sezione lavoro; sentenza 12 marzo 1986, n. 1683; Pres. Grimaldi, Est. Onnis, P. M. Di Renzo(concl. diff.); Nizzoli e altri (Avv. Agostini) c. Min. tesoro (Avv. dello Stato Fiengo). Cassa Trib.Reggio Emilia 28 gennaio 1981Source: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 6 (GIUGNO 1986), pp. 1553/1554-1557/1558Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23180396 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Sebbene non fosse stato richiesto, la sentenza ha voluto,
tuttavia, svolgere la verifica, in ordine all'eventuale sussistenza di
alcune delle ipotesi, nelle quali sono riconoscibili al datore di
lavoro, in via eccezionale, spazi di libera scelta nell'ambito del
sistema, essenzialmente vincolistico, delle assunzioni obbligatorie.
E, cosi', ha accertato che la richiesta di avviamento non recava
neanche le indicazioni consentite, circa i requisiti del lavoratore
da avviare (che, per quanto si è detto, possono riguardare soltanto le categorie impiegatizie ed operaia di appartenenza), e
che il datore di lavoro non aveva richiesto accertamento sanitario
in ordine, tra l'altro, alle residue capacità lavorative dell'invalido
avviato.
L'esito negativo della verifica — sebbene ultroneo — sorregge,
vieppiù, la pronuncia di rigetto dell'eccezione.
Pertanto, il primo motivo del ricorso va rigettato. 3. - Il secondo motivo del ricorso, invece, è fondato e, come
tale, va accolto.
Pur non esendo mancate, in passato, decisioni di segno contrario
(v. Cass. n. 497/79, id., 1979, I, 1463; n. 3323/76, id., Rep.
1976, voce Lavoro (collocamento), n. 32), la giurisprudenza di
questa corte si è, da tempo, orientata costantemente nel senso di
escludere che l'obbligo del datore di lavoro di assumere invalidi
ed assimilati sia suscettibile di esecuzione in forma specifica ai
sensi dell'art. 2932 c.c. (v., per tutte, Cass. 1322/79, id., 1979,
I, 1462; 3425/80, id., Rep. 1980, voce cit., n. 46; 1740, 5765 e
7031/82, id., Rep. 1982, voce cit., nn. 90, 89, 74; 5394/83, id.,
Rep. 1983, voce cit., n. 93; 3415/84, id., Rep. 1984, voce cit., n.
68; 230/85, id., Mass., 57; 337/85, id., 1985, I, 1318; 406, 702, 945 e 1601/85, id., Mass., 79, 92, 155, 199, 308).
Senza prendere posizione sulla questione generale, attinente
all'ammissibilità della esecuzione in forma specifica di obblighi
legali di contrarre (v., per la soluzione positiva della questione
generale, Cass. 3914/68, id., Rep. 1969, voce Obbligazioni e
contratto, n. 551, e, per la negativa Cass. 298/78, id., 1978, I,
2850), le motivazioni del menzionato orientamento giurispruden ziale riposano, essenzialmente, sui concorrenti rilievi che il siste
ma delle assunzioni obbligatorie, da un lato, risulta strutturato in
modo tale da dar luogo a meri obblighi legali del datore di
stipulare contratti di lavoro con invalidi (o assimilati) a lui
avviati e non già alla costituzione autoritativa dei rapporti, e,
dall'altro, riserva alla autonomia delle parti la determinazione di
elementi essenziali dello stipulando contratto (quali mansioni e
qualifiche dei lavoratori), che, non risultando, peraltro, sufficien
temente specificati neanche dalla legge, rendono impossibile l'ese
cuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c.
Questa, infatti, suppone la predeterminazione (convenzionale o
legale) del contenuto essenziale dello stipulando contratto, non
potendo il giudice, adito ex art. 2932 c.c., sostituire la propria volontà a quella espressa dalla fonte (contrattuale o legale)
dell'obbligo di contrarre (sul problema, in generale, v., per tutte, sez. un. 1720/85, id., 1985, I, 1697).
Pur apprezzando le suggestioni della tesi contraria (Cass.
497/79, cit.), che la sentenza impugnata ripropone, la corte non
ha ragioni sufficienti per non confermare l'orientamento — ormai
consolidato — che ritiene insuscettibile di esecuzione in forma
specifica (ai sensi dell'art. 2932 c.c.) l'obbligo legale di assumere
invalidi e assimilati.
Tanto basta per accogliere il secondo motivo del ricorso.
Dovendo, però, enunciare — in positivo — il principio di
diritto, al quale il giudice di rinvio è tenuto ad uniformarsi nel
riesame della controversia (art. 384 c.p.c.), la corte è chiamata a
determinare quali siano le conseguenze giuridiche del rifiuto del
datore di lavoro di assumere invalidi ed assimilati, avviati nelle
forme del collocamento obbligatorio, una volta ritenuta inammis
sibile, nella specie, l'esecuzione in forma specifica (ai sensi
dell'art. 2932 c.c.).
Questa corte ha già avuto occasione di affermare (vedine, per
tutte, sent. 465/85, cit.; 230/85, id., Mass., 57; 3414/84, id., Rep.
1984, voce cit., n. 69; 5394/83, cit.; 154/82, cit., con riferimento
al collocamento obbligatorio, e 525/85, id., Mass., 116; 1045/84,
id., Rep. 1984, voce cit., n. 53, con riferimento a quello ordina
rio) che dall'atto di avviamento al lavoro, anche (ma non solo) nelle forme del collocamento obbligatorio, sorge l'obbligo legale del datore di lavoro, che ne abbia fatto richiesta (anche) numeri
ca e risulti destinatario dell'atto, di assumere il lavoratore avvia
to.
Ora l'esistenza di tale obbligo legale, all'evidenza, impone di
qualificare contrattuale la responsabilità, che deriva dal rifiuto del
datore di lavoro di assumere il lavoratore a lui avviato, in
quanto la responsabilità precontrattuale (art. 1337 c.c.) suppone,
Il Foro Italiano — 1986 — Parte I-101.
appunto, l'inesistenza di qualsiasi rapporto obbligatorio tra le
parti e postula soltanto la trasgressione della clausola generale della buona fede (v. Cass. 465/85, cit.).
Dalla proposta qualificazione della responsabilità del datore di lavoro discende, tra l'altro, che il risarcimento non può ritenersi limitato al c.d. interesse negativo (art. 1338 c.c.), ma comprende, ai sensi dell'art. 1223 e nei limiti di cui alla stessa norma ed all'art. 1227 c.c., danno emergente e lucro cessante, cioè, quanto meno, tutte le retribuzioni percipiende dal lavoratore avviato durante l'intero periodo di inadempimento dell'obbligo di assu merlo.
4. - Pertanto, mentre va rigettato il primo motivo del ricorso, in accoglimento e nei limiti del secondo, la sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata ad altro giudice d'appello, designa to nel Tribunale di Viterbo, che procederà al riesame della
controversia, uniformandosi agli enunciati principi di diritto.
{Omissis)
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 12 marzo 1986, n. 1683; Pres. Grimaldi, Est. Onnis, P. M. Di Renzo (conci, difl.); Nizzoli e altri (Avv. Agostini) c. Min. tesoro (Avv. dello Stato Fiengo). Cassa Trib. Reggio Emilia 28 gennaio 1981.
Previdenza sociale — Indennità di malattia — Spettanza durante ricovero ospedaliero (L. 11 gennaio 1943 n. 138, costituzione dell'I.n.a.m., art. 6; d.l. 8 luglio 1974 n. 264, norme per l'estinzione dei debiti degli enti mutualistici nei confronti degli enti ospedalieri, il finanziamento della spesa ospedaliera e l'avvio della riforma sanitaria, art. 12, 14; 1. 17 agosto 1974 n.
386, conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 8 luglio 1974 n. 264, art. unico).
Durante il ricovero ospedaliero spetta al lavoratore assente dal lavoro per infermità l'intera indennità di malattia. (1)
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 11 gennaio 1986, n. 134; Pres. Della Terza, Est. Trezza, P. M. Benanti (conci, conf.); Min. tesoro c. Debbi e Iob (Avv. Agostini). Cassa Pret. Reggio Emilia 5 novembre 1980.
Previdenza sociale — Indennità di malattia — Spettanza durante ricovero ospedaliero — Limti (L. 11 gennaio 1943 n. 138, art. 6; d.l. 8 luglio 1974 n. 264, art. 12, 14; 1. 17 agosto 1974 n.
386, art. unico).
Durante il ricovero ospedaliero spettano al lavoratore assente dal lavoro per infermità due quinti dell'indennità di malattia. (2)
I
Motivi della decisione. — Con l'unico motivo del ricorso, denunziando violazione e falsa applicazione dell'art. 20 del con tratto collettivo nazionale corporativo del 3 gennaio 1939 per il trattamento mutualistico di malattia ai lavoratori dell'industria (in relazione all'art. 14 del regolamento delle prestazioni economiche dell'I.n.a.m. del 10 giugno 1963), degli art. 12 e 14 d.l. 8 luglio 1974 n. 264, convertito nella 1. 17 agosto 1974 n. 386, e vizio di motivazione (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.), la Nizzoli, la Benevelli ed il Fornelli deducono che l'art. 6 1. 11 gennaio 1943 n. 138 sancisce il diritto del lavoratore malato ad un'indennità in relazione alla perdita della retribuzione in conseguenza della malattia e che tale diritto è garantito dall'art. 38, 2° comma, Cost.
(1-2) Contrasto tra due decisioni della Cassazione rese in un brevis simo lasso di tempo, del quale esse non danno atto nelle motivazioni.
Per l'utilizzazione della medesima logica adottata dalla sentenza 1683/86, e cioè l'irrilevanza delle norme regolamentari interne del l'I.n.a.m. ai fini della limitazione del diritto di cui all'art. 6 1. 138 del 1943, si rinvia alle numerose pronunce richiamate in sentenza, cui adde, da ultimo, Cass. 4 dicembre 1984, n. 6350, Foro it., Rep. 1984, voce Previdenza sociale, n. 531.
Cfr., inoltre, per un iter argomentativo simile, ma in materia di diritto al rimborso delle spese d'acquisto di medicinali insostituibili, da ultimo, Cass., sez. un., 20 febbraio 1985, n. 1504, id., 1985, I, 672, con nota di richiami.
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1555 PARTE PRIMA 1556
Sostengono che l'art. 20 del citato contratto collettivo corporativo del 1939, riprodotto dall'art. 14 del regolamento dell'I.n.a.m.
sopra menzionato, nel disporre la riduzione dell'indennità di
malattia a due terzi della misura normale per i lavoratori non
aventi familiari a carico durante il ricovero in casa di cura a
spese dell'istituto, oltre che privo di razionale giustificazione, è in
contrasto con il cit. art. 6 1. n. 138 del 1943 e art. 2120 c.c., secondo principi più volte affermati dalla Corte di cassazione e
dalla Corte costituzionale. Soggiungono che con l'entrata in
vigore delle nuove norme che attribuiscono alle regioni i compiti in materia di assistenza ospedaliera già attribuiti agli enti previ denziali (art. 12 d.l. n. 264 del 1974, convertito nella 1. n. 386 del
1974), è venuto meno l'onere delle spese di degenza ospedaliera a
carico dell'istituto assicuratore e quindi il presupposto della
riduzione dell'indennità di malattia, mentre il servizio sanitario
nazionale, nel cui ambito quelle norme operano, riguarda tutti
i cittadini e l'assistenza sanitaria è erogata in un sistema di
sicurezza e non di previdenza sociale, sicché l'anzidetta riduzione
non ha più senso né giustificazione alcuna, ed essi ricorrenti
peraltro non avevano alcun onere di provare l'insufficienza della
ridotta indennità.
Il ricorso è fondato alla stregua delle seguenti considerazioni.
Come questa corte ha ripetutamente affermato, l'art. 6, 1° comma, 1. 11 gennaio 1943 n. 138, istitutiva dell'I.n.a.m., contiene una
integrale disciplina dell'indennità di malattia, ed è intesa a
garantire il lavoratore infermo dal pregiudizio derivante dall'im
possibilità di prestare la sua normale attività, sicché l'erogazione di tale indennità può essere esclusa e limitata solo in forza di
una norma di legge o di atti ad essa equiparati e non anche in
base a disposizioni di contratti collettivi ovvero di regolamenti interni dell'istituto (cfr. Cass. 10 dicembre 1983, n. 7314, Foro it.,
Rep. 1984, voce Previdenza sociale, n. 530; 17 luglio 1979, n.
4218, id., Rep. 1979, voce cit., n. 688; 3 febbraio 1978, n. 515,
id., Rep. 1978, voce cit., n. 627; 12 gennaio 1978, n. 145, id.,
1979, I, 200; 6 dicembre 1974, n. 4084, id., Rep. 1975, voce cit.,
n. 635; cfr. anche: Corte cost. 25 marzo 1975, n. 67, id., 1975, I,
1056; 28 aprile 1976, n. 91, id., 1976, I, 1444).
Configura una causa di limitazione del diritto all'indennità di
malattia, dalla legge non considerata, l'art. 14 del regolamento 10
giugno 1963 per le prestazioni economiche agli assicurati del
l'I.n.a.m., alla stregua del quale « durante il ricovero in casa di
cura a spese dell'istituto, ai lavoratori non aventi familiari a
carico l'indennità è corrisposta in misura pari ai due quinti di
quella spettante ai sensi dell'art. 12 », cioè in misura ridotta
rispetto a quella normale.
Ora, com'è stato pure affermato più volte da questa corte, il
citato regolamento dell'I.n.a.m. (da non confondersi con il rego
lamento, mai emanato, previsto dalla citata legge del 1943, il
quale avrebbe dovuto essere approvato, ai sensi dell'art. 2, 2°
comma, con decreto del capo dello Stato), è costituito da una
normativa deliberata dal consiglio di amministrazione dell'istituto
ed ha quindi natura, ai sensi dell'art. 17, n. 3, di regolamento « interno », derivante dal potere di autorganizzazione proprio di
ogni ente pubblico, e non ha perciò rilevanza alcuna sul piano dell'ordinamento generale, nel cui ambito rientrano i rapporti con
gli assicurati (cfr. Cass. 29 agosto 1979, n. 4709, id., 1979, I,
2313; 11 ottobre 1979, n. 5313, ibid., 683; sez. un. 13 giugno
1980, n. 3760, id., Rep. 1980, voce cit., n. 743; 10 dicembre 1983,
n. 7314, cit.).
Alla stregua di questi principi, devesi, dunque, escludere che
l'anzidetta limitazione del diritto all'indennità di malattia sia stata
validamente ed efficacemente introdotta nell'ordinamento dalla
citata disposizione del regolamento interno dell'I.n.a.m. ed è
altresì da escludere che possa al riguardo essere rimasto operante,
pur dopo l'entrata in vigore della 1. n. 138 del 1943, l'art. 20 del
contratto collettivo nazionale 3 gennaio 1939, sulla disciplina del
trattamento mutualistico di malattia degli operai dell'industria che
già prevedeva, nell'ipotesi in esame, analoga limitazione del
diritto all'indennità di malattia.
Invero, il detto contratto collettivo del 1939, sopravvissuto alla
soppressione dell'ordinamento corporativo in forza dell'art. 43, 2°
comma, d.l.lgt. 23 novembre 1944 n. 369, non ha forza ultrattiva
riguardo a quelle norme che sono, come il cit. art. 20, incompati bili con la disciplina generale della materia dettata successiva
mente dalla citata legge del 1943, la quale garantisce a tutti i
lavoratori senza alcuna limitazione o esclusione il trattamento assi
stenziale in caso di malattia (sul carattere derogatorio della legge del 1943 rispetto a qualsiasi altra disciplina ad essa precedente, cfr. Corte cost. n. 67 del 1975 e n. 91 del 1976, cit.; cfr. anche
Il Foro Italiano — 1986.
Cass. n. 232 del 1975, id., Rep. 1975, voce Previdenza sociale, n.
630). Una volta stabilito che la limitazione del diritto all'indennità di
malattia nell'ipotesi in esame non trova fondamento in alcuna
norma vigente nell'ordinamento, risulta superfluo stabilire se la
disposizione del regolamento interno del disciolto I.n.a.m., ripeti
tiva dell'analoga disposizione del citato contratto collettivo corpo
rativo, possa considerarsi o non compatibile con la legislazione in
tema di riforma sanitaria, la quale, prendendo l'avvio dal citato
d.l. n. 264 del 1974, che trasferiva alle regioni i compiti in
materia di assistenza ospedaliera già attribuiti agli enti previden
ziali, ha trovato la sua sistemazione generale nella 1. 23 dicembre
1978 n. 833, istitutiva del servizio sanitario nazionale, che ha
comportato il superamento del sistema mutualistico e la sua
sostituzione con uno di sicurezza sociale a livello sanitario per
tutta la popolazione, senza distinzione di condizioni individuali o
sociali, ed il venir meno di ogni commistione tra prestazioni sanitarie e prestazioni economiche mediante la distinzione tra
tutela del reddito da lavoro e tutela della salute.
In conclusione, il ricorso deve essere accolto con la cassazione
dell'impugnata sentenza ed il rinvio della causa ad altro giudice di appello, il quale si uniformerà ai principi di diritto sopra enunciati. (Omissis)
II
Motivi della decisione. — (Omissis). Il ricorso è fondato.
L'art. 20 contr. corp. 3 gennaio 1939, regolante tuttora la
materia ex art. 43, 2° comma, d.l. 23 novembre 1944 n. 369 ed a
seguito del richiamo ai limiti, alla misura ed alle modalità
determinate nazionalmente dalle assicurazioni sindacali a mezzo
dei contratti collettivi operato dall'art. 6 1. 11 gennaio 1943 n.
138 (principio assolutamente pacifico tra le parti e confermato da
ultimo anche da Cass. 1° febbraio 1985, n. 668, Foro it., Mass.,
148), stabilisce che « se in conseguenza della malattia l'iscritto è
ricoverato in casa di cura, a spese della mutua, l'indennità di ma
lattia viene ridotta durante il periodo di ricovero a due quinti della
misura normale e sarà corrisposta per il massimo di un mese » (è
pacifico che tale disposizione è riportata anche nell'art. 14 del
regolamento per le prestazioni economiche dell'I.n.a.m.).
Posto che non viene in considerazione nella presente sede
l'ultima limitazione di cui alla citata norma, questa Suprema corte ritiene non fondato l'assunto del primo giudice secondo cui
la menzionata disposizione si è venuta a trovare « in contrasto
non componibile » con la 1. 17 agosto 1974 n. 386, di conversione
del d.l. 8 luglio 1974 n. 264, la quale ha disposto il passaggio dei
compiti ospedalieri degli enti che gestivano forme di assistenza
contro le malattie alle regioni, per cui deve ritenersi abrogata
(ovviamente — anche se il pretore non lo afferma espressamente — per incompatibilità ai sensi dell'art. 15 disp. sulla legge in
generale), non potendo più esistere ricoveri « a spese della
mutua ».
La ratio, invero, che ha guidato i redattori del citato art. 20, consistente nella giusta e comprensibile esigenza che il lavoratore
malato non venisse a lucrare contemporaneamente un gratuito sostentamento giornaliero e l'indennità di malattia, comprendente anche la spesa necessaria per quel sostentamento, e nel contempo che l'ente assicuratore non venisse a sopportare quella doppia
ingiustificata spesa, sussiste anche oggi con la sostituzione delle
regioni alla « mutua » e con l'estensione alla generalità dei
cittadini dell'assistenza sanitaria.
Tenuto, dunque, conto della considerazione precedente e della
circostanza che nessuna innovazione è stata apportata dalle vigen ti leggi in tema di indennità di malattia rispetto alle norme
precedenti, deve concludersi che la sostituzione delle « regioni »
alla « mutua » vale a tutti gli effetti, anche a quelli di cui all'art.
20 cit., non sussistendo alcuna incompatibilità con la normativa
successiva ora vigente. Né può dirsi che esista violazione dell'art. 38 Cost., il quale
garantisce al lavoratore ammalato la prestazione previdenziale idonea ad assicurargli mezzi di sussistenza adeguati alle sue
esigenze di vita (2° comma); in quanto non vi è alcun dubbio
che la massima parte della retribuzione giornaliera viene utilizza
ta per le spese di vitto, che il lavoratore ricoverato in ospedale non sopporta, come non sopporta le spese per il consumo della
elettricità, del gas e per l'uso del telefono (a parte i canoni fissi,
giornaliermente irrisori), onde, anche sotto il profilo della citata
norma fondamentale, è legittima la riduzione della indennità di
malattia stabilita dal più volte menzionato art. 20.
Giova aggiungere che soltanto nella memoria depositata ai sensi
dell'art. 378 c.p.c. la difesa dei resistenti ha introdotto due nuovi
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1557 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 1MB
motivi a sostegno della pretesa dei suoi clienti: la circostanza che l'art. 20 contr. corp. 3 gennaio 1939 parla di ricovero « in casa di
cura » e non di ricovero in ospedale e quella che i ricorrenti in
primo grado non hanno goduto di un trattamento di ricovero
diverso e particolare discendente dall'assicurazione malattia, come
avveniva nel passato, ma hanno ottenuto il trattamento di carat
tere generale — ricovero in ospedale — che viene corrisposto alle
stesse condizioni a tutti i cittadini anche non lavoratori e quindi non contribuenti.
Le deduzioni sono chiaramente tardive, ma, per esigenze di
completezza, può rispondersi a) che con la dizione ricovero « in
casa di cura » l'art. 20 ha inteso ovviamente riferirsi ad ogni ricovero in luoghi di degenza per la cura delle malattie, pubblici o privati (esistevano « mutue » che pagavano ricoveri anche in
cliniche private), b) che il principio su cui si fonda l'attuale
sistema di assistenza sanitaria è quello della solidarietà, per cui
gode dell'assistenza sia chi paga i contributi sia chi non li paga, e che comunque quest'ultimi non hanno diritto alla indennità
giornaliera di malattia, onde sussisterebbe sempre per i primi,
qualora fosse fondata la tesi che qui si combatte, l'indebita
percezione del sostentamento in misura doppia a carico della
regione, una prima volta in natura ed una seconda volta per
equivalente in denaro, con onere doppio per l'ente pubblico
erogatore. La sentenza impugnata va, quindi, annullata e la causa va
rinviata, anche per la liquidazione delle spese del presente giu dizio, al Pretore di Modena, il quale, nel decidere, si adeguerà al principio sopra esposto.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 8 marzo
1986, n. 1572; Pres. Franceschelli, Est. Buccarelli, P. M.
Cantagalli (conci, conf.); Soc. Compagnia generale elettromec
canica (Avv. vianello, Fabozzi) c. Fogliata ed altro (Avv.
Costa, Bonardi). Cassa Trib. Brescia 29 settembre 1982.
Lavoro (collocamento della mano d'opera) — Assunzioni obbliga torie — Contestazione della capacità lavorativa del lavoratore
avviato — Mancato accertamento — Cassazione della sentenza
(L. 2 aprile 1968 n. 482, disciplina generale delle assunzioni
obbligatorie presso le p.a. e le aziende private, art. 1, 10, 20).
Va cassata con rinvio ad altro giudice la sentenza che abbia
condannato il datore di lavoro ad assumere l'invalido avviato
dall'U.p.l.m.o. e a risarcirgli il danno per la mancata assunzione, senza provvedere agli accertamenti richiesti dalla difesa del
datore stesso circa l'esistenza di malattia escludente ogni capa cità lavorativa dell'avviato e importante invalidità tale, per natura o per entità, da riuscire di danno alla salute ed
incolumità dei compagni di lavoro e alla sicurezza degli im
pianti (nella specie era stata richiesta consulenza tecnica
d'ufficio diretta ad accertare miopia gravissima). (1)
Motivi della decisione. — (Omissis). Le censure sono fondate. Va in primo luogo rilevato che le norme in materia di
(1) La sentenza conferma l'indirizzo per il quale il giudizio sull'asso luta perdita della capacità di lavoro dell'invalido obbligatoriamente avviato e sulla dannosità del suo inserimento sulla salute e incolumità dei compagni di lavoro e sulla sicurezza degli impianti (art. 1 1. 482 del 1968), compete al giudice investito delle questioni relative alla mancata assunzione, non essendogli ciò precluso dalla non utiliz zazione della procedura amministrativa dell'art. 20 1. 482 cit., né, tanto meno, dal responso fornito dal collegio medico. Ai precedenti cit. in sentenza, adde, da ultimo, Cass. 19 novembre 1985, n. 5688, Foro
it., Mass., 1047, per esteso in Giust. civ., 1986, I, 749; 18 aprile 1985, n. 2571, Foro it., Mass., 484; 30 luglio 1984, n. 4560, id., 1984, I, 2978, con nota di richiami.
Nella pronuncia in epigrafe è pure diffusamente argomentata l'alfermazione della giurisdizione del giudice ordinario sulle questioni relative alla mancata assunzione dell'invalido, ivi comprese quelle sul rifiuto dell'atto di avviamento. Da ultimo, in senso conforme, cfr. Cass. 8 giugno 1985, n. 3456, id., Mass., 647; 29 marzo 1985, n. 2218, ibid., 423.
Per l'affermazione della giurisdizione del giudice amministrativo sul
diverso problema dell'esonero dell'azienda dall'obbligo di assunzione di
invalidi di cui all'art. 13 1. 482 cit., cfr. Cass., sez. un., 9 novembre
1985, n. 5479, id., (1986, I, 703, con nota di richiami.
In tema di collocamento obbligatorio, cfr., da ultimo, Cass. 15
marzo 1986, n. 1789, in questo fascicolo, I, 1550, con nota di richiami.
Il Foro Italiano — 1986.
avviamento e collocamento obbligatorio al lavoro (cfr. 1. 482/68) tutelano oltreché gli interessi individuali dei soggetti invalidi (ed
assimilati) e comunque di quei soggetti aventi diritto, appartenen ti alle c.d. categorie « protette », anche quelli del datore di
lavoro: interessi questi che, in quanto direttamente contemplati e
tutelati dalla legge, costituiscono « diritti soggettivi », la cui
eventuale lesione — dedotta per effetto della contestata illegitti mità dell'atto (amministrativo) di avviamento, non può non
trovare tutela nella giurisdizione del giudice ordinario che può verificare il rispetto di quei presupposti e di quei limiti di
legittimià — nell'ambito dei quali deve essere contenuto l'eserci
zio in concreto da parte della p.a. dei poteri di avviamento e
collocamento obbligatorio degli invalidi e degli altri lavoratori « protetti ».
Tali norme, che impongono in capo all'imprenditore designa to, un vero e proprio obbligo (ex lege) di assunzione (cui corrisponde, dall'altro lato, il diritto soggettivo del lavoratore avviato ad essere assunto) sono dettate anche e soprattutto a
garanzia degli « interessi-diritti soggettivi » dei datori di lavoro che a tale obbligo sono soggetti.
Con esse il legislatore, infatti, ha fissato i presupposti ed i limiti nell'ambito dei quali deve essere in concreto esercitato il
potere della p.a. — (uffici provinciali del lavoro e della massima
occupazione) — di avviare al lavoro uno o più soggetti, indivi duati nell'ambito delle categorie « protette », imponendone l'as
sunzione al datore di lavoro designato.
E l'atto (amministrativo) di avviamento non costituisce che il « titolo » che realizza la specificazione dell'obbligo (legale) all'as
sunzione, rendendolo concreto e giuridicamente attuale, median te l'individuazione dei soggetti con cui l'imprenditore, al quale l'ordine di assunzione è rivolto, è tenuto a stipulare il relativo contratto di lavoro, previo, naturalmente, l'accertamento da par te della p.a. dei vari elementi e presupposti che costituiscono la « fattispecie legale » cui si coordina ex lege l'obbligo di
assunzione.
Orbene, poiché la legge in tema di collocamento obbligatorio (art. 1, 2" comma, 1. 482/68) esclude esplicitamente l'applicabilità delle sue norme, nei confronti di « coloro che abbiano perduto ogni capacità lavorativa o che, per natura e il grado della loro
invalidità, possono riuscire di danno alla salute ed alla incolumità dei compagni di lavoro, alla sicurezza degli impianti... », non si può certamente dubitare che il requisito della (idonea) residua
capacità lavorativa dell'invalido-avviato e della sua collocabili tà non pregiudizievole — in concreto — nell'ambiente di lavoro del datore di lavoro, presso la cui azienda l'avviamento è stato
disposto, costituisce in realtà uno degli elementi o presupposti che devono ricorrere affinché l'ufficio provinciale del lavoro possa adottare legittimamente l'atto di avviamento obbligatorio, da cui poi deriva, da un lato, l'obbligo del datore di lavoro all'as
sunzione, e, dall'altro, il diritto del lavoratore-avviato ad es sere assunto.
Ne consegue che, avendo il datore di lavoro preso di fronte all'atto (amministrativo) di avviamento una posizione sostanziale di resistenza e di non soggezione all'obbligo ex lege (realizzatosi mediante l'atto di avviamento medesimo), contestando la legittimi tà di quest'ultimo, per la eccepita mancanza dei requisiti e dei
presupposti previsti dalla legge, ha con ciò stesso contestato la
possibilità (da parte della p.a.) di imposizione (concreta) dell'ob
bligo (legale) di assunzione, facendo valere un proprio diritto
soggettivo (il diritto, cioè, alla tutela della sua sfera di au tonomia negoziale privata e della sua sfera patrimoniale) e la cui lesione non può non essere dedotta dinanzi al giudice ordinario.
Infatti, il datore di lavoro nell'opporre, nel caso concreto, che il lavoratore-avviato, affetto da una « gravissima miopia » che ne annullava sostanzialmente il visus, aveva perduto perciò ogni e
qualsiasi capacità lavorativa, e che, di conseguenza, il lavoratore medesimo era assolutamente incollocabile nell'assetto aziendale della sua impresa, se non con grave pregiudizio per la salute o incolumità dei compagni di lavoro o per la sicurezza degli impianti, ha contestato — sul piano del diritto — la legittimità dell'atto (amministrativo) di avviamento perché adottato senza i
requisiti ed i presupposti previsti dalla legge.
Da tutto ciò deriva ulteriormente che il datore di lavoro, convenuto in giudizio dal lavoratore-avviato e non assunto, ben
poteva chiedere l'espletamento di opportuni accertamenti tecnici
(d'ufficio) onde fare verificare il fondamento della eccezione
opposta: né potevano essere di ostacolo le erronee argomentazio ni esposte dal tribunale, a conferma della corretta decisione
impugnata, basata su di una erronea interpretazione della com
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