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sezione lavoro; sentenza 11 settembre 2003, n. 13375; Pres. Senese, Est. Toffoli, P.M. Raimondi(concl. conf.); Girolami (Avv. Silvetti) c. Soc. Clemi cinematografica (Avv. Pavarotti). CassaTrib. Roma 5 maggio 2000Source: Il Foro Italiano, Vol. 126, No. 12 (DICEMBRE 2003), pp. 3321/3322-3329/3330Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23199711 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 11 set
tembre 2003, n. 13375; Pres. Senese, Est. Toffoli, P.M. Rai
mondi (conci, conf.); Girolami (Avv. Silvetti) c. Soc. Clemi
cinematografica (Avv. Pavarotti). Cassa Trib. Roma 5 mag
gio 2000.
Lavoro (rapporto di) — Qualificazione — «Nomen iuris»
adottato dalle parti — Indice prevalente — Esclusione
(Cod. civ., art. 2094). Lavoro (rapporto di) — Vincolo di subordinazione — Con
figurabilità — Condizioni — Fattispecie (Cod. civ., art. 2094).
Ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro come subor
dinato o autonomo, il criterio del nomen iuris adottato dalle
parti non ha valore prevalente, dovendo la qualificazione me
desima desumersi dalle concrete modalità della prestazione e
di attuazione del rapporto. ( 1 ) In relazione a prestazioni con contenuto intellettuale, o che co
munque implicano ampi margini di creatività da parte del la
voratore, il vincolo di subordinazione (c.d. «attenuato») si
configura laddove al dipendente sia dato il compito di svolge re in via continuativa e stabile l'incarico assegnato, sulla ba
se di una costante e puntuale interrelazione con un superiore
gerarchico (nella specie, la Suprema corte ha qualificato
quale «addetto stampa» una lavoratrice che curava le cam
pagne di stampa per la promozione delle produzioni cinema
tografiche della datrice di lavoro, avvalendosi di un ampio
margine di creatività nella concretizzazione della prestazione e nella scelta degli strumenti per realizzarla). (2)
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 21 mag
gio 2003, n. 8028; Pres. Sciarelli, Est. Toffoli, P.M. Nardi
(conci, conf.); Opere sociali don Bosco (Avv. Ciabattini
Sgotto, Toffoletti) c. Inps (Avv. Ponturo, Fonzo, Corre
rà). Cassa Trib. Milano 18 dicembre 1999.
Lavoro (rapporto di) — Vincolo di subordinazione — Esclu
sione — Fattispecie (Cod. civ., art. 2094).
Non è di natura subordinata il rapporto di lavoro di un inse
gnante di scuola privata, che, ancorché di carattere conti
nuativo e svolto in presenza di una serie di vincoli (obbligo di
attenersi al programma ministeriale, esistenza di un orario
contrattualmente predeterminato, commisurazione della re
tribuzione alle ore di lezione, apposizione delle firme di pre
senza, necessità di avvisare per eventuali assenze), non sia
contraddistinto da un puntuale esercizio dei poteri direttivi e
disciplinari datoriali, oltre che da forme di articolato inseri
mento del docente in un quadro organizzativo complessivo,
analogo a quello delle scuole pubbliche, sotto il profilo degli
obblighi di programmazione formativa e didattica, di valuta
zione degli studenti, di intrattenimento di rapporti con i ge
nitori e gli stessi studenti, di partecipazione ai consigli di
classe. (3)
(1-3) La Corte di cassazione torna ad occuparsi della qualificazione del rapporto con riferimento ad attività lavorative con contenuto intel
lettuale o creativo. Nei due casi in esame, le soluzioni giudiziali ap
paiono però divergere su aspetti decisivi.
Nella sentenza sub I, infatti, la corte, esclusa come di consueto la ri
levanza del nomen iuris attribuito al rapporto dalle parti, in presenza di
indizi fattuali di maggior peso specifico (in senso conforme, cfr. Cass.
22 aprile 2002, n. 5840, Foro it., 2003, I, 2463; 27 novembre 2002, n.
16805, ibid., 1148), ravvisa l'esistenza di un vincolo di subordinazione
di natura «attenuata», in una fattispecie concernente una lavoratrice
impegnata in attività di natura tipicamente intellettuale (addetta stampa)
che, pur non sottoposta a direttive datoriali dettagliate e operando in un
contesto organizzativo contraddistinto da ampi margini di discreziona
lità sotto il profilo degli strumenti predisposti e degli obiettivi da per
seguire, operava in maniera continuativa e sulla base di uno stabile rap
porto di collaborazione con il proprio superiore gerarchico (in senso so
stanzialmente conforme, cfr. Cass. 27 novembre 2002, n. 16805, cit.; 6
luglio 2001, n. 9167. id., 2002, I, 134, con nota di richiami: sulla su
it. Foro Italiano — 2003.
1
Svolgimento del processo. — Con ricorso al Pretore di Roma,
Monica Girolami chiedeva l'accertamento della natura subordi
nata del rapporto di lavoro da lei intrattenuto con la società di
produzione cinematografica Clemi cinematografica s.r.l. dal 1°
febbraio 1991 al 31 gennaio 1995, svolgendo mansioni di ad
detta all'ufficio stampa, e la dichiarazione di inefficacia del li
cenziamento comunicatole oralmente il 31 gennaio 1995.
Il pretore rigettava le domande, ritenendo non dimostrata la
non conformità del rapporto alla sua qualificazione nell'ambito
del lavoro autonomo, operata dalle parti. A seguito di appello della Girolami, il tribunale, in riforma
della sentenza di primo grado, accoglieva la domanda relativa
all'accertamento della natura subordinata del rapporto instau
rato il 1° febbraio 1991 e dichiarava l'inefficacia del licenzia
mento intimato oralmente il 31 gennaio 1995, in violazione del
l'art. 2 1. 604/66. Ritenendo tuttavia che il rapporto di lavoro
fosse stato risolto, con effetti ex nunc, mediante la lettera in data
7 marzo 1995, mai impugnata dalla lavoratrice, con la quale la
società aveva ribadito, in forma scritta, la propria volontà riso
lutiva, condannava la datrice di lavoro al pagamento della retri
buzione (nella misura di lire 2.997.000 mensili) solo per il pe riodo 31 gennaio
- 7 marzo 1995. Condannava altresì la soc.
Clemi cinematografica al pagamento del trattamento di fine
rapporto (t.f.r.) nella misura di lire 12.365.191 oltre accessori.
Contro detta sentenza la Girolami propone ricorso per cassa
zione, basato su un unico articolato motivo.
La Clemi cinematografica s.r.l. resiste con controricorso e
propone due motivi di ricorso incidentale. Ha depositato memo
ria ex art. 378 c.p.c. e poi note d'udienza.
Motivi della decisione. — I due ricorsi devono essere riuniti,
in quanto aventi ad oggetto la stessa sentenza.
La ricorrente in via principale denuncia violazione e falsa ap
plicazione dell'art. 2 1. 15 luglio 1966 n. 604, dell'art. 112
c.p.c., degli art. 1362 ss. e 1387 ss. c.c., unitamente ad illogicità,
apoditticità e contraddittorietà della motivazione (in riferimento
all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.).
Riportato il testo della lettera in data 7 marzo 1995, con la
quale, secondo il tribunale, la datrice di lavoro aveva intimato
per iscritto un efficace licenziamento, non impugnato, la ricor
rente lamenta che la sua valorizzazione da parte del tribunale sia
stato il frutto di una grave distorsione degli atti di causa. Infatti
la lettera in realtà è stata spedita da un legale in risposta all'im
pugnazione del licenziamento e si limita ad affermare la legitti mità dell'operato della Clemi cinematografica s.r.l., integrando
quindi un atto difensivo stragiudiziale e non un atto negoziale.
Semmai, ribadendo la legittimità (nel lavoro autonomo) di un
recesso immediato e immotivato, rappresenta una non consen
tita convalida del recesso già attuato, come confermato anche
dal fatto che non indica alcuna data di licenziamento diversa da
quella del licenziamento già comunicato verbalmente.
Inoltre l'atto difetta della sottoscrizione del datore di lavoro o
di un suo rappresentante munito di procura scritta o il cui ope rato sia stato ratificato per iscritto, ed è stato inviato non alla la
voratrice ma all'avvocato cui la stessa si era rivolta, senza eleg
gere domicilio presso il suo studio.
La ricorrente lamenta ancora il tribunale abbia d'ufficio «in
tegrato le difese» della soc. Clemi cinematografica, che mai
aveva eccepito che la lettera del 7 marzo dovesse essere intesa
come una nuova manifestazione di recesso, e che ciò abbia fatto
senza assolvere gli obblighi di esporre le ragioni della sua deci
bordinazione «attenuata» nel lavoro a domicilio, invece, v., da ultimo.
Cass. 11 maggio 2002, n. 6803, id., 2003,1, 2462). Nella sentenza sub II, invece, i giudici di legittimità pervengono a
conclusioni diverse con riferimento al caso dell'insegnante di scuola
privata che, pur impegnato in corsi di lezioni secondo modalità conno
tate da un discreto grado di eterodeterminazione e dalla presenza di al
cuni requisiti «secondari» di subordinazione (elementi sufficienti, a ben
vedere, a fondare la subordinazione «attenuata»), non risultava sottopo sto ad un «puntuale» potere direttivo del datore di lavoro, né inserito
nell'articolata dimensione organizzativa e partecipativa, tipica del si
stema scolastico pubblico e privato (in tal senso, del resto, è la giuris
prudenza prevalente: di recente, cfr. Cass. 5 aprile 2002, n. 4889, id.,
2002,1. 2740. con nota di richiami, anche dottrinali). [G. Ricci]
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3323 PARTE PRIMA 3324
sione con una motivazione esente da vizi logici ed errori giuri dici.
La società ricorrente in via incidentale con il primo motivo
denuncia la nullità della sentenza o del procedimento per viola
zione dell'art. 112 c.p.c. e omesso esame di un punto decisivo
(in riferimento, rispettivamente, agli art. 360, n. 4, e 360, n. 5,
c.p.c.). Lamenta che il tribunale, nell'attribuire alla Girolami, una
volta dichiarata l'inefficacia del licenziamento in quanto inti
mato oralmente, la retribuzione decorrente dalla data del recesso
(da ritenersi riconosciuta a titolo di risarcimento del danno, giu sta quanto precisato da Cass., sez. un., 508/SU/99, Foro it.,
1999,1, 2818), abbia accolto una domanda mai proposta, poiché in realtà la lavoratrice aveva chiesto, sia in primo grado che in
appello, l'applicazione dell'art. 18 statuto dei lavoratori e, in
subordine, la tutela risarcitoria di cui all'art. 8 1. 604/66, ed en
trambe queste domande erano state respinte. Con il secondo motivo denuncia violazione degli art. 2094 e
2697 c.c., illogicità, contraddittorietà e comunque insufficienza
della motivazione circa un punto decisivo (in riferimento all'art.
360, nn. 3 e 5). Lamenta che il giudice di appello non abbia dato il dovuto ri
lievo alla volontà espressa dalle parti di assoggettare il rapporto alla disciplina del lavoro autonomo, in violazione del principio secondo cui tale volontà costituisce un criterio di valutazione
assolutamente prioritario, in forza del quale il giudice non può
pervenire —
specie nei casi caratterizzati dalla presenza di ele
menti compatibili con l'uno o con l'altro tipo di rapporto — ad
una qualificazione in contrasto con la volontà delle parti, salvo
che non si dimostri l'effettivo superamento di tale volontà nel
concreto svolgimento del rapporto. La svalutazione della volontà delle parti
— osserva anche la
parte — ha poi condotto il tribunale ad affermare la natura su
bordinata del rapporto senza accertare l'effettivo assoggetta mento della lavoratrice al potere direttivo, gerarchico e discipli nare del datore di lavoro ed enfatizzando elementi di fatto che, come la continuità delle prestazioni e l'inserimento nell'orga nizzazione imprenditoriale, sono ampiamente compatibili sia
con un rapporto di lavoro autonomo parasubordinato, sia con un
rapporto di lavoro subordinato, dato che ciò che rileva sono le
modalità dell'inserimento stesso (con assoggettamento o meno
ai detti poteri del datore di lavoro). Deve innanzitutto esaminarsi il secondo motivo del ricorso
incidentale, il cui accoglimento avrebbe efficacia assorbente ri
spetto a tutte le altre questioni. 11 motivo non è fondato.
Il giudice di merito è pervenuto all'affermazione della natura
subordinata del rapporto di lavoro intercorso tra le parti sulla
base di uno specifico e dettagliato accertamento relativo all'og
getto delle prestazioni della lavoratrice e alle modalità di svol
gimento del rapporto. Ferma restando la necessità di esaminare
le ulteriori censure sollevate dalla parte, su cui successivamente
ci si soffermerà, sicuramente deve escludersi la fondatezza del
l'addebito al tribunale di non aver attribuito la dovuta rilevanza
alla volontà delle parti di costituire un rapporto di lavoro auto
nomo. E indubbio, infatti, che la qualificazione che discende
dalle effettive modalità di svolgimento del rapporto, da cui è ri
cavabile l'effettiva volontà delle parti, iniziale o sopravvenuta, debba prevalere, nei rapporti la cui costituzione non richieda un
atto formale, sulla qualificazione attribuita dalle parti stesse al
rapporto, in applicazione di un principio di carattere generale che ha particolare rilevanza con riguardo alle discipline legali caratterizzate da rilevanti aspetti di inderogabilità (cfr., di re
cente, Cass. 15001/00, id., Rep. 2000, voce Lavoro (rapporto), n. 607; 3001/02, id., Rep. 2002, voce cit., n. 538, e 4682/02, ibid., n. 534).
Quanto alle ulteriori censure è opportuno ricordare che gli elementi che differenziano, alla stregua dei parametri normativi
desumibili innanzitutto dall'art. 2094 c.c., il lavoro subordinato
da quello autonomo sono l'assoggettamento del lavoratore al
potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavo
ro, con la conseguente limitazione della sua autonomia e il suo
inserimento nell'organizzazione aziendale. Tali elementi, però, devono essere apprezzati con riguardo alla specificità dell'inca
rico conferito al lavoratore e al modo della sua attuazione. Inve
II Foro Italiano — 2003.
ce, elementi quali l'assenza del rischio, la continuità della pre
stazione, l'osservanza di un orario, la localizzazione della pre stazione e la cadenza e la misura fissa della retribuzione assu
mono natura sussidiaria e non decisiva.
In particolare, in relazione alle prestazioni lavorative di tipo
dirigenziale, intellettuale e professionale, la giurisprudenza
converge nel prendere in considerazione il particolare atteggiar si dell'elemento dell'assoggettamento del prestatore di lavoro
alle direttive altrui, in relazione allo specifico ruolo di detti la
voratori nell'ambito dell'organizzazione datoriale e al rilievo
che hanno nei loro rapporti con l'imprenditore gli elementi, a
seconda delle funzioni, della capacità professionale e della par ticolare fiduciarietà dell'incarico; ne consegue un particolare ri
lievo dell'inserimento continuativo delle prestazioni nell'ambito
dell'organizzazione dell'impresa e la necessità di cogliere gli elementi di subordinazione che lo caratterizzino, nonostante gli
aspetti di autonomia insiti nel tipo e nell'elevatezza delle fun
zioni. procedendo ad una valutazione globale dell'atteggiarsi del rapporto, e tenendo presenti anche i c.d. criteri complemen tari e sussidiari, come quelli della continuità delle prestazioni, dell'osservanza di un orario determinato, della periodicità e
predeterminazione della retribuzione (cfr. Cass. 9 giugno 1994, n. 5590, id., Rep. 1995, voce cit., n. 421; 4 marzo 1998, n. 2370,
id., Rep. 2000, voce cit., n. 641; 30 giugno 1999, n. 379/SU, ibid., n. 638; 21 ottobre 2000, n. 13945, ibid., n. 929).
In ogni caso, l'apprezzamento in concreto circa la riconduci
bilità di determinate prestazioni ad un rapporto di lavoro subor
dinato o autonomo si risolve in un accertamento di fatto che, ove adeguatamente e correttamente motivato in rapporto ad un
esatto parametro normativo, è incensurabile in Cassazione.
Nella specie, il Tribunale di Roma si è correttamente attenuto
a tali principi. Infatti la sua esatta affermazione che il vincolo di
subordinazione deve essere inteso in modo attenuato nell'am
bito delle prestazioni che abbiano contenuto intellettuale, o che
comunque prevedano ampi margini di creatività da parte del la
voratore, è adeguatamente correlata all'accertamento che alla
Girolami era stato attribuito l'incarico di svolgere in via conti
nuativa e stabile l'incarico di curare le campagne di stampa per la promozione delle produzioni cinematografiche della datrice
di lavoro, occupandosi dei rapporti con la stampa italiana ed
estera e con i circuiti televisivi e di quant'altro necessario ai fini
di dette campagne di stampa. Logica è infatti la consequenziale
qualificazione della Girolami come addetto stampa, così come
l'affermazione che era in questione un'attività di spiccata spe cializzazione professionale e a contenuto intellettuale, connotata
da un ampio margine di creatività nella concretizzazione della
prestazione e nella scelta degli strumenti per realizzarla.
D'altra parte, il giudice di merito non ha omesso di eviden
ziare gli aspetti sulla cui base era ravvisabile un pregnante inse
rimento della lavoratrice nell'ambito dell'organizzazione azien
dale: in particolare alla stessa era stato assegnato un ufficio, che
le era necessario per assicurare la continuità del servizio e per soddisfare l'esigenza fondamentale di mantenere un contatto
costante con l'amministratore responsabile, che forniva le diret
tive di massima e al quale ogni programma doveva essere sotto
posto per l'approvazione, e che anche, in particolare, decideva a
quali manifestazioni la Girolami dovesse partecipare, anche per
ragioni di bilancio. In sostanza, il giudice di merito, con adeguata motivazione,
ha evidenziato come il rapporto si svolgesse sulla base di una
costante e puntuale interrelazione con un superiore gerarchico, il quale, salvi gli aspetti di iniziativa richiesti alla lavoratrice in
relazione alla sua qualificazione professionale, impartiva diret
tive in rapporto ad ogni iniziativa, fornendo anche disposizioni
puntuali vincolanti. E infondata, quindi, la doglianza secondo
cui il tribunale avrebbe indebitamente valorizzato l'inserimento
nell'organizzazione aziendale. Deve peraltro rilevarsi che, come
già accennato, nell'ambito dei lavori a contenuto direttivo, o
intellettuale e creativo, e quindi intrinsecamente caratterizzati
da maggiore autonomia, assume particolare rilievo anche l'ele
mento dell'inserimento nell'organizzazione aziendale (inseri mento che, comunque, deve sempre essere valutato nelle sue
specificità, perché talune sue modalità possono evidenziare si
tuazioni di puntuale assoggettamento del lavoratore a forme di
eterodirezione delle prestazioni).
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
È infondato anche il primo motivo del medesimo ricorso in
cidentale. Non vi può essere alcun dubbio infatti che, una volta
chiesta, per la dedotta inefficacia del licenziamento, l'applica zione dell'art. 18 1. 300/70, e quindi, tra l'altro, il risarcimento
del danno commisurato alle retribuzioni maturate dal giorno in
cui il licenziamento ha trovato attuazione, il giudice, accertato
che non sussistono i requisiti dimensionali per l'applicazione dell'art. 18, deve accordare, sussistendo i relativi presupposti, la
tutela in tal caso applicabile — dichiarazione di inefficacia del
licenziamento e risarcimento del danno (Cass., sez. un.,
508/SU/99) — omogenea e di ampiezza minore rispetto a quella
di cui all'art. 18.
Meritevole di accoglimento è, invece, il ricorso principale.
Indubbiamente, mediante la trascrizione nel ricorso della let
tera in data 7 marzo 1995, la ricorrente ha adeguatamente evi
denziato la violazione da parte del tribunale del criterio di inter
pretazione letterale dei contratti e dei negozi giuridici, di cui al
l'art. 1362, 1° comma, c.c., nel momento in cui esso ha ritenuto
che da tale lettera si desumesse la volontà della datrice di lavoro
di rinnovare per iscritto il licenziamento. Risulta evidente, in
fatti, che a nessuna espressione della lettera può attribuirsi il
valore di manifestazione della volontà di porre termine al rap
porto, poiché la stessa, in dichiarata replica alla lettera della la
voratrice — che sosteneva di essere stata illegittimamente licen
ziata e chiedeva la reintegrazione — contiene esclusivamente
l'affermazione che non era fondato quanto affermato e preteso dalla Girolami, stante il carattere autonomo del rapporto inter
corso tra le parti («poiché detto rapporto rientra in un'area di li
bera recedibilità, ove è consentito alle parti il recesso immediato
ed immotivato, deve considerarsi assolutamente privo di fon
damento quanto affermato e preteso nella sua del 18 febbraio
u.s.»). È vero che il requisito della forma scritta non comporta che la volontà risolutiva debba essere necessariamente espressa mediante formule sacramentali, ma la stessa volontà deve co
munque essere manifestata (peraltro in maniera adeguatamente
intelligibile, ai fini della tutela dell'affidamento della contro
parte, cui grava l'onere della tempestiva impugnazione), mentre
non può ritenersi equipollente la mera espressione del convin
cimento della validità di un precedente atto risolutivo, in quanto una simile dichiarazione è priva evidentemente di contenuto
volitivo.
Ne deriva la cassazione della sentenza impugnata in relazione
al ricorso principale, con assorbimento delle altre censure di cui
al medesimo ricorso e il rigetto del ricorso incidentale.
II
Svolgimento del processo. — Con ricorso al Pretore di Mi
lano le Opere sociali don Bosco chiedevano nei confronti del
l'Inps l'accertamento della natura autonoma dei rapporti di la
voro in essere con alcuni insegnanti dell'istituto tecnico serale
E. Breda, da esse gestito. Ciò a seguito di un'ispezione dell'Inps all'esito della quale quest'ultimo aveva sostenuto la natura su
bordinata di tali rapporti. Il pretore rigettava la domanda.
A seguito di appello delle Opere sociali don Bosco, il Tribu
nale di Milano confermava la sentenza impugnata, ritenendo
qualificabili come lavoratori subordinati i docenti di cui al ver
bale dell'Inps. Osservava il tribunale che un'attività d'insegnamento, la
quale sia espletata a favore di un soggetto giuridico secondo le
direttive del medesimo, sul quale ricada il rischio correlato al
l'esercizio dell'attività, è qualificabile nell'ambito del lavoro
subordinato, senza che in senso contrario rilevi l'attenuazione
del vincolo gerarchico, collegata alla particolare natura intel
lettuale della prestazione di lavoro dei docenti, e a una loro
certa libertà di organizzazione e programmazione. Rilevato anche che il nomen iuris attribuito dalle parti al rap
porto non ha valore, ove superato dal diverso assetto concreto
del medesimo, il tribunale osservava che detti caratteri del rap
porto erano tutti ravvisabili nella specie, in cui peraltro l'attività
d'insegnamento era svolta a favore di organizzazione stabile —
un istituto tecnico industriale — avente un proprio corpo do
cente. Né l'attribuzione della qualifica di lavoratore subordinato
Il Foro Italiano — 2003.
ad uno solo degli insegnanti della scuola era stata idoneamente
spiegata dalla difesa dalla convenuta con il rilievo che il mede
simo, avendo un incarico per tutte le classi, lavorava un numero
di ore sufficiente per giustificare gli impegni connessi ad un
rapporto di lavoro subordinato.
A dimostrazione della subordinazione il tribunale richiamava
anche, come già il primo giudice, il fatto che i programmi d'in
segnamento e il numero di ore per ogni insegnante erano prefis sati in sede ministeriale, essendo il singolo docente autonomo
solo nella scelta della tecnica da utilizzare, in base al principio costituzionale della libertà di insegnamento e analogamente a
quanto avviene anche nelle scuole pubbliche. D'altra parte tutte
le strutture e i mezzi erano di pertinenza dell'appellante, il
compenso era fissato ad ora di lezione e la prestazione era do
cumentata attraverso la firma dell'insegnante sul registro di
classe. Le assenze, cui si ovviava da parte della scuola, doveva
no essere certificate, se possibile, specie in caso di assenze
prolungate. Questa circostanza, esprimente la soggezione al po tere organizzativo altrui, era stata adeguatamente riferita dal te
ste Calcagno, che insegnava in un altro istituto scolastico gestito dal medesimo datore di lavoro collocato nel medesimo comples so edilizio, e quindi era in contatto con gli altri colleghi ed era
in grado di sapere come funzionassero le cose. Quanto all'at
tendibilità di detto testimone, d'altra parte, doveva tenersi pre sente che egli aveva definito in via conciliativa la propria ver
tenza con il datore di lavoro. Il tribunale osservava infine che il
regime di precarietà derivante dalla qualificazione dei rapporti — che rende efficaci meri richiami —
spiegava il mancato eser
cizio del potere disciplinare. Le Opere sociali don Bosco propongono ricorso per cassazio
ne, articolato in due motivi.
L'Inps resiste con controricorso.
Motivi della decisione. — Con il primo motivo la parte ricor
rente denuncia violazione o falsa applicazione di norme di di
ritto e segnatamente dell'art. 2094 c.c.
Lamenta che il giudice d'appello abbia trascurato la rilevanza
probatoria e interpretativa degli accordi scritti intervenuti tra le
parti, diretti ad escludere la natura subordinata del rapporto, e le
disposizioni testimoniali secondo cui la formalizzazione del
rapporto corrispondeva all'effettiva volontà dei contraenti, i
quali dedicavano pochissimo tempo alla scuola e quindi non
avrebbero mai accettato un rapporto di lavoro subordinato con
le Opere. Osserva inoltre che il tribunale ha ritenuto di superare la vo
lontà espressa delle parti, dando rilievo ad elementi di fatto in
realtà ininfluenti, in quanto non dimostranti l'effettivo assog
gettamento del lavoratore al potere direttivo e disciplinare. Con il secondo motivo denuncia omessa, insufficiente e con
traddittoria motivazione circa un punto decisivo.
Lamenta che il tribunale abbia illogicamente desunto la sog
gezione degli insegnanti al potere direttivo della scuola dalla te
stimonianza del Calcagno, il quale insegnava in una scuola di
versa e diurna (osservando quindi orari diversi) e pertanto si era
limitato ad esprimere mere supposizioni circa le prassi osservate
nell'altra scuola.
Si duole poi della mancata considerazione delle difformi de
posizioni dei testi Lega e Vigano, i quali avevano escluso
l'esercizio di qualsiasi potere disciplinare o anche di solo con
trollo e inoltre avevano riferito riguardo alla possibilità degli in
segnanti di assentarsi anche per lunghi periodi di tempo, con
obbligo di avviso e non di giustificazione, alla mancata retribu
zione delle assenze e alla ridotta disponibilità dei vari insegnan
ti, che avevano tutti un altro lavoro che li assorbiva in via prin
cipale e preminente. Lamenta anche il mancato ricorso all'esercizio di ufficio dei
poteri istruttori ex art. 437 c.p.c., al fine di verificare e integrare le risultanze della deposizione Calcagno e delle altre due non
prese in considerazione. Infine osserva che il Tribunale penale di Milano, a seguito di ampia istruttoria, aveva ritenuto legitti ma la qualificazione come autonomi dei rapporti per i quali
l'Inps aveva ritenuto sussistenti omissioni contributive, e quindi aveva assolto il responsabile legale della datrice di lavoro dal
l'imputazione di avere omesso le prescritte denunce obbligato
rie, determinando un'evasione contributiva per importo superio re a quella presa in considerazione dalla normativa penale.
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3327 PARTE PRIMA 3328
I due motivi devono essere esaminati congiuntamente, stante
la loro potenziale connessione.
II ricorso è fondato.
Osserva questa corte che gli elementi che differenziano, alla
stregua dei parametri normativi desumibili innanzitutto dall'art.
2094 c.c., il lavoro subordinato da quello autonomo sono l'as
soggettamento del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e
disciplinare del datore di lavoro, con la conseguente limitazione
della sua autonomia e il corrispondente tipo di inserimento nel
l'organizzazione aziendale. Tali elementi devono essere apprez zati con riguardo alla specificità dell'incarico conferito al lavo
ratore e al modo della sua attuazione.
Invece, elementi quali l'assenza del rischio, la continuità
della prestazione, l'osservanza di un orario, la localizzazione
della prestazione e la cadenza e la misura fissa della retribuzio
ne assumono natura meramente sussidiaria e non decisiva.
La qualificazione del rapporto compiuta dalle parti nell'ini
ziale stipulazione del contratto è rilevante, ma non è necessa
riamente determinante, poiché nei rapporti di durata il compor tamento delle parti può essere idoneo ad esprimere sia una di
versa effettiva volontà contrattuale, sia una nuova diversa vo
lontà (in genere, sulla problematica della distinzione tra rap
porto di lavoro subordinato e autonomo, cfr., ex plurimis, Cass.
16 gennaio 1996, n. 326, Foro it., Rep. 1996, voce Lavoro (rap
porto), n. 416; 3 aprile 2000, n. 4036. id., Rep. 2000, voce cit., n. 626; 2 settembre 2000, n. 11502, id., Rep. 2001, voce cit., n.
584; 21 novembre 2000, n. 15001, id.. Rep. 2000, voce cit., n.
607; 9 gennaio 2001, n. 224, id.. Rep. 2001, voce cit., n. 582; 1° marzo 2001. n. 2970, ibid., n. 579; 20 marzo 2001, n. 3975,
ibid., n. 735). Quanto all'affermazione secondo cui ogni attività umana
economicamente rilevante può essere oggetto sia di rapporto di
lavoro subordinato, sia di rapporto di lavoro autonomo, a se
conda delle modalità del suo svolgimento (cfr. Cass. 10 febbraio
199". n. 1502, id., Rep. 1992, voce cit., n. 491; 17 dicembre
1995, n. 14248, id., Rep. 1999, voce cit., n. 644, e 3 aprile 2000
n. 4036, id., Rep. 2000, voce cit., n. 626), è opportuno precisare che essa si riferisce a categorie adeguatamente ampie ed astratte
di attività e che la sua validità può, evidentemente, venire meno
quando sono in considerazione tipologie più specifiche di atti
vità o posizioni lavorative.
Con particolare riferimento all'attività lavorativa oggetto della presente controversia, è opportuno preliminarmente ricor
dare che questa corte, in varie occasioni, in relazione alle pre stazioni lavorative di tipo intellettuale, e anche a proposito del
l'attività d'insegnamento, ha osservato (approfondendo le enun
ciazioni di carattere generale in tema di lavoro subordinato e
autonomo) che per la loro stessa natura dette prestazioni non ri
chiedono da parte di chi le fornisce alcuna organizzazione im
prenditoriale, né postulano un'assunzione di rischio a carico del
lavoratore, sicché l'accertamento della natura (autonoma o su
bordinata) del rapporto va desunta esclusivamente dalla posi zione tecnico-gerarchica in cui si trovi il lavoratore medesimo, in correlazione all'eventuale esercizio di un potere direttivo del
datore di lavoro, che inerisca all'intrinseco svolgimento di
quelle prestazioni, restando irrilevante, ove difetti detto requi sito, l'eventuale sussistenza di connotati normalmente propri del
lavoro subordinato, quali la collaborazione, l'osservanza di un
determinato orario, la continuità dell'attività e la forma della
retribuzione (cfr. Cass. 2 luglio 1992, n. 8120, id.. Rep. 1992, voce cit., n. 490; 5 dicembre 1998, n. 12357, id., Rep. 1998, vo
ce cit., n. 576, e 13 aprile 2002, n. 5366, id.. Rep. 2002, voce
cit., n. 532). Queste precisazioni evidenziano la necessità d'individuare —
ove non si manifesti l'esercizio puntuale di poteri direttivi con
riferimento agli elementi intrinseci o estrinseci della prestazione (da quest'ultimo punto di vista si pensi, per esempio, alla fissa
zione unilaterale di orari di lavoro, all'imposizione di disponi bilità per sostituzioni, ecc.) — l'eventuale presenza di elementi
sintomatici della subordinazione più specifici di quelli relativi
all'osservanza di un orario, della continuità dell'attività e delle
modalità (non correlate al risultato) della retribuzione, in via di
puntualizzazione dei principi enunciati dalla giurisprudenza con
riferimento alle prestazioni di natura dirigenziale, intellettuale e
professionale, secondo cui per le stesse la subordinazione può
Il Foro Italiano — 2003.
atteggiarsi in maniera peculiare, in relazione allo specifico ruolo
dei lavoratori nell'ambito dell'organizzazione datoriale e al ri
lievo che hanno nei loro rapporti con l'imprenditore gli elemen
ti, a seconda delle funzioni, della capacità professionale e della
particolare fiduciarietà dell'incarico (cfr. Cass. 9 giugno 1994,
n. 5590, id., Rep. 1995, voce cit., n. 421; 4 marzo 1998, n. 2370,
id., Rep. 2000, voce cit., n. 641; 21 ottobre 2000, n. 13945,
ibid., n. 929, e anche sez. un. 30 giugno 1999, n. 379/SU, ibid.,
n. 638, con riferimento ad una docenza in ambito universitario).
Quanto agli elementi indicativi della subordinazione che pos sono essere peculiari dell'attività di insegnamento (in collega mento con i c.d. criteri complementari e sussidiari, quali la con
tinuità delle prestazioni, l'osservanza di un orario, la periodicità e la predeterminazione della retribuzione), è opportuno ricorda
re che può essere differenziato, a seconda dei casi, il tipo di in
serimento sia delle singole lezioni, sia dell'attività del singolo
docente, in un quadro complessivo didattico, formativo, valuta
tivo e disciplinare. Ciò può dipendere, in particolare, sia dalla
natura dell'(eventuale) corso didattico complessivo in cui si in
seriscano le lezioni del singolo docente, sia dalla misura in cui
la singola scuola privata — eventualmente anche in correlazione
alla sua qualificazione legale (scuola pareggiata, scuola legal mente riconosciuta, ecc.) — abbia fatto propri i moduli delle
scuole pubbliche. Gli ordinamenti di queste ultime, infatti, pre vedono forme di articolato inserimento dell'attività del singolo docente in un quadro complessivo: si pensi alla programmazio ne formativa e didattica e alle valutazioni degli studenti, che
comportano ampi momenti collegiali e la redazione di apposite relazioni (che consentono anche di contemperare il principio della libertà di insegnamento con qualche forma di controllo); si
pensi altresì agli intensi rapporti dei docenti con i genitori o i lo
ro rappresentanti (e nelle scuole secondarie superiori, anche con
i rappresentanti degli studenti) sia negli appositi consigli di
classe, sia in occasione dei colloqui individuali con i genitori, ecc. (per l'attribuzione di potenziale rilevanza di aspetti di tal
genere, cfr. Cass. 10 febbraio 1992, n. 1502, cit.; 5 aprile 2002,
n. 4889, id., 2002,1, 2740, ed anche 379/SU/99, cit., che contie
ne un'implicita valorizzazione di forme d'integrazione delle at
tività didattiche in ambito universitario). Mentre può ritenersi incontestabile il carattere subordinato di
un'attività didattica improntata pienamente ai moduli partecipa tivi cui si è accennato, perché in tal caso l'insegnante concorre
con gli altri docenti alla determinazione di aspetti organizzativi, rimanendone a sua volta vincolato, e sotto vari aspetti è coin
volto in maniera pregnante nell'organizzazione complessiva dell'attività formativa e didattica, nei casi di solo parziale rife
rimento a tale modello, vuoi per quanto riguarda il complessivo corso di studi, vuoi con riferimento al tipo di inserimento del
singolo insegnante, il giudice di merito deve compiere una glo bale, ma adeguatamente motivata, valutazione, al fine di verifi
care se il concreto inserimento dell'insegnante nell'organizza zione complessiva sia compatibile con una qualificazione del
rapporto nell'ambito del lavoro autonomo.
Nel caso in esame il giudice di merito ha fatto riferimento a
un principio di diritto (coincidente con la massima formulata da
una rivista giuridica con riferimento a Cass. 28 dicembre 1993, n. 12875, id., Rep. 1994, voce cit., n. 451, sentenza che, non
massimata dall'ufficio del massimario di questa corte, aveva
anche dato atto dell'esistenza di un'ampia motivazione del giu dice di merito circa le modalità di esecuzione dell'attività di
dattica e le direttive impartite nel caso concreto ai docenti) il
quale non è compiutamente adeguato a fornire i criteri per la
qualificazione delle fattispecie oggetto del presente giudizio. Nella sua concreta applicazione del principio, peraltro, il tri
bunale ha attribuito carattere decisivo, ai fini della qualificazio ne dei rapporti quali subordinati, a circostanze che tale rilievo
certo non hanno. Si è già detto che, considerata la natura delle
prestazioni, non può attribuirsi rilievo decisivo alla pertinenza
all'impresa di «strutture e mezzi» (peraltro non meglio precisa ti), così come non è determinante neanche la circostanza della
commisurazione della retribuzione alle ore di lezione prestate. D'altra parte, la predeterminazione dei programmi di insegna mento, peraltro coincidenti con quelli ministeriali, non è ade
guata ad integrare l'esercizio del potere direttivo tipico del lavo
ro subordinato, trattandosi di una direttiva di carattere generale
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
e preliminare, diretta all'individuazione dell'oggetto della pre stazione, così come non è in sé significativo il fatto che rispon desse alle indicazioni ministeriali il numero di «ore per inse
gnante» (recte, presumibilmente, di ore settimanali per le sin
gole materie). Il tribunale fa un parallelo con la scuola pubblica, ma esso è limitato al rapporto tra programmi e libertà di inse
gnamento, e certo non è basato sull'accertamento della recezio
ne nel suo complesso dei moduli organizzativi delle scuole pub bliche.
La menzione della firma sul registro di classe per attestare la
presenza del docente è indicativa di un esercizio della facoltà di
verifica dell'esecuzione della prestazione compatibile con il la
voro autonomo. Neanche la menzione, riguardo alle assenze, della necessità di fornire una certificazione «se possibile»,
«specie se [le assenze erano] prolungate» evidenzia un elemento
incompatibile con rapporti di lavoro autonomo: poiché non è
stato riferito del pagamento della retribuzione in caso di assen
za, tale certificazione poteva essere diretta alla verifica di un
elemento — giustificazione della mancanza della prestazione
personale pattuita — rilevante anche nei rapporti di lavoro au
tonomo, sotto il profilo sia di eventuali responsabilità per ina
dempimento, sia in merito alla continuazione o meno del rap
porto. In conclusione, la sentenza impugnata deve essere cassata
perché il giudice di merito ha attribuito rilievo determinante ai
fini della qualificazione dei rapporti come subordinati ad ele
menti a tal fine inadeguati; ne consegue la cassazione della me
desima sentenza, rimanendo assorbite le censure di vizio di mo
tivazione di cui al secondo motivo (con conseguente libertà di
eventuale accertamento dei fatti relativi da parte del giudice di
rinvio). La causa deve essere rinviata per nuovo esame ad altro giudi
ce, che si atterrà, per quanto di ragione ai principi di diritto già
esposti, che, per la parte più direttamente rilevante, possono es
sere così sintetizzati: «Con riferimento all'insegnante incaricato
di tenere un corso di lezioni in una scuola privata, non costitui
scono di per sé elementi idonei a dimostrare il carattere subor
dinato del relativo rapporto di lavoro la continuatività di que st'ultimo, l'obbligo di attenersi ai programmi ministeriali, l'esi
stenza di un orario contrattualmente predeterminato, la commi
surazione della retribuzione alle ore di lezione, l'apposizione di
firme di presenza e la necessità per l'insegnante di avvisare di
eventuali assenze e di giustificare, se possibile, le medesime.
Peraltro, la caratterizzazione del rapporto come subordinato può derivare, oltre che da un puntuale esercizio da parte del datore
di lavoro di poteri direttivi, anche con riferimento ai soli aspetti estrinseci della collaborazione (modifica unilaterale degli orari, delle classi o delle materie, imposizione di turni di disponibilità
per sostituzioni, ecc.), o di poteri disciplinari, dall'esistenza di
forme di articolato inserimento del singolo docente in un quadro
organizzativo complessivo (analogo a quelle delle scuole pub bliche), sotto il profilo degli obblighi, anche collegiali, di pro
grammazione formativa e didattica, di valutazione degli studen
ti, di intrattenimento di rapporti con i genitori e con gli stessi
studenti, di partecipazione ai consigli di classe, ecc.».
Il Foro Italiano — 2003.
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 20
agosto 2003, n. 12218; Pres. Fiduccia, Est. Durante, P.M.
Golia (conci, conf.); Fortuna (Avv. Sganga) c. Soc. La Fon
diaria assicurazioni (Avv. Spinelli Giordano) e altro. Cassa
App. Catanzaro 23 febbraio 1999.
Appello civile — Motivi — Specificità — Difetto — Conse guenze (Cod. proc. civ., art. 342).
Appello civile — Motivi — Specificità — Nuove deduzioni istruttorie —
Fattispecie (Cod. proc. civ., art. 342, 345).
La specificità dei motivi prescritta dall'art. 342 c.p.c. impone, oltre all'individuazione delle statuizioni concretamente im
pugnate, l'esposizione delle ragioni volte a confutare le ar
gomentazioni che sorreggono la sentenza di primo grado: in
mancanza l'appello va dichiarato inammissibile. (1)
Qualora la sentenza di primo grado abbia rigettato la domanda
per mancanza di prova del fatto costitutivo, ai fini della spe
cificità dei motivi di appello è sufficiente che si lamenti il ri getto e si richieda l'assunzione della prova, la cui mancanza ha determinato la pronuncia della decisione appellata. (2)
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezione tributaria; sentenza 13
maggio 2003, n. 7316; Pres. Saccucci, Est. Ceccherini, P.M.
Gambardella (conci, diff.); Libratti e altra (Avv. Frigo.
Gregori) c. Min. finanze e altro. Conferma Comm. trib. reg. Veneto 17 dicembre 1998.
Appello civile — Mancata riproposizione di domande ed ec
cezioni — Presunzione di rinuncia — Appellato contuma
ce (Cod. proc. civ., art. 346; d.leg. 31 dicembre 1992 n. 546,
disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al governo contenuta nell'art. 30 1. 30 dicembre 1991 n. 413, art. 56).
La presunzione di rinuncia posta dall'art. 346 c.p.c. per le do
mande e le eccezioni non accolte nella sentenza di primo gra do che non siano espressamente riproposte (e così pure la
corrispondente presunzione posta dall'art. 56 d.leg. 546/92
per le questioni ed eccezioni nel contenzioso tributario) ri
guarda anche l'appellato che sia rimasto contumace. (3)
(1-3) La riproposizione espressa dell'art. 346 c.p.c., l'appellato contumace, l'effetto devolutivo e un atteso ripensamento della Su
prema corte.
1. - Il principio affermato dalla sentenza della sezione tributaria — la
quale correttamente svolge i propri argomenti avendo come riferimento l'art. 346 c.p.c., nel contenzioso tributario sostanzialmente riprodotto dall'art. 56 d.leg. 31 dicembre 1992 n. 546, sia pure con talune varianti, fra cui non meramente terminologica parrebbe soltanto la sostituzione del termine «domande» con «questioni»: cfr. Consolo, Il giudizio di
appello davanti alla commissione tributaria regionale, in II nuovo pro cesso tributario a cura di Miscali, Milano, 1996, 221-223; Pistolesi, in Il nuovo processo tributario, commentario a cura di Baglione Menchini-Miccinesi, Milano, 1997, sub art. 56, 491 s.; M. Finocchiaro,
Appunti sugli art. 56 e 75 d.leg. n. 546 del 1992, in Giust. civ., 2001, I. 1494 s. — non rappresenta una novità assoluta per la Suprema corte.
Cass. 20 febbraio 1982, n. 1073, Foro it.. Rep. 1982. voce Appello civile, n. 91, ritiene che nel giudizio di appello la contumacia dell'ap pellato non esclude la sua decadenza dalle domande od eccezioni non
riproposte (art. 346 c.p.c.), salvo la disamina necessaria di quelle che siano dipendenti strettamente ed indissolubilmente dalle difese enun ciate dalla parte costituita. Cass., sez. un., 6 settembre 1990, n. 9197,
id., 1991. I, 102, con note di Brilli, In tema di nullità insanabili non dedotte in appello e di formazione del giudicato interno, e di Proto Pi
sani. Note sulla struttura dell'appello civile e sui suoi riflessi sulla
cassazione, avendo posto in capo all'appellato «vittorioso in primo grado nel merito ma soccombente in linea teorica sulla questione di
giurisdizione espressamente decisa in senso a lui sfavorevole» l'onere di riproporre «ai sensi dell'art. 346 c.p.c.. l'eccezione di difetto di giu risdizione del giudice ordinario al fine di evitare il formarsi sul punto del giudicato interno», ha dichiarato inammissibile il motivo del ricorso
per cassazione con cui la parte contumace in appello denunciava nuo vamente il difetto di giurisdizione del giudice ordinario.
Del primo dei due precedenti non è però disponibile la motivazione.
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