sezione lavoro; sentenza 11 febbraio 1998, n. 1434; Pres. Lanni, Est. Castiglione, P.M. Martone(concl. conf.); Soc. Mecof (Avv. E. Romanelli, Goglino) c. Stracchi (Avv. Boaretto, Sartore).Cassa Trib. Alessandria 14 ottobre 1995Source: Il Foro Italiano, Vol. 121, No. 3 (MARZO 1998), pp. 729/730-739/740Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23192300 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 11 feb
braio 1998, n. 1434; Pres. Lanni, Est. Castiglione, P.M.
Martone (conci, conf.); Soc. Mecof (Avv. E. Romanelli,
Goglino) c. Stracchi (Aw. Boaretto, Sartore). Cassa Trib.
Alessandria 14 ottobre 1995.
Lavoro (rapporto di) — Dirigente — Licenziamento disciplina re — Formalità — Inapplicabilità — Limiti (L. 20 maggio 1970 n. 300, norme sulla tutela della libertà e dignità dei la
voratori, della libertà e dell'attività sindacale nei luoghi di
lavoro e norme sul collocamento, art. 7).
L'art. 7l. 20 maggio 1970 n. 300 non si applica al licenziamen
to disciplinare dei soli dirigenti c.d. di vertice, applicandosi invece a quello dei c.d. pseudo-dirigenti o dirigenti conven
zionali. (1)
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 27 novem
bre 1997, n. 12001; Pres. Miani Cane vari, Est. Lamorgese, P.M. Buonajuto (conci, conf.); Lamberti (Avv. De Luca
Tamajo, Guida) c. Soc. Serit. Cassa Trib. S. Maria Capua Vetere 6 dicembre 1994.
Lavoro (rapporto di) — Dirigente — Licenziamento — Discipli na contrattuale collettiva — Giusta causa e giustificato moti
vo — Esclusione — Conseguenze (Cod. civ., art. 1362, 2095,
2118; 1. 15 luglio 1966 n. 604, norme sui licenziamenti indivi duali, art. 3, 10; 1. 20 maggio 1970 n. 300, art. 18).
Lavoro (rapporto di) — Dirigente — Licenziamento disciplina re — Formalità — Inapplicabilità — Limiti (L. 20 maggio 1970 n. 300, art. 7).
Va cassata la sentenza di merito che, dopo avere ritenuto che
l'art. 89, 2° comma, ccnl 3 marzo 1988, e successivi rinnovi,
relativo al settore delle esattorie-tesorerie gestite dai privati
esattori, prevede che il rapporto dei dirigenti possa essere ri
solto dall'azienda solo nei casi di giusta causa o di giustifica to motivo, che, in mancanza, neghi la tutela reale, spettando
invece, al dirigente licenziato senza giusta causa o giustificato
motivo, il solo diritto al preavviso. (2) L'art. 7 /. 20 maggio 1970 n. 300 non si applica al licenziamen
to disciplinare dei soli dirigenti c.d. di vertice, applicandosi invece a quello dei c.d. pseudo-dirigenti o dirigenti conven
zionali. (3)
(1, 3) Affermando il principio sopra massimato, le sentenze in epi grafe intendono collocarsi, come ivi detto espressamente, nel solco di
Cass., sez. un., 29 maggio 1995, n. 6041 (Foro it., 1995, I, 1778, con
nota di G. Amoroso, Le sezioni unite mutano giurisprudenza in ordine
al licenziamento disciplinare del dirigente d'azienda: incertezze interpre tative e dubbi di costituzionalità; Riv. it. dir. lav., 1995, II, 898, con nota di S. Bartalotta, // licenziamento disciplinare del dirigente; Giust.
civ., 1995, I, 1749, con nota di G. Pera, Non esiste il licenziamento c.d. disciplinare del dirigente?) da leggersi, appunto secondo Cass. 1434/98 e 12001/97, restrittivamente, e cioè valorizzandosi il passaggio della motivazione testualmente riportato nella seconda di tali pronunce.
Analogamente, in dottrina, A. Lecis La possibile rilevanza del motivo
disciplinare nel licenziamento del dirigente, in Argomenti dir. lav., 1996, fase. 3, 148 ss., che, con riferimento al dirigente estraneo al top mana
gement indica (163-164) l'opportunità che si pronunci nuovamente la Corte costituzionale, anche con riferimento alla possibile violazione del
principio di uguaglianza; in proposito, cfr. anche Amoroso, Le sezioni unite mutano, cit., 1781-1782; contra, per una lettura ampia della sen
tenza n. 6041 cit., cfr. L. de Angelis, Il licenziamento disciplinare del
dirigente. Essere dell'ontologia o non essere del potere disciplinare?, in Riv. giur. lav., 1997, I, 17 ss., spec. 24, ed ivi ricostruzione del
dibattito in argomento, anche con riferimento alle varie articolazioni, nelle tesi favorevoli all'applicabilità, circa le conseguenze della violazio
ne dell'art. 7 1. 300/70. Non distingue tra dirigenti e pseudodirigenti il rapido inciso in Cass. 12 ottobre 1996, n. 8934, Foro it., 1997, I,
839, con nota di richiami, secondo cui, inoltre, è manifestamente infon
data (oltre che non rilevante nell'ipotesi di specie) la questione di legitti mità costituzionale degli art. 2106 c.c. e 7 1. 20 maggio 1970 n. 300, in riferimento agli art. 3, 4, 24 e 35 Cost., nella parte in cui non si
applicano ai dirigenti. (2) La sentenza va segnalata in quanto ribadisce, in un passaggio
Il Foro Italiano — 1998.
Ill
PRETURA DI NOLA, sezione distaccata di Pomigliano d'Ar
co; sentenza 2 dicembre 1997; Giud. Perrino; Sodano (Avv. A. e R. Centola) c. Soc. Finmeccanica (Avv. Morrico, Sal
LUSTRl).
Lavoro (rapporto di) — Dirigente — Disciplina limitativa dei
licenziamenti — Esclusione (Cod. civ., art. 2095; 1. 15 luglio 1966 n. 604, art. 3, 8, 10; 1. 20 maggio 1970 n. 300, art.
18; 1. 11 maggio 1990 n. 108, disciplina dei licenziamenti indi viduali, art. 1, 2).
Lavoro (rapporto di) — Dirigente — Licenziamento — Giustifi
catezza — Nozione (Cod. civ., art. 1175, 1375, 1453-1469).
L'esclusione dall'applicazione della disciplina limitativa dei li cenziamenti riguarda anche i c.d. pseudo-dirigenti o dirigenti convenzionali. (4)
La nozione contrattuale di giustificatezza del licenziamento del
dirigente (nella specie, industriale) va individuata non con ri
guardo alle cause tipiche di risoluzione del contratto di cui
agli art. 1453-1469 c.c., ma con riguardo al principio di buo
na fede in executivis quale limite all'azionabilità del potere discrezionale del datore di lavoro. (5)
necessario per pervenire al decisum, come l'autonomia privata, colletti va o individuale, possa introdurre quel regime di stabilità del rapporto che la legge esclude per i dirigenti (la sentenza non distingue per gli pseudodirigenti: in proposito v. massima sub 3). Si discosta così, richia mando la precedente giurisprudenza (più di recente, Cass. 9 giugno 1995, n. 6520, Foro it., 1996, I, 1359, con nota di richiami), da Cass. 25 novembre 1996, n. 10445, id., 1997, I, 839, con nota di richiami, e Mass. giur. lav., 1997, 69, con nota di G. Gramiccla, Il dirigente d'a
zienda, responsabilità, licenziamento, secondo cui non è consentita in materia neppure in via contrattuale l'omologazione della tutela del diri
gente a quella degli altri lavoratori subordinati.
(4) Conf., Cass. 1° aprile 1983, n. 2363, Foro it., Rep. 1983, voce Lavoro (rapporto), n. 2403, secondo cui è manifestamente infondata la questione di costituzionalità dell'art. 10 1. n. 604 del 1966 prospettata in riferimento agli art. 3 e 4 Cost, (per la manifesta infondatezza della
questione, v. Corte cost., ord. 26 ottobre 1992, n. 404, id., 1993, I, 322 (m), e Cass. 29 aprile 1981, n. 2637, id., 1981, I, 1557, con nota di richiami, che non prendono però in considerazione la distinzione tra dirigenti e pseudo-dirigenti; così anche, già, Corte cost. 6 luglio 1972, n. 121, id., 1972, I, 2730, con nota di richiami, quest'ultima sen tenza interpretata dalla maggioranza degli autori nel senso dell'unità della categoria dirigenziale priva della tutela legale: in particolare, cfr. P. Tosi, Il dirigente d'azienda, Angeli, Milano, 1973, 133 ss., che è anche lo studioso che con maggiore approfondimento ha teorizzato la
duplicità delle figure; sintesi al riguardo in F. Basenghi, Il licenziamen to del dirigente, Giuffrè, Milano, 1991, 62 ss., anche riferimenti alle note da 7 a 9); 21 marzo 1980, n. 1922, Foro it., 1981, I, 832, con nota di A. Vailebona, La distinzione tra dirigente e pseudo-dirigente per l'applicabilità della tutela reale contro il licenziamento ingiustifica to; diversamente, per Cass. 15 febbraio 1992, n. 1836, id., Rep. 1992, voce cit., n. 738, la qualifica di dirigente contrattualmente attribuita
può essere utilmente contestata ai fini dell'applicazione delia disciplina legale limitativa del potere di licenziamento solo ove si dimostri che le mansioni svolte non corrispondono a quelle previste o che in concre to esse difettino dei caratteri propri della categoria dirigenziale. Per un quadro di sintesi sul punto, anche con riguardo alle posizioni della
dottrina, cfr. E. Gragnoli, in M. Grandi, G. Pera, Commentario breve alle leggi sul lavoro, Cedam, Padova, 1996, 761. Sull'inapplicabi lità della tutela legale dai licenziamenti ai dirigenti, senza affrontare la questione del distinguo suddetto, v., tra le più recenti, Cass. 6520/95, cit.
(5) In senso conforme cfr., più di recente, Cass. 25 novembre 1996, n. 10445, cit. (alla cui nota di richiami si rinvia per i precedenti), con la puntualizzazione riportata sub 2; Trib. Milano 10 settembre 1997, Orient, giur. lav., 1997, 796; contra, Coll. arb. per i licenziamenti diri
genti imprese assicuratrici, lodo 17 febbraio 1997, Foro it., 1997, I,
1301, con nota di richiami, secondo cui la normativa contrattuale col lettiva che fa riferimento, in tema di licenziamento di dirigenti (delle aziende assicuratrici), al licenziamento giustificato, va intesa nei termini di una voluta estensione alla categoria della regola del giustificato moti
vo, oggettivo e soggettivo, dovendo naturalmente tenersi conto della
peculiare posizione dei dirigenti che si trovano al vertice dell'impresa e che con questa sostanzialmente si identificano, per la quale essi hanno
un obbligo accentuato di bene operare nell'interesse obiettivo dell'im
presa stessa. Secondo Trib. Milano 31 gennaio 1997, Orient, giur. lav., 1997, 509, la ingiustificatezza implica il riferimento a circostanze ido
nee a privare di ogni giustificazione il licenziamento (nella specie, di
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PARTE PRIMA
I
Motivi della decisione. — Con il primo motivo, denunciando
falsa interpretazione ed applicazione dell'art. 7, 1° comma, 1.
n. 300 del 1970 e mancata applicazione degli art. 2106, 2118
e 2119 c.c., la società ricorrente censura l'impugnata decisione
per avere disatteso il principio affermato dalla sentenza n. 6041
del 1995 (Foro it., 1995, I, 1778), con cui le sezioni unite della Corte di cassazione hanno escluso l'applicabilità della procedu
ra, prevista nell'art. 7 1. 300/70, al rapporto di lavoro dei diri
genti di aziende industriali. La doglianza merita accoglimento. Come si è riferito in nar
rativa, il Tribunale di Alessandria ha apoditticamente afferma
to di «non seguire» la soluzione adottata dalle sezioni unite «sia
perché segna un mutamento repentino» e sia perché («pare»), non tiene conto delle decisioni n. 204 del 1982 (id., 1982, I, 2981) e n. 309 del 1992 (id., 1992, I, 2321) della Corte costitu zionale.
Questo ragionamento rivela una palese petizione di principio ed un'altrettanto evidente violazione della disposizione di legge
sopra menzionata (art. 7 1. n. 300 del 1970), la quale stabilisce
che le norme disciplinari devono essere portate a preventiva co
noscenza dei lavoratori mediante affissione in luogo accessibile
a tutti (1° comma), che il datore di lavoro non può adottare
alcun provvedimento disciplinare nei confronti del lavoratore
(provvedimento in cui è ricompreso — per effetto della senten
za n. 204 del 1982 della Corte costituzionale — anche il licen
ziamento previsto come sanzione disciplinare o avente natura
«ontologicamente» disciplinare) senza avergli preventivamente contestato l'addebito e senza averlo sentito a sua difesa (2° com
ma) e che il lavoratore può farsi assistere da un rappresentante dell'associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato (3°
comma). Ciò premesso, poiché il primo motivo del ricorso ripropone
all'attenzione di questa corte il problema dell'estensibilità delle
procedure previste dall'art. 7 citato anche al rapporto e, quindi, al licenziamento disciplinare dei dirigenti, giova ricordare che
le sezioni unite, al fine di comporre il contrasto riscontratosi
nella giurisprudenza del Supremo collegio, con la richiamata
pronuncia n. 6041 del 29 maggio 1995 hanno affermato che
le garanzie previste dall'art. 7 dello statuto dei lavoratori non
si applicano al licenziamento dei dirigenti. Si tratta — come è evidente — di una pronuncia che conclu
de la riflessione iniziatasi fin dal 1982, allorché la Corte costitu zionale affermò l'illegittimità per violazione dell'art. 3 Cost, dei
primi tre commi della norma statutaria interpretata nel senso
della loro inapplicabilità ai licenziamenti qualificati come misu
ra disciplinare dalla regolamentazione collettiva (v. Corte cost.
30 novembre 1982, n. 204, cit.). È noto che, da tale sentenza, ebbe origine un ampio ed arti
colato dibattito, evolutosi verso una progressiva generalizzazio ne dell'onere procedurale (previsto dall'art. 7 statuto dei lavo
ratori), quale corretta modalità di esercizio del potere sanziona
torio del datore di lavoro. Momento fondamentale di tale
dibattito fu l'affermazione, secondo cui il licenziamento moti
vato da una condotta colposa o, comunque, manchevole del
lavoratore dovesse essere considerato di natura disciplinare in
dipendentemente dalla sua inclusione o no tra le misure sanzio
natorie previste dalla specifica disciplina del rapporto di lavoro
(il c.d. licenziamento ontologicamente disciplinare: Cass., sez.
un., n. 4823 del 1987, id., 1987, I, 2031). La Corte costituzionale poi, in coerente sviluppo delle argo
mentazioni già espresse con la decisione del 1982, individuò, nel rispetto del contraddittorio, un valore essenziale dell'ordi
namento giuridico positivo, rispetto tanto più dovuto quando
competente ad irrogare una sanzione sia una parte privata che
agisce in posizione di supremazia. Ne conseguì la declaratoria
di illegittimità del 2° e del 3° comma dell'art. 7 1. n. 300 del
tipo soggettivo). Per l'individuazione della nozione di giustificatezza con riferimento alle cause di risoluzione del contratto di cui agli art. 1453-1469
c.c., concretizzate attraverso un giudizio equitativo formulato sulla ba se dei valori giuridici espressi dall'ordinamento, e, in particolare, del canone di buona fede, cfr., oltre a Pret. Ferrara 11 maggio 1995, Foro
it., Rep. 1995, voce Lavoro (rapporto), n. 723, in dottrina, Bartalot
ta, La nozione di «giustificatezza» nel licenziamento dei dirigenti, in Riv. it. dir. lav., 1994, II, 245 ss.
Il Foro Italiano — 1998.
1970 interpretati nel senso di escluderne l'applicabilità al licen
ziamento per motivi disciplinari comminato da un imprenditore non soggetto alla disciplina limitativa del recesso in ragione del
le ridotte dimensioni aziendali (Corte cost. 28 luglio 1989, n. 427, id., 1989, I, 2685).
Ricostruito come espressione di un principio fondamentale
di civiltà giuridica il sistema di garanzie previste dall'art. 7, la
prevalente giurisprudenza ritenne la pronuncia n. 427 del 1989
della Consulta dotata di forza espansiva ed affermò l'applicabi lità della richiamata norma statutaria al licenziamento discipli nare dei dirigenti (ex plurimis: Cass. 1641/95, id., Rep. 1995, voce Lavoro (rapporto), n. 713; 6410/93, id., Rep. 1993, voce
cit., n. 680; 3146/93, id., 1993, I, 1845, ed altre), anche se
non mancano pronunce di segno opposto, escludenti, perciò l'an
zidetta applicabilità (per tutte: Cass. 854/85, id., Rep. 1985, voce Lavoro e previdenza (controversie), nn. 456, 457; 681/89,
id., Rep. 1989, voce Lavoro (rapporto), n. 728). Ora — come già precisato — le sezioni unite di questa corte
— con la pronuncia 6041/95 — dopo aver compiuto un excur
sus della giurisprudenza costituzionale ed ordinaria nei suoi con
trastati sviluppi, dando ampiamente conto dei termini della con
tesa, hanno posto dei punti fermi ai quali il collegio intende
dare piena adesione.
L'argomento insuperabile — nonostante le critiche della dot
trina — che deve, in questa sede, essere ribadito è che l'esperi mento della previa procedura di irrogazione delle sanzioni disci
plinari non ha costrutto in un rapporto che, per legge, è risolu
bile ad nutum ex art. 2118 c.c., senza alcuna necessità di
motivazione, in termini di piena libertà datoriale.
Altro argomento insuperabile, addotto dalle sezioni unite, è
rappresentato dall'oggettiva difficoltà di costruire la regola del
la «mancanza» nei confronti del personale di vertice della im
presa, dove — come puntualmente osservato da autorevole dot
trina — e nonostante il dirigente sia espressamente inserito dal
la legge fra i prestatori di lavoro subordinato (art. 2095 c.c.),
spesso è in questione l'idoneità in concreto di corrispondere alle
attese imprenditoriali, con una valutazione in sé non suscettiva
di sindacato giudiziario. «È evidente, infatti, la profonda diver sità concettuale, prima ancora che giuridica e contrattuale, che
esiste tra un rapporto di lavoro caratterizzato anche da un pro cedimento disciplinare... da un diverso rapporto privo di rap
porto disciplinare (ed anzi, a ben vedere, nel quale questo risul
ti — di per sé, salvo contraria espressa volontà collettiva —
incompatibile). Solo per il primo potrebbe applicarsi la concezione c.d. onto
logica del licenziamento disciplinare: il rapporto conosce delle
«mancanze», delle «sanzioni», un «procedimento» per far se
guire queste ultime alle prime. In questa situazione, il licenzia
mento è ... la massima sanzione per mancanze, e, ancorché non
previsto dal contratto, va irrogato rispettando le norme proce durali di garanzia. Ma, dove il rapporto di lavoro è del tutto
privo di rapporto disciplinare, dove non è prevista alcuna man
canza, alcuna sanzione, alcun procedimento, il recesso non può che avere il regime giuridico che gli è proprio. Né può equipa rarsi la situazione del rapporto del quale, esistendo un codice
disciplinare, la giusta causa di licenziamento viene ricondotta
alle generiche previsioni in quello contenuto, anche se non spe cificamente sanzionata, alla, del tutto diversa, situazione del li
cenziamento per giusta causa in un rapporto nel quale non vi
è rapporto (e quindi procedimento) disciplinare, o perché in
trinsecamente incompatibile, o perché pattiziamente escluso.
Pertanto, nel caso del dirigente... la disciplina è data dagli art. 2118 e 2119 c.c. e dal contratto collettivo applicabile; e, con l'entrata in vigore della 1. n. 108 del 1990, con la commina
ta inefficacia del licenziamento intimato non per iscritto (art. 2 così come ha modificato l'art. 2 1. n. 604 del 1966, e che
ha esteso l'applicabilità ai dirigenti del detto art. 2); nonché con la nullità del licenziamento discriminatorio (art. 9).
È poi... il caso di ricordare... che l'inosservanza delle garan zie procedimentali previste dall'art. 7 1. n. 300 del 1970 determi ni effetti ben più onerosi di quelli stabiliti per l'ipotesi del licen
ziamento senza giusta causa o giustificato motivo, o soltanto
considerato dal collegio arbitrale come «ingiustificato», tanto
più che in quest'ultimo caso il recesso comporta conseguenze
ampiamente indennitarie anche con riferimento al c.d. danno di immagine che talora è stato profilato in questa fattispecie.
Nel caso del dirigente inoltre, si avrebbe la conseguenza dav
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
vero paradossale che ...nell'ipotesi di licenziamento intimato sen
za esternazione di contestuale motivazione, e risultato «ingiusti ficato» in sede arbitrale..., spetterebbero al dirigente il preavvi so e l'indennità speciale; laddove nel caso di licenziamento del
tutto fondato, con gravi ragioni di inadempimento e annulla
mento della fiducia datoriale, il solo fatto di aver indicato tali
motivi contestualmente al recesso (così come richiesto dalla norma
contrattuale), senza aver fatto procedere una contestazione pre ventiva ed un termine a difesa comporterebbe la nullità del re
cesso e la reintegrazione» (Cass., sez. un., n. 6041 del 1995, cit.). Le argomentazioni esposte in ordine alla diversità del rappor
to dirigenziale ed al fatto che ad esso non sia connaturale il
rapporto disciplinare inficiano radicalmente la diversa (apodit
tica) opinione del tribunale.
Appare al collegio, a questo punto, necessario (oltreché op
portuno) precisare che le stesse sezioni unite — con la più volte
richiamata pronuncia 6041/95 —, pur avendo ritenuto il diri
gente «certamente un lavoratore subordinato, ma la sua subor
dinazione è di natura particolare» in quanto la legge (art. 2104
c.c.) lo pone accanto al datore di lavoro, «al di fuori di un
rapporto gerarchico, come è ovvio per un alter ego» — hanno,
tuttavia, limitato gli effetti dell'esclusione dell'obbligo della pre ventiva contestazione e dell'attribuzione di un termine a difesa, di cui all'art. 7 1. n. 300 del 1970, al rapporto di lavoro dei
dirigenti «propriamente» detti, e non anche al rapporto di lavo
ro dei c.d. pseudo-dirigenti, o dirigente meramente convenzionale.
Ritiene questa corte che l'espressione, evidenziata dalle sezio
ni unite, richiede un'ulteriore chiarificazione.
Come è noto, i dirigenti d'azienda sono esclusi dalla tutela
legale contro i licenziamenti e tale esclusione, che si ricava dalla
formulazione letterale dell'art. 1 1. n. 604 del 15 luglio 1966,
è stata dichiarata costituzionalmente legittima a motivo della
particolare connotazione fiduciaria del rapporto di lavoro (cfr. Corte cost. n. 121 del 1972, id., 1972, I, 2730; n. 309 del 1992).
Ed è altrettanto noto che l'atto di nascita della figura del
dirigente nell'ordinamento italiano, come figura dotata di rilie
vo autonomo rispetto a quella dell'impiegato, viene comune
mente individuato nel r.d. 1° luglio 1926 n. 1130 («norme per l'attuazione della 1. 3 aprile 1926 n. 563 sulla disciplina giuridi ca dei rapporti collettivi di lavoro»), che, all'art. 6, riprenden do l'elencazione degli impiegati con funzioni direttive contenuta
nel r.d.l. n. 1825 del 1924, imponeva a tutti «i direttori tecnici
ed amministrativi e gli altri capi di ufficio, di servizi con fun
zioni analoghe, gli institori in generale e gli impiegati muniti
di procura» di far parte di associazioni sindacali a sé stanti ri
spetto a quelle degli altri lavoratori «intellettuali e manuali».
È questa la prima (ed anzi, resterà l'unica) definizione legis lativa della categoria dirigenziale come categoria a sé stante.
A differenza di quella della categoria impiegatizia, contenuta
nel r.d.l. n. 1825 del 1924, questa definizione non è stata detta
ta per delimitare il campo di applicazione di una disciplina spe ciale del rapporto di lavoro, bensì per imporre direttamente una
netta separazione della categoria dirigenziale dalle altre sul pia no dell'organizzazione sindacale e quindi della contrattazione
collettiva (con l'effetto indiretto di favorire una differenziazio
ne marcata del trattamento a favore dei dirigenti). Nel frattem
po, tuttavia, sulla definizione dettata nel 1926, era intervenuta
la giurisprudenza. Si era cosi passati dall'elencazione di profili
professionali, socialmente tipici, contenuta nel decreto del 1926, all'individuazione del tratto distintivo essenziale della categoria nello svolgimento di funzioni strettamente proprie del capo del
l'impresa, in sostituzione dello stesso: il dirigente come alter
ego dell'imprenditore; e quindi alla specificazione degli elemen
ti necessari e sufficienti per l'appartenenza alla categoria: am
pia discrezionalità o autonomia operativa, subordinazione di
retta ed esclusiva al principale od al consiglio di amministrazio
ne, preposizione gerarchica a tutto il personale di un'azienda
di dimensioni non minime o ad un rilevante settore di essa,
esercizio di un ampio potere gestorio e carattere spiccatamente fiduciario della collaborazione.
Va aggiunto, per completezza di riferimenti storici, che gli
accordi collettivi (le «convenzioni») del periodo corporativo pre
vedevano quale requisito per l'attribuzione della qualifica e del
trattamento di dirigente anche l'iscrizione all'associazione sin
dacale. Ma l'orientamento prevalente della giurisprudenza fu
nel senso dell'inidoneità di tale clausola ad inibire l'inquadra
mento, come dirigente, del lavoratore che, pur senza essere iscrit
II Foro Italiano — 1998.
to all'associazione, svolgesse la funzione apicale anzidetta in un'a
zienda di medie o grandi dimensioni.
La nozione di dirigente — dichiaratamente restrittiva ed elita
ria — elaborata dalla giurisprudenza, ispirò il legislatore del
1942 con la menzione dei «dirigenti amministrativi o tecnici», contenuta nel 1° comma dell'art. 2095 c.c.
Abrogato, poi l'ordinamento corporativo. Nella perdurante carenza di una definizione legislativa del dirigente, negli svilup
pi giurisprudenziali si sono registrate due tendenze tra loro ap
parentemente contraddittorie.
Per un verso, la giurisprudenza si è mostrata tendenzialmente
disponibile ad avallare l'allargamento della categoria dirigenzia
le, sia verso l'alto (ammettendosi la possibilità di cumulo tra
posizione dirigenziale e carica di amministratore di società: cfr.
per tutte: Cass. 8279/87, id., Rep. 1987, voce Società, n. 510), sia verso il basso (con l'ammissibilità, anche ai fini delle diffe renziazioni di trattamento di fonte legislativa, dell'attribuzione
della qualifica dirigenziale a personale impiegatizio non dipen dente direttamente dal vertice dell'impresa e/o non investito di
ampio potere gerarchico in seno alla organizzazione aziendale:
Cass. 5608/90, id., Rep. 1990, voce Lavoro (rapporto), n. 628). Per altro verso, la stessa giurisprudenza si è mostrata, invece,
tendenzialmente orientata al più marcato rigore. La coesistenza delle due tendenze non è, peraltro, venuta me
no neanche quando la giurisprudenza non ha più riconosciuto
valore alla c.d. clausola di riconoscimento formale, alle disposi zioni collettive, cioè, che affidavano all'insindicabile decisione dell'imprenditore l'attribuzione della qualifica di dirigente (v. Cass. 5031/85, id., Rep. 1985, voce cit., n. 666). Infatti, nono
stante questo orientamento si fosse largamente consolidato, in
alcuni contratti (ad es. quello per i dirigenti di imprese di servizi
pubblici degli enti locali del 1986) la clausola di riconoscimento formale non fu soppressa, né esso produsse l'effetto di rendere
più precise le declaratorie contrattuali alla categoria dirigenzia
le, rimaste generalmente modellate sulla definizione tradiziona
le ricorrente nelle massime della giurisprudenza e formulate in
modo sufficientemente elastico per prestarsi all'interpretazione
più ampia. Tuttavia, anche se una parte della dottrina, al fine di mettere
ordine nella materia, abbia proposto la distinzione di nozione
legale di dirigente più restrittiva, cui dovrebbe corrispondere il
campo di applicazione della disciplina (o esenzione da discipli
na) legale, ed una o più nozioni contrattuali desumibili dalle
definizioni contenute nei contratti collettivi cui dovrebbe farsi
riferimento soltanto per l'applicazione delle discipline colletti
ve; mentre da un'altra parte della dottrina è stato viceversa pro
posto uno schema interpretativo che, rinunciando all'unitarietà
del tipo legale, giustifichi razionalmente la coesistenza delle di
verse nozioni di dirigente, in quanto diverse estensioni del cam
po di applicazione di discipline speciali differenziate previste dalla
legge o dai contratti. Sicché, ai fini dell'esenzione dalla discipli na limitativa del licenziamento e del contratto a termine, do
vrebbe distinguersi l'alta dirigenza, caratterizzata dall'ampiezza del potere gestorio e corrispodente alla nozione originaria del
Valter ego dell'imprenditore, dalla dirigenza media e bassa, che
dovrebbe considerarsi assoggettata, insieme alla generalità degli altri lavoratori, al regime di tutela reale della stabilità del po sto. Tuttavia, dunque, sembra alla corte che il canone interpre tativo dell'aderenza al diritto vivente impedisca di prescindere dall'orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, forma
tosi nel contesto dell'art. 2095 c.c., secondo cui, in riferimento
alla categoria dirigenziale, lo schema della tutela giuslavoristica
tradizionale, ed in particolare dell'inquadramento come espres sione sintetica, indicativa del trattamento inderogabilmente do
vuto al lavoratore in corrispondenza con la sua posizione in
seno all'azienda, si applica soltanto nella zona apicale, nella
zona, cioè, delimitata dai ristretti confini originari della catego ria: soltanto il lavoratore che effettivamente «sostituisca» il ca
po di un'impresa di dimensioni medio-grandi nelle funzioni stret
tamente sue proprie, ovvero la cui posizione corrisponda so
stanzialmente al prototipo del c.d. top manager, può essere
considerato dirigente. In questi termini, si giustifica e si com
prende il significato di espressioni ricorrenti nella giurispruden za di questa corte, secondo le quali il dirigente deve identificarsi
nell'after ego dell'imprenditore, preposto all'intera azienda o ad
un ramo o servizio, caratterizzato da particolare autonomia e
importanza, per cui gli competono, con le connesse responsabi
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PARTE PRIMA
lità, poteri decisionali di entità tale, pur nell'ambito delle diret
tive generali impartite dal datore di lavoro, da influenzare l'in
tero andamento dell'attività aziendale, tanto al suo interno che
nei rapporti con i terzi (ex plurimis, Cass. 589/67, id., Rep.
1967, voce cit., n. 225; 5876/87, id., Rep. 1987, voce cit., n.
742; n. 7095/87, ibid., n. 744; 4326/89, id., Rep. 1989, voce cit., n. 692; 13387/92, id., Rep. 1992, voce cit., nn. 760, 761; 1963/96, id., Rep. 1996, voce cit., n. 678). In tali termini, è, quindi, condivisibile la diversità (rilevata dalle sezioni unite con
la pronuncia 6041/95) del rapporto di lavoro dei dirigenti, con
notato dalla carenza di rapporto disciplinare (v. anche: Cass.
1963/96, cit.). Di guisa che — occorre ribadirlo — coerente
mente è ammissibile l'esenzione dalla disciplina legale ed, in
particolare dalla procedura prevista dall'art. 7 1. n. 300 del 1970.
Ammissibilità che, al contrario, non può essere consentita nei
confronti del personale dipendente (direttivo) caratterizzato dalla
media e bassa dirigenza, rappresentata dalla figura del dirigente di «staff», tecnico altamente specializzato, ricercatore, ecc., in
grado di offrire prestazioni di elevata competenza e responsabi lità professionali (anche in mancanza della preposizione gerar chica ad un ramo o servizio), personale per il quale, non sussi
stendo unitarietà del tipo legale di dirigente, l'esclusione dalla
tutela non ha ragion d'essere.
A questo punto può affermarsi il seguente principio di dirit
to: «l'obbligo della preventiva contestazione degli addebiti e di
un termine a difesa di cui all'art. 7 1. n. 300 del 20 maggio 1970 non è applicabile soltanto al rapporto di lavoro dei diri
genti di aziende industriali, che si trovino in posizione apicale nell'ambito della impresa e caratterizzati dall'ampiezza del po tere gestorio, tanto da potere essere definito un vero e proprio alter ego dell'imprenditore e per il quale non sono ipotizzabili una dipendenza gerarchica e la sottoposizione al potere discipli nare dell'imprenditore, restando, invece, applicabile la proce dura dell'art. 7 1. 300/70 al rapporto di lavoro del personale direttivo (c.d. pseudo-dirigente o dirigente meramente conven
zionale)». Da quanto esposto, la sentenza del Tribunale di Alessandria
che ha, peraltro, omesso ogni accertamento in ordine alla figu ra di dirigente propriamente detto o no dello Stracchi, merita
le censure che le vengono addebitate.
Conseguono l'accoglimento del primo motivo del ricorso, as
sorbiti gli altri motivi, la cassazione dell'impugnata sentenza ed
il rinvio della causa per un nuovo esame al Tribunale di Nova
ra, sezione lavoro.
II
Motivi della decisione. — (Omissis). I primi quattro motivi, che per evidente connessione — tutti si riportano alla dedotta
stabilità reale convenzionale del rapporto — vanno congiunta mente trattati, sono fondati.
Il tribunale ha affermato che il rapporto di lavoro in questio ne trova origine nella lettera di assunzione del 22 novembre 1990.
E dall'esame diretto degli atti processuali, consentito in questa sede per i dedotti vizi in procedendo, risulta che in detta lettera
la Serit, oltre a precisare l'inquadramento del Lamberti nella
categoria dei dirigenti con la qualifica di direttore, i compiti e il trattamento economico allo stesso attribuiti, aveva specifi
cato, al terzo paragrafo, che per quanto non previsto dalla me
desima lettera, il rapporto «sarà regolato dalle disposizioni di
legge che regolano il rapporto di lavoro ed il rapporto previden ziale dei funzionari dipendenti dai privati concessionari e dal
ccnl 3 marzo 1988 per i funzionari dipendenti delle esattorie - tesorerie gestite da privati esattori e dai successivi rinnovi, fatta eccezione per l'art. 7, 2° e 3° comma, del ccnl citato».
Il giudice del gravame ha però escluso la esistenza di una tutela
reale derivante dal contratto individuale, in base al rilievo che «il richiamo ivi operato alla contrattazione disciplinante il rap
porto dei fuzionari (era) solo di carattere integrativo in relazio
ne a quanto non espressamente previsto per i dirigenti». Tale
motivazione è però insufficiente, in quanto il giudice del grava me, pur affermando che il contratto dei funzionari è integrati
vo, non chiarisce quale sia la portata della integrazione derivan
te dalla disciplina legale e contrattuale dei funzionari e se con
templando tale disciplina un regime di stabilità reale per i
Il Foro Italiano — 1998.
medesimi dipendenti, come aveva affermato il ricorrente, per ché non poteva essere applicata al Lamberti, che espressamente l'aveva richiamata e su di essa aveva fondato la domanda di
reintegrazione nel posto di lavoro.
Ha poi ritenuto il tribunale che la normativa collettiva non
fa alcun accenno alla tutela reale in favore dei dirigenti, perché mentre all'art. 89, 2° comma, prevede che il rapporto dei diri
genti può essere risolto dall'azienda solo nei casi di giusta causa
o di giustificato motivo, al successivo art. 90 stabilisce che in
caso di risoluzione senza giusta causa è dovuto il preavviso. La corte osserva che il rapporto di lavoro dei dirigenti —
categoria nella quale, come è pacifico in atti, rientravano le
mansioni svolte dal Lamberti — anche dopo l'entrata in vigore della 1. 11 maggio 1990 n. 108, non è assoggettato alle norme
limitative dei licenziamenti individuali, di cui agli art. 1 e 3 1. 15 luglio 1966 n. 604, non avendo la 1. n. 108 del 1990 inciso
sull'art. 10 1. n. 604 del 1966 e la stabilità al rapporto di lavoro
dei dirigenti può essere assicurata mediante l'introduzione ad
opera dell'autonomia privata, collettiva o individuale, di limita
zioni alla facoltà di recesso del datore di lavoro (Cass. 9 giugno
1995, n. 6520, Foro it., 1996, I, 1359; 14 maggio 1993, n. 5531, id., Rep. 1993, voce Lavoro (rapporto), n. 668).
Orbene, il tribunale, pur affermando come si è detto innanzi
che il rapporto dei dirigenti nella ipotesi in esame può essere
risolto solo nei casi di giusta causa o di giustificato motivo, ha però ritenuto che nessun accenno tale clausola faccia ad una
tutela reale in favore dei dirigenti. Così argomentando però il
giudice del gravame non ha osservato le regole di ermeneutica
contrattuale, a cui deve farsi riferimento anche per l'interpreta zione dei contratti collettivi di diritto comune.
Risulta così violato il criterio fondamentale per la ricerca del
la comune volontà delle parti che è quello letterale, attribuendo
ad ogni frase o parola il significato che loro è proprio, e che
il giudice del merito deve applicare con priorità nel processo
interpretativo, dando ragione, prima di accedere a successivi e
sussidiari parametri di interpretazione, della equivocità o della
insufficienza del dato letterale, a meno che l'inidoneità di tale
dato non sia di palmare evidenza.
D'altra parte, il risultato interpretativo cui perviene il giudice del merito annulla, come rilevato dalla difesa del ricorrente,
quella distinzione in ordine al recesso tra dirigenti non apicali e dirigenti di vertice (che a pag. 8 della sentenza impugnata aveva pure affermato, evidenziando che l'art. 89, 3° comma, del contratto collettivo disciplina un'ipotesi estranea alla fati
specie in esame) e finisce con l'attribuire ai dirigenti di entram
be le categorie per il licenziamento, giustificato o non, il solo
diritto al preavviso. E relativamente all'art. 90 del contratto collettivo, in cui è
stabilito che «in caso di risoluzione del rapporto ad iniziativa
del concessionario non per giusta causa è dovuto il preavviso secondo quanto previsto dall'art. 64...», il tribunale sostiene
che tale ipotesi è quella del licenziamento senza giusta causa
e quindi, per le conseguenze che ne derivano, equipara a questo recesso ingiustificato quello intimato in violazione della proce dura di cui all'art. 7 dello statuto dei lavoratori. Da siffatta
interpretazione emerge il vizio logico dedotto, dovendosi rileva
re l'inammissibilità delle conseguenze cui essa porterebbe: infat
ti, ove la clausola contrattuale dovesse essere intesa nel senso
affermato dal giudice del gravame, il diritto al preavviso com
peterebbe nel caso di licenziamento non sorretto da giusta cau
sa, ma non per quello che si rilevasse privo di un giustificato motivo soggettivo. (Omissis)
Passando all'esame del primo motivo del ricorso incidentale, la soc. Serit lamenta violazione e falsa applicazione dell'art.
7 1. n. 300 del 1970 e sostiene che, non essendo applicabile al
rapporto di lavoro dei dirigenti l'obbligo della preventiva conte
stazione di cui alla norma denunciata, in base al principio da
ultimo enunciato dalle sezioni unite di questa corte con la sen
tenza 29 maggio 1995, n. 6041 (id., 1995, I, 1778), non compete l'indennità sostitutiva del preavviso per il licenziamento intima
to al dirigente senza le garanzie dell'art. 7 citato.
La doglianza è infondata. Si deve infatti osservare che la ri
chiamata decisione delle sezioni unite nell'affermare che le ga ranzie previste dall'art. 7 dello statuto dei lavoratori non trova
no applicazione nel caso di licenziamento di dirigente d'azien
da, fa riferimento ad una nozione legale restrittiva di tale figura
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
limitandola a quella «categoria, che in modo non controverso, deve collocarsi al vertice della organizzazione aziendale, deve
svolgere mansioni tali da improntare la vita dell'azienda, con
scelte di respiro globale, e deve porsi in un rapporto di collabo
razione fiduciaria con il datore di lavoro (del quale è un alter
ego) ...e che anzi esercita i poteri propri dell'imprenditore assu
mendone, anche, se non sempre, la rappresentanza esterna».
L'inapplicabilità dell'art. 7 richiamato va dunque limitata ai di rigenti in senso stretto, i quali sono al vertice dell'organizzazio ne aziendale, e non agli altri, i c.d. pseudo-dirigenti o dirigenti meramente convenzionali, per i quali, secondo il precedente orien
tamento giurisprudenziale (v. Cass., sez. un., 18 maggio 1994, n. 4844, id., 1994, I, 2076) trovano applicazione le garanzie
previste dal 2° e 3° comma della suddetta norma, derivando
dalla loro inosservanza gli stessi effetti stabiliti per l'ipotesi di
licenziamento senza giusta causa o giustificato motivo e quindi, ricorrendone i relativi presupposti, la tutela reale o quella ob
bligatoria.
Orbene, la sentenza impugnata ha accertato con apprezza mento di fatto non sottoposto a censura che il Lamberti non
rientrava nella categoria dei dirigenti di vertice: ha infatti esclu
so che nella fattispecie in esame fosse applicabile il 3° comma
dell'art. 89 del ccnl del settore, che secondo quanto specificato dalla difesa della società resistente, rinvia alle norme del codice
civile per la risoluzione del rapporto di lavoro nei confronti
dei dirigenti che compongono la direzione generale, affermando
invece che nella specie doveva farsi riferimento al 2° comma
del medesimo art. 89, ove è previsto che il rapporto di lavoro
dei dirigenti può essere risolto dall'azienda solo nei casi di giu sta causa o di giustificato motivo.
Perciò, sulla base dell'indirizzo espresso dalla sentenza delle
sezioni unite n. 6041 del 1995, che il collegio condivide, va esclusa
la denunciata violazione di legge. La sentenza impugnata va dunque annullata. Il giudice di rin
vio, che si designa nel Tribunale di Benevento, nel riesaminare
la controversia dovrà, interpretando con i criteri previsti dagli art. 1362 ss. c.c. le clausole di cui agli art. 89 e 90 del ccnl
7 aprile 1992 per i dirigenti delle aziende concessionarie del ser
vizio riscossione tributi, determinare l'ambito delle garanzie, ove
sussistenti, riservate al dirigente in caso di licenziamento.
II
Motivi della decisione. — (Omissis). Il ricorrente sostiene inol
tre che le attività da lui svolte rispondano ad «una figura diri
genziale medio-bassa per la quale sussiste nei confronti del li
cenziamento la medesima ratio di tutela che si traduce nell'im
posizione di una giustificazione ai sensi della citata 1. 604/66». Sodano Emilio, peraltro, si è limitato in ricorso a sostenere che
le mansioni da lui effettivamente svolte difettino in concreto
di tutti quei caratteri ritenuti tipici della categoria dirigenziale, ma non ha affermato che tali mansioni non corrispondano a
quelle previste dalla definizione convenzionale di dirigente.
Indubbiamente, è rinvenibile in giurisprudenza l'orientamen
to secondo cui l'esclusione dalla disciplina comune dei licenzia
menti non riguarda il c.d. pseudo-dirigente, o dirigente mera
mente convenzionale, le cui mansioni concretamente assegnate ed esercitate non abbiano le caratteristiche peculiari del rappor to propriamente dirigenziale (vedi Cass. 9 aprile 1973, n. 1006, Foro it., Rep. 1973, voce Lavoro (rapporto), n. 530; 21 marzo
1980, n. 1922, id., 1981, I, 832; 15 febbraio 1992, n. 1836,
id., Rep. 1992, voce cit., n. 738). Da ultimo, Cass., sez. un., 29 maggio 1995, n. 6041 (id., 1995, I, 1778) ha delineato una
nozione legale di dirigente assai restrittiva, circoscrivendone la
figura alle sole ipotesi di alter ego del datore di lavoro, colloca
to «al vertice dell'organizzazione aziendale», cui siano assegna te mansioni «tali da improntare la vita dell'azienda», dotato
di ampia autonomia nel rispetto soltanto di direttive di caratte
re generale dello stesso datore di lavoro; al di là di questa defi
nizione, per le sezioni unite vi è la figura del dirigente per con
venzione, ossia del dipendente le cui mansioni, pur corrispon dendo ad uno dei plurimi ed articolati profili funzionali delineati dai contratti collettivi di settore, non si collochino nella posizio ne di vertice richiesta per la riconducibilità nella categoria lega
le. Va peraltro considerato che la puntualizzazione delle sezioni
unite sulla figura del dirigente è stata operata per offrire argo
II Foro Italiano — 1998.
mento alla ritenuta esclusione delle garanzie del contraddittorio
in caso di licenziamento con addebito e non già, all'opposto,
per ritagliare una più ampia figura di dirigente convenzionale, al fine di ricondurla nell'alveo della disciplina ordinaria sulla
giusta causa e sul giustificato motivo di licenziamento.
Osserva quindi il pretore che l'orientamento della citata giuris
prudenza sul c.d. pseudo dirigente pare richiamare la tesi di
chi ha rilevato l'inesistenza di una definizione legale di dirigen te, desumendone che la relativa categoria sia destinata ad assu
mere i connotati ed i confini richiesti volta a volta dal particola re profilo da cui è riguardata la condizione dei dirigenti. In
particolare, nella materia del licenziamento, il carattere eccezio
nale del recesso ad nutum comporterebbe che solo i requisiti delle mansioni afferenti alla figura del dirigente alter ego siano
in grado di giustificare l'esclusione dalla disciplina limitativa dei licenziamenti.
Tale orientamento non pare però condivisibile.
Va rilevato che l'art. 2095 c.c. definisce la categoria dirigen ziale per rinvio, eleggendone a contenuto i criteri dettati dal
l'autonomia collettiva e prevedendo, quindi, in via normale, una
coincidenza di contenuti tra la nozione legale e quella contrat
tuale. In altri termini, non è discutibile che per legge è dirigente chi tale sia per la contrattazione; la mancanza di una esplicita definizione legale non giustifica pertanto un procedimento di
individuazione della categoria a misura delle singole leggi che
debbano trovare applicazione. La categoria legale di cui all'art.
2095 c.c., se ha una funzione, è proprio quella di individuare
ambiti costanti ed unitari di applicazione delle leggi che ad essa
facciano richiamo. In conseguenza, un rinvio come quello ope rato dall'art. 10 1. n. 604 del 1966 inequivocabilmente esclude
la possibilità di individuare una distinzione nell'ambito della ca tegoria, giungendo alla contraddittoria conseguenza di conside
rare come impiegato, ai fini della legge sui licenziamenti indivi
duali, colui che è dirigente ai sensi dell'art. 2095 c.c.
Un'altra tesi fa leva, sempre ai fini voluti dal ricorrente, sul
l'affermazione dell'esistenza di due differenti concetti di cate
goria — uno legale ed uno contrattuale — che rifletterebbero
realtà non necessariamente coincidenti. La 1. n. 604 del 1966
farebbe riferimento alla nozione legale, espressa nell'art. 2095
c.c., che avrebbe un'estensione inferiore a quella riscontrabile
nella realtà e nella contrattazione (Pret. Roma 14 luglio 1976,
id., 1977,1, 2775; contra, Trib. Roma 20 settembre 1977, ibid.). Risulta agevole obiettare, di contro, che una contrapposizione tra categoria legale e categoria contrattuale è contraddetta dal
medesimo art. 2095, che tende ad affermare la completa corri
spondenza delle due nozioni.
La distinzione tra il dirigente alter ego ed il c.d. pseudo diri
gente non appare al pretore proponibile anche in considerazio
ne dell'attuale costante processo di diversificazione della figura del dirigente, segnato, soprattutto nelle imprese di notevoli di
mensioni come l'odierna resistente, dall'allargamento del grup
po di comando esistente nell'organizzazione aziendale. E non
va trascurato il dato che l'assunzione del prestatore in tale al
largato gruppo di comando si accompagna sempre, dal lato del
datore di lavoro, l'aspettativa di una prestazione qualitativa mente differente da quella impiegatizia, con tutto quel che con
segue in termini di maggiore disponibilità, maggiore fedeltà, mag
giore prospettiva di mobilità, caratteristiche tutte della posizio ne del dirigente, della particolare qualità del servizio da lui reso
e che da lui si attende e del carattere fiduciario a tale servizio
inestricabilmente connesso; d'altronde, a tale aspettativa corri
sponde il migliore trattamento riservato al dipendente inqua drato come dirigente. Tali connotazioni della prestazione richie
stagli giustifica a parere del pretore l'esclusione dalla tutela contro
i licenziamenti. D'altronde, non può non lasciare disorientati la considerazio
ne che le ragioni addotte dal ricorrente per affermare l'applica zione della tutela contro i licenziamenti traggono forza dalle
vecchie e persistenti declaratorie giurisprudenziali — sostanzial
mente legate alla obsoleta concezione del dirigente come alter
ego dell'imprenditore — contro le quali altri lavoratori si batto
no, su un altro versante, quando vogliono far valere la pretesa al riconoscimento della qualifica dirigenziale.
In conclusione, le osservazioni che precedono inducono il pre tore a ritenere applicabile al Sodano il regime previsto a disci
plina del licenziamento del dirigente d'azienda.
Quanto a tale regime, rileva il pretore che la Corte costituzio
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PARTE PRIMA
naie ha reiteratamente dichiarato non fondata la questione di
legittimità costituzionale dell'art. 10 1. n. 604 del 1966 (cfr. l'or
dinanza del 26 ottobre 1992, n. 404, id., 1993, I, 322, la senten
za 1° luglio 1992, n. 309, id., 1992, I, 2321, e quella n. 121 del 1972, id., 1972, I, 2730). Il datore di lavoro risulta quindi titolare per previsione legislativa del diritto di recedere (rectius, di disdetta) dal rapporto di lavoro col dirigente d'azienda, volto
a tutela (solo) del proprio interesse obiettivo all'interruzione del
rapporto contrattuale ed il cui esercizio è rimesso esclusivamen
te alla propria autonoma decisione (di tale speciale regime di
libera recedibilità dal rapporto tengono conto Corte cost. 7 mag
gio 1975, n. 101, id., 1975, I, 1608; 22 maggio 1987, n. 180, id., Rep. 1987, voce Sicilia, n. 104; Cass. 6 novembre 1986, n. 6534, id., 1987, I, 1168; 28 settembre 1988, n. 5260, id., Rep. 1988, voce Lavoro (rapporto) n. 748).
Risulta quindi non convincente la tesi di chi ritiene che la
giustificatezza del licenziamento debba essere riferita alle cause
tipiche di risoluzione del contratto contemplate dagli art.
1453-1469 c.c., rispetto alle quali l'ordinamento ha già formu
lato in via generale un giudizio di meritevolezza e di idoneità
a rompere l'equilibrio di interessi cristallizzatosi nel contratto
(vedi, per tale opinione, Pret. Ferrara 11 maggio 1995, id., Rep.
1995, voce cit., n. 723). Il licenziamento «giustificato» del diri
gente integra infatti un'ipotesi di risoluzione volontaria del con
tratto, coseguente all'esercizio del potere datoriale di disdetta,
da solo sufficiente ad escludere la continuazione del rapporto; inconferente appare dunque il richiamo alla disciplina delle fat
tispecie tipizzate di risoluzione legale. Il diritto di recesso del datore di lavoro — definibile come
diritto di disdetta, attenendo a contratto di durata indetermina
ta in corso di esecuzione — si connota per la sua discrezionali
tà, nelle modalità e nelle scelte di fondo, assumendo la configu razione del c.d. potere privato.
Con riferimento ai poteri privati ed in special modo a quelli
datoriali, la giurisprudenza è andata riscoprendo la valenza del
principio di buona fede come direttiva fondamentale per valu
tare l'agire del datore, anche al fine di concretizzare regole di
azione per completare un quadro di riferimento normativo piut tosto povero di indicazioni.
È opportuno segnalare, peraltro, che nelle decisioni dei giudi ci il ricorso al principio di buona fede rappresenta quasi sempre una formula di comodo o un obiter dictium, che si aggiunge ad altre rationes decidendi; il richiamo a tale principio assume
quasi il carattere di una clausola di stile.
Nella fattispecie in esame, invece, l'impiego del principio di
buona fede può essere utile in funzione di limite all'azionabilità
del potere, al fine di evitarne l'abuso, inteso in senso soggetti
vo, come esercizio di un diritto non sorretto da motivi giustifi cabili. I limiti individuati avranno l'aspetto di doveri, aventi per oggetto il rispetto di criteri, finalità, procedure. Ed infatti, l'orientamento più recente della giurisprudenza di legittimità, nel distinguere la nozione di licenziamento giustificato di cui
ai vari contratti collettivi dei dirigenti (nella specie, dei dirigenti
industriali) dalla nozione legale di giustificato motivo, richiama
l'incidenza del principio di buona fede sul potere datoriale in
questione, del quale costituisce limite interno, »senza che lo spes sore della tutela sia di consistenza tale da consentire la omolo
gazione di tutele, con l'estensione al dirigente delle garanzie pre viste dall'art. 3 1. 604/66' (Cass. 25 novembre 1996, n. 10445,
id., 1997, I, 839; in termini, Cass. 9 giugno 1995, n. 6520, id., 1996, I, 1359), specificando che «il licenziamento ingiustificato del dirigente, nei cui confronti può essere disposto il licenzia
mento ad nutum, si verifica tutte le volte in cui il datore di
lavoro eserciti il proprio diritto di recesso violando il principio fondamentale di buona fede che presiede all'esecuzione dei con
tratti (art. 1375 c.c.), in attuazione di un comportamento pura mente pretestuoso, ad esempio, ai limiti della discriminazione, ovvero del tutto irrispettoso dell'osservanza delle regole proce dimentali che assicurano la correttezza nell'esercizio del diritto»
(Cass. 14 maggio 1993, n. 5531, id., Rep. 1993, voce cit., n.
668; nella giurisprudenza di merito, da ultimo, Trib. Milano
17 maggio 1995, id., Rep. 1995, voce cit., n. 719; Cass. 19
ottobre 1996, n. 8934, id., 1997, I, 839, pur aderendo a tale
tesi, specifica che «...il giudizio di giustificatezza... esige... una globale valutazione che escluda l'arbitrarietà del licenziamento
Il Foro Italiano — 1998.
del dirigente»; contra, Coll. arb. licenziamenti dirigenti imprese
assic., lodo 17 febbraio 1997, ibid., 1301). La nozione di «giustificatezza» del licenziamento del dirigen
te elaborata dalla giurisprudenza costituisce dunque, a parere del pretore, il risultato della verifica del rispetto da parte del
datore dei citati criteri, finalità e procedure nell'esercizio del
potere di recesso, in applicazione del principio della buona fede
in executivis.
Nella fattispecie in esame, la motivazione del recesso, dalla
quale vanno desunti i criteri e le finalità del licenziamento inti
mato a Sodano Emilio, consiste nella soppressione della posi zione di lavoro da lui ricoperta. Osserva sul punto il pretore che la resistente con la memoria di costituzione si è limitata
a specificare che la soppressione in questione è stata determina
ta dalla «notoria crisi che ha colpito la società convenuta», sen
za in tal modo introdurre fatti diversi in violazione dell'immu
tabilità della causa del licenziamento.
La prova espletata ha fornito pieno suffragio delle circostan
ze così indicate. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 11 feb
braio 1998, n. 1413; Pres. Corda, Est. Ferro, P.M. Palmie
ri (conci, parz. diff.); Soc. Impianti funiviari Pizzalto (Avv.
Iannotta, D'Amato) c. Soc. cooperativa Marian (Aw. Ses
sa, Leone); Soc. cooperativa Marian c. Soc. Impianti funi
viari Pizzalto. Cassa App. L'Aquila 10 ottobre 1996.
Arbitrato e compromesso — Arbitrato rituale — Patto compro missorio — Carenza — Lodo — Nullità — Dichiarazione in
Cassazione — Fattispecie (Cod. proc. civ., art. 384, 829, 830).
Accertata l'inesistenza del patto compromissorio, in attuazione
del quale si è svolto il procedimento avanti gli arbitri rituali, deve cassarsi la sentenza di appello che ne ha confermato i
lodi (parziale e definitivo), resi nel novembre del 1994 e nel
maggio del 1995, e dichiararsi, ai sensi dell'art. 384, 1 ° com
ma, c.p.c., la nullità di entrambi. (1)
Svolgimento del processo. — Con contratto in data 5 agosto 1991 la società Impianti funiviari Pizzalto s.n.c. di Colecchi e
(1) Prima di soffermarsi sulle enunciazioni riassunte in massima, è il caso di avvertire che, nella parte motiva della riportata pronuncia, la corte ha ritenuto, ratione temporis, inapplicabili nella fattispecie le modifiche apportate dall'art. 8 1. n. 25 del 1994 all'art. 816 c.p.c. Oc corre, altresì, segnalare che nella stessa motivazione della sentenza, la corte ha riconosciuto la necessità di dichiarare la nullità degli impugnati lodi arbitrali ai sensi dell'art. 829 c.p.c. «con riferimento ad una nozio ne di nullità ampiamente comprensiva di quella di inesistenza giuridica. In tal senso e a tal fine» — ha proseguito la prima sezione civile —
«la presente sentenza resta circoscritta al suo effetto rescindente, senza necessità né possibilità di accesso a una fase rescissoria, la quale postu lerebbe la sussistenza di un lodo, pur risultante nullo per qualsivoglia altra ragione ma comunque promanante da arbitri effettivamente inve stiti di potestas iudicandi». Ricordati i superiori rilievi della corte, non è difficile notare che, fatta eccezione per l'applicazione dell'art. 384
c.p.c. nel testo ora vigente, la pronuncia si inserisce in una tendenza
giurisprudenziale espressa, oltre che dalle risalenti decisioni ricordate da Cecchella, L'arbitrato, Utet, Torino, 1991, n. 210 ss., anche da alcune più recenti sentenze, quali, ad es., Cass. 4 febbraio 1993, n. 1407, Foro it., Rep. 1993, voce Arbitrato, n. 143 (secondo cui, nel
giudizio di impugnazione per nullità di un lodo arbitrale, la competenza a conoscere nel merito, dopo l'esaurimento della fase rescindente [sui cui rapporti con la fase rescissoria Cass. 16 giugno 1997, n. 5370, id., 1998, I, 567, con nota di richiami], presuppone un lodo emesso da arbitri effettivamente investiti di potestas iudicandi), e Cass. 27 luglio 1990, n. 7597, id., Rep. 1990, voce cit., n. 105 (per la quale, nel giudi zio di impugnazione per nullità di lodo arbitrale, la competenza a cono
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