sezione lavoro; sentenza 12 febbraio 2000, n. 1591; Pres. Santojanni, Est. Vidiri, P.M. Buonajuto(concl. conf.); Soc. Rds La Guarnimec (Avv. Pane Poletti, Giaquinto) c. Reda (Avv. Mereu,Jucci). Conferma Trib. Padova 12 maggio 1997Source: Il Foro Italiano, Vol. 123, No. 3 (MARZO 2000), pp. 751/752-759/760Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23194813 .
Accessed: 24/06/2014 22:25
Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp
.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].
.
Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.
http://www.jstor.org
This content downloaded from 185.44.78.105 on Tue, 24 Jun 2014 22:25:43 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
PARTE PRIMA
a difesa, pur dimezzati, concessi all'amministrazione resistente
e ad eventuali controinteressati. Per la precisione, è possibile che la definizione del giudizio sopravvenga prima della scaden
za dei termini previsti per la costituzione in giudizio, per la pro
posizione del ricorso incidentale, del regolamento di competen
za, degli eventuali motivi aggiunti. Ed invero, ai sensi dell'art. 36 r.d. 17 agosto 1907 n. 642,
e dell'art. 2 d.leg. 5 maggio 1948 n. 642, il giudice si pronunzia sulla domanda di sospensione dell'atto nella prima camera di
consiglio successiva alla scadenza del termine di dieci giorni dalla
notifica del ricorso: sicché, considerata anche l'eventualità del
l'abbreviazione dei termini per riconosciuti motivi di urgenza, è possibile — in linea meramente teorica — che l'udienza di
trattazione della fase cautelare venga celebrata a soli sei giorni di distanza dalla notifica del ricorso introduttivo.
Questa evenienza ripropone il problema se la disciplina in
esame sia compatibile con il diritto di difesa costituzionalmente
garantito. La questione del rapporto tra le modalità abbreviate di defi
nizione del giudizio e la salvaguardia dei termini a difesa appa re strettamente collegata al più generale problema dei limiti di
attuazione di un sistema processuale basato sull'anticipata deci
sione del merito della controversia.
Siffatto sistema, invero, non può prescindere dal necessario
rispetto di alcuni valori processuali, tra cui, in primo luogo,
l'integrità del contraddittorio e la completezza e sufficienza del
quadro probatorio ai fini della sentenza da adottare. La deci
sione, in forma abbreviata, immediatamente nella camera di con
siglio fissata per la trattazione della domanda cautelare, non
può aver luogo se non sono state chiamate in giudizio tutte
le parti interessate ovvero se queste non si siano costituite in
pendenza del relativo termine, ovvero se la parte ricorrente, a
seguito di nuova documentazione acquisita al giudizio, propon
ga o manifesti la volontà di presentare motivi aggiunti rilevanti
ai fini della decisione del ricorso o se la causa non è matura
per la decisione, essendo necessario procedere ad ulteriori ac
quisizioni istruttorie.
Quest'ultimo aspetto, peraltro, è particolarmente delicato in
un sistema processuale che, per la formazione del materiale pro
batorio, non si affida al principio dispositivo puro, ma ne pre vede l'applicazione corretta dal c.d. metodo acquisitivo, con l'in
tervento diretto del giudice nell'attività di ricerca della prova. Occorre pertanto armonizzare queste esigenze con la disposi
zione di legge, che pure prevede la possibilità di definizione im
mediata del giudizio.
Appare estranea alla ratio legis e non conforme all'interpre tazione sistematica dell'art. 19 una soluzione che finisca col ne
gare ogni possibilità di immediata definizione del giudizio pri ma della compiuta decorrenza di tutti i termini a difesa sopra enunciati.
Piuttosto, è necessario cercare un punto di equilibrio tra le
norme che impongono speciali oneri alle parti, tra una discipli na orientata alla più celere trattazione della controversia e l'im
prescindibile salvaguardia dei diritti di difesa, dell'integrità del
contraddittorio e della completezza dell'istruttoria. Il garante di questo equilibrio non può che essere il giudice, al quale spet ta un potere di direzione del processo, nel rispetto del principio
dispositivo e dei diritti di difesa secondo le regole generali della
giustizia amministrativa.
La norma, nella parte in cui prevede che il tribunale «può» definire immediatamente la controversia, affida la scelta ad una
valutazione del giudice, tenuto a seguire le ordinarie regole logi che processuali, che consentono di non accogliere una istanza
di differimento dell'udienza o una richiesta di termine per com
pimento di attività di difesa, quando risulti esclusa, in maniera
certa, la rilevanza dell'attività richiesta in relazione al tipo e
al contenuto della adottanda decisione della controversia e della
posizione di interesse della parte che ha avanzato la richiesta
anzidetta.
Il requisito dell'«immediatezza» della decisione del giudizio, non costituisce un vincolo inderogabile per il giudice. Quando
questi infatti ritenga che il contraddittorio deve estendersi ad
altre parti o che devono disporsi mezzi istruttori, necessari ai
fini della pronuncia sulla domanda di sospensiva e a maggior
ragione per la decisione sul merito della causa, non può definire
immediatamente il giudizio ed è tenuto a provvedere anche d'uf
ficio attraverso l'esercizio del potere-dovere di pronuncia sulla
Il Foro Italiano — 2000.
domanda di sospensione o di concessione di un differimento
della camera di consiglio per gli adempimenti necessari.
Del pari, le parti costituite che vogliono avvalersi di strumen
ti difensivi rientranti nel loro potere dispositivo e comportanti
termini, sia pure abbreviati, che eccedono dalla sequenza di im
mediatezza scandita dall'art. 19, avranno l'onere di esternare
nella stessa camera di consiglio il loro intento, proponendo ap
posita e motivata istanza di rinvio (anche semplicemente verba
lizzata), ed esternando la volontà di proporre ricorso incidenta
le, regolamento di competenza, di depositare ulteriori documenti
o memorie, di proporre motivi aggiunti e, più in generale, di
esercitare attività di difesa rilevante per la trattazione del meri
to della controversia.
Tale istanza, peraltro, non produce un effetto di automatica
e vincolante paralisi della facoltà di definizione immediata del
giudizio demandata al giudice, il quale, anche in questo caso, è tenuto, nell'esercizio dei suoi poteri valutativi, all'osservanza
dei principi generali del processo amministrativo.
Ne segue che l'istanza di rinvio potrà essere disattesa solo
quando risulti irrilevante, ai fini della decisione da adottare, ovvero sia processualmente inammissibile la specifica attività di
fensiva annunciata dalla parte. Tale verifica giudiziale, coinvolgendo alcuni valori processua
li primari, deve essere particolarmente puntuale sulla specifica richiesta avanzata dalla parte e rimane condizionata dalla defi
nizione della controversia in relazione all'interesse della parte che ha avanzato l'istanza.
Inoltre, la decisione con cui il giudice disattende l'esplicita richiesta di differimento della parte e definisce «immediatamen
te» il giudizio, in sede di trattazione della fase cautelare, è su
scettibile di essere sindacata nell'eventuale secondo grado di giu
dizio, essendo sempre salva la facoltà della parte di dedurre
quale specifico motivo di gravame il non corretto esercizio dei
poteri del giudice di primo grado, comportante la violazione
dei diritti di difesa o del principio di integrità del contraddittorio.
Per questi motivi, la Corte costituzionale, riuniti i giudizi, dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le que stioni di legittimità costituzionale dell'art. 19, 2° e 3° comma, d.l. 25 marzo 1997 n. 67 (disposizioni urgenti per favorire l'oc
cupazione), convertito, con modifiche, in 1. 23 maggio 1997 n.
135, sollevate, in riferimento agli art. 3, 24, 103, 1° comma, 113 e 125, 2° comma, Cost., dal Trga Trentino-Alto Adige, sede di Trento, con le ordinanze indicate in epigrafe.
I
CORTE DI CASSAZIONE; CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 12 feb
braio 2000, n. 1591; Pres. Santojanni, Est. Vidiri, P.M. Buo
najuto (conci, conf.); Soc. Rds La Guarnimec (Avv. Pane
Poletti, Giaquinto) c. Reda (Avv. Mereu, Jucci). Confer ma Trìb. Padova 12 maggio 1997.
Lavoro (rapporto di) — Dirigente — Licenziamento — Giustifi
catezza — Nozione (Cod. civ., art. 1375, 1453, 2095; 1. 15
luglio 1966 n. 604, norme sui licenziamenti individuali, art. 10).
La nozione contrattuale di giustificatezza del licenziamento del
dirigente industriale, utile ai fini dell'indennità supplementa
re, non si identifica con le nozioni legali di giusta causa o
di giustificato motivo, e si risolve nel rispetto, da parte del
datore di lavoro, dei principi di correttezza e buona fede nel
l'esecuzione del contratto e del divieto di licenziamento di
scriminatorio o per motivo illecito, essendo comunque a cari
co del datore di lavoro l'onere probatorio circa la veridicità,
fondatezza e idoneità dei motivi addotti a giustificazione del
recesso. (1)
(1, 3) Cass. 1591/2000, in epigrafe, che enuncia principi ormai con
solidati, pur se con qualche sfumata differenza, in tema di giustificatez za del licenziamento del dirigente (cfr. Cass. 1° luglio 1999, n. 6729,
This content downloaded from 185.44.78.105 on Tue, 24 Jun 2014 22:25:43 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 12 novem
bre 1999, n. 12571; Pres. De Tommaso, Est. Sciarelli, P.M.
Cafiero (conci, parz. diff.); De Sanctis (Avv. Balletti, In
gangi, Salvia) c. Banca Mediterranea (Avv. Boursier Niut
ta, De Feo). Cassa Trib. Potenza 9 giugno 1998.
Lavoro (rapporto di) — Licenziamento — Rifiuto di ricevere
l'atto scritto — Conseguenze (Cod. civ., art. 1324, 1335; 1.
15 luglio 1966 n. 604, art. 2). Lavoro (rapporto di) — Dirigente — Licenziamento — Discipli
na limitativa — Condizioni (Cod. civ., art. 2095; 1. 15 luglio 1966 n. 604, art. 10).
Il rifiuto di ricevere l'atto scritto di licenziamento non esclude
che la comunicazione del medesimo sia avvenuta. (2) Il licenziamento ad nutum è applicabile solo al dirigente in po
sizione verticistica, che, nell'ambito dell'azienda, sia caratte
rizzato dall'ampiezza del potere gestorio, tanto da poter esse
re definito un vero e proprio alter ego dell'imprenditore, in
quanto preposto all'intera azienda o a un ramo o servizio
di particolare rilevanza, in posizione di sostanziale autono
mia, tale da influenzare l'andamento e le scelte dell'attività
aziendale, sia al suo interno che nei rapporti con i terzi. (3)
I
Motivi della decisione. — (Omissis). 2. - Con il secondo mo
tivo la società ricorrente deduce violazione e falsa applicazione
degli art. 19 e 21 del contratto collettivo per i dirigenti di azien
19 giugno 1999, n. 6169, e 10 giugno 1999, n. 5709, Foro it., Mass., 795, 760, e 699, e, per esteso, tutte, in Notiziario giurisprudenza lav., 1999, 657; 6 ottobre 1998, n. 9896, 24 giugno 1998, n. 6268, e 21 marzo
1998, n. 3000, Foro it., 1999,1, 1254, con nota di richiami che evidenzia
appunto anche le varie sfumate differenze presenti nelle decisioni; cfr., altresì, Cass. 1° aprile 1999, n. 3148, ibid., 1793, con nota di richiami, e Riv. it. dir. lav., 1999, II, 817, con nota di L. Corazza, Licenziamen to del dirigente d'azienda e obbligo di specificazione contestuale dei mo tivi previsto dal contratto collettivo: verso la completa rarefazione delle tutele del dirigente-, nella giurisprudenza di merito, da ultimo, Pret. Mi lano 16 luglio 1999, Orient, giur. lav., 1999, I, 782; recentissimamente, Trib. Torino 22 novembre 1999, giud. F. Grillo Pasquarelli, Gagliano c. Soc. Fiat, inedita a quel che consta), merita di essere segnalata, come
l'altra, 4 gennaio 2000, n. 22 (Foro it., Mass., fase. 1), opera dello stes so estensore ed identica in punto, soprattutto per la puntualizzazione, svolta in via di obiter dictum, per la quale, in caso di condotte di inesat to o parziale adempimento del lavoratore, debba utilizzarsi, per verifi care se il licenziamento sia o meno giustificato, la valutazione della gra vità dell'inadempimento secondo un criterio di proporzionalità e tenen dosi conto del venir meno della fiducia della parte non adempiente alla ulteriore corretta esecuzione del contratto di lavoro.
Di significato ben maggiore appare essere il principio di diritto sub
3, enunciato in sentenza ai sensi dell'art. 384 c.p.c., in termini di gene rale portata per il licenziamento dei dirigenti, ma in fattispecie inerente il settore del credito. Infatti, Cass. 12571/99, in epigrafe, sembra riferi re la distinzione tra dirigente apicale o meno, appunto presente in tale settore con riguardo alla materia del licenziamento ad nutum (su cui, di recente, Cass. 28 ottobre 1997, n. 10627, id., Rep. 1998, voce Lavo ro (rapporto), n. 862), e l'elaborazione giurisprudenziale in tema di ap plicabilità dell'art. 7 1. 20 maggio 1970 n. 300 al rapporto dirigenziale (cfr. la citata nota di richiami, id., 1999, I, 1254; per posizione critica al riguardo, cfr., più di recente, L. de Anoelis, Il licenziamento disci
plinare del dirigente. Essere dell'ontologia o non essere del potere disci
plinare?, in Riv. giur. lav., 1997, I, 17 ss.), alla stessa tutela legale in tema di licenziamento privo di giusta causa o di giustificato motivo
(in proposito, cfr. P. Tosi, Il dirigente d'azienda, Milano, 1974, pas sim, spec. 132 ss., cui è cenno in sentenza). Per sintesi riepilogativa della giurisprudenza più recente in tema di licenziamento del dirigente, cfr. F. Rotondi, Il licenziamento del dirigente, in Dir. e pratica lav.,
1999, 1831 ss. In dottrina, oltre gli autori indicati nelle note citate,
cfr., da ultimo, M. Dell'Olio, I dirigenti e la stabilità, in Argomenti dir. lav., 1999, 23 ss.
(2) Conforme, ma in fattispecie di rifiuto della ricezione da parte della madre convivente del lavoratore, Cass. 23 marzo 1981, n. 1671, Foro it., 1981, I, 2762, con nota di richiami; Pret. Torino 5 gennaio 1981, id., Rep. 1982, voce Lavoro (rapporto), n. 2038. Per l'applicazio ne degli art. 1334 e 1335 c.c. in tema di licenziamento, ma con riguardo a diversa ipotesi, cfr., da ultimo, Cass. 5 maggio 1999, n. 4525, id.,
Mass., 534.
Il Foro Italiano — 2000.
de industriali in relazione agli art. 4 e 24 1. 223/91 nonché ulte
riore vizio di ultrapetizione e contraddittorietà. In particolare, sostiene la ricorrente che il tribunale è incorso in una palese contraddizione nel motivare le sue conclusioni. Ed invero, ha
dapprima affermato che «la motivazione scritta contenuta nella
comunicazione di recesso, pur riferita a circostanze astrattamente
idonee a giustificare il licenziamento non ha trovato risponden za nei fatti accertati in causa» e dopo avere altresì aggiunto che il licenziamento del dirigente deve basarsi su condizioni che
«nella loro globalità possano considerarsi apprezzabili sul piano del diritto e conformi a buona fede, e tali da escludere la prete stuosità ed arbitrarietà del licenziamento», ha poi concluso, ap
punto, in maniera contraddittoria, con l'enunciare che il licen
ziamento non può ritenersi giustificato per il solo fatto di rien
trare fra quelli previsti nella procedura di cui alla 1. 223/91 o
di essere comunque con esso connesso. Per di più il tribunale,
nell'accogliere la domanda del Reda, era caduto nuovamente
nel vizio di ultrapetizione per avere impugnato il licenziamento
per la mancata consultazione del sindacato dei dirigenti e per violazione dei criteri di scelta e per non avere invece impugnato
espressamente l'accordo sindacale intervenuto nel corso della
procedura di riduzione del personale, per effetto del quale si
era espressamente riconosciuta la necessità dell'azienda di met
tere in mobilità dodici lavoratori tra cui un dirigente. Con il terzo motivo la ricorrente denunzia contraddittorietà
e confusione fra il recesso esercitato nell'ambito della 1. 223/91
e quello esercitato ai sensi dell'art. 3 1. 604/66; ulteriore vizio
di ultrapetizione e contraddittorietà di motivazione; irreale va
lutazione delle prove e/o ignoranza delle stesse nonché errori
di natura logica. In particolare, la ricorrente sostiene che poi ché il rapporto dirigenziale è pur sempre disciplinato dagli art.
2118 e 2119 c.c., escludendosi l'applicabilità della 1. 223/91 re
stava senza significato alcuno il riferimento, operato dal tribu
nale, alla mancanza in concreto della esigenza di riduzione del
personale. Nel merito evidenziava la ricorrente che, contraria
mente a quanto sostenuto nell'impugnata sentenza, il licenzia
mento del dirigente doveva ritenersi giustificato perché la socie
tà doveva ridurre i costi e perché era necessaria l'assunzione
di un nuovo dirigente che avesse conoscenza di marketing e che
svolgesse anche nuove e diverse mansioni (il Reda si occupava soltanto della vendita in Italia delle maniglie mentre il nuovo
assunto svolgeva le mansioni di direttore commerciale per le
vendite in Italia ed all'estero anche di altri prodotti della Rds,
quali materia plastica stampata e profilati di alluminio). 3. - Il secondo e terzo motivo di ricorso, da esaminarsi con
giuntamente per comportare la necessità della risoluzione di que stioni giuridiche tra loro strettamente connesse, vanno rigettati
perché privi di fondamento.
Ai fini di rendere ordinata l'esposizione dei motivi della deci
sione appaiono opportune alcune puntualizzazioni sul licenzia
mento dei dirigenti e sui presupposti per il riconoscimento a
detti dirigenti dell'indennità supplementare ex art. 19 del con
tratto collettivo nazionale di categoria ad essi applicabile. Que sta corte, riunita a sezioni unite, con una non recente decisione
ha statuito che la clausola del contratto collettivo per i dirigenti d'azienda che prevede per gli stessi la corresponsione di una
indennità complementare, qualora il licenziamento risulti ingiu
stificato, non può considerarsi nulla per indeterminatezza del
l'oggetto perché la terminologia usata dalla clausola stessa non
risulta dissimile, per quanto concerne la tecnica normativa, da
quella adottata dal legislatore in materia di licenziamento indi
viduale. È devoluto, conseguentemente, al giudice di merito, nell'ambito dei poteri interpretativi che gli competono, accerta
re quale sia il contenuto della clausola contrattuale e quale sia
l'ambito della garanzia prevista per il dirigente in caso di licen
ziamento, potendo, così, spettare al detto dirigente una tutela
del tutto analoga a quella degli altri lavoratori per i quali trova
applicazione — per legge — la disciplina della 1. 15 luglio 1966
n. 604 (cfr. Cass., sez. un., 9 dicembre 1986, n. 7295, Foro
it., Rep. 1987, voce Lavoro (rapporto), n. 773). In una direzione diversa da quella seguita dalla suddetta pro
nunzia — che sembra operare in tema di garanzie in materia
di recesso un accostamento tra la posizione dei dirigenti e quel la degli altri lavoratori subordinati — si è mosso un successivo
indirizzo giurisprudenziale secondo cui, invece, «il licenziamen
to ingiustificato del dirigente, nei cui confronti può essere di
sposto il licenziamento ad nutum, si verifica tutte le volte in
This content downloaded from 185.44.78.105 on Tue, 24 Jun 2014 22:25:43 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
PARTE PRIMA
cui il datore di lavoro eserciti il proprio diritto di recesso vio
lando il principio fondamentale di buona fede che presiede al
l'esecuzione dei contratti (art. 1375 c.c.), in attuazione di un
comportamento puramente pretestuoso, ad esempio, ai limiti
della discriminazione, ovvero del tutto irrispettoso dell'osser
vanza delle regole procedimentali che assicurano la correttezza
dell'esercizio del diritto. Ne consegue che il giudice investito
della controversia relativa al diritto del dirigente alla correspon sione dell'indennità supplementare in dipendenza di un licenzia
mento ingiustificato, non può limitarsi alla mera applicazione dei parametri valutativi impiegati correttamente nella identifica
zione del licenziamento per giustificato motivo del lavoratore
non dirigente, ma deve far riferimento a tutti gli elementi e
circostanze che, in relazione al caso concreto, possono ritenersi
idonei a privare di ogni giustificazione il recesso ad nutum del
datore di lavoro nei confronti del dipendente che rivesta la qua lifica di dirigente» (cfr. Cass. 14 maggio 1993, n. 5531, id., Rep. 1993, voce cit., n. 668).
In una analoga ottica, sempre dai giudici di legittimità si è
poi affermato che la nozione di «giustificatezza» del licenzia
mento del dirigente posta dalla contrattazione collettiva non coin
cide con quella di «giustificato motivo» ex art. 3 1. n. 604 del
1966 (cfr. Cass. 9 giugno 1995, n. 6520, id., 1996, I, 1359); e si è altresì precisato — proprio in una controversia avente
ad oggetto l'indennità complementare spettante ad un dirigente — che «se è consentito attraverso la contrattazione collettiva
incidere sulla regolamentazione del rapporto lavorativo del diri
gente equiparando il trattamento di quest'ultimo a quello degli altri lavoratori subordinati — in relazione ai singoli istituti non
suscettibili di snaturarne le caratteristiche — non è permessa,
invece, una totale equiparazione di disciplina o un accostamen
to tra normative con riguardo ad aspetti qualificanti lo specifi co rapporto dirigenziale», con la conseguenza che, stante il pro filo fiduciario, presupposto indispensabile per la continuazione
del rapporto lavorativo del dirigente, il licenziamento di que st'ultimo «deve risultare coerente con la realtà aziendale, nel
senso che ad essa deve riconnettersi, senza però potere acquista re la consistenza garantista degli altri lavoratori subordinati»,
perché altrimenti «risulterebbe alterata la stessa specialità che
l'ordinamento assegna al ruolo dirigenziale» (cfr., in tali sensi, Cass. 25 novembre 1996, n. 10445, id., 1997, I, 839).
Da ultimo, si è ribadito che pur dopo l'entrata in vigore della
1. 11 maggio 1990 n. 108 il rapporto di lavoro del dirigente non è assoggettato alle norme limitative dei licenziamenti indi
viduali di cui agli art. 1 e 3 1. n. 604 del 1966, non avendo
la suddetta legge inciso sull'art. 10 1. 15 luglio 1966 n. 604,
aggiungendosi anche che la nozione di «giustificatezza» del li
cenziamento del dirigente, posta dalla contrattazione collettiva
del settore, non coincide con quella di giustificato motivo di
licenziamento di cui all'art. 3 1. n. 604 del 1966, spettando pur
sempre al datore di lavoro che intenda essere esonerato dall'ob
bligo di corrispondere l'indennità supplementare, dimostrare la
veridicità e la fondatezza dei motivi da lui addotti nonché la
loro idoneità a giustificare il recesso (cfr. Cass. 29 gennaio 1999, n. 825, id., Mass., 125, cui adde, sempre in tema di «giustifica tezza» del licenziamento, Cass. 13 marzo 1998, n. 2761, id.,
Rep. 1998, voce cit., n. 1492). In adesione con il più recente indirizzo questa corte ritiene
che la specialità della posizione assunta dal dirigente nell'ambi
to dell'organizzazione aziendale e la peculiarità di un rapporto lavorativo in cui l'aspetto fiduciario assume — specificamente
per il c.d. «dirigente maggiore o di vertice» — incisiva rilevanza
impediscono una identificazione tra la nozione di «giustificatez za» del licenziamento ai fini dell'indennità supplementare spet
tante, alla stregua della contrattazione di categoria, al dirigente e quella di «giusta causa» o «giustificato motivo» del licenzia
mento del lavoratore subordinato ex 1. 15 luglio 1966 n. 604.
L'esattezza di tale assunto trova una conferma, seppure indiret
ta, nell'indirizzo di questa corte che ha escluso l'applicazione delle garanzie dell'art. 7 dello statuto dei lavoratori al licenzia
mento del dirigente ove il contratto collettivo non preveda pro cedimento e sanzioni disciplinari, proprio sul presupposto delle
particolari caratteristiche che connotano il rapporto del presta tore di lavoro che, collocato al vertice dell'organizzazione azien
dale, svolga mansioni tali da caratterizzare la vita dell'azienda
con scelte di respiro globale e che si pone in un rapporto di
collaborazione fiduciaria con il datore di lavoro (cfr., in tali
Il Foro Italiano — 2000.
sensi, Cass., sez. un., 29 maggio 1995, n. 6041, id., 1995, I,
1778). Consegue da una siffatta impostazione che fatti o condotte
non integranti una giusta causa o un giustificato motivo di li
cenziamento con riguardo ai generali rapporti di lavoro subor
dinato ben possono giustificare il licenziamento del dirigente, con conseguente disconoscimento dell'indennità supplementare di cui alla contrattazione collettiva, allorquando risultino su
scettibili di concretizzare una valida ragione di cessazione del
rapporto lavorativo in ragione, appunto, della concreta posizio ne assunta nell'organizzazione aziendale dal dirigente stesso e
del carattere spiccatamente fiduciario del relativo rapporto. In
questa prospettiva il criterio su cui parametrare la legittimità del licenziamento del dirigente è dato dal rispetto da parte del
datore di lavoro dei principi di correttezza e buona fede nell'e
secuzione del contratto (art. 1375 c.c.) e del divieto del licenzia
mento discriminatorio ex art. 3 1. n. 108 del 1990 o per motivo
illecito, con l'utilizzabilità — nei casi in cui si ci trovi di fronte a condotte di inesatto o parziale adempimento — anche dei ge nerali criteri codicistici (art. 1453 ss. c.c.) di valutazione della
gravità dell'inadempimento secondo un criterio di proporziona lità e tenendo conto del venir meno della fiducia della parte non inadempiente alla ulteriore corretta esecuzione del contrat
to di lavoro.
In ogni caso, in base ai principi generali l'onere probatorio in relazione alla veridicità, fondatezza ed idoneità dei motivi
addotti a giustificazione del recesso incombe sempre sul datore
di lavoro, che non può ritenersi di certo assolto da tale onere
adducendo — come nel caso di specie — che alla base del di
sposto licenziamento vanno ravvisate esigenze di incrementi nel
settore marketing, pur a fronte di una aumentata o inalterata
produttività dell'intera impresa e dello specifico settore cui è
preposto il dirigente. 4. - Orbene, alla luce delle considerazioni svolte la sentenza
impugnata risulta pienamente condivisibile nella parte motiva
zionale in cui ha escluso — per ritenere ingiustificato ai fini
del riconoscimento dell'indennità supplementare il licenziamen
to della s.p.a. Rds La Guarnimec ai danni del Reda — la sussi
stenza di ragioni giustificanti il recesso, osservando al riguardo che non erano stati acquisiti al processo elementi atti a dimo
strare che lo stesso recesso fosse conforme a buona fede e cor
rettezza, atteso che la società non aveva provato né chiesto di
provare — come era suo onere — quale fosse la reale portata dei compiti strettamente di marketing assegnati al nuovo assun
to, compiti che potevano in concreto risultare del tutto margi nali. Di contro, sulla base degli elementi acquisiti in causa era
consentito dedurre che la rete commerciale della Rds fosse ri
masta inalterata, se non addirittura potenziata, data la previsio ne del fatturato. Ha, quindi, precisato il giudice d'appello che
la motivazione scritta contenuta nella comunicazione di recesso,
pur se astrattamente idonea a giustificare il recesso, non aveva
poi trovato rispondenza nei fatti accertati in causa perché l'esi
genza di riduzione del personale è risultata insussistente.
Corollario di tutto quanto sinora esposto è che la sentenza
impugnata risulta rispettosa dei principi giuridici vigenti in ma
teria, avendo proceduto alla identificazione della nozione di giusta causa di licenziamento del dirigente alla luce dei principi di cor
rettezza e buona fede (art. 1375 c.c.), ed inoltre presenta una
motivazione del tutto congrua ed improntata ad ineccepibili ca
noni logici, sicché non è suscettibile di alcuna delle censure che
le sono state mosse dalla società ricorrente.
In una siffatta corretta ottica, seguita dal giudice d'appello, non acquistano alcuna rilevanza le numerose questioni sollevate
in questa sede dalla ricorrente, che attengono ad aspetti estranei
ai motivi addotti dal tribunale, da soli sufficienti a giustificarne le conclusioni e non permeabili in alcun modo dalle critiche
ad essi mosse.
II
Motivi della decisione. — Col primo motivo di ricorso si as
sume la violazione ed errata applicazione dell'art. 2 1. 604/66, con riferimento all'art. 12 preleggi e degli art. 1362 ss., 1324,
1335, 1175 e 1366 c.c. e, inoltre, dell'art. 116 c.p.c.; in ogni caso, errata e insufficiente (inesistente) motivazione; in relazio
ne all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.
This content downloaded from 185.44.78.105 on Tue, 24 Jun 2014 22:25:43 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Dato che il 13 luglio 1995 l'amministratore delegato della banca
aveva consegnato al ricorrente una lettera di licenziamento e
la consegna era stata rifiutata dal medesimo che, colto da malo
re e trasportato di urgenza presso l'ospedale S. Carlo di Poten
za, aveva fatto pervenire, il giorno dopo, idonea documentazio
ne medica attestante uno stato di malattia con quindici giorni di prognosi (pag. 6 del ricorso), si sostiene la nullità del licen
ziamento in quanto (pag. 10) sarebbe inidonea a realizzare la
comunicazione scritta di cui all'art. 2 1. 604/66 «la mera lettu
ra, da parte del lavoratore interessato», della missiva contenen
te la manifestazione di volontà del datore di lavoro di intimare
il licenziamento; che il licenziamento dovrebbe essere comuni
cato a mezzo di lettera «spedita» al lavoratore e da questi rice
vuta, senza che siano consentite forme di comunicazioni equi
pollenti; che, dunque, non potrebbe ritenersi validamente co
municato il licenziamento, qualora il lavoratore rifiuti di ricevere
la lettera che il datore di lavoro pretende di consegnargli. Avendo il tribunale accertato, sulla base delle deposizioni dei
testi Mastrolilli e Mastronardi, che la lettera di licenziamento
era stata letta al De Sanctis contestualmente alla consegna, si
afferma che «per la responsabilità connessa al provvedimento
espulsivo attuato irregolarmente dagli stessi», detti testi non sa
rebbero attendibili. Si afferma altresì che la lettera di licenzia
mento spedita a mezzo posta sarebbe pervenuta il 15 luglio 1995,
quando il De Sanctis era in stato di malattia; che il telegramma
recapitatogli il 15 luglio 1995 («facendo seguito a quanto oggi
già comunicato verbalmente») aveva confermato la forma orale
del licenziamento; che, dunque, il licenziamento sarebbe stato
comunicato al De Sanctis oralmente e come tale sarebbe nullo; che tale licenziamento nullo non poteva essere convalidato da
un successivo atto scritto.
Il motivo è infondato.
È principio fondamentale del nostro diritto, sia sostanziale
che processuale, che il rifiuto di una prestazione o di un adem
pimento da parte del destinatario non possa risolversi a danno
dell'obbligato, inficiandone l'adempimento. Nel diritto sostanziale tale principio è rilevabile dalle norme
sulla mora credendi: il rifiuto dell'adempimento non può nuo
cere il debitore. Egualmente, il medesimo principio si ravvisa
nella specifica norma sulla presunzione di conoscenza, secondo
cui gli atti si presumono conosciuti col semplice arrivo all'indi
rizzo del destinatario (art. 1335 c.c.), essendo, dunque, irrile
vante il rifiuto di accettarli.
Ancor più chiaramente, nel diritto processuale, se il destina
tario rifiuta di ricevere la notifica, questa si considera fatta a
mani proprie (art. 138 c.p.c.). Tale principio vale anche per la comunicazione di un atto
unilaterale recettizio, quale è il licenziamento: il rifiuto di rice
vere l'atto scritto di licenziamento non toglie che la comunica
zione del medesimo sia regolarmente avvenuta.
Il motivo va, quindi, disatteso.
Col secondo motivo si deduce la violazione ed errata applica zione degli art. 10 1. 604/66, 18 1. 300/70, 2095, 1175, 1366, 1362 ss. e 1324 c.c. (sull'interpretazione del provvedimento di
licenziamento) e 112 c.p.c.; in ogni caso, errata e contradditto ria motivazione; in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.
Va premesso che il tribunale, nel ritenere la validità del licen
ziamento, ha fatto riferimento al 3° comma dell'art. 88 del
c.c.n.l., riportato a pag. 14 del ricorso, che recita:
«la risoluzione del rapporto di lavoro ad iniziativa della azienda
resta. . . esclusivamente regolata dalle norme del codice civile
nei confronti dei dirigenti che compongono la direzione dell'in
tera azienda (ad esempio: preposti alla direzione unica, compo nenti la direzione generale e/o centrale) ovvero al pari grado».
Il tribunale ha ritenuto applicabile la suddetta disposizione. Il ricorrente afferma, invece, che la qualifica di «condirettore
generale» gli era stata attribuita solo ad personam, non essendo
egli mai stato componente della direzione generale, né avendo
partecipato alla direzione dell'azienda (pag. 17); che, del resto, la stessa banca aveva avvertito la necessità di indicare un giusti ficato motivo a sostegno del licenziamento (pag. 16), facendo
riferimento alla riorganizzazione dell'azienda nel cui nuovo as
setto non sarebbe stata prevista una posizione di lavoro adatta
al ricorrente, mentre invece, in realtà, mancava ogni prova del
l'asserita riorganizzazione (pag. 19). Si afferma, altresì, la violazione del principio fondamentale
di buona fede, comprovata «dall'oralità del provvedimento e
Il Foro Italiano — 2000.
dalla dichiarata volontà. . . di non voler far proseguire il rap
porto neppure per il tempo del dovuto preavviso» (pag. 19). Il motivo è fondato per quanto di ragione. La disciplina sul licenziamento dei dirigenti prende le mosse
dagli art. 1 e 10 1. 15 luglio 1966 n. 604. L'art. 1 consente
il licenziamento del lavoratore per giusta causa o per giustifica to motivo, mentre l'art. 10, riservando detta disciplina agli im
piegati e agli operai, fa ritenere (ex plurimis: ord. n. 935 del
1988 della Corte costituzionale, Foro it., Rep. 1988, voce Lavo
ro (rapporto), n. 2101) la sola applicabilità ai dirigenti della disciplina dell'art. 2118 c.c., ovverosia la possibilità, nei loro
confronti, del recesso ad nutum da parte del datore di lavoro, avendo rilievo la eventuale giusta causa solo ai fini della man
cata indennità di preavviso (art. 2119 c.c.).
Senonché, già con sentenza n. 6041 del 1995 delle sezioni uni
te (id., 1995, I, 1778), questa corte, sia pure pronunciandosi sul limitato problema dell'inapplicabilità al licenziamento del
dirigente delle garanzie procedimentali di cui all'art. 7 dello sta
tuto dei lavoratori e facendo discendere detta inapplicabilità dalla
possibilità del licenziamento ad nutum del dirigente, distingue va tra dirigente vero e proprio e «il c.d. pseudo-dirigente o diri
gente meramente convenzionale, nel quale le mansioni concre
tamente attribuite ed esercitate non hanno le caratteristiche pro
prie del rapporto propriamente dirigenziale», ritenendo
inapplicabili solo al licenziamento del primo le garanzie di cui
all'art. 7 citato. Come a dire che solo al dirigente vero e pro
prio è applicabile il licenziamento ad nutum, premessa necessa
ria dell'inapplicabilità delle garanzie dell'art. 7 dello statuto dei
lavoratori.
La suddetta sentenza ha riconosciuto, dunque, il vero e pro
prio dirigente solo in colui che si trovi in posizione apicale,
che, cioè, «ha un potere decisionale e rappresentativo idoneo
ad influenzare l'andamento e la vita dell'azienda o del settore
cui è preposto, tanto al suo interno quanto nei rapporti con
i terzi; il che ne fa un vero e proprio alter ego dell'imprendito
re, di cui, inoltre, deve godere sempre la piena fiducia. Il rap
porto che il dirigente contrae cade nell'area della libera recidi
bilità». La distinzione fra dirigente vero e proprio e dirigente mera
mente convenzionale è stata ripresa dalla successiva sentenza
di questa corte n. 12001 del 1997 (id., 1998, I, 729), la quale, nel ribadire che le garanzie dell'art. 7 dello statuto dei lavorato
ri non si applicano al licenziamento dei soli dirigenti c.d. di
vertice, applicandosi, invece a quello dei c.d. pseudo-dirigenti 0 dirigenti convenzionali, ha ribadito altresì la distinzione fra
le due categorie, interpretando la normativa in materia, nel sen
so che la stabilità del rapporto di lavoro dei dirigenti e, quindi,
l'applicabilità delle garanzie di cui all'art. 7 dello statuto dei
lavoratori vadano escluse per i dirigenti appartenenti a quella
«categoria che in modo non controverso deve collocarsi al ver
tice della organizzazione aziendale, deve svolgere mansioni tali
da impostare la vita della azienda, con scelte di respiro globale e deve porsi in un rapporto di collaborazione fiduciaria con
il datore di lavoro (del quale è un alter ego) e che anzi esercita
1 poteri propri dell'imprenditore, assumendone, anche, se non
sempre, la rappresentanza esterna».
La suddetta sentenza ribadiva, quindi, la distinzione tra i «di
rigenti in senso stretto, i quali sono al vertice dell'organizzazio ne aziendale» e «i c.d. pseudo-dirigenti o dirigenti meramente
convenzionali».
La distinzione medesima è stata, ancora, ribadita dalla sen
tenza di questa corte n. 1434 del 1998 (ibid.), la quale, sempre affermando l'inapplicabilità dell'art. 7 1. 20 maggio 1970 n. 300
ai soli dirigenti di vertice, ha distinto questi ultimi dai c.d.
pseudo-dirigenti o dirigenti convenzionali, considerando dirigenti di vertice quelli appartenenti all'«alta dirigenza, caratterizzata
dall'ampiezza del potere gestorio e corrispondente alla nozione
originaria dell'alter ego dell'imprenditore», da distinguersi «dalla
dirigenza media e bassa, che dovrebbe considerarsi assoggetta
ta, insieme alla generalità degli altri lavoratori, al regime di tu
tela reale della stabilità del posto». Quest'ultima sentenza ha
specificatamente precisato che, pertanto, «soltanto il lavoratore
che effettivamente sostituisca il capo di un'impresa di dimensio
ni medio-grandi nelle funzioni strettamente sue proprie, ovvero
la cui posizione corrisponda sostanzialmente al prototipo del
c.d. top manager, può essere considerato dirigente. In questi termini si giustifica e si comprende il significato di espressioni
This content downloaded from 185.44.78.105 on Tue, 24 Jun 2014 22:25:43 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
PARTE PRIMA
ricorrenti nella giurisprudenza di questa corte, secondo le quali il dirigente deve identificarsi nell'alter ego dell'imprenditore pre
posto all'intera azienda o ad un ramo o servizio, caratterizzato
da particolare autonomia e competenza, per cui gli competono, con le connesse responsabilità, poteri decisionali di entità tale,
pur nell'ambito delle direttive generali impartite dal datore di
lavoro, da influenzare l'intero andamento dell'attività azienda
le, tanto al suo interno che nei rapporti con i terzi».
In base alla giurisprudenza riportata, può ritenersi ius recep tum e, quindi, principio consolidato, la distinzione tra dirigenti in posizione apicale e dirigenti meramente convenzionali, appli candosi solft alla prima categoria la disciplina legislativa pro
pria dei dirigenti. Tale distinzione, prima che dalle sentenze riportate, era già
stata operata dalla dottrina, come ricordato dalla citata senten
za n. 6041 del 1995, la quale ha altresì riportato le connotazioni
del dirigente, come identificato dalla dottrina in colui che «al
vertice della organizzazione aziendale deve svolgere mansioni
tali da improntare la vita dell'azienda, con scelte di respiro glo bale e deve porsi in un rapporto di collaborazione fiduciario
con il datore di lavoro (del quale è un alter ego) da cui si limita
a ricevere direttive di carattere generale, per realizzare le quali si vale di ampia autonomia e che anzi esercita i poteri propri
dell'imprenditore, assumendone anche, se non sempre, la rap
presentanza esterna. Lo stesso vincolo della subordinazione è
temperato, prevalendo gli aspetti della collaborazione ed essen
dosi anche ritenuto inammissibile un rapporto gerarchico tra
dirigenti». Da quanto sopra esposto discende linearmente che il licenzia
mento ad nutum è possibile solo per il dirigente vero e proprio, che si trovi cioè in posizione apicale, non per lo pseudo-dirigente o dirigente convenzionale, che, invece, gode delle medesime ga ranzie di stabilità degli altri lavoratori.
A tale distinzione fra le due categorie di dirigenti, inderoga bile perché tratta dall'interpretazione di norme imperative, non
fa eccezione (né potrebbe farla, non potendo una disposizione contrattuale contrastare una norma imperativa) il 3° comma del
l'art. 88 del contratto collettivo per il personale direttivo delle
aziende di credito, il quale prevede (pag. 23 del controricorso) che «la risoluzione del rapporto ad iniziativa dell'azienda re
sta. . . esclusivamente regolato dalle norme del codice civile nei
confronti dei dirigenti che compongono la direzione dell'intera
azienda (ad esempio: preposti alla direzione unica, componenti la direzione generale e/o centrale) ovvero di pari grado». Come
si vede, infatti, il contratto collettivo di categoria riserva la ri
soluzione ad nutum del rapporto di lavoro solo ai dirigenti con
posizione apicale, dovendo interpretarsi l'espressione «pari gra do» secundum ius, cioè come riferita al preposto a un impor tante ramo o servizio.
Applicando i principi su esposti al caso di specie, va rilevato
che il tribunale ha ritenuto che il rapporto di lavoro del De Sanctis fosse disciplinato esclusivamente dalle norme del codice
civile sulla recedibilità ad nutum, per il solo fatto che il dipen dente rivestiva la qualifica di dirigente, senza svolgere alcun esame
sulla natura realmente verticistica della posizione del lavorato
re, nonostante questi avesse sempre affermato, sin dal ricorso
introduttivo, di non avere, nei fatti, mai partecipato alla dire
zione dell'azienda.
All'opposto, il tribunale, avendo ritenuto di trovarsi di fron
te a un licenziamento ad nutum, avrebbe dovuto svolgere l'in
dagine, essenziale, per quanto detto, sulla reale posizione di di
rigente dell'attore, stabilendo se questi occupava una posizione indubbiamente verticistica, secondo i criteri diffusamente sopra
esposti, oppure una posizione solo formalmente dirigenziale, ma, in realtà, priva delle connotazioni di fatto caratterizzanti la fi
gura del dirigente, solo nel primo caso potendosi applicare le
regole sul licenziamento ad nutum.
Non avendo il tribunale tenuto presente il principio di diritto
nascente dalla esposta distinzione fra dirigenti e non avendo
effettuato l'indagine di fatto, conseguente, sui reali poteri del
l'attore, ne consegue che il motivo in esame va accolto per quanto di ragione.
Non si accoglie, infatti, l'ulteriore doglianza, contenuta nel
medesimo motivo, relativa all'asserita violazione del principio di buona fede, in relazione all'affermata oralità del licenzia
mento e al rifiuto della prestazione lavorativa nel periodo di
preavviso.
Il Foro Italiano — 2000.
Benvero, la doglianza medesima è infondata, per quanto det
to sotto il primo motivo, in relazione all'asserita oralità del li
cenziamento, mentre è assorbita in relazione al lamentato rifiu
to della prestazione lavorativa in periodo di preavviso, poten dosi delibare la relativa questione solo se si riterrà la legittimità del licenziamento. Trattasi, cioè, di questione, allo stato impre
giudicata. Restano assorbiti i motivi terzo e quarto, rispettivamente con
cernenti il secondo licenziamento dell'attore, pervenutogli in co
stanza di malattia, e l'invocato diritto di continuare a lavorare
durante il periodo di preavviso. Ambo le doglianze richiedono infatti che preliminarmente il
giudice del rinvio si pronunci sulla applicabilità o no al caso
di specie del licenziamento ad nutum.
La sentenza impugnata, a seguito dell'accoglimento per quanto di ragione del secondo motivo, va cassata e la causa rimessa
ad altro giudice, il quale si atterrà al seguente principio di dirit
to: «il licenziamento ad nutum è applicabile solo al dirigente in posizione verticistica, che, nell'ambito dell'azienda, sia carat
terizzato dall'ampiezza del potere gestorio, tanto da poter esse
re definito un vero e proprio alter ego dell'imprenditore, in quan to preposto all'intera azienda o a un ramo o servizio di partico lare rilevanza, in posizione di sostanziale autonomia, tale da
influenzare l'andamento e le scelte dell'attività aziendale, sia
al suo interno che nei rapporti con i terzi».
Il giudice del rinvio, sulla base di detto principio, colmerà,
quindi, il vuoto di motivazione riscontrato nella sentenza impu
gnata, svolgendo la necessaria indagine sulla reale natura e con
sistenza della posizione dell'attore, solo se del caso esaminan
do, altresì, le ulteriori argomentazioni delle parti.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 5 febbraio
2000, n. 1311; Pres. Santojanni, Est. De Matteis, P.M. Api
ce (conci, conf.); Giaretti e altri (Avv. Fabbri, Trioni) c.
Soc. Autolinee Giachino (Avv. Bresmes, Commodo). Confer ma Trib. Asti 22 ottobre 1996.
Lavoro (contratto collettivo di) — Interpretazione — Criterio
del comportamento successivo — Applicabilità (Cod. civ., art.
1362, 1363, 1366, 1367, 1371).
Nell'interpretazione del contratto collettivo è utilizzabile anche
il criterio del comportamento posteriore delle parti di cui al
l'art. 1362, 2° comma, c.c., quest'ultimo potendo essere inte
grato da un successivo contratto collettivo che presupponga una determinata interpretazione di una complessa ed organi ca disciplina di istituti contrattuali articolata nel tempo e nel
corso di più contratti collettivi. (1)
(1) Conforme, Cass. 5 novembre 1985, n. 5367, Foro it., Rep. 1986, voce Lavoro (rapporto), n. 2337; contra, Cass. 10 giugno 1998, n. 5782, id., Rep. 1998, voce Lavoro (contratto), n. 23; 8 marzo 1990, n. 1877, id., Rep. 1990, voce cit-, n. 33, tutte richiamate dalla sentenza in epi grafe. Questa si segnala perché adopera, nel risolvere la questione, l'ar
gomento fondato sulla ammissibilità, riconosciuta dall'art. 68 bis, 2°
comma, d.leg. 3 febbraio 1993 n. 29, introdotto dall'art. 30 d.leg. 31 marzo 1998 n. 80, dell'interpretazione autentica del contratto collettivo. In proposito, cfr., variamente, A. Bollani, L'interpretazione del con tratto collettivo alla luce della disciplina introdotta daI d.leg. 80/98, in Riv. it. dir. lav., 1999, I, 397 ss., ed ivi riferimenti anche al dibattito antecedente il d.leg. n. 80, cit.; L. de Angelis, L'accertamento pregiu diziale sull'efficacia, validità e interpretazione dei contratti collettivi dei
dipendenti delle pubbliche amministrazioni (art. 68 bis d.leg. 29/93), in Lavoro nelle p.a., 1998, 825, spec. 840 ss.; Id., Spunti in tema di c.d. accertamento pregiudiziale sull'efficacia, validità ed interpretazione dei contratti collettivi dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, in AA.VV., Il nuovo processo del lavoro. Il dibattito, Atti del conve
gno organizzato a Roma dall'Uil il 26 gennaio 1999, Ancs-Uil, Roma, 2000, 30 ss.; cfr., altresì, gli scritti, editi ed inediti, segnalati nella nota di richiami a Pret. Pistoia 26 maggio 1999, Foro it., 1999, I, 2133.
This content downloaded from 185.44.78.105 on Tue, 24 Jun 2014 22:25:43 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions