbitrale — da un lato, la Cogei s.p.a., quale capo gruppo di un raggruppamento di imprese, e, dall'altro, il Con
sorzio di bonifica — erano entrambe rappresentate nel procedi mento di liquidazione; ma, prima della deliberazione del lodo
(26 novembre 1998) era intervenuta la dichiarazione di falli
mento della capogruppo mandataria (20 gennaio 1998).
L'interpretazione delle disposizioni di legge che regolano la
fattispecie, in coerenza con l'interpretazione sistematica, porta no a ritenere che il mandato collettivo conferito (anche nell'in
teresse della mandataria) dalle imprese facenti parte del rag
gruppamento temporaneo di imprese alla capogruppo Cogei, si
sia effettivamente estinto per effetto della dichiarazione di fal
limento di quest'ultima. In principio, infatti, il contratto di mandato si scioglie per ef
fetto del fallimento di una delle parti. Il fatto, poi, che nella fat
tispecie il mandato sia stato conferito in rem propriam non rile va ai fini della soluzione della questione: da un lato, perché l'art. 1723, 2° comma, c.c. (generalmente richiamato dalla giu risprudenza a fondamento dell'ultrattività di tale mandato in ca
so di fallimento del mandante, in deroga alla disposizione del l'art. 78 1. fall.), non prevede l'ipotesi del fallimento del man
datario; dall'altro, perché (come è stato puntualmente rilevato
dalla dottrina) le stesse ragioni che in tal caso determinano lo
scioglimento del mandato, sussistono nel mandato in rem pro priam.
Il problema deve essere, poi, esaminato anche con riferimento all'art. 25 d.leg. 19 dicembre 1991 n. 406 (in materia di proce dure di aggiudicazione degli appalti di lavori pubblici), invocate dal ricorrente e applicabile ratione temporis alla fattispecie, che all'art. 25 prevede(va), in caso di fallimento dell'impresa man
dataria, la facoltà dell'amministrazione aggiudicatrice di prose guire il rapporto di appalto con altra impresa (...) costituita mandataria; disposizione dalla quale si evince che, nell'ipotesi di fallimento della capogruppo, affinché il contratto di appalto prosegua con altra impresa che sia costituita mandataria, il mandato originario si estingue in quanto la prosecuzione del contratto implica ed impone il conferimento di un nuovo man
dato; e che (come questa corte ha già ritenuto in relazione al fallimento di società capogruppo, in ipotesi di appalto di opere pubbliche stipulato da imprese in associazione temporanea di
imprese) lungi dal porsi come deroga all'art. 78 1. fall., costitui sce il più sicuro indice, oltre che dello scioglimento del rapporto di appalto, anche dell'estinzione dell'originario mandato con
rappresentanza conferito all'impresa fallita (Cass. 15 gennaio 2000, n. 421, id., Rep. 2000, voce Fallimento, nn. 395, 396, 564). (Omissis)
Il Foro Italiano — 2003.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 11 aprile 2003, n. 5775; Pres. Mileo, Est. Guglielmucci, P.M. Matera
(conci, conf.); Martinelli (Avv. Gobbi) c. Soc. coop. Tartufai
del Candigliano (Avv. Cabibbo, Blasi). Cassa Trib. Urbino
22 maggio 2000.
Lavoro (rapporto di) — Orario di lavoro — Lavoro effettivo — Tempi di spostamento — Computabilità — Condizioni (Cod. civ., art. 2108; r.d. 10 settembre 1923 n. 1955, approva zione del regolamento relativo alla limitazione dell'orario di
lavoro per gli operai ed impiegati delle aziende industriali o
commerciali di qualunque natura, art. 5).
Il tempo impiegato dal lavoratore per raggiungere il luogo di
lavoro rientra nell'orario di lavoro effettivo, eventualmente
come straordinario, nel caso in cui sia caratterizzato da un
nesso di funzionalità rispetto alla prestazione di lavoro nor
malmente svolta. ( 1 )
(1) I. - La pronunzia si allinea all'orientamento della giurisprudenza di legittimità che interpreta in bonam partem l'art. 5 r.d. n. 1955 del
1923, nel senso che — a dispetto dell'esclusione ivi prevista — il tem
po impiegato dal lavoratore per raggiungere il luogo di lavoro è da
computarsi nell'orario di lavoro (normale o straordinario) nel caso in cui rappresenti una modalità di espletamento della stessa prestazione lavorativa, in particolare allorquando il dipendente, per la specifica natura dell'attività lavorativa sia di volta in volta avviato in località di verse per svolgere la sua normale attività di lavoro (nel caso di specie: la manutenzione di terreni lontani dalla sede di lavoro) (cfr. Cass. 9 di cembre 1999, n. 13804, Foro it.. Rep. 2000, voce Lavoro (rapporto), n.
1082; 8 marzo 1990, n. 1878, id., Rep. 1990, voce cit., n. 917; 24 aprile 1990, n. 3434, ibid., n. 1323).Tuttavia, nelle sue più recenti prese di
posizione, la Cassazione ha propugnato un'interpretazione più restritti va della norma, statuendo che salvo diverse previsioni contrattuali, il
tempo impiegato giornalmente per raggiungere la sede di lavoro in oc casione della trasferta non costituisce lavoro effettivo e non si somma al normale orario di lavoro, tanto più che l'indennità di trasferta è in
parte diretta a compensare il disagio psicofisico e materiale determinato
dagli spostamenti (Cass. 10 aprile 2001, n. 5359, id., Rep. 2001, voce
cit., n. 933; 3 febbraio 2000, n. 1202, id., Rep. 2000, voce cit., n. 1074; 3 febbraio 2000, n. 1170, ibid., n. 1076). Volendo abbozzare una lettura non confliggente dei due indirizzi riportati, potrebbe dirsi che la man cata corresponsione, come nel caso di specie, dell'indennità di trasferta, in presenza di spostamenti evidentemente coessenziali all'ordinaria
prestazione di lavoro, comporti l'impossibilità di applicare il principio enunciato da Cass. n. 5359 del 2001, cit., con conseguente prevalenza dell'interpretazione più favorevole al lavoratore.
II. - Altra fattispecie, sempre relativa all'individuazione della nozio ne di orario di lavoro, di difficile applicazione giurisprudenziale è
quella relativa alla computabilità, come lavoro effettivo, del c.d. tempo tuta: per un quadro, cfr. Cass. 14 aprile 1998, n. 3763, e Trib. Torino 14
luglio 1999, id., 1999, I, 3609, con nota di G. Ricci, Sulla riconducibi lità del c.d. «tempo-tuta» alla nozione di lavoro effettivo: recenti orientamenti giurisprudenziali a confronto; Trib. Torino 27 settembre 2000, id., 2001,1, 360, con nota di richiami.
III. - La disciplina dell'orario di lavoro è stata riformata dal recente
d.leg. 8 aprile 2003 n. 66, recante misure di attuazione delle direttive 93/104/Ce e 2000/34/Ce concernenti taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro (Le leggi, 2003,1, 1840). Se, come detto, nel vigo re della preesistente disciplina, la giurisprudenza ha dato letture non
omogenee dell'art. 5 r.d. n. 1955 del 1923, quantomeno con riferimento al caso in esame, relativo ai tempi di spostamento finalizzato allo svol
gimento della prestazione di lavoro in un luogo diverso dalla sede prin cipale, il nuovo art. 1, 2° comma, letto in combinato disposto con l'art.
8, 3° comma, d.leg. n. 66 del 2003 non sembra fornire chiarimenti deci sivi. Infatti, mentre l'art. 1, 2° comma, detta una nozione ampia di ora rio di lavoro, come «qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell'esercizio delle sue attività o delle sue funzioni», l'art. 8, 3° comma, si occupa subito di delimitare
l'operatività, apparentemente molto ampia, della disposizione, me diante un rinvio recettizio al «vecchio» art. 5 r.d. n. 1955 del 1923, così confermando l'esclusione dei periodi ivi previsti (fra cui, appunto, i
tempi di spostamento) salvo deroghe in melius della contrattazione collettiva (cfr. R. Del Punta, La nuova disciplina dell'orario di lavoro
(d.leg. 8 aprile 2003 n. 66), di prossima pubblicazione in Dir. e pratica lav., 2003; M. Tiraboschi-A. Russo, Prime osservazioni sull'attuazio ne della direttiva 93/104/Ce, in Guida al lav., 2003, fase. 17, 15).
Insomma, quanto basta per ritenere possibile un perpetuarsi delle in certezze giurisprudenziali, anche nel vigore della nuova disciplina.
IV. - Per ulteriori notazioni sulla riforma dell'orario di lavoro e altri riferimenti dottrinali, cfr. G. Ricci, Legge comunitaria 2002: disposi zioni di rilevanza giuslavoristica, in Foro it., 2003, IV, 326. [G. Ricci]
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Ritenuto in fatto: 1) che il Tribunale di Urbino, con sentenza
del 6 febbraio 2000, confermando la decisione di primo grado, nella controversia insorta fra la cooperativa Tartufai del Candi
gliano a r.l. ed il proprio dipendente, sig. Maurizio Martinelli, inquadrato come operaio qualificato, ha ritenuto:
a) che al rapporto di lavoro fosse applicabile il c.c.n.l. per i
dipendenti dalle cooperative e consorzi agricoli;
b) che nel periodo in contestazione, 1993-1996, dall'istrutto
ria esperita innanzi al pretore era risultato che il sig. Martinelli
aveva svolto mansioni di taglio del bosco, di uso della motose
ga, di manutenzione degli attrezzi e di guida dei mezzi meccani
ci e che, eccezionalmente, aveva coordinato il lavoro degli altri
operai in assenza del caposquadra;
c) che alla stregua delle declaratorie contrattuali non poteva essere inquadrato come operaio specializzato;
d) che dalle testimonianze non era risultato che egli avesse
espletato un numero di giornate lavorative superiori a quelle in
dicate dall'azienda;
e) che non era risultato che egli avesse superato il numero di
otto ore di lavoro al giorno e che il tempo necessario per rag
giungere e lasciare il posto di lavoro non poteva esser conside
rato come attività lavorativa non essendo alla stessa connatura
to;
2) che il sig. Martinelli chiede la cassazione della sentenza
con ricorso sostenuto da tre motivi cui la cooperativa resiste con
controricorso.
Ritenuto in diritto: 1) che con il primo motivo il ricorrente
denuncia violazione dell'art. 112 c.p.c. ed addebita al tribunale
di non aver deciso in ordine al capo di domanda concernente lo
straordinario per i circa 15 minuti di lavoro in più prestato ogni
giorno atteso che ha affermato che era risultato che esso ricor
rente non superava il normale orario giornaliero di lavoro —
che era pari ad 8 ore, mentre egli a fronte di un orario lavorativo
di 39 ore settimanali ne aveva effettuate 40; né in ordine a
quello relativo alle differenze retributive anche per l'ipotesi che
fosse inquadrato come operaio qualificato ed avesse espletato il
minor numero di giornate lavorative dedotte dalla cooperativa;
2) che la censura è fondata, nei limiti appresso indicati atteso
che l'affermazione del tribunale secondo cui l'orario di lavoro
del ricorrente non superava quello giornaliero e, comunque le
otto ore, ha eluso, in mancanza dell'indicazione di altri elementi
(orario contrattuale, numero di giornate lavorative per settima
na), il punto relativo alla pretesa di compenso per lavoro straor
dinario per le 40 ore settimanali effettivamente prestate a fronte
di un orario contrattuale di 39 ore; l'attribuzione di una maggio re retribuzione anche in relazione alla qualifica attribuitagli co
stituisce domanda nuova formulata per la prima volta in appello
risultando, dall'atto introduttivo del giudizio (in particolare dal
conteggio allegato), che le differenze retributive rivendicate
concernono esclusivamente la qualifica di operaio specializzato, sicché alcuna decisione doveva esser adottata su tale punto dal
giudice del gravame;
3) che con il secondo motivo denuncia violazione degli art.
1362, 1366, 1367 c.c. per erronea interpretazione dell'art. 19, area b) e c), c.c.n.l. dipendenti cooperative nonché difetti di mo
tivazione e si duole che il tribunale gli abbia negato la qualifica di operaio specializzato e sostiene che alla stregua del contratto
collettivo l'elemento di differenziazione fra questi e quello qua lificato è dato non dal tipo di attività ma dal grado di comples sità della stessa, sicché il tribunale doveva attribuire rilievo al
fatto che egli sostituiva sistematicamente il caposquadra che
guidava il pulmino per portare i componenti della squadra sui
posti di lavoro, trattandosi di elementi idonei a conferire alle
mansioni di esso ricorrente la predetta complessità;
4) che tale censura è inammissibile in quanto essa propone una valutazione dell'inquadramento diversa da quella operata dal tribunale, meramente contrappositiva ad essa, senza alcuna
denuncia di vizi logici o di motivazione o di violazione di cano ni ermeneutici;
5) che con il terzo motivo, denuncia violazione e falsa appli cazione degli art. 2108 c.c., 5 r.d. 1955/23, illogicità della moti vazione e censura l'asserzione del tribunale che ha negato che il
tempo necessario per raggiungere il luogo di lavoro sia compu tabile nella prestazione lavorativa, non dando rilievo ai fatti che
Il Foro Italiano — 2003.
il lavoro degli operai della cooperativa consisteva nella manu
tenzione di terreni lontani dalla sede della stessa dove venivano
accompagnati con un pulmino guidato da esso ricorrente: ciò
costituiva un servizio ulteriore rispetto alle mansioni tipiche del
ricorrente, era, a prescindere se connaturata al rapporto di lavo
ro, prestata in dipendenza del rapporto stesso ed era funzionale
e connessa a quella agricola — da effettuarsi in varie zone
montane — in quanto indispensabile alla prestazione principale; il tribunale aveva negato tale nesso senza alcuna motivazione;
6) che tale censura è fondata, atteso che, come affermato da
questa corte con la decisione 13804/99 (Foro it., Rep. 2000, vo
ce Lavoro (rapporto), n. 1082), il tempo impiegato per raggiun
gere il luogo di lavoro rientra nell'attività lavorativa vera e pro
pria — e va quindi sommata al normale orario di lavoro come
straordinario — allorché sia funzionale rispetto alla prestazione; in particolare sussiste il carattere di funzionalità nel caso in cui
il dipendente, obbligato a presentarsi presso la sede aziendale,
sia, come nel caso di specie, di volta in volta inviato in diverse
località per svolgere la sua prestazione lavorativa;
7) che la sentenza va quindi cassata in relazione alle censure
accolte e la causa rimessa ad altro giudice indicato come in di
spositivo, per il nuovo esame.
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 13 feb braio 2003, n. 2130; Pres. Delli Priscoli, Est. Morelli, P.M.
Carestia (conci, conf.); Soc. Bettòni e C. (Avv. Scarnati) c.
Min. giustizia (Avv. dello Stato Palatiello). Conferma App.
Venezia, decr. 7 dicembre 2001.
Diritti politici e civili — Diritto alla ragionevole durata del processo
— Equa riparazione — Danno — Onere della
prova (L. 4 agosto 1955 n. 848, ratifica ed esecuzione della
convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 e
del protocollo addizionale alla convenzione stessa, firmato a
Parigi il 20 marzo 1952: convenzione, art. 6; 1. 24 marzo 2001
n. 89, previsione di equa riparazione in caso di violazione del
termine ragionevole del processo e modifica dell'art. 375
c.p.c., art. 2).
La domanda di equa riparazione per irragionevole durata del
processo necessita della prova del danno conseguente all'ec
cessiva durata, non potendo lo stesso considerarsi assorbito
nella violazione del termine di ragionevole durata. (1)
(1, 6-7) Sull'equa riparazione del danno non patrimoniale, cfr. Cass. 10 aprile 2003, n. 5663, 3 aprile 2003, n. 5129, e 18 marzo 2003, n.
3973, Foro it., Mass., fase. 5, addenda, V, III e I; 19 febbraio 2003, n.
2478, ibid., Mass., 223; 14 gennaio 2003, n. 358, ibid., 41; 3 gennaio 2003, n. 4, ibid., 1; con particolare riferimento alla valutazione equita tiva, cfr. Cass. 14 gennaio 2003, n. 362, ibid., 42, secondo cui l'inden
nizzo deve «rispettare l'esigenza di una ragionevole correlazione tra
gravità effettiva del danno ed ammontare dell'indennizzo, cosicché que sto non si riduca a mera espressione simbolica»; 19 dicembre 2002, n.
18130, id., Mass., 1342; 28 novembre 2002, n. 16878, ibid., 1252; con
riferimento ai limiti di ammissibilità del danno non patrimoniale delle
persone giuridiche, cfr. Cass. 2 agosto 2002, n. 11600, id., 2003,1, 838.
Su questo versante si dovrà tuttavia tener conto dei recenti arresti
della Corte europea dei diritti dell'uomo, in questo fascicolo, IV, 361, con nota di richiami.
In dottrina, nel senso accolto dalla giurisprudenza della Cassazione,
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