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sezione lavoro; sentenza 12 aprile 1985, n. 2415; Pres. Pennacchia, Est. Pontrandolfi, P.M. Caristo...

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sezione lavoro; sentenza 12 aprile 1985, n. 2415; Pres. Pennacchia, Est. Pontrandolfi, P.M. Caristo (concl. conf.); Min. tesoro c. Zanichelli e Dallari (Avv. Assennato). Conferma Trib. Reggio Emilia 27 ottobre 1980 Source: Il Foro Italiano, Vol. 108, No. 6 (GIUGNO 1985), pp. 1643/1644-1645/1646 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23178527 . Accessed: 28/06/2014 19:07 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.31.195.118 on Sat, 28 Jun 2014 19:07:18 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione lavoro; sentenza 12 aprile 1985, n. 2415; Pres. Pennacchia, Est. Pontrandolfi, P.M.Caristo (concl. conf.); Min. tesoro c. Zanichelli e Dallari (Avv. Assennato). Conferma Trib.Reggio Emilia 27 ottobre 1980Source: Il Foro Italiano, Vol. 108, No. 6 (GIUGNO 1985), pp. 1643/1644-1645/1646Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23178527 .

Accessed: 28/06/2014 19:07

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1643 PARTE PRIMA 1644

riguarda la pretesa all'esenzione che può sempre residualmente farsi valere per gli anni che ancora ricadono nel periodo stesso.

Esclusa la decadenza, ed esclusa altresì la proiezione dell'inerzia

precedente e della mancata istanza di fronte alla tempestiva reazione all'accertamento, ovvero al ruolo, formalmente il contri

buente ben poteva azionare il suo diritto, e quindi la impugnata sentenza che glielo ha riconosciuto non merita censura, nonostan

te le mende della motivazione in diritto. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 12 aprile

1985, n. 2415; Pres. Pennacchia, Est. Pontrandolfi, P.M. Ca

risio (conci, conf.); Min. tesoro c. Zanichelli e Dallari (Avv.

Assennato). Conferma Trib. Reggio Emilia 27 ottobre 1980.

Previdenza sociale — Lavoratore in c.i.g. — Indennità di malattia

(L. 8 agosto 1972 n. 464, modifiche ed integrazioni alla 1. 5

novembre 1968 n. 1115, in materia di integrazione salariale e di

trattamento speciale di disoccupazione, art. 2, 3).

Il lavoratore posto in c.i.g., che si ammala, ha diritto all'intera

indennità giornaliera di malattia, abbia avuto inizio o meno, la malattia stessa, entro due mesi dalla sospensione del rap

porto. (1)

Motivi della decisione. — Con l'unico motivo di annullamento, denunciando violazione ed errata interpretazione dell'art. 30 del

c.c.n.l. corporativo 3 gennaio 1939 e degli art. 2 e 3 1. 8 agosto 1972 n. 464, in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c., l'istituto

ricorrente censura la sentenza impugnata per avere affermato che

il trattamento della ci.g. non comporta in senso tecnico

sospensione del rapporto di lavoro, ma agisce soltanto

nel senso di sospendere le obbligazioni principali delle

parti, e sostiene che, se tali obbligazioni (quella relativa all'attivi

tà lavorativa e quella relativa alla retribuzione) rimangono sospe se, non può non derivarne inevitabilmente la sospensione del

rapporto di lavoro. Non giova in senso contrario — assume il

ricorrente — che, pur durante l'integrazione salariale, permangano alcuni effetti del rapporto di lavoro, quali quelli richiamati dalla

sentenza impugnata e previsti dagli art. 2 e 3 1. n. 464/72, in

quanto trattasi pur sempre di limitati e tassativi effetti secondari

che il legislatore, con una sorta di fictio iuris, ha voluto

prevedere eccezionalmente per alleviare la posizione di chi è

sospeso dal lavoro; essendo facile rilevare anche che, se l'istituto

dell'integrazione salariale non producesse proprio alcun effetto,

neanche secondario, il rapporto di lavoro non sarebbe soltanto

sospeso, ma si dovrebbe considerare addirittura estinto. Se, quindi,

(1) La Cassazione conferma il proprio indirizzo, fondato sul rilievo,

cui è approdata attraverso una ricostruzione sistematica della normativa

della c.i.g., dell'equiparazione del trattamento integrativo a quello di pre stazione effettiva del lavoro. Conf., oltre alle sentenze 20 aprile 1984, n.

2612 e 17 aprile 1984, n. 2492 richiamate nella motivazione

(Foro it., Mass., 488, 515), Cass. 7 febbraio 1985, n. 947, id., Mass.,

199; 27 novembre 1984, n. 6154, id., Mass., 1216. Nella giurispruden za di merito, da ultimo, Pret. Salerno 21 aprile 1982, id., Rep. 1983, voce Previdenza sociale, n. 807; Trib. Padova 14 aprile 1980, ibid., n.

804. Contra, implicitamente, Cass. 28 aprile 1984, n. 2663, id., Mass.,

530, la quale, affermando che, nel caso in cui i sessanta giorni di « cas

sa » siano scaduti al sabato e la malattia abbia avuto inizio il lunedi

successivo quest'ultima non possa ritenersi verificata oltre il sessantesi

mo giorno, sembra ritenere applicabile il termine dell'art. 30 contr.

coli, corporativo 3 gennaio 1939 anche alla sospensione dovuta ad

integrazione salariale. iPer la diversa problematica della coincidenza tra cassa integrazione

e malattia infrabimensile, v., da ultimo, Cass. 6 febbraio 1984, n. 917

e iPret. 'Pisa 4 maggio 1984, Giust. civ., 1984, I, 3387, con nota di R.

Del Punta, Indennità di malattia e cassa integrazione guadagni, in

cui è pure evidenziata la nuova disciplina introdotta dall'art. 1, 6°

comma, 1. 29 febbraio 1980, n. 33, ed è prospettata una duplice

interpretazione circa la sua incidenza sulla problematica stessa.

Per l'applicabilità dell'art. 3 1. 464 del 1972 ai soli casi di

sospensione e non a quelli di riduzione d'orario, Cass. 30 ottobre 1984, n. 5548, Foro it., Mass., 1088. Conf., sul punto, M. Miscione, La cassa

integrazione, come funziona, come si utilizza, Roma, 1983, 128, che

precisa anche che tale norma riguarda il solo trattamento straordinario, essendo invece dovuta l'indennità di malattia nel caso di integrazione ordinaria. Indennità che, a suo avviso, si riduce ai due terzi (art. 30

contr. coli, corporativo cit.). se la malattia intervenga dopo l'inizio

della cassa integrazione (in proposito v. le circolari I.n.p.s. da lui

richiamate, op. cit., 165, nota n. 102).

Il Foro Italiano — 1985.

durante il periodo di integrazione salariale il rapporto di lavoro è

sospeso, non sembra contestabile — ad avviso del ricorrente —

che il lavoratore, il quale, dopo aver goduto del tratta

mento della c.i.g., si ammali, ha diritto all'indennità gior naliera di malattia nel solo caso (che non ricorre per la

Zanichelli) in cui, alla data di insorgenza dell'infermità, la

sospensione non duri da oltre il termine previsto per la copertura o protezione assicurativa dall'art. 30 del c.c.n.l. 3 gennaio 1939;

e, analogamente, che il lavoratore il quale, dopo aver goduto del

trattamento della c.i.g., si ammali in periodo di copertura o protezione assicurativa, senza aver ripreso il lavoro (e

questo è il caso del Dallari), ha diritto all'indennità in mi

sura ridotta.

Il ricorso, nel suo unico motivo prospettato, non è fondato. Ed

invero, non importa stabilire, ai fini che qui interessano, se la

integrazione salariale concessa ai lavoratori sospesi dal lavoro nelle ipotesi di intervento della c.i.g. si attenga, in astratto, ad

un fenomeno di sospensione del rapporto di lavoro ovvero di

semplice sospensione delle obbligazioni delle parti con perma nenza del rapporto di lavoro nella sua efficacia e validità.

Importa, invece, stabilire i limiti di applicabilità ai lavoratori

posti in c.i.g. dell'art. 30 del contratto collettivo cor

porativo 3 gennaio 1939 per gli operai dell'industria, tutto ra vigente, in relazione all'art. 7 dello stesso contratto, sulla

disciplina del trattamento mutualistico di malattia, considerato che

tali norme conservano il diritto all'assistenza mutualistica, compre sa l'indennità giornaliera di malattia, anche agli operai licenziati, dimissionari o sospesi dal lavoro, a condizione che la malattia

abbia inizio entro 60 giorni dalla cessazione o sospensione del

rapporto di lavoro, pur venendo la indennità giornaliera ridotta nella misura di 2/3 di quella normale.

Indubbiamente, come è stato talvolta rilevato, le suddette norme

contrattuali non consentono la distinzione tra sospensione del

rapporto di lavoro e sospensione della prestazione lavorativa,

giacché è da ritenere che, con le espressioni « operaio sospeso dal

lavoro » e « sospensione del rapporto di lavoro », le parti con

traenti abbiano inteso riferirsi a tutte quelle cause (ad esclusione

evidentemente di quelle dipendenti da malattia, infortunio, mater

nità, formanti oggetto di tutela mutualistica) impeditive della

prestazione di lavoro e che non comportino la risoluzione del

relativo rapporto. D'altra parte, una ricerca della volontà contrattuale delle parti,

per stabilire i limiti della conservazione del diritto alle prestazioni economiche per malattia da parte del lavoratore posto in c.i.g.,

appare perfettamente inutile dal momento che, come osservato dal

primo giudice nella presente controversia (con rilievo da consi

derarsi implicitamente recepito dal tribunale), le parti, nello stipu lare il citato contratto collettivo corporativo del 1939, anteriore alla

istituzione della c.i.g. (verificatasi con di.lgt. 9 novembe 1945 n.

788), non avrebbero potuto prevedere il determinarsi di una si

tuazione quale quella che ha interessato la Zanichelli e anche il

Dallari. È piuttosto da rilevare che la soluzione della questione di cui

si controverte nella presente causa è già stata individuata da

questa Suprema corte in due recenti sentenze (sez. lav. 20 aprile

1984, n. 2612, Foro it., Mass., 515, e 17 aprile 1984, n. 2492,

ibid., 488), con riferimento non già agli art. 7 e 30 del citato

contratto collettivo corporativo, la cui applicabilità a casi come

quelli di specie, occorre pur sempre stabilire, sibbene alla stessa

normativa sulla c.i.g. È stato, in sintesi, osservato nelle due menzionate decisioni: A)

che l'art. 2 1. 8 agosto 1972 n. 464 e l'art. 3 1. 20 maggio 1975 n.

164, considerano i periodi di integrazione salariale utili ai fini del

conseguimento del diritto alla pensione e della determinazione

della misura di questa; B) che l'art. 3 1. n. 464/72 riconosce ai

lavoratori che fruiscono dell'integrazione salariale il diritto alla

assistenza sanitaria, estesa ai familiari a carico, mentre l'art. 4 1.

n. 164/75 afferma, in modo ancora più incisivo ed inequivoco,

che, « ai fini del diritto all'assistenza sanitaria, i periodi di

integrazione salariale sono equiparati a quelli di effettiva presta zione lavorativa»; C) che, nel sistema del d.lJgt. 788/

45, istitutivo della c.i.g., l'integrazione salariale si atteg

gia come un diritto del lavoratore nei confronti del datore di

lavoro, il quale è responsabile per la mancata acquisizione di tale diritto da parte del lavoratore; D) che i suddetti dati testuali

della normativa sulla c.i.g. comprovano una sostanziale equi parazione dei periodi di integrazione salariale a quelli di effettiva prestazione lavorativa, con la conseguenza che non

può parlarsi, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 30 del contratto collettivo corporativo del 1939, durante il periodo di

integrazione salariale, di sospensione del rapporto di lavoro e

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

neppure di sospensione del lavoro, con la conseguente inapplicabi lità della suddetta disposizione contrattuale; E) che la limitazione

temporale della copertura assicurativa relativa all'indennità giorna liera di malattia, di cui alla suddetta disposizione contrattuale, comincia ad operare, pertanto, solo alla cessazione del trattamento

integrativo della cassa, se il lavoratore cessa la sua attività. In sostanza, si è anche osservato in tali decisioni che è

« innegabile come la fictio iuris, attraverso la quale il legislatore, nell'intento di garantire al lavoratore posto in cassa integrazione tutti i diritti di cui godeva, equipara il periodo di trattamento

integrativo a quello di prestazione effettiva di lavoro, costituisca un principio di ordine generale, non limitato alla sola assistenza in senso stretto, ma esteso a qualsiasi altro istituto sul quale possono ripercuotersi gli effetti negativi della condizione in cui il

lavoratore stesso viene a trovarsi in conseguenza dell'ammissione

dell'impresa al regime della c.i.g., ordinaria e straordinaria »

(cosi, in particolare, la sentenza n. 2492 del 1984). La sentenza impugnata non appare in contrasto con tali

principi nella sua statuizione, onde il ricorso va rigettato. (Omis sis)

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 12 aprile

1985, n. 2413; Pres. Vela, Est. Ponzetta, P. M. Benanti

(conci, conf.); Banfi (Aw. Crini, Hoesch, Zavatarelli) c.

Min. tesoro (Avv. dello Stato Fiengo) e Soc. Pacchetti. Confer ma Trib. Milano 17 gennaio 1980.

Lavoro (rapporto) — Tutela delle lavoratrici madri — Astensione

dal lavoro « post partum » — Estensibilità al padre — Esclusio

ne (L. 30 dicembre 1971 n. 1204, tutela delle lavoratrici madri, art. 4, 15; 1. 9 dicembre 1977 n. 903, parità di trattamento tra

uomini e donne in materia di lavoro, art. 6).

Il periodo di astensione obbligatoria dal lavoro post partum e le

relative provvidenze non spettano al padre, pur se sia l'unico

genitore che abbia riconosciuto il figlio. (1)

(1) Nel confermare Trib. Milano 17 gennaio 1980 (Foro it., 1980, 'I, 1763, con nota di V. Ferrari) la sentenza in epigrafe si è

pronunciata in senso contrario alla tesi del ricorrente con un iter

argomentativo incentrato sulla assoluta inapplicabilità al padre della normativa sull'astensione obbligatoria post partum. Infatti il rilievo della mancata prova dell'esclusivo accudimento del figlio da parte dell'attore — pure contenuto nella decisione — è valso solo a motivare la irrilevanza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 4 1. 1204/71 e dell'art. 6 1. 903/77, proposta dalla sua difesa in riferimento agli art. 2, 3, 4, 30, 31, 35, 37 Cost. La Corte di cassazione ha quindi disatteso l'interpretazione estensiva e analogica della disciplina in materia (cosi, del resto, sent. 17 ottobre 1983, n.

6087, id., 1984, I, 1035, che ha riconosciuto alla lavoratrice, che abbia avuto in affidamento preadottivo un neonato prima dell'entrata in

vigore della 1. 903, il diritto all'astensione obbligatoria dalla prestazio ne, in virtù di un principio logico-sistematico, non analogico) seguita dai primi giudici che si erano occupati della vicenda: Pret. Milano, ord. 31 ottobre 1978, id., Rep. 1979, voce Lavoro (rapporto), n. 987, e in Riv. giur. lav., 1979, II, 599, con nota adesiva di G. Galli, Parità di trattamento uomo-donna ed astensione obbligatoria dal lavoro dopo il parto; Pret. Milano 24 gennaio 1979, Foro it., 1980, I, 1764, con la citata nota di Ferrari.

Cfr., inoltre, per il riconoscimento al padre vedovo del diritto all'astensione obbligatoria, iPret. Milano 28 novembre 1979, id., Rep. 1980, voce cit., n. 997; iPret. iPesaro 21 marzo 1979, ined., ma citata da M. L. De Cristofaro, Tutela e/o parità. Le leggi sul lavoro

femminile tra protezione e uguaglianza, Bari, 1979, 259; IPret. Pesaro 2

luglio 1978, ined., ma citata da IL. De Angelis, La legge di parità uomo-donna nella prassi giurisprudenziale, in Dir. lav., 1980, I, 340.

(Pret. Milano, ord. 12 febbraio 1982, Foro it., Rep. 1983, voce cit., n.

1385 e Trib. Milano, ord. 29 maggio 1980, id., 1981, I, 597, hanno

ritenuto non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli art. 4 e 6 1. 1204 nella parte in cui non estendono

al padre il diritto all'astensione obbligatoria nel caso di morte o

mancanza della madre, in riferimento agli art. 3, 29, 30, 31 Cost.

Corte cost., ord. 5 maggio 1983, n. 130, id., Rep. 1983, voce cit., n.

1383, ha dichiarato manifestamente inammissibile la questione sollevata

da Pret. Milano 12 febbraio 1982, cit., per difetto di motivazione sulla

sua rilevanza ai fini della risoluzione del giudizio a quo. In dottrina, nello stesso senso della decisione in epigrafe, v. D.

Referza, Emancipazione della donna e accesso al lavoro, in Lavoro

e prev. oggi, 1978, 1998. De Angelis, Note in margine ad un parere

dell'ufficio studi e documentazione del Consiglio superiore della ma

gistratura in materia di permessi di paternità {art. 7 l. 9 dicembre

Il Foro Italiano — 1985.

Motivi della decisione. — Con il primo dei mezzi di ricorso si

denuncia omessa e contraddittoria motivazione su un punto deci

sivo della controversia (art. 360, n. 5, c.p.c.) e si sostiene, anzitutto, che il tribunale non ha considerato che la disciplina del trattamento in questione prescinde dall'evento biologico della

nascita, tanto da essere estesa ex legge n. 903/77 alla madre

adottiva, ond'era tra l'altro inutile verificare se la madre naturale

avesse o no riconosciuto la bambina nata dall'unione con l'attore. Nello sviluppo di questa censura il ricorrente ha formulato una

serie di proposizioni, che, mentre per alcuni aspetti implicano premesse non riproducenti in modo esatto il pensiero del tribuna

le, anche laddove il collegio stesso ha inteso spaziare su argomen ti e situazioni non strettamente necessari all'economia della con

troversia, sotto altri aspetti implicano errori.

Esiste bensì nell'impugnata sentenza l'affermazione che non

sono stati compiuti dal giudice di primo grado accertamenti in

ordine al mancato riconoscimento della bambina Alice da parte di colei dalla quale è stata partorita; ma questa affermazione è

stata posta dal tribunale in funzione giustificativa dell'indagine condotta in appello — per quanto consentiva l'uso dei poteri esercitabili ex officio — circa la situazione di fatto prospettata dall'attore a fondamento della sua domanda.

Peraltro, chiarito opportunamente lo status dell'infante attraver

so l'acquisizione di copia integrale dell'atto di nascita, donde

risulta che la madre naturale provvedette a sua volta, in data 7

febbraio 1979, al riconoscimento della bambina nata il 29 agosto

1978, tale accertamento si è rivelato non decisivo per la contro

versia ed il tribunale si è preso cura di sottolineare che la prova dei fatti (intendesi anche quella, rimasta carente, circa l'effettivo

accudimento alla bambina ad opera dell'uno o dell'altro genitore nei primissimi tempi di sua vita) non sarebbe risolutiva per il

Banfi al fine di conseguire il riconoscimento del diritto per il

quale ha promosso la causa. Invero il tribunale ha spiegato — ed

è questo il passo veramente essenziale della motivazione — che le

provvidenze di cui all'art. 4, lett. c, 1. n. 1204/71 (norma costitutiva anche di un obbligo pea- il soggetto tutelato, in una

1977 n. 903), in Riv. giur. lav., 1981, I, 358, ha affermato che l'astensione

obbligatoria non è prevista dall'art. 7, ma, alla nota n. 36, ha definito « apprezzabile » l'interpretazione estensiva fatta da Pret. Milano 31

ottobre 1978, cit. M. V. Ballestrero, I giudici e la parità. Osservazio ni sull'applicazione giudiziaria della I. n. 90Z/77, in Politica del

diritto, 1982, 476, riferendosi a Trib. Milano 7 gennaio 1980, cit., ha scritto: « non manca, fra i giudici, chi ha difficoltà a riconoscere all'uomo diritti che la legge assegna alla donna, e non sa porre sullo stesso piano maternità e paternità, neppure quando, di fatto, i due ruoli sono assolti dalla persona del padre ».

Nella pronuncia in epigrafe è da segnalare ì'obiter dictum per il

quale i diritti previsti dagli art. 7 e 15, 2° comma, 1. 1204 spettano al

padre a condizione che la madre vi rinunzi (conf. Pret. Barcellona Pozzo di Gotto 13 maggio 1981, Foro it., Rep. 1983, voce cit., n. 1386, e in Dir. famiglia, 1982, 983, con nota critica di G. Liguori, Il diritto di assenza del padre lavoratore: note sui c.d. permessi di paternità-, Trib. Pavia 18 ottobre 1979, Foro it., 1980, I, 1763. Entrambe le decisioni si sono pronunciate in senso

negativo circa la spettanza di tali diritti al padre di un neonato la cui madre sia una lavoratrice autonoma. Contra, Pret. Pavia 24 maggio 1979, ined., ma citata da De Angelis, Note in margine, cit., 352, nota n. 18). 'Per una interpretazione riduttiva del significato della previsione di tale rinuncia, v. De Angelis, op. ult. cit., 355.

IPer la negazione del diritto del padre ai permessi di cui all'art. 10 1. 1204, cfr. Pret. Roma 19 maggio 1982, Foro it., Rep. 1982, voce cit., n. 707; Pret. Biella 23 luglio 1980, id., Rep. 1981, voce cit., n. 731; Pret. Bologna, ord. 19 marzo 1981, id., 1982, I, 2] 03; che ha però sollevato questione di legittimità costituzionale. In dottrina, in senso conforme, Ballestrero, cit.; De Angelis, op. ult. cit.

Cass., ord. 15 ottobre 1983, n. 752, Foro it., 1984, I, 1036, con la citata nota di Ferrari, ha sollevato questione di legittimità costituzio nale degli art. 7 e 15 1. 1204/71, nella parte in cui negano alla lavoratrice che abbia ricevuto un neonato in affidamento provvisorio il diritto alla astensione facoltativa e all'indennità, in riferimento agli art. 3, 1° comma, 30, 1°, 2°, 3° comma, 31, 37 Cost.

Mentre risulta dal Servizio novità del Cedocc (Centro di documentazio ne della Corte di cassazione) n. 22 del 3 giugno 1985 che le sezioni uni te, all'udienza del 24 gennaio 1985, hanno vagliato, anche ai fini della costituzionalità della norma, l'applicabilità dell'art. 4, lett. c, 1. 1204/71 alle lavoratrici affidatane in preadozione.

Sulla parità uomo-donna in materia di lavoro nella giurisprudenza comunitaria, cfr., da ultimo, M. De Luca, Discriminazioni fondate sul sesso in materia di lavoro e sistema sanzionatorio: linee di tendenza e prospettive della giurisprudenza comunitaria (nota a Corte giust. 10 aprile 1984, cause 79/83 e 13/83), id., 1985, IV, 59.

A Cass. n. 2413/85 in epigrafe si è adeguato Pret. Roma, ord. 5 giugno 1985, giud. Di Nardo, Tufariello c. Soc. Alitalia, inedita, ampiamente evidenziata dalle cronache del 6 giugno.

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