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sezione lavoro; sentenza 12 febbraio 2000, n. 1591; Pres. Santojanni, Est. Vidiri, P.M. Buonajuto...

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sezione lavoro; sentenza 12 febbraio 2000, n. 1591; Pres. Santojanni, Est. Vidiri, P.M. Buonajuto (concl. conf.); Soc. Rds La Guarnimec (Avv. Pane Poletti, Giaquinto) c. Reda (Avv. Mereu, Jucci). Conferma Trib. Padova 12 maggio 1997 Source: Il Foro Italiano, Vol. 123, No. 3 (MARZO 2000), pp. 751/752-759/760 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23194813 . Accessed: 24/06/2014 22:25 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.44.78.105 on Tue, 24 Jun 2014 22:25:43 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione lavoro; sentenza 12 febbraio 2000, n. 1591; Pres. Santojanni, Est. Vidiri, P.M. Buonajuto(concl. conf.); Soc. Rds La Guarnimec (Avv. Pane Poletti, Giaquinto) c. Reda (Avv. Mereu,Jucci). Conferma Trib. Padova 12 maggio 1997Source: Il Foro Italiano, Vol. 123, No. 3 (MARZO 2000), pp. 751/752-759/760Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23194813 .

Accessed: 24/06/2014 22:25

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PARTE PRIMA

a difesa, pur dimezzati, concessi all'amministrazione resistente

e ad eventuali controinteressati. Per la precisione, è possibile che la definizione del giudizio sopravvenga prima della scaden

za dei termini previsti per la costituzione in giudizio, per la pro

posizione del ricorso incidentale, del regolamento di competen

za, degli eventuali motivi aggiunti. Ed invero, ai sensi dell'art. 36 r.d. 17 agosto 1907 n. 642,

e dell'art. 2 d.leg. 5 maggio 1948 n. 642, il giudice si pronunzia sulla domanda di sospensione dell'atto nella prima camera di

consiglio successiva alla scadenza del termine di dieci giorni dalla

notifica del ricorso: sicché, considerata anche l'eventualità del

l'abbreviazione dei termini per riconosciuti motivi di urgenza, è possibile — in linea meramente teorica — che l'udienza di

trattazione della fase cautelare venga celebrata a soli sei giorni di distanza dalla notifica del ricorso introduttivo.

Questa evenienza ripropone il problema se la disciplina in

esame sia compatibile con il diritto di difesa costituzionalmente

garantito. La questione del rapporto tra le modalità abbreviate di defi

nizione del giudizio e la salvaguardia dei termini a difesa appa re strettamente collegata al più generale problema dei limiti di

attuazione di un sistema processuale basato sull'anticipata deci

sione del merito della controversia.

Siffatto sistema, invero, non può prescindere dal necessario

rispetto di alcuni valori processuali, tra cui, in primo luogo,

l'integrità del contraddittorio e la completezza e sufficienza del

quadro probatorio ai fini della sentenza da adottare. La deci

sione, in forma abbreviata, immediatamente nella camera di con

siglio fissata per la trattazione della domanda cautelare, non

può aver luogo se non sono state chiamate in giudizio tutte

le parti interessate ovvero se queste non si siano costituite in

pendenza del relativo termine, ovvero se la parte ricorrente, a

seguito di nuova documentazione acquisita al giudizio, propon

ga o manifesti la volontà di presentare motivi aggiunti rilevanti

ai fini della decisione del ricorso o se la causa non è matura

per la decisione, essendo necessario procedere ad ulteriori ac

quisizioni istruttorie.

Quest'ultimo aspetto, peraltro, è particolarmente delicato in

un sistema processuale che, per la formazione del materiale pro

batorio, non si affida al principio dispositivo puro, ma ne pre vede l'applicazione corretta dal c.d. metodo acquisitivo, con l'in

tervento diretto del giudice nell'attività di ricerca della prova. Occorre pertanto armonizzare queste esigenze con la disposi

zione di legge, che pure prevede la possibilità di definizione im

mediata del giudizio.

Appare estranea alla ratio legis e non conforme all'interpre tazione sistematica dell'art. 19 una soluzione che finisca col ne

gare ogni possibilità di immediata definizione del giudizio pri ma della compiuta decorrenza di tutti i termini a difesa sopra enunciati.

Piuttosto, è necessario cercare un punto di equilibrio tra le

norme che impongono speciali oneri alle parti, tra una discipli na orientata alla più celere trattazione della controversia e l'im

prescindibile salvaguardia dei diritti di difesa, dell'integrità del

contraddittorio e della completezza dell'istruttoria. Il garante di questo equilibrio non può che essere il giudice, al quale spet ta un potere di direzione del processo, nel rispetto del principio

dispositivo e dei diritti di difesa secondo le regole generali della

giustizia amministrativa.

La norma, nella parte in cui prevede che il tribunale «può» definire immediatamente la controversia, affida la scelta ad una

valutazione del giudice, tenuto a seguire le ordinarie regole logi che processuali, che consentono di non accogliere una istanza

di differimento dell'udienza o una richiesta di termine per com

pimento di attività di difesa, quando risulti esclusa, in maniera

certa, la rilevanza dell'attività richiesta in relazione al tipo e

al contenuto della adottanda decisione della controversia e della

posizione di interesse della parte che ha avanzato la richiesta

anzidetta.

Il requisito dell'«immediatezza» della decisione del giudizio, non costituisce un vincolo inderogabile per il giudice. Quando

questi infatti ritenga che il contraddittorio deve estendersi ad

altre parti o che devono disporsi mezzi istruttori, necessari ai

fini della pronuncia sulla domanda di sospensiva e a maggior

ragione per la decisione sul merito della causa, non può definire

immediatamente il giudizio ed è tenuto a provvedere anche d'uf

ficio attraverso l'esercizio del potere-dovere di pronuncia sulla

Il Foro Italiano — 2000.

domanda di sospensione o di concessione di un differimento

della camera di consiglio per gli adempimenti necessari.

Del pari, le parti costituite che vogliono avvalersi di strumen

ti difensivi rientranti nel loro potere dispositivo e comportanti

termini, sia pure abbreviati, che eccedono dalla sequenza di im

mediatezza scandita dall'art. 19, avranno l'onere di esternare

nella stessa camera di consiglio il loro intento, proponendo ap

posita e motivata istanza di rinvio (anche semplicemente verba

lizzata), ed esternando la volontà di proporre ricorso incidenta

le, regolamento di competenza, di depositare ulteriori documenti

o memorie, di proporre motivi aggiunti e, più in generale, di

esercitare attività di difesa rilevante per la trattazione del meri

to della controversia.

Tale istanza, peraltro, non produce un effetto di automatica

e vincolante paralisi della facoltà di definizione immediata del

giudizio demandata al giudice, il quale, anche in questo caso, è tenuto, nell'esercizio dei suoi poteri valutativi, all'osservanza

dei principi generali del processo amministrativo.

Ne segue che l'istanza di rinvio potrà essere disattesa solo

quando risulti irrilevante, ai fini della decisione da adottare, ovvero sia processualmente inammissibile la specifica attività di

fensiva annunciata dalla parte. Tale verifica giudiziale, coinvolgendo alcuni valori processua

li primari, deve essere particolarmente puntuale sulla specifica richiesta avanzata dalla parte e rimane condizionata dalla defi

nizione della controversia in relazione all'interesse della parte che ha avanzato l'istanza.

Inoltre, la decisione con cui il giudice disattende l'esplicita richiesta di differimento della parte e definisce «immediatamen

te» il giudizio, in sede di trattazione della fase cautelare, è su

scettibile di essere sindacata nell'eventuale secondo grado di giu

dizio, essendo sempre salva la facoltà della parte di dedurre

quale specifico motivo di gravame il non corretto esercizio dei

poteri del giudice di primo grado, comportante la violazione

dei diritti di difesa o del principio di integrità del contraddittorio.

Per questi motivi, la Corte costituzionale, riuniti i giudizi, dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le que stioni di legittimità costituzionale dell'art. 19, 2° e 3° comma, d.l. 25 marzo 1997 n. 67 (disposizioni urgenti per favorire l'oc

cupazione), convertito, con modifiche, in 1. 23 maggio 1997 n.

135, sollevate, in riferimento agli art. 3, 24, 103, 1° comma, 113 e 125, 2° comma, Cost., dal Trga Trentino-Alto Adige, sede di Trento, con le ordinanze indicate in epigrafe.

I

CORTE DI CASSAZIONE; CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 12 feb

braio 2000, n. 1591; Pres. Santojanni, Est. Vidiri, P.M. Buo

najuto (conci, conf.); Soc. Rds La Guarnimec (Avv. Pane

Poletti, Giaquinto) c. Reda (Avv. Mereu, Jucci). Confer ma Trìb. Padova 12 maggio 1997.

Lavoro (rapporto di) — Dirigente — Licenziamento — Giustifi

catezza — Nozione (Cod. civ., art. 1375, 1453, 2095; 1. 15

luglio 1966 n. 604, norme sui licenziamenti individuali, art. 10).

La nozione contrattuale di giustificatezza del licenziamento del

dirigente industriale, utile ai fini dell'indennità supplementa

re, non si identifica con le nozioni legali di giusta causa o

di giustificato motivo, e si risolve nel rispetto, da parte del

datore di lavoro, dei principi di correttezza e buona fede nel

l'esecuzione del contratto e del divieto di licenziamento di

scriminatorio o per motivo illecito, essendo comunque a cari

co del datore di lavoro l'onere probatorio circa la veridicità,

fondatezza e idoneità dei motivi addotti a giustificazione del

recesso. (1)

(1, 3) Cass. 1591/2000, in epigrafe, che enuncia principi ormai con

solidati, pur se con qualche sfumata differenza, in tema di giustificatez za del licenziamento del dirigente (cfr. Cass. 1° luglio 1999, n. 6729,

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

II

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 12 novem

bre 1999, n. 12571; Pres. De Tommaso, Est. Sciarelli, P.M.

Cafiero (conci, parz. diff.); De Sanctis (Avv. Balletti, In

gangi, Salvia) c. Banca Mediterranea (Avv. Boursier Niut

ta, De Feo). Cassa Trib. Potenza 9 giugno 1998.

Lavoro (rapporto di) — Licenziamento — Rifiuto di ricevere

l'atto scritto — Conseguenze (Cod. civ., art. 1324, 1335; 1.

15 luglio 1966 n. 604, art. 2). Lavoro (rapporto di) — Dirigente — Licenziamento — Discipli

na limitativa — Condizioni (Cod. civ., art. 2095; 1. 15 luglio 1966 n. 604, art. 10).

Il rifiuto di ricevere l'atto scritto di licenziamento non esclude

che la comunicazione del medesimo sia avvenuta. (2) Il licenziamento ad nutum è applicabile solo al dirigente in po

sizione verticistica, che, nell'ambito dell'azienda, sia caratte

rizzato dall'ampiezza del potere gestorio, tanto da poter esse

re definito un vero e proprio alter ego dell'imprenditore, in

quanto preposto all'intera azienda o a un ramo o servizio

di particolare rilevanza, in posizione di sostanziale autono

mia, tale da influenzare l'andamento e le scelte dell'attività

aziendale, sia al suo interno che nei rapporti con i terzi. (3)

I

Motivi della decisione. — (Omissis). 2. - Con il secondo mo

tivo la società ricorrente deduce violazione e falsa applicazione

degli art. 19 e 21 del contratto collettivo per i dirigenti di azien

19 giugno 1999, n. 6169, e 10 giugno 1999, n. 5709, Foro it., Mass., 795, 760, e 699, e, per esteso, tutte, in Notiziario giurisprudenza lav., 1999, 657; 6 ottobre 1998, n. 9896, 24 giugno 1998, n. 6268, e 21 marzo

1998, n. 3000, Foro it., 1999,1, 1254, con nota di richiami che evidenzia

appunto anche le varie sfumate differenze presenti nelle decisioni; cfr., altresì, Cass. 1° aprile 1999, n. 3148, ibid., 1793, con nota di richiami, e Riv. it. dir. lav., 1999, II, 817, con nota di L. Corazza, Licenziamen to del dirigente d'azienda e obbligo di specificazione contestuale dei mo tivi previsto dal contratto collettivo: verso la completa rarefazione delle tutele del dirigente-, nella giurisprudenza di merito, da ultimo, Pret. Mi lano 16 luglio 1999, Orient, giur. lav., 1999, I, 782; recentissimamente, Trib. Torino 22 novembre 1999, giud. F. Grillo Pasquarelli, Gagliano c. Soc. Fiat, inedita a quel che consta), merita di essere segnalata, come

l'altra, 4 gennaio 2000, n. 22 (Foro it., Mass., fase. 1), opera dello stes so estensore ed identica in punto, soprattutto per la puntualizzazione, svolta in via di obiter dictum, per la quale, in caso di condotte di inesat to o parziale adempimento del lavoratore, debba utilizzarsi, per verifi care se il licenziamento sia o meno giustificato, la valutazione della gra vità dell'inadempimento secondo un criterio di proporzionalità e tenen dosi conto del venir meno della fiducia della parte non adempiente alla ulteriore corretta esecuzione del contratto di lavoro.

Di significato ben maggiore appare essere il principio di diritto sub

3, enunciato in sentenza ai sensi dell'art. 384 c.p.c., in termini di gene rale portata per il licenziamento dei dirigenti, ma in fattispecie inerente il settore del credito. Infatti, Cass. 12571/99, in epigrafe, sembra riferi re la distinzione tra dirigente apicale o meno, appunto presente in tale settore con riguardo alla materia del licenziamento ad nutum (su cui, di recente, Cass. 28 ottobre 1997, n. 10627, id., Rep. 1998, voce Lavo ro (rapporto), n. 862), e l'elaborazione giurisprudenziale in tema di ap plicabilità dell'art. 7 1. 20 maggio 1970 n. 300 al rapporto dirigenziale (cfr. la citata nota di richiami, id., 1999, I, 1254; per posizione critica al riguardo, cfr., più di recente, L. de Anoelis, Il licenziamento disci

plinare del dirigente. Essere dell'ontologia o non essere del potere disci

plinare?, in Riv. giur. lav., 1997, I, 17 ss.), alla stessa tutela legale in tema di licenziamento privo di giusta causa o di giustificato motivo

(in proposito, cfr. P. Tosi, Il dirigente d'azienda, Milano, 1974, pas sim, spec. 132 ss., cui è cenno in sentenza). Per sintesi riepilogativa della giurisprudenza più recente in tema di licenziamento del dirigente, cfr. F. Rotondi, Il licenziamento del dirigente, in Dir. e pratica lav.,

1999, 1831 ss. In dottrina, oltre gli autori indicati nelle note citate,

cfr., da ultimo, M. Dell'Olio, I dirigenti e la stabilità, in Argomenti dir. lav., 1999, 23 ss.

(2) Conforme, ma in fattispecie di rifiuto della ricezione da parte della madre convivente del lavoratore, Cass. 23 marzo 1981, n. 1671, Foro it., 1981, I, 2762, con nota di richiami; Pret. Torino 5 gennaio 1981, id., Rep. 1982, voce Lavoro (rapporto), n. 2038. Per l'applicazio ne degli art. 1334 e 1335 c.c. in tema di licenziamento, ma con riguardo a diversa ipotesi, cfr., da ultimo, Cass. 5 maggio 1999, n. 4525, id.,

Mass., 534.

Il Foro Italiano — 2000.

de industriali in relazione agli art. 4 e 24 1. 223/91 nonché ulte

riore vizio di ultrapetizione e contraddittorietà. In particolare, sostiene la ricorrente che il tribunale è incorso in una palese contraddizione nel motivare le sue conclusioni. Ed invero, ha

dapprima affermato che «la motivazione scritta contenuta nella

comunicazione di recesso, pur riferita a circostanze astrattamente

idonee a giustificare il licenziamento non ha trovato risponden za nei fatti accertati in causa» e dopo avere altresì aggiunto che il licenziamento del dirigente deve basarsi su condizioni che

«nella loro globalità possano considerarsi apprezzabili sul piano del diritto e conformi a buona fede, e tali da escludere la prete stuosità ed arbitrarietà del licenziamento», ha poi concluso, ap

punto, in maniera contraddittoria, con l'enunciare che il licen

ziamento non può ritenersi giustificato per il solo fatto di rien

trare fra quelli previsti nella procedura di cui alla 1. 223/91 o

di essere comunque con esso connesso. Per di più il tribunale,

nell'accogliere la domanda del Reda, era caduto nuovamente

nel vizio di ultrapetizione per avere impugnato il licenziamento

per la mancata consultazione del sindacato dei dirigenti e per violazione dei criteri di scelta e per non avere invece impugnato

espressamente l'accordo sindacale intervenuto nel corso della

procedura di riduzione del personale, per effetto del quale si

era espressamente riconosciuta la necessità dell'azienda di met

tere in mobilità dodici lavoratori tra cui un dirigente. Con il terzo motivo la ricorrente denunzia contraddittorietà

e confusione fra il recesso esercitato nell'ambito della 1. 223/91

e quello esercitato ai sensi dell'art. 3 1. 604/66; ulteriore vizio

di ultrapetizione e contraddittorietà di motivazione; irreale va

lutazione delle prove e/o ignoranza delle stesse nonché errori

di natura logica. In particolare, la ricorrente sostiene che poi ché il rapporto dirigenziale è pur sempre disciplinato dagli art.

2118 e 2119 c.c., escludendosi l'applicabilità della 1. 223/91 re

stava senza significato alcuno il riferimento, operato dal tribu

nale, alla mancanza in concreto della esigenza di riduzione del

personale. Nel merito evidenziava la ricorrente che, contraria

mente a quanto sostenuto nell'impugnata sentenza, il licenzia

mento del dirigente doveva ritenersi giustificato perché la socie

tà doveva ridurre i costi e perché era necessaria l'assunzione

di un nuovo dirigente che avesse conoscenza di marketing e che

svolgesse anche nuove e diverse mansioni (il Reda si occupava soltanto della vendita in Italia delle maniglie mentre il nuovo

assunto svolgeva le mansioni di direttore commerciale per le

vendite in Italia ed all'estero anche di altri prodotti della Rds,

quali materia plastica stampata e profilati di alluminio). 3. - Il secondo e terzo motivo di ricorso, da esaminarsi con

giuntamente per comportare la necessità della risoluzione di que stioni giuridiche tra loro strettamente connesse, vanno rigettati

perché privi di fondamento.

Ai fini di rendere ordinata l'esposizione dei motivi della deci

sione appaiono opportune alcune puntualizzazioni sul licenzia

mento dei dirigenti e sui presupposti per il riconoscimento a

detti dirigenti dell'indennità supplementare ex art. 19 del con

tratto collettivo nazionale di categoria ad essi applicabile. Que sta corte, riunita a sezioni unite, con una non recente decisione

ha statuito che la clausola del contratto collettivo per i dirigenti d'azienda che prevede per gli stessi la corresponsione di una

indennità complementare, qualora il licenziamento risulti ingiu

stificato, non può considerarsi nulla per indeterminatezza del

l'oggetto perché la terminologia usata dalla clausola stessa non

risulta dissimile, per quanto concerne la tecnica normativa, da

quella adottata dal legislatore in materia di licenziamento indi

viduale. È devoluto, conseguentemente, al giudice di merito, nell'ambito dei poteri interpretativi che gli competono, accerta

re quale sia il contenuto della clausola contrattuale e quale sia

l'ambito della garanzia prevista per il dirigente in caso di licen

ziamento, potendo, così, spettare al detto dirigente una tutela

del tutto analoga a quella degli altri lavoratori per i quali trova

applicazione — per legge — la disciplina della 1. 15 luglio 1966

n. 604 (cfr. Cass., sez. un., 9 dicembre 1986, n. 7295, Foro

it., Rep. 1987, voce Lavoro (rapporto), n. 773). In una direzione diversa da quella seguita dalla suddetta pro

nunzia — che sembra operare in tema di garanzie in materia

di recesso un accostamento tra la posizione dei dirigenti e quel la degli altri lavoratori subordinati — si è mosso un successivo

indirizzo giurisprudenziale secondo cui, invece, «il licenziamen

to ingiustificato del dirigente, nei cui confronti può essere di

sposto il licenziamento ad nutum, si verifica tutte le volte in

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PARTE PRIMA

cui il datore di lavoro eserciti il proprio diritto di recesso vio

lando il principio fondamentale di buona fede che presiede al

l'esecuzione dei contratti (art. 1375 c.c.), in attuazione di un

comportamento puramente pretestuoso, ad esempio, ai limiti

della discriminazione, ovvero del tutto irrispettoso dell'osser

vanza delle regole procedimentali che assicurano la correttezza

dell'esercizio del diritto. Ne consegue che il giudice investito

della controversia relativa al diritto del dirigente alla correspon sione dell'indennità supplementare in dipendenza di un licenzia

mento ingiustificato, non può limitarsi alla mera applicazione dei parametri valutativi impiegati correttamente nella identifica

zione del licenziamento per giustificato motivo del lavoratore

non dirigente, ma deve far riferimento a tutti gli elementi e

circostanze che, in relazione al caso concreto, possono ritenersi

idonei a privare di ogni giustificazione il recesso ad nutum del

datore di lavoro nei confronti del dipendente che rivesta la qua lifica di dirigente» (cfr. Cass. 14 maggio 1993, n. 5531, id., Rep. 1993, voce cit., n. 668).

In una analoga ottica, sempre dai giudici di legittimità si è

poi affermato che la nozione di «giustificatezza» del licenzia

mento del dirigente posta dalla contrattazione collettiva non coin

cide con quella di «giustificato motivo» ex art. 3 1. n. 604 del

1966 (cfr. Cass. 9 giugno 1995, n. 6520, id., 1996, I, 1359); e si è altresì precisato — proprio in una controversia avente

ad oggetto l'indennità complementare spettante ad un dirigente — che «se è consentito attraverso la contrattazione collettiva

incidere sulla regolamentazione del rapporto lavorativo del diri

gente equiparando il trattamento di quest'ultimo a quello degli altri lavoratori subordinati — in relazione ai singoli istituti non

suscettibili di snaturarne le caratteristiche — non è permessa,

invece, una totale equiparazione di disciplina o un accostamen

to tra normative con riguardo ad aspetti qualificanti lo specifi co rapporto dirigenziale», con la conseguenza che, stante il pro filo fiduciario, presupposto indispensabile per la continuazione

del rapporto lavorativo del dirigente, il licenziamento di que st'ultimo «deve risultare coerente con la realtà aziendale, nel

senso che ad essa deve riconnettersi, senza però potere acquista re la consistenza garantista degli altri lavoratori subordinati»,

perché altrimenti «risulterebbe alterata la stessa specialità che

l'ordinamento assegna al ruolo dirigenziale» (cfr., in tali sensi, Cass. 25 novembre 1996, n. 10445, id., 1997, I, 839).

Da ultimo, si è ribadito che pur dopo l'entrata in vigore della

1. 11 maggio 1990 n. 108 il rapporto di lavoro del dirigente non è assoggettato alle norme limitative dei licenziamenti indi

viduali di cui agli art. 1 e 3 1. n. 604 del 1966, non avendo

la suddetta legge inciso sull'art. 10 1. 15 luglio 1966 n. 604,

aggiungendosi anche che la nozione di «giustificatezza» del li

cenziamento del dirigente, posta dalla contrattazione collettiva

del settore, non coincide con quella di giustificato motivo di

licenziamento di cui all'art. 3 1. n. 604 del 1966, spettando pur

sempre al datore di lavoro che intenda essere esonerato dall'ob

bligo di corrispondere l'indennità supplementare, dimostrare la

veridicità e la fondatezza dei motivi da lui addotti nonché la

loro idoneità a giustificare il recesso (cfr. Cass. 29 gennaio 1999, n. 825, id., Mass., 125, cui adde, sempre in tema di «giustifica tezza» del licenziamento, Cass. 13 marzo 1998, n. 2761, id.,

Rep. 1998, voce cit., n. 1492). In adesione con il più recente indirizzo questa corte ritiene

che la specialità della posizione assunta dal dirigente nell'ambi

to dell'organizzazione aziendale e la peculiarità di un rapporto lavorativo in cui l'aspetto fiduciario assume — specificamente

per il c.d. «dirigente maggiore o di vertice» — incisiva rilevanza

impediscono una identificazione tra la nozione di «giustificatez za» del licenziamento ai fini dell'indennità supplementare spet

tante, alla stregua della contrattazione di categoria, al dirigente e quella di «giusta causa» o «giustificato motivo» del licenzia

mento del lavoratore subordinato ex 1. 15 luglio 1966 n. 604.

L'esattezza di tale assunto trova una conferma, seppure indiret

ta, nell'indirizzo di questa corte che ha escluso l'applicazione delle garanzie dell'art. 7 dello statuto dei lavoratori al licenzia

mento del dirigente ove il contratto collettivo non preveda pro cedimento e sanzioni disciplinari, proprio sul presupposto delle

particolari caratteristiche che connotano il rapporto del presta tore di lavoro che, collocato al vertice dell'organizzazione azien

dale, svolga mansioni tali da caratterizzare la vita dell'azienda

con scelte di respiro globale e che si pone in un rapporto di

collaborazione fiduciaria con il datore di lavoro (cfr., in tali

Il Foro Italiano — 2000.

sensi, Cass., sez. un., 29 maggio 1995, n. 6041, id., 1995, I,

1778). Consegue da una siffatta impostazione che fatti o condotte

non integranti una giusta causa o un giustificato motivo di li

cenziamento con riguardo ai generali rapporti di lavoro subor

dinato ben possono giustificare il licenziamento del dirigente, con conseguente disconoscimento dell'indennità supplementare di cui alla contrattazione collettiva, allorquando risultino su

scettibili di concretizzare una valida ragione di cessazione del

rapporto lavorativo in ragione, appunto, della concreta posizio ne assunta nell'organizzazione aziendale dal dirigente stesso e

del carattere spiccatamente fiduciario del relativo rapporto. In

questa prospettiva il criterio su cui parametrare la legittimità del licenziamento del dirigente è dato dal rispetto da parte del

datore di lavoro dei principi di correttezza e buona fede nell'e

secuzione del contratto (art. 1375 c.c.) e del divieto del licenzia

mento discriminatorio ex art. 3 1. n. 108 del 1990 o per motivo

illecito, con l'utilizzabilità — nei casi in cui si ci trovi di fronte a condotte di inesatto o parziale adempimento — anche dei ge nerali criteri codicistici (art. 1453 ss. c.c.) di valutazione della

gravità dell'inadempimento secondo un criterio di proporziona lità e tenendo conto del venir meno della fiducia della parte non inadempiente alla ulteriore corretta esecuzione del contrat

to di lavoro.

In ogni caso, in base ai principi generali l'onere probatorio in relazione alla veridicità, fondatezza ed idoneità dei motivi

addotti a giustificazione del recesso incombe sempre sul datore

di lavoro, che non può ritenersi di certo assolto da tale onere

adducendo — come nel caso di specie — che alla base del di

sposto licenziamento vanno ravvisate esigenze di incrementi nel

settore marketing, pur a fronte di una aumentata o inalterata

produttività dell'intera impresa e dello specifico settore cui è

preposto il dirigente. 4. - Orbene, alla luce delle considerazioni svolte la sentenza

impugnata risulta pienamente condivisibile nella parte motiva

zionale in cui ha escluso — per ritenere ingiustificato ai fini

del riconoscimento dell'indennità supplementare il licenziamen

to della s.p.a. Rds La Guarnimec ai danni del Reda — la sussi

stenza di ragioni giustificanti il recesso, osservando al riguardo che non erano stati acquisiti al processo elementi atti a dimo

strare che lo stesso recesso fosse conforme a buona fede e cor

rettezza, atteso che la società non aveva provato né chiesto di

provare — come era suo onere — quale fosse la reale portata dei compiti strettamente di marketing assegnati al nuovo assun

to, compiti che potevano in concreto risultare del tutto margi nali. Di contro, sulla base degli elementi acquisiti in causa era

consentito dedurre che la rete commerciale della Rds fosse ri

masta inalterata, se non addirittura potenziata, data la previsio ne del fatturato. Ha, quindi, precisato il giudice d'appello che

la motivazione scritta contenuta nella comunicazione di recesso,

pur se astrattamente idonea a giustificare il recesso, non aveva

poi trovato rispondenza nei fatti accertati in causa perché l'esi

genza di riduzione del personale è risultata insussistente.

Corollario di tutto quanto sinora esposto è che la sentenza

impugnata risulta rispettosa dei principi giuridici vigenti in ma

teria, avendo proceduto alla identificazione della nozione di giusta causa di licenziamento del dirigente alla luce dei principi di cor

rettezza e buona fede (art. 1375 c.c.), ed inoltre presenta una

motivazione del tutto congrua ed improntata ad ineccepibili ca

noni logici, sicché non è suscettibile di alcuna delle censure che

le sono state mosse dalla società ricorrente.

In una siffatta corretta ottica, seguita dal giudice d'appello, non acquistano alcuna rilevanza le numerose questioni sollevate

in questa sede dalla ricorrente, che attengono ad aspetti estranei

ai motivi addotti dal tribunale, da soli sufficienti a giustificarne le conclusioni e non permeabili in alcun modo dalle critiche

ad essi mosse.

II

Motivi della decisione. — Col primo motivo di ricorso si as

sume la violazione ed errata applicazione dell'art. 2 1. 604/66, con riferimento all'art. 12 preleggi e degli art. 1362 ss., 1324,

1335, 1175 e 1366 c.c. e, inoltre, dell'art. 116 c.p.c.; in ogni caso, errata e insufficiente (inesistente) motivazione; in relazio

ne all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Dato che il 13 luglio 1995 l'amministratore delegato della banca

aveva consegnato al ricorrente una lettera di licenziamento e

la consegna era stata rifiutata dal medesimo che, colto da malo

re e trasportato di urgenza presso l'ospedale S. Carlo di Poten

za, aveva fatto pervenire, il giorno dopo, idonea documentazio

ne medica attestante uno stato di malattia con quindici giorni di prognosi (pag. 6 del ricorso), si sostiene la nullità del licen

ziamento in quanto (pag. 10) sarebbe inidonea a realizzare la

comunicazione scritta di cui all'art. 2 1. 604/66 «la mera lettu

ra, da parte del lavoratore interessato», della missiva contenen

te la manifestazione di volontà del datore di lavoro di intimare

il licenziamento; che il licenziamento dovrebbe essere comuni

cato a mezzo di lettera «spedita» al lavoratore e da questi rice

vuta, senza che siano consentite forme di comunicazioni equi

pollenti; che, dunque, non potrebbe ritenersi validamente co

municato il licenziamento, qualora il lavoratore rifiuti di ricevere

la lettera che il datore di lavoro pretende di consegnargli. Avendo il tribunale accertato, sulla base delle deposizioni dei

testi Mastrolilli e Mastronardi, che la lettera di licenziamento

era stata letta al De Sanctis contestualmente alla consegna, si

afferma che «per la responsabilità connessa al provvedimento

espulsivo attuato irregolarmente dagli stessi», detti testi non sa

rebbero attendibili. Si afferma altresì che la lettera di licenzia

mento spedita a mezzo posta sarebbe pervenuta il 15 luglio 1995,

quando il De Sanctis era in stato di malattia; che il telegramma

recapitatogli il 15 luglio 1995 («facendo seguito a quanto oggi

già comunicato verbalmente») aveva confermato la forma orale

del licenziamento; che, dunque, il licenziamento sarebbe stato

comunicato al De Sanctis oralmente e come tale sarebbe nullo; che tale licenziamento nullo non poteva essere convalidato da

un successivo atto scritto.

Il motivo è infondato.

È principio fondamentale del nostro diritto, sia sostanziale

che processuale, che il rifiuto di una prestazione o di un adem

pimento da parte del destinatario non possa risolversi a danno

dell'obbligato, inficiandone l'adempimento. Nel diritto sostanziale tale principio è rilevabile dalle norme

sulla mora credendi: il rifiuto dell'adempimento non può nuo

cere il debitore. Egualmente, il medesimo principio si ravvisa

nella specifica norma sulla presunzione di conoscenza, secondo

cui gli atti si presumono conosciuti col semplice arrivo all'indi

rizzo del destinatario (art. 1335 c.c.), essendo, dunque, irrile

vante il rifiuto di accettarli.

Ancor più chiaramente, nel diritto processuale, se il destina

tario rifiuta di ricevere la notifica, questa si considera fatta a

mani proprie (art. 138 c.p.c.). Tale principio vale anche per la comunicazione di un atto

unilaterale recettizio, quale è il licenziamento: il rifiuto di rice

vere l'atto scritto di licenziamento non toglie che la comunica

zione del medesimo sia regolarmente avvenuta.

Il motivo va, quindi, disatteso.

Col secondo motivo si deduce la violazione ed errata applica zione degli art. 10 1. 604/66, 18 1. 300/70, 2095, 1175, 1366, 1362 ss. e 1324 c.c. (sull'interpretazione del provvedimento di

licenziamento) e 112 c.p.c.; in ogni caso, errata e contradditto ria motivazione; in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.

Va premesso che il tribunale, nel ritenere la validità del licen

ziamento, ha fatto riferimento al 3° comma dell'art. 88 del

c.c.n.l., riportato a pag. 14 del ricorso, che recita:

«la risoluzione del rapporto di lavoro ad iniziativa della azienda

resta. . . esclusivamente regolata dalle norme del codice civile

nei confronti dei dirigenti che compongono la direzione dell'in

tera azienda (ad esempio: preposti alla direzione unica, compo nenti la direzione generale e/o centrale) ovvero al pari grado».

Il tribunale ha ritenuto applicabile la suddetta disposizione. Il ricorrente afferma, invece, che la qualifica di «condirettore

generale» gli era stata attribuita solo ad personam, non essendo

egli mai stato componente della direzione generale, né avendo

partecipato alla direzione dell'azienda (pag. 17); che, del resto, la stessa banca aveva avvertito la necessità di indicare un giusti ficato motivo a sostegno del licenziamento (pag. 16), facendo

riferimento alla riorganizzazione dell'azienda nel cui nuovo as

setto non sarebbe stata prevista una posizione di lavoro adatta

al ricorrente, mentre invece, in realtà, mancava ogni prova del

l'asserita riorganizzazione (pag. 19). Si afferma, altresì, la violazione del principio fondamentale

di buona fede, comprovata «dall'oralità del provvedimento e

Il Foro Italiano — 2000.

dalla dichiarata volontà. . . di non voler far proseguire il rap

porto neppure per il tempo del dovuto preavviso» (pag. 19). Il motivo è fondato per quanto di ragione. La disciplina sul licenziamento dei dirigenti prende le mosse

dagli art. 1 e 10 1. 15 luglio 1966 n. 604. L'art. 1 consente

il licenziamento del lavoratore per giusta causa o per giustifica to motivo, mentre l'art. 10, riservando detta disciplina agli im

piegati e agli operai, fa ritenere (ex plurimis: ord. n. 935 del

1988 della Corte costituzionale, Foro it., Rep. 1988, voce Lavo

ro (rapporto), n. 2101) la sola applicabilità ai dirigenti della disciplina dell'art. 2118 c.c., ovverosia la possibilità, nei loro

confronti, del recesso ad nutum da parte del datore di lavoro, avendo rilievo la eventuale giusta causa solo ai fini della man

cata indennità di preavviso (art. 2119 c.c.).

Senonché, già con sentenza n. 6041 del 1995 delle sezioni uni

te (id., 1995, I, 1778), questa corte, sia pure pronunciandosi sul limitato problema dell'inapplicabilità al licenziamento del

dirigente delle garanzie procedimentali di cui all'art. 7 dello sta

tuto dei lavoratori e facendo discendere detta inapplicabilità dalla

possibilità del licenziamento ad nutum del dirigente, distingue va tra dirigente vero e proprio e «il c.d. pseudo-dirigente o diri

gente meramente convenzionale, nel quale le mansioni concre

tamente attribuite ed esercitate non hanno le caratteristiche pro

prie del rapporto propriamente dirigenziale», ritenendo

inapplicabili solo al licenziamento del primo le garanzie di cui

all'art. 7 citato. Come a dire che solo al dirigente vero e pro

prio è applicabile il licenziamento ad nutum, premessa necessa

ria dell'inapplicabilità delle garanzie dell'art. 7 dello statuto dei

lavoratori.

La suddetta sentenza ha riconosciuto, dunque, il vero e pro

prio dirigente solo in colui che si trovi in posizione apicale,

che, cioè, «ha un potere decisionale e rappresentativo idoneo

ad influenzare l'andamento e la vita dell'azienda o del settore

cui è preposto, tanto al suo interno quanto nei rapporti con

i terzi; il che ne fa un vero e proprio alter ego dell'imprendito

re, di cui, inoltre, deve godere sempre la piena fiducia. Il rap

porto che il dirigente contrae cade nell'area della libera recidi

bilità». La distinzione fra dirigente vero e proprio e dirigente mera

mente convenzionale è stata ripresa dalla successiva sentenza

di questa corte n. 12001 del 1997 (id., 1998, I, 729), la quale, nel ribadire che le garanzie dell'art. 7 dello statuto dei lavorato

ri non si applicano al licenziamento dei soli dirigenti c.d. di

vertice, applicandosi, invece a quello dei c.d. pseudo-dirigenti 0 dirigenti convenzionali, ha ribadito altresì la distinzione fra

le due categorie, interpretando la normativa in materia, nel sen

so che la stabilità del rapporto di lavoro dei dirigenti e, quindi,

l'applicabilità delle garanzie di cui all'art. 7 dello statuto dei

lavoratori vadano escluse per i dirigenti appartenenti a quella

«categoria che in modo non controverso deve collocarsi al ver

tice della organizzazione aziendale, deve svolgere mansioni tali

da impostare la vita della azienda, con scelte di respiro globale e deve porsi in un rapporto di collaborazione fiduciaria con

il datore di lavoro (del quale è un alter ego) e che anzi esercita

1 poteri propri dell'imprenditore, assumendone, anche, se non

sempre, la rappresentanza esterna».

La suddetta sentenza ribadiva, quindi, la distinzione tra i «di

rigenti in senso stretto, i quali sono al vertice dell'organizzazio ne aziendale» e «i c.d. pseudo-dirigenti o dirigenti meramente

convenzionali».

La distinzione medesima è stata, ancora, ribadita dalla sen

tenza di questa corte n. 1434 del 1998 (ibid.), la quale, sempre affermando l'inapplicabilità dell'art. 7 1. 20 maggio 1970 n. 300

ai soli dirigenti di vertice, ha distinto questi ultimi dai c.d.

pseudo-dirigenti o dirigenti convenzionali, considerando dirigenti di vertice quelli appartenenti all'«alta dirigenza, caratterizzata

dall'ampiezza del potere gestorio e corrispondente alla nozione

originaria dell'alter ego dell'imprenditore», da distinguersi «dalla

dirigenza media e bassa, che dovrebbe considerarsi assoggetta

ta, insieme alla generalità degli altri lavoratori, al regime di tu

tela reale della stabilità del posto». Quest'ultima sentenza ha

specificatamente precisato che, pertanto, «soltanto il lavoratore

che effettivamente sostituisca il capo di un'impresa di dimensio

ni medio-grandi nelle funzioni strettamente sue proprie, ovvero

la cui posizione corrisponda sostanzialmente al prototipo del

c.d. top manager, può essere considerato dirigente. In questi termini si giustifica e si comprende il significato di espressioni

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PARTE PRIMA

ricorrenti nella giurisprudenza di questa corte, secondo le quali il dirigente deve identificarsi nell'alter ego dell'imprenditore pre

posto all'intera azienda o ad un ramo o servizio, caratterizzato

da particolare autonomia e competenza, per cui gli competono, con le connesse responsabilità, poteri decisionali di entità tale,

pur nell'ambito delle direttive generali impartite dal datore di

lavoro, da influenzare l'intero andamento dell'attività azienda

le, tanto al suo interno che nei rapporti con i terzi».

In base alla giurisprudenza riportata, può ritenersi ius recep tum e, quindi, principio consolidato, la distinzione tra dirigenti in posizione apicale e dirigenti meramente convenzionali, appli candosi solft alla prima categoria la disciplina legislativa pro

pria dei dirigenti. Tale distinzione, prima che dalle sentenze riportate, era già

stata operata dalla dottrina, come ricordato dalla citata senten

za n. 6041 del 1995, la quale ha altresì riportato le connotazioni

del dirigente, come identificato dalla dottrina in colui che «al

vertice della organizzazione aziendale deve svolgere mansioni

tali da improntare la vita dell'azienda, con scelte di respiro glo bale e deve porsi in un rapporto di collaborazione fiduciario

con il datore di lavoro (del quale è un alter ego) da cui si limita

a ricevere direttive di carattere generale, per realizzare le quali si vale di ampia autonomia e che anzi esercita i poteri propri

dell'imprenditore, assumendone anche, se non sempre, la rap

presentanza esterna. Lo stesso vincolo della subordinazione è

temperato, prevalendo gli aspetti della collaborazione ed essen

dosi anche ritenuto inammissibile un rapporto gerarchico tra

dirigenti». Da quanto sopra esposto discende linearmente che il licenzia

mento ad nutum è possibile solo per il dirigente vero e proprio, che si trovi cioè in posizione apicale, non per lo pseudo-dirigente o dirigente convenzionale, che, invece, gode delle medesime ga ranzie di stabilità degli altri lavoratori.

A tale distinzione fra le due categorie di dirigenti, inderoga bile perché tratta dall'interpretazione di norme imperative, non

fa eccezione (né potrebbe farla, non potendo una disposizione contrattuale contrastare una norma imperativa) il 3° comma del

l'art. 88 del contratto collettivo per il personale direttivo delle

aziende di credito, il quale prevede (pag. 23 del controricorso) che «la risoluzione del rapporto ad iniziativa dell'azienda re

sta. . . esclusivamente regolato dalle norme del codice civile nei

confronti dei dirigenti che compongono la direzione dell'intera

azienda (ad esempio: preposti alla direzione unica, componenti la direzione generale e/o centrale) ovvero di pari grado». Come

si vede, infatti, il contratto collettivo di categoria riserva la ri

soluzione ad nutum del rapporto di lavoro solo ai dirigenti con

posizione apicale, dovendo interpretarsi l'espressione «pari gra do» secundum ius, cioè come riferita al preposto a un impor tante ramo o servizio.

Applicando i principi su esposti al caso di specie, va rilevato

che il tribunale ha ritenuto che il rapporto di lavoro del De Sanctis fosse disciplinato esclusivamente dalle norme del codice

civile sulla recedibilità ad nutum, per il solo fatto che il dipen dente rivestiva la qualifica di dirigente, senza svolgere alcun esame

sulla natura realmente verticistica della posizione del lavorato

re, nonostante questi avesse sempre affermato, sin dal ricorso

introduttivo, di non avere, nei fatti, mai partecipato alla dire

zione dell'azienda.

All'opposto, il tribunale, avendo ritenuto di trovarsi di fron

te a un licenziamento ad nutum, avrebbe dovuto svolgere l'in

dagine, essenziale, per quanto detto, sulla reale posizione di di

rigente dell'attore, stabilendo se questi occupava una posizione indubbiamente verticistica, secondo i criteri diffusamente sopra

esposti, oppure una posizione solo formalmente dirigenziale, ma, in realtà, priva delle connotazioni di fatto caratterizzanti la fi

gura del dirigente, solo nel primo caso potendosi applicare le

regole sul licenziamento ad nutum.

Non avendo il tribunale tenuto presente il principio di diritto

nascente dalla esposta distinzione fra dirigenti e non avendo

effettuato l'indagine di fatto, conseguente, sui reali poteri del

l'attore, ne consegue che il motivo in esame va accolto per quanto di ragione.

Non si accoglie, infatti, l'ulteriore doglianza, contenuta nel

medesimo motivo, relativa all'asserita violazione del principio di buona fede, in relazione all'affermata oralità del licenzia

mento e al rifiuto della prestazione lavorativa nel periodo di

preavviso.

Il Foro Italiano — 2000.

Benvero, la doglianza medesima è infondata, per quanto det

to sotto il primo motivo, in relazione all'asserita oralità del li

cenziamento, mentre è assorbita in relazione al lamentato rifiu

to della prestazione lavorativa in periodo di preavviso, poten dosi delibare la relativa questione solo se si riterrà la legittimità del licenziamento. Trattasi, cioè, di questione, allo stato impre

giudicata. Restano assorbiti i motivi terzo e quarto, rispettivamente con

cernenti il secondo licenziamento dell'attore, pervenutogli in co

stanza di malattia, e l'invocato diritto di continuare a lavorare

durante il periodo di preavviso. Ambo le doglianze richiedono infatti che preliminarmente il

giudice del rinvio si pronunci sulla applicabilità o no al caso

di specie del licenziamento ad nutum.

La sentenza impugnata, a seguito dell'accoglimento per quanto di ragione del secondo motivo, va cassata e la causa rimessa

ad altro giudice, il quale si atterrà al seguente principio di dirit

to: «il licenziamento ad nutum è applicabile solo al dirigente in posizione verticistica, che, nell'ambito dell'azienda, sia carat

terizzato dall'ampiezza del potere gestorio, tanto da poter esse

re definito un vero e proprio alter ego dell'imprenditore, in quan to preposto all'intera azienda o a un ramo o servizio di partico lare rilevanza, in posizione di sostanziale autonomia, tale da

influenzare l'andamento e le scelte dell'attività aziendale, sia

al suo interno che nei rapporti con i terzi».

Il giudice del rinvio, sulla base di detto principio, colmerà,

quindi, il vuoto di motivazione riscontrato nella sentenza impu

gnata, svolgendo la necessaria indagine sulla reale natura e con

sistenza della posizione dell'attore, solo se del caso esaminan

do, altresì, le ulteriori argomentazioni delle parti.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 5 febbraio

2000, n. 1311; Pres. Santojanni, Est. De Matteis, P.M. Api

ce (conci, conf.); Giaretti e altri (Avv. Fabbri, Trioni) c.

Soc. Autolinee Giachino (Avv. Bresmes, Commodo). Confer ma Trib. Asti 22 ottobre 1996.

Lavoro (contratto collettivo di) — Interpretazione — Criterio

del comportamento successivo — Applicabilità (Cod. civ., art.

1362, 1363, 1366, 1367, 1371).

Nell'interpretazione del contratto collettivo è utilizzabile anche

il criterio del comportamento posteriore delle parti di cui al

l'art. 1362, 2° comma, c.c., quest'ultimo potendo essere inte

grato da un successivo contratto collettivo che presupponga una determinata interpretazione di una complessa ed organi ca disciplina di istituti contrattuali articolata nel tempo e nel

corso di più contratti collettivi. (1)

(1) Conforme, Cass. 5 novembre 1985, n. 5367, Foro it., Rep. 1986, voce Lavoro (rapporto), n. 2337; contra, Cass. 10 giugno 1998, n. 5782, id., Rep. 1998, voce Lavoro (contratto), n. 23; 8 marzo 1990, n. 1877, id., Rep. 1990, voce cit-, n. 33, tutte richiamate dalla sentenza in epi grafe. Questa si segnala perché adopera, nel risolvere la questione, l'ar

gomento fondato sulla ammissibilità, riconosciuta dall'art. 68 bis, 2°

comma, d.leg. 3 febbraio 1993 n. 29, introdotto dall'art. 30 d.leg. 31 marzo 1998 n. 80, dell'interpretazione autentica del contratto collettivo. In proposito, cfr., variamente, A. Bollani, L'interpretazione del con tratto collettivo alla luce della disciplina introdotta daI d.leg. 80/98, in Riv. it. dir. lav., 1999, I, 397 ss., ed ivi riferimenti anche al dibattito antecedente il d.leg. n. 80, cit.; L. de Angelis, L'accertamento pregiu diziale sull'efficacia, validità e interpretazione dei contratti collettivi dei

dipendenti delle pubbliche amministrazioni (art. 68 bis d.leg. 29/93), in Lavoro nelle p.a., 1998, 825, spec. 840 ss.; Id., Spunti in tema di c.d. accertamento pregiudiziale sull'efficacia, validità ed interpretazione dei contratti collettivi dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, in AA.VV., Il nuovo processo del lavoro. Il dibattito, Atti del conve

gno organizzato a Roma dall'Uil il 26 gennaio 1999, Ancs-Uil, Roma, 2000, 30 ss.; cfr., altresì, gli scritti, editi ed inediti, segnalati nella nota di richiami a Pret. Pistoia 26 maggio 1999, Foro it., 1999, I, 2133.

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