sezione lavoro; sentenza 11 giugno 2004, n. 11154; Pres. Sciarelli, Est. De Luca, P.M. Napoletano(concl. conf.); Cassa nazionale di previdenza ed assistenza per gli ingegneri ed architetti liberiprofessionisti (Avv. Luciani) c. G. Bifulco (Avv. Romanelli, Cocco, F. Bifulco, Pietrasanta).Conferma App. Milano 23 novembre 2000Source: Il Foro Italiano, Vol. 128, No. 2 (FEBBRAIO 2005), pp. 461/462-465/466Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23200540 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
dita e che il provvedimento di autorizzazione alla vendita viene
adottato nell'udienza di cui all'art. 569 c.p.c., cosicché risulte
rebbe poco comprensibile che in occasione delle operazioni d'incanto si possa dare rilievo all'inerzia del creditore proce dente o dei creditori intervenuti muniti di titolo esecutivo che
già hanno manifestato le proprie intenzioni sul punto. Inoltre, la diversa interpretazione non sembra soddisfare al
principio costituzionale della ragionevole durata del processo di
cui al 2° comma dell'art. Ill Cost., poiché si consentirebbe al
creditore di provocare il differimento dell'incanto non presen ziando allo stesso, pur dopo averlo richiesto, coinvolgendo an
che soggetti estranei all'esecuzione che, per partecipare all'in
canto, hanno sopportato i relativi oneri.
3.4. - Ugualmente infondata è la deduzione relativa alla ri
chiesta di rinvio da parte dei creditori procedenti, poiché non
sussiste alcun obbligo da parte del giudice dell'esecuzione di
concedere il rinvio dell'incanto. E nel caso di specie la richiesta
fu esaminata e rigettata dal giudice dell'esecuzione.
3.5. - Avuto riguardo a quanto affermato, il ricorso dev'esse
re rigettato.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 11 giugno 2004, n. 11154; Pres. Sciarelli, Est. De Luca, P.M. Napole
tano (conci, conf.); Cassa nazionale di previdenza ed assi
stenza per gli ingegneri ed architetti liberi professionisti (Avv.
Luciani) c. G. Bifulco (Avv. Romanelli, Cocco, F. Bifulco,
Pietrasanta). Conferma App. Milano 23 novembre 2000.
Professioni intellettuali — Ingegneri ed architetti — Previ
denza — Contributo integrativo —
Corrispettivo per la
carica di presidente del consiglio di amministrazione di una società — Assoggettabilità — Esclusione — Limiti (L. 3 gennaio 1981 n. 6, norme in materia di previdenza per gli
ingegneri e gli architetti, art. 8, 9, 10, 16; d.p.r. 22 dicembre
1986 n. 917, approvazione del t.u. delle imposte sui redditi, art. 49).
Non sono soggetti a contributo integrativo i corrispettivi perce
piti da ingegnere, iscritto alla cassa di previdenza, in qualità di presidente del consiglio di amministrazione di una società
di ingegneria ed impiantistica, in mancanza di prova della ri
conducibilità di detti corrispettivi alla professione di inge
gnere. (1)
(1) Non constano precedenti specifici. Con riferimento alla carica di amministratore delegato di una società,
nel senso che ai fini dell'iscrizione alla Cassa di previdenza degli inge gneri ed architetti, l'attività di amministratore delegato di una società
svolta da ingegnere non può essere considerata attività libero profes sionale, Cass. 2 marzo 2001, n. 3064, Foro it., 2001, I, 1545. Nel senso
che ai fini dell'iscrizione alla Cassa di previdenza degli ingegneri ed
architetti non è sufficiente il mero ricorrere delle circostanze formali ed
estrinseche indicate dal comitato dei delegati, essendo necessario
l'esercizio effettivo della libera professione in modo continuativo, Cass. 12 febbraio 1997, n. 1300, id., 1997,1. 739.
Con riferimento «all'esimente» dalla contribuzione alla cassa, nel
senso che la norma di cui all'art. 2 1. 1046/71, in relazione all'art. 21 1.
n. 6 del 1981, espressamente esenta dalla contribuzione alla Cassa di
previdenza degli ingegneri ed architetti esclusivamente i professionisti che già risultino assoggettati a contribuzione previdenziale obbligatoria
per altro titolo giuridicamente operativo ed in atto, e ciò al fine di evita
re che, con riferimento allo stesso soggetto contribuente abbia luogo un
fenomeno di cumulo di titoli contributivi di diversa matrice, Pret.
Ascoli Piceno 3 gennaio 1986, id.. Rep. 1986, voce Professioni intel
lettuali, n. 107. Per la manifesta infondatezza della questione di legittimità costitu
ii, Foro Italiano — 2005.
Svolgimento del processo. — Con la sentenza ora denunciata,
la Corte d'appello di Milano confermava la sentenza del pretore della stessa sede in data 19 maggio 1999, che aveva dichiarato
non dovuti, alla Cassa nazionale di previdenza ed assistenza per
gli ingegneri ed architetti liberi professionisti - Inarcassa, i con
tributi integrativi (portati da cartella esattoriale) — su compensi
percepiti da Giuseppe Bifulco, iscritto alla stessa cassa, a titolo
di compenso per la carica di presidente di consiglio d'ammini
strazione di società — essenzialmente in base al rilievo che, alla
contribuzione integrativa pretesa sono soggetti (a norma del
l'art. 10 1. n. 6 del 1981, come si legge dopo la sentenza n.
402/91 della Corte costituzionale, Foro it., 1991, I, 3285, pro nunciata con riferimento alla disposizione
— «pressoché identi
ca» — dell'art. 11, 1° comma, 1. n. 576 del 1980, in tema di
previdenza forense) soltanto «i redditi derivanti dall'attività
professionale» (siccome ribadito, parimenti in tema di previden za forense, da Cass. n. 629 del 1993, id., Rep. 1993, voce Avvo
cato, n. 107), mentre non possono considerarsi tali i compensi,
percepiti dal Bifulco — ancorché il medesimo presiedesse il
consiglio di amministrazione di società operante nel settore im
piantistico ed ingegneristico — in quanto i consigli di ammini
strazione si occupano di «strategie aziendali» e non già di
«compiti operativi» — che «potrebbero eventualmente rientrare
in una più ampia nozione di attività libero-professionale ed es
sere quindi assoggettabili a contribuzione integrativa» (del re
sto, il caso, preso in esame da Cass. n. 629 del 1993, cit., ri
guardava i compensi, percepiti da «uno dei più noti ed esperti avvocati in materia societaria», per la «presenza» nel consiglio di amministrazione della «maggiore industria automobilistica
del paese») — e, peraltro, risulta inconferente, da un lato, il ri
chiamo ai «principi di autofinanziamento della cassa e di solida
rietà interna» — in quanto «presuppongono la natura libero
professionale del reddito» — e, dall'altro, va disatteso l'argo mento dell'asserita «intangibilità della qualificazione» dei com
pensi in questione come redditi da attività professionale — nella
dichiarazione dei redditi del Bifulco — mentre non si «attaglia
no», alla «fattispecie da decidere», né l'invocato «art. 49 d.p.r. n. 917 del 1986» né «il relativo dubbio di costituzionalità (...) per il caso in cui si ritenesse il reddito in questione non assog
gettabile a contribuzione integrativa». Avverso la sentenza d'appello, la Cassa nazionale di previ
denza ed assistenza per gli ingegneri ed architetti liberi profes sionisti - Inarcassa propone ricorso per cassazione, affidato a tre
motivi. L'intimato Giuseppe Bifulco resiste con controricorso.
Entrambe le parti hanno presentato memoria.
Motivi della decisione. — 1. - Con il primo motivo di ricorso — denunciando violazione e falsa applicazione di norme di di
ritto (art. 8, 9, 10 e 16 1. 3 gennaio 1981 n. 6, art. 49 d.p.r. 22
dicembre 1986 n. 917 e, in subordine, illegittimità costituzio nale di quest'ultima disposizione, in relazione agli art. 3, 36 e
38 Cost.), nonché vizio di motivazione (art. 360, nn. 3 e 5,
c.p.c.) — la Cassa nazionale di previdenza ed assistenza per gli
ingegneri ed architetti liberi professionisti - Inarcassa censura la
sentenza impugnata —
per aver negato la soggezione, a contri
buti integrativi, dei corrispettivi percepiti da ingegnere iscritto
alla cassa (ed attuale intimato) in qualità di presidente del con
siglio di amministrazione di società di ingegneria ed impianti stica — sebbene le disposizioni invocate inducessero ad opposta
decisione, sotto profili diversi, quali: — «la partecipazione al consiglio d'amministrazione della
Atee s.r.l., dato il tipo di attività svolta, richiedeva la spendita, da parte dell'ing. Bifulco, del medesimo patrimonio di cono
scenze legato all'esercizio della professione»; — sono qualificati di lavoro autonomo, ai fini delle imposte
zionale dell'art. 10 1. n. 6 del 1981, per la parte in cui obbliga tutti gli
ingegneri ed architetti iscritti agli albi al versamento dì un contributo
integrativo in favore della Cassa di previdenza degli ingegneri ed ar
chitetti liberi professionisti, a prescìndere dalla loro iscrizione alla cas
sa medesima, e ciò anche successivamente all'entrata in vigore dell'art.
2, 26° e 33° comma, 1. n. 335 del 1995, che ha istituito una gestione se
parata presso rinps alla quale i professionisti non iscritti ad altre forme
previdenziali sono obbligatoriamente iscritti, Pret. Torino 25 luglio 1998, id., Rep. 2001, voce cit., n. 213.
In dottrina, sul tema, L. Carbone, La tutela previdenziale dei liberi
professionisti, Torino, 1998, 162.
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PARTE PRIMA 464
sul reddito (art. 49 d.p.r. 22 dicembre 1986 n. 917, cit.) anche i
«redditi derivanti dagli uffici di amministratore, sindaco o revi
sore di società (...)», con la conseguenza che la decisione im
pugnata pone la questione di costituzionalità prospettata. Con il secondo motivo — denunciando violazione e falsa ap
plicazione di norme di diritto (art. 10 e 16 1. 3 gennaio 1981 n.
6, art. 49 d.p.r. 22 dicembre 1986 n. 917, art. 2 ss. d.leg. 31 di
cembre 1992 n. 546), nonché vizio di motivazione (art. 360, nn.
3 e 5, c.p.c.) — la cassa ricorrente censura la sentenza impu
gnata —
per aver negato la soggezione, a contributi integrativi, dei corrispettivi percepiti da ingegnere iscritto alla cassa (ed at
tuale intimato) in qualità di presidente del consiglio di ammini strazione di società d'ingegneria ed impiantistica
— sebbene
inducesse ad opposta decisione l'inserimento dei redditi, di cui
si discute, nella sezione — relativa «ai redditi derivanti dal
l'esercizio di arti o professioni» — della dichiarazione dei red
diti, a fini tributari, dell'attuale ricorrente.
Con il terzo motivo — denunciando violazione e falsa appli cazione di norme di diritto (art. 24, 1° comma, 1. 11 marzo 1953
n. 87), nonché vizio di motivazione (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.) — la cassa ricorrente censura la sentenza impugnata
— per aver
negato la soggezione, a contributi integrativi, dei corrispettivi
percepiti da ingegnere iscritto alla cassa (ed attuale intimato) in
qualità di presidente del consiglio di amministrazione di società
d'ingegneria ed impiantistica — senza motivare né «l'afferma
zione (...) a tenor della quale i compensi in contestazione sa
rebbero sfuggiti alla contribuzione in favore di Inarcassa in
quanto connessi a compiti non operativi», né il rigetto della
questione di legittimità costituzionale prospettata (dell'art. 49
d.p.r. 22 dicembre 1986 n. 917, in relazione agli art. 3, 36 e 38
Cost., cit.). Il ricorso non è fondato.
2. - E ben vero, infatti, che gli iscritti agli albi di ingegnere e
di architetto devono applicare una maggiorazione percentuale — cioè il contributo integrativo, di cui si discute — su «tutti i
corrispettivi rientranti nel volume annuale di affari ai fini del
l'Iva» (ai sensi dell'art. 10 1. 3 gennaio 1981 n. 6, norme in
materia di previdenza per gli ingegneri e gli architetti). Tuttavia la base di calcolo dello stesso contributo integrativo
risulta, significativamente, ridimensionata — rispetto all'ampia
previsione legislativa («tutti i corrispettivi rientranti nel volume
annuale di affari ai fini dell'Iva») — dall'interpretazione ade
guatrice, che ne dà la Corte costituzionale (nella sentenza n. 402
del 1991, cit.). Con riferimento a disposizione (art. 11, 1° comma, 1. 20 set
tembre 1980 n. 576, riforma del sistema previdenziale forense) —
esplicitamente riconosciuta «analoga, se non totalmente co
incidente», tuttavia, rispetto a quella da applicare alla dedotta
fattispecie (art. 10 1. 3 gennaio 1981 n. 6, cit.) — la corte ritie
ne, infatti, che l'identica previsione («tutti i corrispettivi rien
tranti nel volume annuale di affari ai fini dell'Iva», appunto) —
parimenti volta a definire il reddito imponibile a fini contributi
vi — «deve essere interpretata, conformemente all'art. 3 Cost., nel senso che il volume annuale d'affari ai fini dell'Iva va rife rito e collegato allo specifico esercizio della professione (in quel caso) forense, dovendosi escludere quelle altre attività che, pur non essendo incompatibili, non hanno nulla in comune con
l'esercizio della professione», stabilendo, contestualmente, che
«compete al giudice investito della causa verificare in concreto, sulla scorta degli enunciati criteri, la legittimità della singola
posta di credito vantata dall'ente di previdenza nei confronti del
professionista». 3. - Alla luce della prospettata interpretazione adeguatrice
della Corte costituzionale — condivisa dalla giurisprudenza successiva di questa corte (v., per tutte, le sentenze 629/93, cit.;
7384/96, id., Rep. 1997, voce cit., n. 164, e 2910/99, id., 2000, I, 3326, parimenti riferite alla previdenza forense) — soltanto i
«corrispettivi riferiti e collegati allo specifico esercizio della
professione» — tra quelli «rientranti nel volume annuale di af
fari ai fini dell'Iva» — devono essere, quindi, assoggettati a contributo integrativo.
Speculare risulta, poi, la contestuale esclusione esplicita —
dalla base di calcolo dello stesso contributo — di quei corri
spettivi, che — pur rientrando «nel volume annuale di affari ai
fini dell'Iva» — compensano, tuttavia, «quelle altre attività che,
pur non essendo incompatibili, non hanno nulla in comune con
l'esercizio della professione».
Il Foro Italiano — 2005.
Pertanto è l'oggettiva riconducibilità, all'esercizio della pro fessione (di ingegnere, per quel che qui interessa, o di architet
to), dell'attività in concreto svolta — ancorché questa non sia
riservata, per legge, alla professione medesima — ad includerne
i compensi tra i corrispettivi, che — per quanto si è detto —
concorrono ad integrare la base di calcolo del contributo inte
grativo (di cui all'art. 10 1. 3 gennaio 1981 n. 6, cit.). Quel che rileva, tuttavia, è l'attività — in concreto svolta dal
l'ingegnere — a prescindere, cioè, dal ruolo nel quale l'attività
stessa sia stata svolta.
Per quel che qui interessa, ad esempio, la funzione di organo di società (anche) di capitali (presidente o componente del con
siglio d'amministrazione, amministratore delegato od altro) —
ancorché, da sola, non consenta la maturazione del diritto a pre stazioni a carico della cassa (v. Cass. 3064/01, id., 2001, I,
1545), né imponga la soggezione del compenso relativo al con
tributo soggettivo (di cui all'art. 9 stessa 1. n. 6 del 1981, cit.), che grava sul «reddito professionale netto», per così dire, in
senso stretto (sul quale, v., per tutte, Cass. 15816/00, ibid., 874) — tuttavia non esclude, di per sé, la soggezione
— a contributo
integrativo, appunto — dei corrispettivi, erogati a detti organi,
ove la cassa offra la prova — della quale è onerata (ai sensi del
l'art. 2697 c.c.) — che ne risultino compensate attività degli stessi organi, riconducibili, obiettivamente, all'esercizio della
professione. In particolare, è riconducibile, in ogni caso, all'esercizio della
professione, la partecipazione dell'ingegnere — in qualsiasi
ruolo — ad una società di ingegneria (di cui all'art. 17, 8°
comma, 1. 109/94, come modificato dall'art. 6 1. 415/98 e dal
l'art. 7 1. 166/02; sul punto, v. Cass. 10872/99, id., Rep. 1999, voce Professioni intellettuali, n. 211, riferita, tuttavia, a fatti
specie precedente all'entrata in vigore della 1. n. 109 del 1994), in quanto si tratta dell'esercizio in forma societaria — in deroga al divieto relativo (di cui all'art. 2 1. 23 novembre 1939 n.
1815), che continua a trovare applicazione ad altre professioni
(v., per tutte, Cass., sez. un., 18838/03, id., Rep. 2003, voce Av
vocato, n. 169) — di attività, comunque, riconducibili all'eser
cizio della professione di ingegnere. Allo stesso fine, non rileva, invece, la circostanza che la
competenza professionale dell'ingegnere possa influire — al pa ri di ogni altro sapere, che concorra ad integrarne il patrimonio culturale — su (qualsiasi) attività in concreto svolta dell'inge
gnere stesso, in quanto tale circostanza risulta, all'evidenza, af
fatto inidonea ad assolvere la funzione selettiva prospettata. 4. - Alla luce dei principi di diritto enunciati, la sentenza im
pugnata non merita le censure che le vengono mosse dalla cassa
ricorrente — per aver negato la soggezione, a contributo inte
grativo, dei corrispettivi percepiti da ingegnere iscritto alla cas
sa (ed attuale resistente), in qualità di presidente del consiglio di
amministrazione di una società d'ingegneria ed impiantistica —
in quanto la ricorrente neanche denuncia di aver offerto la prova — della quale era onerata, per quanto si è detto — che detti cor
rispettivi fossero diretti a compensare attività — obiettivamente
riconducibili, appunto, alla professione d'ingegnere — svolte
dall'attuale resistente nell'esercizio (o, comunque, in costanza) di dette funzioni di presidente del consiglio di amministrazione di società.
Nel difetto di una deduzione siffatta, la cassa ricorrente fini
sce col contrapporre — inammissibilmente — una propria va
lutazione all'accertamento di fatto negativo — prospettato dalla
sentenza impugnata, in coerenza con i principi di diritto enun
ciati — circa l'obiettiva riconducibilità, all'esercizio della pro fessione di ingegnere appunto, della stessa funzione di presi dente del consiglio di amministrazione di società, svolta dal
l'attuale resistente.
5. - Invero la denuncia di un vizio di motivazione, nella sen
tenza impugnata con ricorso per cassazione (ai sensi dell'art.
360, n. 5, c.p.c.), non conferisce al giudice di legittimità il po tere di riesaminare autonomamente il merito dell'intera vicenda
processuale sottoposta al suo vaglio, bensì soltanto quello di
controllare, sotto il profilo della correttezza giuridica e della
coerenza logico-formale, le argomentazioni — svolte dal giudi ce del merito, al quale spetta in via esclusiva l'accertamento dei fatti, all'esito dell'insindacabile selezione e valutazione della fonte del proprio convincimento — con la conseguenza che il vizio di motivazione deve emergere
— secondo l'orien
tamento (ora) consolidato della giurisprudenza di questa corte
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
(v., per tutte, le sentenze 13045/97 delle sezioni unite, id., Rep. 1997, voce Cassazione civile, n. 81, e, delle sezioni semplici, 11936/03, id., Rep. 2003, voce cit., n. 98; 11918/03, ibid., n. 92; 7635/03, ibid., nn. 90, 118; 6753/03, ibid., n. 193; 5595/03, ibid., n. 293; 3161/02, id., Rep. 2002, voce cit., nn. 118, 123; 4667/01, id., Rep. 2001, voce cit., nn. 114, 129; 14858/00, id., Rep. 2000, voce cit., n. 138; 9716/00, ibid., n. 114; 4916/00, ibid., n. 118; 8383/99, id., Rep. 1999, voce cit., n. 119) — dal l'esame del ragionamento svolto dal giudice di merito, quale risulta dalla sentenza impugnata, e può ritenersi sussistente
solo quando, in quel ragionamento, sia rinvenibile traccia evi
dente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi
della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d'ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni
complessivamente adottate, tale da non consentire l'identifica
zione del procedimento logico-giuridico posto a base della de
cisione, mentre non rileva la mera divergenza tra valore e si
gnificato, attribuiti dallo stesso giudice di merito agli elementi
da lui vagliati, ed il valore e significato diversi che, agli stessi
elementi, siano attribuiti dal ricorrente e, in genere, dalle parti. In altri termini, il controllo di logicità del giudizio di fatto —
consentito al giudice di legittimità (dall'art. 360, n. 5, c.p.c.) — non equivale alla revisione del «ragionamento decisorio», ossia
dell'opzione che ha condotto il giudice del merito ad una de
terminata soluzione della questione esaminata: invero una revi
sione siffatta si risolverebbe, sostanzialmente, in una nuova
formulazione del giudizio di fatto, riservato al giudice del me
rito, e risulterebbe affatto estranea alla funzione assegnata dal
l'ordinamento al giudice di legittimità.
Lungi dal denunciare un vizio siffatto, la ricorrente si limita,
tuttavia, a prospettare inammissibilmente — per quanto si è
detto — una valutazione alternativa o, comunque, diversa dei
medesimi fatti. 6. - Peraltro, nella presente controversia — avente per oggetto
l'inclusione dei corrispettivi, di cui si discute, nella base di cal
colo del contributo integrativo (di cui all'art. 10 1. 3 gennaio 1981 n. 6, cit.) — all'evidenza non può trovare applicazione la
disposizione (art. 49 d.p.r. 22 dicembre 1986 n. 917) — che reca
la definizione dei redditi di lavoro autonomo, includendovi
quelli derivanti sia dall'esercizio di professioni che dagli uffici di amministratore, sindaco o revisore di società, al fine affatto
diverso delle imposte sui redditi — con la conseguenza che ri
sultano manifestamente irrilevanti, da un lato, la qualificazione di detti corrispettivi che, allo stesso fine, sarebbe stata data dal
l'attuale resistente nella propria dichiarazione dei redditi — che,
comunque, ha funzione tipicamente ed esclusivamente fiscale
(v., per tutte, Cass. 11953/95, id., Rep. 1995, voce Danni civili, n. 195; 2642/90, id., Rep. 1990, voce Previdenza sociale, n.
984; 5561/89, id., Rep. 1989, voce Prova civile in genere, n. 13;
7389/87, id., Rep. 1987, voce Danni civili, n. 142) — e, dall'al tro, la prospettata questione di legittimità costituzionale della
stessa disposizione tributaria (art. 49 d.p.r. 22 dicembre 1986 n.
917, cit.). Tanto basta per rigettare il ricorso.
7. - Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.
Il Foro Italiano — 2005.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 11 giu
gno 2004, n. 11096; Pres. Saggio, Est. Benini, P.M. Cenicco
la (conci, conf.); Borghesi (Avv. Ventura) c. Comune di Tu
ri (Avv. Augusto). Conferma App. Bari 24 maggio 2002.
Espropriazione per pubblico interesse — Occupazione ille
gittima — Qualificazione come appropriativa — Ricorso
per cassazione — Memoria illustrativa — Qualificazione come usurpativa — Inammissibilità (Cod. civ., art. 2043; 1. 4 agosto 1955 n. 848, ratifica ed esecuzione della convenzio
ne per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fon
damentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 e del proto collo addizionale alla convenzione stessa, firmato a Parigi il
20 marzo 1952; d.l. 11 luglio 1992 n. 333, misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica, art. 5 bis', 1. 8 agosto 1992 n. 359, conversione in legge, con modificazioni, del d.l.
11 luglio 1992 n. 333; 1. 23 dicembre 1996 n. 662, misure di razionalizzazione della finanza pubblica, art. 3, comma 65).
Espropriazione per pubblico interesse — Occupazione ap
propriativa — Compatibilità con la convenzione europea dei diritti dell'uomo (Cost., art. 42; cod. civ., art. 2043; 1. 4
agosto 1955 n. 848; 1. 27 ottobre 1988 n. 458, concorso dello
Stato nella spesa degli enti locali in relazione ai pregressi
maggiori oneri delle indennità di esproprio, art. 3; d.l. 11 lu
glio 1992 n. 333, art. 5 bis; 1. 8 agosto 1992 n. 359; 1. 23 di cembre 1996 n. 662, art. 3, comma 65).
Corte costituzionale — Occupazione appropriativa — Disci
plina da parte del legislatore — Conflitto di attribuzione — Esclusione (Cost., art. 134; cod. civ., art. 2043; 1. 11 mar
zo 1953 n. 87, norme sulla costituzione e sul funzionamento
della Corte costituzionale, art. 37, 38; 1. 27 ottobre 1988 n.
458, art. 3; d.l. 11 luglio 1992 n. 333, art. 5 bis; 1. 8 agosto 1992 n. 359; 1. 23 dicembre 1996 n. 662, art. 3, comma 65).
Contratto in genere, atto e negozio giuridico — Elementi ac
cidentali — «Modus» — Negozio atipico di liberalità —
Fattispecie (Cod. civ., art. 648, 793, 1353).
Attesa la diversità delle fattispecie dell'occupazione appro
priativa e dell'occupazione usurpativa, il ricorso per cassa
zione, fondato sulla contrarietà alla Costituzione e alla con
venzione europea dei diritti dell'uomo dell'istituto dell'oc
cupazione appropriativa, ritenuta dal giudice di merito e non
censurata, non può essere modificato con la memoria illu
strativa per l'udienza nel senso di qualificare la fattispecie come usurpativa, con la conseguente doglianza sulla mancata
liquidazione, nella sentenza di merito, del risarcimento inte
grale. (1) L'istituto dell'occupazione appropriativa si colloca, allo stato
attuale della legislazione e dell'evoluzione giurisprudenziale, in un contesto di regole sufficientemente chiare, precise e
prevedibili, tale da renderlo compatibile con il principio del
rispetto della proprietà, enunciato nell'art. 1 del protocollo addizionale n. 1 alla convenzione europea dei diritti dell'uo
mo. (2) Nel caso dell 'occupazione appropriativa, affermatasi dapprima
come istituto di creazione giurisprudenziale e successiva
(1-2) I. - La Cassazione riafferma la sostanziale diversità degli isti tuti dell'occupazione appropriativa o accessione invertita e dell'occu
pazione usurpativa facendone discendere conseguenze differenti sul
piano della tutela risarcitoria ed evidenziando la non fungibilità dei due istituti in sede processuale, laddove nel ricorso per cassazione il ricor rente abbia omesso di censurare la qualificazione appropriativa data dal
giudice di merito. Secondo la pronuncia in rassegna, che peraltro riba disce un principio giurisprudenziale consolidato, il ricorso non può es
sere modificato con le memorie illustrative per l'udienza, essendo di
venuta irretrattabile la qualificazione data dal giudice di merito non im
pugnata in ricorso, per il formarsi del giudicato interno. Sul punto, cfr.
Cass. 4 luglio 2003, n. 10576, Foro it., Rep. 2003, voce Cassazione ci
vile, n. 239; 20 novembre 2002, n. 16345, id., Rep. 2002, voce cit., n.
282; 19 maggio 1997, n. 4445, id., Rep. 1997, voce cit., n. 231; 15 giu
gno 1995, n. 6756, id., Rep. 1995, voce cit., n. 223. Le linee fondamentali dell'istituto dell'occupazione appropriativa,
creato dal diritto vivente della giurisprudenza della Cassazione (in pro
posito, è stato osservato come di fatto in Italia la giurisprudenza abbia
in alcuni casi funzione creativa del diritto, specie in quei settori del
l'ordinamento in cui manca o è carente l'intervento normativo del legis latore: in tal senso, L. Mengoni, Diritto vivente, voce del Digesto civ.,
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