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sezione lavoro; sentenza 12 marzo 1986, n. 1683; Pres. Grimaldi, Est. Onnis, P. M. Di Renzo (concl....

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sezione lavoro; sentenza 12 marzo 1986, n. 1683; Pres. Grimaldi, Est. Onnis, P. M. Di Renzo (concl. diff.); Nizzoli e altri (Avv. Agostini) c. Min. tesoro (Avv. dello Stato Fiengo). Cassa Trib. Reggio Emilia 28 gennaio 1981 Source: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 6 (GIUGNO 1986), pp. 1553/1554-1557/1558 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23180396 . Accessed: 24/06/2014 20:14 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.44.78.31 on Tue, 24 Jun 2014 20:14:09 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione lavoro; sentenza 12 marzo 1986, n. 1683; Pres. Grimaldi, Est. Onnis, P. M. Di Renzo(concl. diff.); Nizzoli e altri (Avv. Agostini) c. Min. tesoro (Avv. dello Stato Fiengo). Cassa Trib.Reggio Emilia 28 gennaio 1981Source: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 6 (GIUGNO 1986), pp. 1553/1554-1557/1558Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23180396 .

Accessed: 24/06/2014 20:14

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Sebbene non fosse stato richiesto, la sentenza ha voluto,

tuttavia, svolgere la verifica, in ordine all'eventuale sussistenza di

alcune delle ipotesi, nelle quali sono riconoscibili al datore di

lavoro, in via eccezionale, spazi di libera scelta nell'ambito del

sistema, essenzialmente vincolistico, delle assunzioni obbligatorie.

E, cosi', ha accertato che la richiesta di avviamento non recava

neanche le indicazioni consentite, circa i requisiti del lavoratore

da avviare (che, per quanto si è detto, possono riguardare soltanto le categorie impiegatizie ed operaia di appartenenza), e

che il datore di lavoro non aveva richiesto accertamento sanitario

in ordine, tra l'altro, alle residue capacità lavorative dell'invalido

avviato.

L'esito negativo della verifica — sebbene ultroneo — sorregge,

vieppiù, la pronuncia di rigetto dell'eccezione.

Pertanto, il primo motivo del ricorso va rigettato. 3. - Il secondo motivo del ricorso, invece, è fondato e, come

tale, va accolto.

Pur non esendo mancate, in passato, decisioni di segno contrario

(v. Cass. n. 497/79, id., 1979, I, 1463; n. 3323/76, id., Rep.

1976, voce Lavoro (collocamento), n. 32), la giurisprudenza di

questa corte si è, da tempo, orientata costantemente nel senso di

escludere che l'obbligo del datore di lavoro di assumere invalidi

ed assimilati sia suscettibile di esecuzione in forma specifica ai

sensi dell'art. 2932 c.c. (v., per tutte, Cass. 1322/79, id., 1979,

I, 1462; 3425/80, id., Rep. 1980, voce cit., n. 46; 1740, 5765 e

7031/82, id., Rep. 1982, voce cit., nn. 90, 89, 74; 5394/83, id.,

Rep. 1983, voce cit., n. 93; 3415/84, id., Rep. 1984, voce cit., n.

68; 230/85, id., Mass., 57; 337/85, id., 1985, I, 1318; 406, 702, 945 e 1601/85, id., Mass., 79, 92, 155, 199, 308).

Senza prendere posizione sulla questione generale, attinente

all'ammissibilità della esecuzione in forma specifica di obblighi

legali di contrarre (v., per la soluzione positiva della questione

generale, Cass. 3914/68, id., Rep. 1969, voce Obbligazioni e

contratto, n. 551, e, per la negativa Cass. 298/78, id., 1978, I,

2850), le motivazioni del menzionato orientamento giurispruden ziale riposano, essenzialmente, sui concorrenti rilievi che il siste

ma delle assunzioni obbligatorie, da un lato, risulta strutturato in

modo tale da dar luogo a meri obblighi legali del datore di

stipulare contratti di lavoro con invalidi (o assimilati) a lui

avviati e non già alla costituzione autoritativa dei rapporti, e,

dall'altro, riserva alla autonomia delle parti la determinazione di

elementi essenziali dello stipulando contratto (quali mansioni e

qualifiche dei lavoratori), che, non risultando, peraltro, sufficien

temente specificati neanche dalla legge, rendono impossibile l'ese

cuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c.

Questa, infatti, suppone la predeterminazione (convenzionale o

legale) del contenuto essenziale dello stipulando contratto, non

potendo il giudice, adito ex art. 2932 c.c., sostituire la propria volontà a quella espressa dalla fonte (contrattuale o legale)

dell'obbligo di contrarre (sul problema, in generale, v., per tutte, sez. un. 1720/85, id., 1985, I, 1697).

Pur apprezzando le suggestioni della tesi contraria (Cass.

497/79, cit.), che la sentenza impugnata ripropone, la corte non

ha ragioni sufficienti per non confermare l'orientamento — ormai

consolidato — che ritiene insuscettibile di esecuzione in forma

specifica (ai sensi dell'art. 2932 c.c.) l'obbligo legale di assumere

invalidi e assimilati.

Tanto basta per accogliere il secondo motivo del ricorso.

Dovendo, però, enunciare — in positivo — il principio di

diritto, al quale il giudice di rinvio è tenuto ad uniformarsi nel

riesame della controversia (art. 384 c.p.c.), la corte è chiamata a

determinare quali siano le conseguenze giuridiche del rifiuto del

datore di lavoro di assumere invalidi ed assimilati, avviati nelle

forme del collocamento obbligatorio, una volta ritenuta inammis

sibile, nella specie, l'esecuzione in forma specifica (ai sensi

dell'art. 2932 c.c.).

Questa corte ha già avuto occasione di affermare (vedine, per

tutte, sent. 465/85, cit.; 230/85, id., Mass., 57; 3414/84, id., Rep.

1984, voce cit., n. 69; 5394/83, cit.; 154/82, cit., con riferimento

al collocamento obbligatorio, e 525/85, id., Mass., 116; 1045/84,

id., Rep. 1984, voce cit., n. 53, con riferimento a quello ordina

rio) che dall'atto di avviamento al lavoro, anche (ma non solo) nelle forme del collocamento obbligatorio, sorge l'obbligo legale del datore di lavoro, che ne abbia fatto richiesta (anche) numeri

ca e risulti destinatario dell'atto, di assumere il lavoratore avvia

to.

Ora l'esistenza di tale obbligo legale, all'evidenza, impone di

qualificare contrattuale la responsabilità, che deriva dal rifiuto del

datore di lavoro di assumere il lavoratore a lui avviato, in

quanto la responsabilità precontrattuale (art. 1337 c.c.) suppone,

Il Foro Italiano — 1986 — Parte I-101.

appunto, l'inesistenza di qualsiasi rapporto obbligatorio tra le

parti e postula soltanto la trasgressione della clausola generale della buona fede (v. Cass. 465/85, cit.).

Dalla proposta qualificazione della responsabilità del datore di lavoro discende, tra l'altro, che il risarcimento non può ritenersi limitato al c.d. interesse negativo (art. 1338 c.c.), ma comprende, ai sensi dell'art. 1223 e nei limiti di cui alla stessa norma ed all'art. 1227 c.c., danno emergente e lucro cessante, cioè, quanto meno, tutte le retribuzioni percipiende dal lavoratore avviato durante l'intero periodo di inadempimento dell'obbligo di assu merlo.

4. - Pertanto, mentre va rigettato il primo motivo del ricorso, in accoglimento e nei limiti del secondo, la sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata ad altro giudice d'appello, designa to nel Tribunale di Viterbo, che procederà al riesame della

controversia, uniformandosi agli enunciati principi di diritto.

{Omissis)

I

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 12 marzo 1986, n. 1683; Pres. Grimaldi, Est. Onnis, P. M. Di Renzo (conci, difl.); Nizzoli e altri (Avv. Agostini) c. Min. tesoro (Avv. dello Stato Fiengo). Cassa Trib. Reggio Emilia 28 gennaio 1981.

Previdenza sociale — Indennità di malattia — Spettanza durante ricovero ospedaliero (L. 11 gennaio 1943 n. 138, costituzione dell'I.n.a.m., art. 6; d.l. 8 luglio 1974 n. 264, norme per l'estinzione dei debiti degli enti mutualistici nei confronti degli enti ospedalieri, il finanziamento della spesa ospedaliera e l'avvio della riforma sanitaria, art. 12, 14; 1. 17 agosto 1974 n.

386, conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 8 luglio 1974 n. 264, art. unico).

Durante il ricovero ospedaliero spetta al lavoratore assente dal lavoro per infermità l'intera indennità di malattia. (1)

II

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 11 gennaio 1986, n. 134; Pres. Della Terza, Est. Trezza, P. M. Benanti (conci, conf.); Min. tesoro c. Debbi e Iob (Avv. Agostini). Cassa Pret. Reggio Emilia 5 novembre 1980.

Previdenza sociale — Indennità di malattia — Spettanza durante ricovero ospedaliero — Limti (L. 11 gennaio 1943 n. 138, art. 6; d.l. 8 luglio 1974 n. 264, art. 12, 14; 1. 17 agosto 1974 n.

386, art. unico).

Durante il ricovero ospedaliero spettano al lavoratore assente dal lavoro per infermità due quinti dell'indennità di malattia. (2)

I

Motivi della decisione. — Con l'unico motivo del ricorso, denunziando violazione e falsa applicazione dell'art. 20 del con tratto collettivo nazionale corporativo del 3 gennaio 1939 per il trattamento mutualistico di malattia ai lavoratori dell'industria (in relazione all'art. 14 del regolamento delle prestazioni economiche dell'I.n.a.m. del 10 giugno 1963), degli art. 12 e 14 d.l. 8 luglio 1974 n. 264, convertito nella 1. 17 agosto 1974 n. 386, e vizio di motivazione (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.), la Nizzoli, la Benevelli ed il Fornelli deducono che l'art. 6 1. 11 gennaio 1943 n. 138 sancisce il diritto del lavoratore malato ad un'indennità in relazione alla perdita della retribuzione in conseguenza della malattia e che tale diritto è garantito dall'art. 38, 2° comma, Cost.

(1-2) Contrasto tra due decisioni della Cassazione rese in un brevis simo lasso di tempo, del quale esse non danno atto nelle motivazioni.

Per l'utilizzazione della medesima logica adottata dalla sentenza 1683/86, e cioè l'irrilevanza delle norme regolamentari interne del l'I.n.a.m. ai fini della limitazione del diritto di cui all'art. 6 1. 138 del 1943, si rinvia alle numerose pronunce richiamate in sentenza, cui adde, da ultimo, Cass. 4 dicembre 1984, n. 6350, Foro it., Rep. 1984, voce Previdenza sociale, n. 531.

Cfr., inoltre, per un iter argomentativo simile, ma in materia di diritto al rimborso delle spese d'acquisto di medicinali insostituibili, da ultimo, Cass., sez. un., 20 febbraio 1985, n. 1504, id., 1985, I, 672, con nota di richiami.

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1555 PARTE PRIMA 1556

Sostengono che l'art. 20 del citato contratto collettivo corporativo del 1939, riprodotto dall'art. 14 del regolamento dell'I.n.a.m.

sopra menzionato, nel disporre la riduzione dell'indennità di

malattia a due terzi della misura normale per i lavoratori non

aventi familiari a carico durante il ricovero in casa di cura a

spese dell'istituto, oltre che privo di razionale giustificazione, è in

contrasto con il cit. art. 6 1. n. 138 del 1943 e art. 2120 c.c., secondo principi più volte affermati dalla Corte di cassazione e

dalla Corte costituzionale. Soggiungono che con l'entrata in

vigore delle nuove norme che attribuiscono alle regioni i compiti in materia di assistenza ospedaliera già attribuiti agli enti previ denziali (art. 12 d.l. n. 264 del 1974, convertito nella 1. n. 386 del

1974), è venuto meno l'onere delle spese di degenza ospedaliera a

carico dell'istituto assicuratore e quindi il presupposto della

riduzione dell'indennità di malattia, mentre il servizio sanitario

nazionale, nel cui ambito quelle norme operano, riguarda tutti

i cittadini e l'assistenza sanitaria è erogata in un sistema di

sicurezza e non di previdenza sociale, sicché l'anzidetta riduzione

non ha più senso né giustificazione alcuna, ed essi ricorrenti

peraltro non avevano alcun onere di provare l'insufficienza della

ridotta indennità.

Il ricorso è fondato alla stregua delle seguenti considerazioni.

Come questa corte ha ripetutamente affermato, l'art. 6, 1° comma, 1. 11 gennaio 1943 n. 138, istitutiva dell'I.n.a.m., contiene una

integrale disciplina dell'indennità di malattia, ed è intesa a

garantire il lavoratore infermo dal pregiudizio derivante dall'im

possibilità di prestare la sua normale attività, sicché l'erogazione di tale indennità può essere esclusa e limitata solo in forza di

una norma di legge o di atti ad essa equiparati e non anche in

base a disposizioni di contratti collettivi ovvero di regolamenti interni dell'istituto (cfr. Cass. 10 dicembre 1983, n. 7314, Foro it.,

Rep. 1984, voce Previdenza sociale, n. 530; 17 luglio 1979, n.

4218, id., Rep. 1979, voce cit., n. 688; 3 febbraio 1978, n. 515,

id., Rep. 1978, voce cit., n. 627; 12 gennaio 1978, n. 145, id.,

1979, I, 200; 6 dicembre 1974, n. 4084, id., Rep. 1975, voce cit.,

n. 635; cfr. anche: Corte cost. 25 marzo 1975, n. 67, id., 1975, I,

1056; 28 aprile 1976, n. 91, id., 1976, I, 1444).

Configura una causa di limitazione del diritto all'indennità di

malattia, dalla legge non considerata, l'art. 14 del regolamento 10

giugno 1963 per le prestazioni economiche agli assicurati del

l'I.n.a.m., alla stregua del quale « durante il ricovero in casa di

cura a spese dell'istituto, ai lavoratori non aventi familiari a

carico l'indennità è corrisposta in misura pari ai due quinti di

quella spettante ai sensi dell'art. 12 », cioè in misura ridotta

rispetto a quella normale.

Ora, com'è stato pure affermato più volte da questa corte, il

citato regolamento dell'I.n.a.m. (da non confondersi con il rego

lamento, mai emanato, previsto dalla citata legge del 1943, il

quale avrebbe dovuto essere approvato, ai sensi dell'art. 2, 2°

comma, con decreto del capo dello Stato), è costituito da una

normativa deliberata dal consiglio di amministrazione dell'istituto

ed ha quindi natura, ai sensi dell'art. 17, n. 3, di regolamento « interno », derivante dal potere di autorganizzazione proprio di

ogni ente pubblico, e non ha perciò rilevanza alcuna sul piano dell'ordinamento generale, nel cui ambito rientrano i rapporti con

gli assicurati (cfr. Cass. 29 agosto 1979, n. 4709, id., 1979, I,

2313; 11 ottobre 1979, n. 5313, ibid., 683; sez. un. 13 giugno

1980, n. 3760, id., Rep. 1980, voce cit., n. 743; 10 dicembre 1983,

n. 7314, cit.).

Alla stregua di questi principi, devesi, dunque, escludere che

l'anzidetta limitazione del diritto all'indennità di malattia sia stata

validamente ed efficacemente introdotta nell'ordinamento dalla

citata disposizione del regolamento interno dell'I.n.a.m. ed è

altresì da escludere che possa al riguardo essere rimasto operante,

pur dopo l'entrata in vigore della 1. n. 138 del 1943, l'art. 20 del

contratto collettivo nazionale 3 gennaio 1939, sulla disciplina del

trattamento mutualistico di malattia degli operai dell'industria che

già prevedeva, nell'ipotesi in esame, analoga limitazione del

diritto all'indennità di malattia.

Invero, il detto contratto collettivo del 1939, sopravvissuto alla

soppressione dell'ordinamento corporativo in forza dell'art. 43, 2°

comma, d.l.lgt. 23 novembre 1944 n. 369, non ha forza ultrattiva

riguardo a quelle norme che sono, come il cit. art. 20, incompati bili con la disciplina generale della materia dettata successiva

mente dalla citata legge del 1943, la quale garantisce a tutti i

lavoratori senza alcuna limitazione o esclusione il trattamento assi

stenziale in caso di malattia (sul carattere derogatorio della legge del 1943 rispetto a qualsiasi altra disciplina ad essa precedente, cfr. Corte cost. n. 67 del 1975 e n. 91 del 1976, cit.; cfr. anche

Il Foro Italiano — 1986.

Cass. n. 232 del 1975, id., Rep. 1975, voce Previdenza sociale, n.

630). Una volta stabilito che la limitazione del diritto all'indennità di

malattia nell'ipotesi in esame non trova fondamento in alcuna

norma vigente nell'ordinamento, risulta superfluo stabilire se la

disposizione del regolamento interno del disciolto I.n.a.m., ripeti

tiva dell'analoga disposizione del citato contratto collettivo corpo

rativo, possa considerarsi o non compatibile con la legislazione in

tema di riforma sanitaria, la quale, prendendo l'avvio dal citato

d.l. n. 264 del 1974, che trasferiva alle regioni i compiti in

materia di assistenza ospedaliera già attribuiti agli enti previden

ziali, ha trovato la sua sistemazione generale nella 1. 23 dicembre

1978 n. 833, istitutiva del servizio sanitario nazionale, che ha

comportato il superamento del sistema mutualistico e la sua

sostituzione con uno di sicurezza sociale a livello sanitario per

tutta la popolazione, senza distinzione di condizioni individuali o

sociali, ed il venir meno di ogni commistione tra prestazioni sanitarie e prestazioni economiche mediante la distinzione tra

tutela del reddito da lavoro e tutela della salute.

In conclusione, il ricorso deve essere accolto con la cassazione

dell'impugnata sentenza ed il rinvio della causa ad altro giudice di appello, il quale si uniformerà ai principi di diritto sopra enunciati. (Omissis)

II

Motivi della decisione. — (Omissis). Il ricorso è fondato.

L'art. 20 contr. corp. 3 gennaio 1939, regolante tuttora la

materia ex art. 43, 2° comma, d.l. 23 novembre 1944 n. 369 ed a

seguito del richiamo ai limiti, alla misura ed alle modalità

determinate nazionalmente dalle assicurazioni sindacali a mezzo

dei contratti collettivi operato dall'art. 6 1. 11 gennaio 1943 n.

138 (principio assolutamente pacifico tra le parti e confermato da

ultimo anche da Cass. 1° febbraio 1985, n. 668, Foro it., Mass.,

148), stabilisce che « se in conseguenza della malattia l'iscritto è

ricoverato in casa di cura, a spese della mutua, l'indennità di ma

lattia viene ridotta durante il periodo di ricovero a due quinti della

misura normale e sarà corrisposta per il massimo di un mese » (è

pacifico che tale disposizione è riportata anche nell'art. 14 del

regolamento per le prestazioni economiche dell'I.n.a.m.).

Posto che non viene in considerazione nella presente sede

l'ultima limitazione di cui alla citata norma, questa Suprema corte ritiene non fondato l'assunto del primo giudice secondo cui

la menzionata disposizione si è venuta a trovare « in contrasto

non componibile » con la 1. 17 agosto 1974 n. 386, di conversione

del d.l. 8 luglio 1974 n. 264, la quale ha disposto il passaggio dei

compiti ospedalieri degli enti che gestivano forme di assistenza

contro le malattie alle regioni, per cui deve ritenersi abrogata

(ovviamente — anche se il pretore non lo afferma espressamente — per incompatibilità ai sensi dell'art. 15 disp. sulla legge in

generale), non potendo più esistere ricoveri « a spese della

mutua ».

La ratio, invero, che ha guidato i redattori del citato art. 20, consistente nella giusta e comprensibile esigenza che il lavoratore

malato non venisse a lucrare contemporaneamente un gratuito sostentamento giornaliero e l'indennità di malattia, comprendente anche la spesa necessaria per quel sostentamento, e nel contempo che l'ente assicuratore non venisse a sopportare quella doppia

ingiustificata spesa, sussiste anche oggi con la sostituzione delle

regioni alla « mutua » e con l'estensione alla generalità dei

cittadini dell'assistenza sanitaria.

Tenuto, dunque, conto della considerazione precedente e della

circostanza che nessuna innovazione è stata apportata dalle vigen ti leggi in tema di indennità di malattia rispetto alle norme

precedenti, deve concludersi che la sostituzione delle « regioni »

alla « mutua » vale a tutti gli effetti, anche a quelli di cui all'art.

20 cit., non sussistendo alcuna incompatibilità con la normativa

successiva ora vigente. Né può dirsi che esista violazione dell'art. 38 Cost., il quale

garantisce al lavoratore ammalato la prestazione previdenziale idonea ad assicurargli mezzi di sussistenza adeguati alle sue

esigenze di vita (2° comma); in quanto non vi è alcun dubbio

che la massima parte della retribuzione giornaliera viene utilizza

ta per le spese di vitto, che il lavoratore ricoverato in ospedale non sopporta, come non sopporta le spese per il consumo della

elettricità, del gas e per l'uso del telefono (a parte i canoni fissi,

giornaliermente irrisori), onde, anche sotto il profilo della citata

norma fondamentale, è legittima la riduzione della indennità di

malattia stabilita dal più volte menzionato art. 20.

Giova aggiungere che soltanto nella memoria depositata ai sensi

dell'art. 378 c.p.c. la difesa dei resistenti ha introdotto due nuovi

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1557 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 1MB

motivi a sostegno della pretesa dei suoi clienti: la circostanza che l'art. 20 contr. corp. 3 gennaio 1939 parla di ricovero « in casa di

cura » e non di ricovero in ospedale e quella che i ricorrenti in

primo grado non hanno goduto di un trattamento di ricovero

diverso e particolare discendente dall'assicurazione malattia, come

avveniva nel passato, ma hanno ottenuto il trattamento di carat

tere generale — ricovero in ospedale — che viene corrisposto alle

stesse condizioni a tutti i cittadini anche non lavoratori e quindi non contribuenti.

Le deduzioni sono chiaramente tardive, ma, per esigenze di

completezza, può rispondersi a) che con la dizione ricovero « in

casa di cura » l'art. 20 ha inteso ovviamente riferirsi ad ogni ricovero in luoghi di degenza per la cura delle malattie, pubblici o privati (esistevano « mutue » che pagavano ricoveri anche in

cliniche private), b) che il principio su cui si fonda l'attuale

sistema di assistenza sanitaria è quello della solidarietà, per cui

gode dell'assistenza sia chi paga i contributi sia chi non li paga, e che comunque quest'ultimi non hanno diritto alla indennità

giornaliera di malattia, onde sussisterebbe sempre per i primi,

qualora fosse fondata la tesi che qui si combatte, l'indebita

percezione del sostentamento in misura doppia a carico della

regione, una prima volta in natura ed una seconda volta per

equivalente in denaro, con onere doppio per l'ente pubblico

erogatore. La sentenza impugnata va, quindi, annullata e la causa va

rinviata, anche per la liquidazione delle spese del presente giu dizio, al Pretore di Modena, il quale, nel decidere, si adeguerà al principio sopra esposto.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 8 marzo

1986, n. 1572; Pres. Franceschelli, Est. Buccarelli, P. M.

Cantagalli (conci, conf.); Soc. Compagnia generale elettromec

canica (Avv. vianello, Fabozzi) c. Fogliata ed altro (Avv.

Costa, Bonardi). Cassa Trib. Brescia 29 settembre 1982.

Lavoro (collocamento della mano d'opera) — Assunzioni obbliga torie — Contestazione della capacità lavorativa del lavoratore

avviato — Mancato accertamento — Cassazione della sentenza

(L. 2 aprile 1968 n. 482, disciplina generale delle assunzioni

obbligatorie presso le p.a. e le aziende private, art. 1, 10, 20).

Va cassata con rinvio ad altro giudice la sentenza che abbia

condannato il datore di lavoro ad assumere l'invalido avviato

dall'U.p.l.m.o. e a risarcirgli il danno per la mancata assunzione, senza provvedere agli accertamenti richiesti dalla difesa del

datore stesso circa l'esistenza di malattia escludente ogni capa cità lavorativa dell'avviato e importante invalidità tale, per natura o per entità, da riuscire di danno alla salute ed

incolumità dei compagni di lavoro e alla sicurezza degli im

pianti (nella specie era stata richiesta consulenza tecnica

d'ufficio diretta ad accertare miopia gravissima). (1)

Motivi della decisione. — (Omissis). Le censure sono fondate. Va in primo luogo rilevato che le norme in materia di

(1) La sentenza conferma l'indirizzo per il quale il giudizio sull'asso luta perdita della capacità di lavoro dell'invalido obbligatoriamente avviato e sulla dannosità del suo inserimento sulla salute e incolumità dei compagni di lavoro e sulla sicurezza degli impianti (art. 1 1. 482 del 1968), compete al giudice investito delle questioni relative alla mancata assunzione, non essendogli ciò precluso dalla non utiliz zazione della procedura amministrativa dell'art. 20 1. 482 cit., né, tanto meno, dal responso fornito dal collegio medico. Ai precedenti cit. in sentenza, adde, da ultimo, Cass. 19 novembre 1985, n. 5688, Foro

it., Mass., 1047, per esteso in Giust. civ., 1986, I, 749; 18 aprile 1985, n. 2571, Foro it., Mass., 484; 30 luglio 1984, n. 4560, id., 1984, I, 2978, con nota di richiami.

Nella pronuncia in epigrafe è pure diffusamente argomentata l'alfermazione della giurisdizione del giudice ordinario sulle questioni relative alla mancata assunzione dell'invalido, ivi comprese quelle sul rifiuto dell'atto di avviamento. Da ultimo, in senso conforme, cfr. Cass. 8 giugno 1985, n. 3456, id., Mass., 647; 29 marzo 1985, n. 2218, ibid., 423.

Per l'affermazione della giurisdizione del giudice amministrativo sul

diverso problema dell'esonero dell'azienda dall'obbligo di assunzione di

invalidi di cui all'art. 13 1. 482 cit., cfr. Cass., sez. un., 9 novembre

1985, n. 5479, id., (1986, I, 703, con nota di richiami.

In tema di collocamento obbligatorio, cfr., da ultimo, Cass. 15

marzo 1986, n. 1789, in questo fascicolo, I, 1550, con nota di richiami.

Il Foro Italiano — 1986.

avviamento e collocamento obbligatorio al lavoro (cfr. 1. 482/68) tutelano oltreché gli interessi individuali dei soggetti invalidi (ed

assimilati) e comunque di quei soggetti aventi diritto, appartenen ti alle c.d. categorie « protette », anche quelli del datore di

lavoro: interessi questi che, in quanto direttamente contemplati e

tutelati dalla legge, costituiscono « diritti soggettivi », la cui

eventuale lesione — dedotta per effetto della contestata illegitti mità dell'atto (amministrativo) di avviamento, non può non

trovare tutela nella giurisdizione del giudice ordinario che può verificare il rispetto di quei presupposti e di quei limiti di

legittimià — nell'ambito dei quali deve essere contenuto l'eserci

zio in concreto da parte della p.a. dei poteri di avviamento e

collocamento obbligatorio degli invalidi e degli altri lavoratori « protetti ».

Tali norme, che impongono in capo all'imprenditore designa to, un vero e proprio obbligo (ex lege) di assunzione (cui corrisponde, dall'altro lato, il diritto soggettivo del lavoratore avviato ad essere assunto) sono dettate anche e soprattutto a

garanzia degli « interessi-diritti soggettivi » dei datori di lavoro che a tale obbligo sono soggetti.

Con esse il legislatore, infatti, ha fissato i presupposti ed i limiti nell'ambito dei quali deve essere in concreto esercitato il

potere della p.a. — (uffici provinciali del lavoro e della massima

occupazione) — di avviare al lavoro uno o più soggetti, indivi duati nell'ambito delle categorie « protette », imponendone l'as

sunzione al datore di lavoro designato.

E l'atto (amministrativo) di avviamento non costituisce che il « titolo » che realizza la specificazione dell'obbligo (legale) all'as

sunzione, rendendolo concreto e giuridicamente attuale, median te l'individuazione dei soggetti con cui l'imprenditore, al quale l'ordine di assunzione è rivolto, è tenuto a stipulare il relativo contratto di lavoro, previo, naturalmente, l'accertamento da par te della p.a. dei vari elementi e presupposti che costituiscono la « fattispecie legale » cui si coordina ex lege l'obbligo di

assunzione.

Orbene, poiché la legge in tema di collocamento obbligatorio (art. 1, 2" comma, 1. 482/68) esclude esplicitamente l'applicabilità delle sue norme, nei confronti di « coloro che abbiano perduto ogni capacità lavorativa o che, per natura e il grado della loro

invalidità, possono riuscire di danno alla salute ed alla incolumità dei compagni di lavoro, alla sicurezza degli impianti... », non si può certamente dubitare che il requisito della (idonea) residua

capacità lavorativa dell'invalido-avviato e della sua collocabili tà non pregiudizievole — in concreto — nell'ambiente di lavoro del datore di lavoro, presso la cui azienda l'avviamento è stato

disposto, costituisce in realtà uno degli elementi o presupposti che devono ricorrere affinché l'ufficio provinciale del lavoro possa adottare legittimamente l'atto di avviamento obbligatorio, da cui poi deriva, da un lato, l'obbligo del datore di lavoro all'as

sunzione, e, dall'altro, il diritto del lavoratore-avviato ad es sere assunto.

Ne consegue che, avendo il datore di lavoro preso di fronte all'atto (amministrativo) di avviamento una posizione sostanziale di resistenza e di non soggezione all'obbligo ex lege (realizzatosi mediante l'atto di avviamento medesimo), contestando la legittimi tà di quest'ultimo, per la eccepita mancanza dei requisiti e dei

presupposti previsti dalla legge, ha con ciò stesso contestato la

possibilità (da parte della p.a.) di imposizione (concreta) dell'ob

bligo (legale) di assunzione, facendo valere un proprio diritto

soggettivo (il diritto, cioè, alla tutela della sua sfera di au tonomia negoziale privata e della sua sfera patrimoniale) e la cui lesione non può non essere dedotta dinanzi al giudice ordinario.

Infatti, il datore di lavoro nell'opporre, nel caso concreto, che il lavoratore-avviato, affetto da una « gravissima miopia » che ne annullava sostanzialmente il visus, aveva perduto perciò ogni e

qualsiasi capacità lavorativa, e che, di conseguenza, il lavoratore medesimo era assolutamente incollocabile nell'assetto aziendale della sua impresa, se non con grave pregiudizio per la salute o incolumità dei compagni di lavoro o per la sicurezza degli impianti, ha contestato — sul piano del diritto — la legittimità dell'atto (amministrativo) di avviamento perché adottato senza i

requisiti ed i presupposti previsti dalla legge.

Da tutto ciò deriva ulteriormente che il datore di lavoro, convenuto in giudizio dal lavoratore-avviato e non assunto, ben

poteva chiedere l'espletamento di opportuni accertamenti tecnici

(d'ufficio) onde fare verificare il fondamento della eccezione

opposta: né potevano essere di ostacolo le erronee argomentazio ni esposte dal tribunale, a conferma della corretta decisione

impugnata, basata su di una erronea interpretazione della com

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