sezione lavoro; sentenza 12 novembre 1984, n. 5711; Pres. Bonelli, Est. Ponzetta, P. M. Benanti(concl. conf.); F.i.m.-C.i.s.l. (Avv. Piotti) c. Soc. O.m.a.p. (Avv. Scognamiglio). Conferma Trib.Brescia 19 maggio 1980Source: Il Foro Italiano, Vol. 108, No. 10 (OTTOBRE 1985), pp. 2701/2702-2705/2706Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23178223 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
lui compiuti, ai sensi della normativa del codice civile, a maggior ragione hanno diritto di essere tutelati, in ipotesi di concorso di
creditori, costituendo l'assunzione della responsabilità illimitata uno sanzione per l'ingerenza dell'accomandante nella gestione sociale, sanzione produttiva di effetti in ogni ipotesi in cui il
patrimonio sociale sta insufficiente a soddisfare le ragioni dei
creditori. Ugualmente va ricoinosciiuto infondato il secondo motivo con
cui, in suberdine, sii nega l'appldicabilità del disposto dell'art. 2320 c.c. al caso -di specie, per aver agito il ricorrente unicamente
quale rappresentante della società in forza di procura. Se è vero, infatti, che l'applicabilità dell'art. 2320 c.c. non
ricorre per il solo fatto che il socio limitatamente responsabile abbia agito quiale procuratore, va peraltro precisato che ciò vale solo per il caso che la procura sia stata rilasciata per il
compimento di un singolo ben limitato atto, in esecuzione di scelta operata dal titolare del potere di amministrare. In tal caso, invero, si è in presenza di una semplice attività esecutiva, nell'espletamento della quale il socio procuratore iin nulla influi sce stilla gestione degli affari sociali, agendo come rappresentante vero e proprio del titolane del potere di: tale gestione. Qualora, invece, la procura, per la sua natura, sia tale da conferire al suo titolare una vera e propria attività decisionale, la responsabilità sussiste -non in conseguenza della attività in concreto posta in essere in forza della procura ma in conseguenza del potere decisionale che la procura, per la sua illimitatezza e indetermina
tezza, attribuisce a colui al quale è stata rilasciata (in tali sensi, v. la già citata sentenza n. 1632 del 1982, nonché le sentenze n. 3563 del 26 giugno 1979, id., Rep. 1979, voce cit., n. 148 e n. 6906 del 15 dicembre 1982, id., Rep. 1984, voce cit., n. 495).
Nel caso di specie sussiste appunto la seconda dtelle su
prospettate ipotesi. La sentenza impugnata, invero, si è data carico di accertare quale fosse il tipo di procura rilasciata al socio accomandante, e ne ha evidenziato la vastità e la pressoché inimitata estensione dii poteri, che ne facevano una vera e propria procura i/nstitoria, come tale in grado di attribuire al suo titolare una piena capacità 'decisionale, e non una semplice rappresentan za, e da ciò è giunta correttamente alila conclusione della
sussistenza, nella specie, dei presupposti di applicabilità dell'art. 2320 c.c., -sì che appare immune da censura.
Né ha pregio l'affermazione del ricorrente, secondo cui egli ha
agito solo come procuratore, non anche in proprio, per cui non
potrebbe essere ritenuto responsabile. La legittimazione passiva alla normativa dell'art. 2320 c.c., invero, è data dalla qualità di
socio, che è pacifica nel ricorrente, mentre in concreto l'estensio ne della responsabilità discendte unicamente dalla ingerenza nella
amministrazione, 'ingerenza che la corte di merito ha esattamente
riconosciuto, per quanto già detto, in conseguenza degli illimitati
poteri conferiti oon la procura. Costituisce poi questione di fatto l'accertamento dell'uso che
dii tali poteri il ricorrente ha fatto; sul punto, la corte di merito ha affermato che il Catania, come era documentato in atti, aveva fatto « ampio e regolare uso degli ampi poteri di amministraziione
attribuitigli » e contro tale punto della decisione il ricorrente non
solleva specifiche critiche di omessa o iinsufficienite motivazione sul punto decisivo, ai sensi dell'art. 360, n. 5, e.p.c., per cui le
generiche censure di solo merito che nel motivo in esame si
muovono alla sentenza impugnata non possono trovare accogli mento in questa sede. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 12 novem bre 1984, n. 5711; Pres. Bonelli, Est. Ponzetta, P. M. Be
nanti (eond. conf.); F.i.m.-C.i.sJ. (Avv. Piotti) c. Soc. O.m.a.p.
(Avv. Scognamiglio). Conferma Trib. Brescia 19 maggio 1980.
Società — Società per azioni — Rappresentanza processuale —
Difetto — Rilevabilità da parte del terzo — Esclusione (Cod.
civ., art. 2384; cod. proc. civ., art. 75).
Il terzo non è legittimato ad invocare il difetto di rappresentanza dell'amministratore di società per azioni, il quale abbia agito o resistito in giudizio senza la preventiva delibera del consiglio di amministrazione. (1)
(1) Non risultano in giurisprudenza precedenti conformi in relazione alla questione specifica affrontata dalla Cassazione, cioè se sia eccepibi le da parte del terzo il difetto di legittimazione processuale dell'ammi nistratore delegato di una s.p.a., ài quale aveva agito in giudizio in
Svolgimento del processo. — Con ricorso in data 24 maggio
1978, i segretari provinciali delie organizzazioni sindacali Fi.m.,
F.i.Ojm., Ui.l. e F.l.ti.i. di Brescia adivamo a norma dell'art. 28 1.
20 maggio 1970 n. 300 — c.d. statuto dei lavoratori — il Pretore di Brescia, in funzione di giudice dal lavoro, per sentir dichiarare
iiHegiittlimo, in quanto informato a condotta aotisindacale, il com
portamento della s.p.a. O.m.a.p. rivolto, secondo i ricorrenti, ad
impedire lo spostamento all'interno dell'azienda, della rappresen
mancanza di una deliberazione autorizzativa del consiglio d'ammini strazione.
All'enunciazione del principio di cui in massima la corte è pervenuta attraverso un ragionamento articolato, a ben vedere, in molteplici passaggi, che si cercherà qui di ricostruire analiticamente:
a) già nel vigore del testo originario dell'art. 2384 c.c. doveva ritenersi che le limitazioni statutarie al potere di rappresentanza degli amministratori di s.p.a. potessero essere fatte valere soltanto dalla società (conf. G. Minervini, Gli amministratori di società per azioni, 1956, 135; Cass. 26 luglio 1967, n. 1969, Foro it., Rep. 1968, voce Società, n. 190 bis; 5 ottobre 1963, n. 2641, id., Rep. 1963, voce cit., n. 157; ulteriori riferimenti in C. Silvetti-G. Cavalli, Le società per azioni, in Giur. sist. civ. e comm., fondata da Bigiavì, 1983, 11, 394). Tale regola deve reputarsi a maggior ragione va lida alla stregua del testo attuale dell'art. 2384, modificato dall'art. 5 d.p.r. 29 dicembre 1969 n. 1127, che nel 2° comma stabilisce la rilevanza meramente interna — e quindi la inopponibilità ai terzi salvo il limite dell 'exceptio doli — delle limitazioni del potere rappresentativo.
b) L'ipotesi della dissociazione del potere di rappresentanza dal
potere deliberativo è riconducibile, sia pure in via di interpretazione analogica, alle « limitazioni al potere di rappresentanza che risultano dall'atto costitutivo o dallo statuto » cui fa riferimento l'art. 2384, 2°
comma, c.c., e soggiace pertanto alla disciplina ivi dettata [in tal senso v., per tutti, F. Bonelli, Gli amministratori di società per azioni, in Tratt. di dir. priv., diretto da P. Rescigno, 16, tomo II, 1985, 468, testo e nota 42; G. Laurini, Legittimazione e rappresen tanza nelle società di capitali, in Riv. società, 1984, 825, 839-840; F. Di Sabato, Manuale delle società, 1984, 405 (ma limitatamente all'ipotesi in cui l'amministratore-rappresentante di una s.p.a. abbia agito in mancanza di una preventiva, necessaria deliberazione assembleare, mentre la mancanza o il vizio di una deliberazione dell'organo amministrativo sarebbero del tutto irrilevanti); P. Abbadessa, La gestione dell'impresa nella società per azioni, 1975, 120; in giurispru denza v. Cass. 5 giugno 1985, n. 3360, Foro it., 1985, I, 2231, e Cass. 9 febbraio 1981, n. 789, id., 1981, I, 1315, entrambe con nota di
richiami; in senso contrario si è espresso soprattutto F. Galgano, La società per azioni, in Tratt. di dir. comm. e dir. pubbl. econ., diretto da Galgano, 1984, VII, 261-262; per ulteriori riferimenti sul punto cfr. C. Silvetti-G. Cavalli, Le società per azioni, cit., 362 ss.].
c) La rappresentanza processuale della s.p.a. è soggetta alla medesi ma disciplina applicabile in tema di rappresentanza sostanziale (nego ziale) (conf. F. Bonelli, Gli amministratori di s.p.a., cit., 473), sia per quanto riguarda la inopponibilità ai terzi delle eventuali limitazioni, sia per quanto riguarda la irrilevabilità ad opera dei terzi del difetto di potere rappresentativo.
Il passaggio essenziale, e al tempo stesso più discutibile, dell'iter argomentativo seguito dalla Cassazione è quello sintetizzato sub c). Invero, già nel vigore del testo originario dell'art. 2384 si era autorevolmente sostenuto che la disciplina della rappresentanza proces suale della s.p.a. è ispirata a principi diversi da quelli che presiedono alla disciplina della rappresentanza negoziale (cfr. G. Minervini, Gli amministratori di s.p.a., cit., 143 ss., ove ulteriori riferimenti), e si era in particolare affermato (da Cass. 11 marzo 1966, n. 691, Foro it.,
Rep. 1966, voce cit., n. 224) che la dissociazione fra potere deliberati vo e potere di rappresentanza in materia processuale rientra fra le
questioni attinenti alla regolare costituzione del contraddittorio, e come tali deducibili da ciascuna delle parti in ogni stato e grado del
processo, e rilevabili dal giudice anche d'ufficio. Anche in epoca successiva alla modifica, ad opera del d.p.r. n.
1127/69 cit., della norma sui poteri di rappresentanza degli ammini stratori di s.p.a., l'opinione che nega l'applicabilità di tale norma alla
rappresentanza nel processo ha incontrato autorevoli consensi: v., infatti, Abbadessa, La gestione dell'impresa, cit., 191, e, sia pure con diversa motivazione, A. Di Amato, Problemi preliminari sulla disciplina dei limiti ai poteri di rappresentanza degli amministratori di società
per azioni, in Giust. civ., 1973, IV, 211, 219-221 (cfr. anche su
questo punto Silvetti-Cavalli, Le società per azioni, cit., 391-392). Per il rilievo che « le due discipline » (quella della rappresentanza negoziale e quella della rappresentanza processuale di s.p.a.) « si
collocano, pur non confliggendo fra loro, su rreni diversi », cfr., di
recente, G. Fauceglia, Note in tema di rappresentanza nella società per azioni, in Giur. comm., 1985, II, 482, 486, nota a Cass. 9 novembre 1983, n. 6621, Foro it., 1984, I, 1935, con osser vazioni A. Di Ciommo, che aveva deciso negativamente la que stione se sia consentito il conferimento di un potere di rappresen tanza volontaria della società di capitali, limitato agli atti processuali, senza alcun corrispondente potere di natura sostanziale.
La giurisprudenza posteriore al '69, pur senza affrontare — come si è detto — in maniera specifica il quesito che qui interessa, tende ad
Il Fouo Italiano — 1985 — Parle I-174.
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2703 PARTE PRIMA 2704
tante sindacale aziendale Daniela Bandera ai finii dello svolgimen to di attività sindacale (comportamento che sarebbe sitato posto in
essere dal constigliene delegato della società sàg. Nedo Ferrucci, in
più riprese il 18 luglio 1978) e per sentire conseguentemente
ordinane all'impresa stessa di desistere da tale comportamento. Attuata la comparizione delle partì, l'O.m.a.p. chiedeva il rigetto del ricorso, sostenendo l'esistenza di un accordo aziendale in base
al quale erano stati 'nominati due componenti dell'esecutivo del
consiglio di fabbrica con l'incarico di sopperire ad improvvise
esigenze del loro mandiate, come talli beneficianti della concessio
ne di astenersi dal lavoro per pochi minuti; negando che la
Bandera fosse l'unia di questi due delegati al tempo del fatto e
che essa avesse la qualità di r.s.a. (rappresentante sindacale
aziendale); contestando comunque che i diritti dei rappresentanti sindacali aziendali potessero esorbitare dalla previsione died per messi retribuiti e non retribuiti contenuta nello Statuto per
l'espletamento del loro mandato e comportassero la facoltà di
allontanarsi discrezionalmente dial posto di lavoro.
Interrogate ile parti ed assunte sommarie informazioni, l'adito
pretore emetteva in data 17 luglio 1978 il decreto previsto dall'art. 28 statuto lavoratori, dichiarando antisindacale l'impedi mento frapposto all'attività della r.s.a. Bandera ed ordinando la
cessazione del comportamento stesso.
Proponeva tuttavia opposizione la O.m.a.p. e nel costituitosi
contraddittorio di pretore, interrogate le parti ed assunte prove
testimoniali, confermava il decreto e condannava l'opponente alila
rifusione delle spese di causa (sentenze 17 aprile - 19 maggio 1980).
Peraltro, la società interponeva appello, deducendo: 1) l'erro
nea interpretazione diel contenuto dell'art. 14 1. n. 300 del 1970;
2) l'ingiustificata negazione, da parte -del primo giudice, circa
l'esistenza di un accordo intervenuto al fine di evitare abusi, secondo il quale era stato consentito l'allontanamento dii due
delegati dell'esecutivo, a turno e per periodi di durata inferiore a
diedi minuti nonché senza bisogno di singoli specifici1 permessi; 3) l'avvenuta minimizzazione dell'entità dei fatti ascrivibili alla Ban
dera che, potando usufruire dèi telefono, non aveva necessità di
spostarsi d'ai suo posto di lavoro di impiegata; 4) l'omessa
valutazione, adeguata, tra i motivi determinanti l'atteggiamento
dell'impresa, delia necessità di evitare l'esposizione della Bandera
a -poricolo -di infortuni evenibili nel reparto produzione, a riguar do del quale pericolo il pretore aveva affermato la necessità di
assicurazione ia norma ideigli art. 1 e 5 djpjr. o. 1127 dei
1969; 5) l'erroneità del giudizio per il quale l'esistenza della
oondlotta antisindacale sarebbe stata dia individuarsi nei rimprove ri e nella minaccia, peraltro non dimostrata e malamente valutata, di un licenziamento.
Pertanto la sjp.a. O.m.a.p. chiedeva l'annullamento del decreto
ammettere che il difetto del potere di rappresentanza processuale in
capo all'amministratore che agisce o resiste in giudizio in nome e per conto di una s.p.a. possa formare oggetto di contestazione ad opera della controparte, sottolineando anzi che su di essa incombe il relativo onere (cfr. Cass. 9 luglio 1979, n. 3925, id., Rep. 1979, voce cit., n. 178; 28 gennaio 1982, n. 563, id., Rep. 1982, voce Procedimento
civile, n. 19; 21 ottobre 1982, n. 5474, id., Rep. 1983, voce cit., n. 23; 27 febbraio 1984, n. 1405, id., Rep. 1984, voce cit., n. 20; 10 luglio 1984, n. 4035, ibid., n. 19; 7 dicembre 1984, n. 6461, ibid., n. 18); tanto che — si è affermato — l'ammissibilità del ricorso per cassazio ne proposto da una persona fisica nella qualità di amministratore-rap presentante di una s.p.a. non può essere posta in discussione sotto il
profilo del difetto del potere di rappresentanza, qualora detta persona abbia esercitato tale potere nelle pregresse fasi del processo senza opposizione o contestazione della controparte (in tal senso Cass. 10 febbraio 1982, n. 817, id., Rep. 1982, voce Cassazione civile, n. 31; 14 maggio 1983, n. 3317, id., Rep. 1983, voce Società, n. 257). Sembra assumere un diverso atteggiamento in ordine al problema controverso Cass. 22 febbraio 1982, n. 1093, id., Rep. 1982, voce Procedimento civile, n. 26, secondo cui la parte che ha agito in giudizio per ottenere il riconoscimento di un suo diritto (nella specie, il diritto al compenso per l'opera professionale prestata) nei confronti di una s.p.a. non è
legittimata a far valere la carenza di legittimazione processuale del
soggetto che si è costituito quale legale rappresentante della società convenuta, in quanto in tal modo egli fa valere un diritto spettante solo al convenuto stesso. La « massima » appena riferita parrebbe in effetti analoga a quella espressa dalla sentenza qui riportata; tuttavia la diversità delle fattispecie (nel caso deciso da Cass. 1093/82 l'attore aveva eccepito il difetto di legittimazione processuale in capo all'am ministratore della società convenuta non sotto il profilo della dissocia zione fra potere gestorio e potere rappresentativo, bensì sotto il diverso profilo della invalidità per varie cause del procedimento di nomina dell'amministratore medesimo) e la diversità degli itinerari argomenta tivi inducono a considerare con cautela l'ipotesi che le due sentenze della Cassazione siano espressione di uno stesso orientamento.
e della sentenza del pretore, oon rigetto del ricorso introduttivo
•dielle organizzazioni sindacali.
Le appelliate federazioni, costituendosi, eccepivano preliminar mente la carenza dli legitimatio ad causam dlel consigliere delegato diellia O.m.ajp. sotto iii profilo dell'esistenza nella società dii una
dissociazione tra potere di gestione e potere di rappresentanza in
conseguenza della quale il potere deliberativo circa la proponendo
impugnazione sarebbe spettato ad organi diversi dal consiglio
delegato, cui invece era da -rioonoscesi la legitimatio ad proces simi. Nel merito deducevano che l'impugnata sentenza non meri
tava le mosse censure.
Il Tribunale di Brescia circa l'eccezione pregiudiziale riteneva
che l'eventuale eccesso dei poteri fosse suscettibile dii ratìfica e
che in ogni caso, ma vieppiù dopo la modifica dell'art. 2384 e
l'introduzione dell'art. 2384 bis c.c. per effetto della riforma del
1969, il difetto di poteri di gestione in chi avesse la rappresen tanza della società non poteva farsi valere dial terzo. (Omissis)
Per queste considerazioni il Tribunale di Brescia accoglieva
l'appello e, revocato il decreto, rigettava l'istanza delle organizza ziiomi.
Avverso questa sentenza, 17 aprile-19 maggio 1980, del Tri
bunale di Brescia hanno proposto ricorso per cassazione la
l'.i.m.-C.i.s.l. e la Fi.o.m.-C.g.i.l., deducendo 16 motivi per tale
gravame. Resiste la società O.m.a.p. mediante controricorso, illu
strato ulteriormente oon memoria ex art. 378 c.p.c.
Motivi della decisione. — Con il primo motivo le ricorrenti
organizzazioni, in punto di sostenuta carenza di legitimatio ad
causam del consigliere delegato della s.pja. O.mja.p. (al quale
spetterebbe soltanto la rappresentanza processuale, cioè la legiti matio ad processum), deducono insufficiente e/o contraddittoria
motivazione (in relazione oljl'art. 360, n. 5, c.p.c.). Il motivo, che, sul piano del diritto sostanziale, ha una certa
qual connessione con il secondo, può vedersi riconosciuta una sua
autonomia processuale sul piano appunto dtìl controllo della
insufficienza e congruità in sé dell'esposizione data circa la ratio decidendi in punto di questione pregiudiziale.
Il motivo stesso è peraltro infondato ed alcune delle enunciate
osservazioni a questo riguardo si riveleranno preparatorie anche della decisione sul: secondo.
Si censura dalle ricorrente l'iter logico delia sentenza impugna ta, attribuendole un sillogismo imperfetto, che secondo le ricor renti stesse sarebbe così esprimibile: « vigente il vecchio testo dell'art. 2384 c.c., il difetto di potere di rappresentanza poteva essere fatto valere dalla società, ma non poteva essere fatto valere d^l terzo; vigente il nuovo testo il difetto del potere di
rappresentanza non può essere fatto valere dalla società; a for tiori non può essere fatto valere per gli atti processuali del terzo » (sic le ultime due parole, ma le ricorrenti hanno inteso dire « dal terzo ») ».
Cosi formulato, inteso ed attribuito al -tribunale, il preteso sillogismo non riporta completamente, neppure sotto l'aspetto essenziale, il passo della motivazione e non riflette in modo
adeguato il pensiero del giudice collegiale del merito.
Invero il tribunale, dopo aver ricordato (con una qualche formale lacuna, che non -rende 'tuttavia né difficoltosa, né incerta la ricostruzione (Mi'iter logico) qual fosse l'atteggiamento d'ella dottrina e -della giurisprudenza, prima dell'entrata in vigore del
d.pjr. 29 dicembre 1969 n. 1127, circa gli effetti, sul piano della validità o invalidità degli atti -postii in essere dagli amministratori della società esorbiitandio dai conferiti poteri, ed' aver altresì ricordato come (a parte, ben inteso, gli effetti1 dlel rapporto tra
amministratori e società circa i quali- si propendeva per la
conservazione della validità) si fosse sempre ritenuto che il difetto dei poteri di rappresentanza nella persona fisica agente in
nome e per conto non poteva essere fatto valere dal terzo, ha chiaramente enunciato che « a maggior ragione dopo la riforma
del 1969 la chiara dizione degli art. 2384 e 2384 bis esclude che il terzo sia legittimato ad invocare là carenza di rappresentanza derivante dalla mancanza di -poteri di -gestione dell'amministratore che agisoe in giudizio senza che -il consiglio di amministrazione lo abbia deliberato ».
-Come vedesi, quela ora trascritta è un'enunciazione ben diver sa dall'altra (pretesa sillogistica), indicata dala difesa delle orga nizzazioni, perché nelle proposizioni del tribunale non v'è formu la alcuna la quale attenga ai sottolineati « atti processuali » in sé, intesi come distinti dagli atti di gestione che sarebbero a monte dei medesimi e che ne costituirebbero solo Al presupposto di
legittimità -o validità sostanziale. Non sussiste pertanto lo iatus preteso dalle ricorrenti ed inteso
illustrare con il rilievo che « il problema- della validità o meno della legittimazione o meno a far valere l'invalidità dtegli atti
Il Foro Italiano — 1985.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
processuali, che costituisce l'oggetto della conlusiione della senten
za, è del tatto stogato dalle premesse, che riguardano gli' atti sostanziali ». Il collegamento è invece adeguatamente prospettato dal tribunale, che proprio circa ilia premessa degli atti sostanziali ha ritenuto la non rilevabìtóà, degli eventuali vizi o carenze, da
parte dal terzo.
Il ricorrente afferma « del tutto peregrina » nell'economia del « sillogismo assunto », l'affermazione della ritenuta possibilità di
ratìfica, ma in questa prima parte della motivazione sulla pregiu diziale (rispetto alla quale parte sa possono riconoscere assorbenti le successive proposizioni nei riflessi dal terzo) il tribunale ha inteso riferirsi, non inutilmente per i fini di un accenno più ampio alla questione, ali rapporto tra amministratori, i quali esorbitino con i loro atti dai poteri loro conferiti, e società, ovvero gli organi dieIJia stessa (assemblea o consiglio di ammini
strazione), cui, secondo la natura e fa portata degli atti, in
rapporto alilo statato, spettano le deliberazioni; e relativamente a
questo rapporto (che attiene agli interna corporis, per i quali i difetti della deliberazione non possono essere fatti valere dal
terzo; cfr., sia pure ad altro livello di valori e di presupposti, l'art. 2377 c.c., donde evincesi fa natura relativa dell'ivi prevista invalidità delle deliberazioni) ha inteso ricordare la possibilità di ratifica.
Talché in questo senso l'affermata possibilità non è affatto « peregrina » né caratterizzata da superfluità o superficialità, pur nel suo valore incidentale obiter dictum, né preclusa o resa inconciliabile con il rilievo delte ricorrenti circa il non essersi dato luogo .in sentenza a specificazione di una intervenuta ratifica, né contrastante con l'ulteriore rilievo dell'esser presupposto della ratifica l'invalidità dell'atto (ben inteso per eccesso rispetto ai
poteri conferiti aìl'agens), né urtante nel rilievo che la ratifica fa
sempre salvi i .diritti dei tarai, « cioè opera ex nunc ». Trattandosi di rapporto intemo, circa quanto si' è detto, oon occorreva accertare se la ratifica fosse intervenuta (qualora necessaria agli effetti interni, anche per un atto dell'amministratore singolo o
delegato che non andava a coinvolgere interessi patrimoniali o
comunque sostanziali di molto rilievo per la società) e ben
potevasi, con valore incidentale, accennare alfa possibilità della ratifica pur solo con riguardo alfa semplice ipotesi dell'accennata invalidità. D'altronde, trattandosi di interna corporis, la ratifica
opera ex nunc (art. 1399, 2° comma, c.c.). Con il secondo mezzo, òhe come si è accennato costituisce uno
sviluppo (o trasposizione) del primo sul piano dial diritto sostan
ziale, le ricorrenti organizzazioni deducono « violazione e falsa
applicazione di legge, art. 2384, 2377, 3° comma, 2391, 1388 c.c., in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c. ».
Il motivo è, a sua volta, infondato. Alcuni tra gli1 argomenti addotti a sostegno di tale censura, pur nei riferimenti d'ordine
dottrinario e giurisprudienziale, collimano con le opinioni succinta
mente ricordate e condivise dal giudice collegiale di appello. Cosi
laddove affermasi — pur compiendo poi revirements con altri
richiami giurisprudenziali a ben vedere non pertinenti .alfa fatti
specie, in quanto si riconducono all'ottica interna delle società — che non si è mai dubitato della possibilità di ratifica e della
legittimazione a far vaiare l'invalidità dell'atto posto in essere
dall'amministratore senza potere « solo da parte della società ». Si
fa bensì riserva per casi eccezionali, come quello della invalidità
degli « attii processuali », nei quali il terzo è portatore di un interesse superiore. Peraltro, a giudizio eli questa Corte suprema, la teorizzata eccezione non è applicabile ad una controversia, come l'attuale, dove si configura violazione degli interessi
superiori d'ordine pubblicistico, sussistendo un contraddittorio
formalmente valido tra persone processualmente legittimate ed
osservando dei principi che possano interessare il soggetto ricor
rente (sul piano di un interesse tutelabile giudizialmente). Sostenendosi ed illustrandosi dalle ricorrenti organizzazioni, con
semplici richiami statutari riflettenti fa società O.m.a.p., ili sussi
stere, nella specie, di una dissociazione tra poteri di gestione e
poteri di rappresentanza, non si. può accettare interamente la
tratta conseguenza che la legitimatio ad causam spetterebbe al
consiglio di amministrazione e la legitimatio ad processum ai
singoli .amministratori (delegati1 si è inteso dirne). Tale affermazio
ne è esatta sul secondo punto (al qual fine nella fattispecie concreta è da rilevare come i ricorrenti non abbiano mai conte
stato fa legitimatio ad processum del soggetto che in nome e
conto della società è stato in giudizio nella posizione di legale
rappresentante della convenuta, di poi opponente al decreto
pretorile e successivamente appellante rispetto affla sentenza del
pretore stesso). Men che esatta è invece la equiparazione voluta
stabilire dai ricorrenti tra potere di gestione (che affermasi
spettare al consiglio di amministrazione, anche se può apparire
trattarsi — mata la carte — di un atto di amministrazione
pertinente alla sfera ordinaria, come il decidere di reagire davanti
ad un ordirne dii cessazione di preteso comportamento aratisimdaca
le) e legitimatio ad causarti, attesoché tale legitimatio compete ailia società come persona giuridica, quale devesi riconoscere la
s.pja. O.mja.p. Ogni altra questione che attenga a mancanza o
difetto di .poteri sostanziali (e correlativo eccesso nella mani
festazione di volontà) negli organi rappresentativi promoventi o subenti la lite in nome e per conto della società non attiene
alla legitimatio ad causarti in senso proprio, mentre può concer
nere l'uno degli aspetti previsti dal 2° comma dell'art. 182 c.p.c. che implica urna facoltà del giudice nel senso di' prescrivere una
regolarizzazione con assegnazione di relativo termine; facoltà che
nella specie non è stata esercitate evidentemente perché non sono
emersi i concreti presupposti per esercitarla e perché melila specie il sollevane questione al riguardo non sarebbe spettata all'altro
soggetto processuale che difatti non ha sollecitato l'uso del
suddetto potere ex officio, né d'altronde risulte aver dato concreta
dimostrazione, per quanto occorrere potesse, della necessità d'inte
grazione (sotto l'aspetto 'sostanziale) dlei poteri del consigliere
delegato, in subiecta materia.
Peraltro è assorbente il rilievo che già con le sentenze 13
settembre 1968, n. 2941 (Foro it., Rep. 1968, voce Società, n. 194) e 24 aprile 1976, n. 1470 (id., Rep. 1976, voce Coperativa e
cooperazione, n. 36) di queste Corte suprema è stato sancito che « il presidente del consiglio di amministrazione di una società, allorché rappresenti la società, ha il patere di compiere tutti gli atti che rientrano nell'oggetto sociale e, in relazione a questo, ha
anche 'la rappresentanza processuale della società, senza che
occorra una previa deliberazione del consiglio di amminisitrazione, salva la sua eventuale responsabilità per il suo operato mei riflessi
intemi della società... ». Questo principio si esplicitò per il
presidente del consiglio di amministrazione, ma è palese come,
agli effetti che qui interessano (eccezione delle controparti), sia
applicabile anche per il consigliere delegato, del quale non sia
contestato ed anzi sia riconosciuto il potere (in sé) di rappresen tanza processuale della società, quindi la legitimatio ad proces sum. D'altronde, ancora più fin termini è stato affermato il
principio che « nell'ipotesi di eccesso, da parte del consigliere
delegato rispetto ai limiti conferitigli dalla società, l'eccesso di
rappresentanza non importa una nullità assoluta insanabile del
■negozio cosi posto in essere, che chiunque passa far valere; ma
dà luogo semplicemente all'annullabilità dell'atto concluso, con la
conseguenza che l'annullamento può essere domandato esclusiva mente dial soggetto nel cui interesse è stabilito dalla legge (società
rappresentata) » (cfr. Cass. 5 ottobre 1963 m, 2641, id., Rep. 1963, voce Società, n. 157).
A questi principi non derogano né il disposto del 2° comma
dell'art. 2384 c.c. (nel testo sostituito dall'art. 5 d.p.r. 29 dicembre
1969 n. 1127), né quello dell'art. 2384 bis (aggiunto dallo stesso decreto presidenziale), con i quali: è introdotta una penetrante tutela dei diritti dei terzi circa l'oppanibilità a oostoro degli atti
compiuti dagli amuninistratari con eccesso rispetto alle limitazioni
dei poteri di rappresentanza, o, rispettivamente, nella posizione di
estraneità per l'oggetto, rispetto all'oggetto sociale; non anche
circa la (negabile) eccepibilità (dell'eccesso di potere di rappre
sentanza) dai terzi- medesimi. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 22 marzo
1984, n. 1920; Pres. Brancaccio, Est. Contu, P. M. Iannelli
(conci, conf.); Quartier generale forze alleate sud Europa (Avv. A. Giardina) c. Lo Franco e altri (Aw. Di Sangro). Cassa Trib.
Verona 25 maggio 1981.
Esecuzione forzata per obbligazioni pecuniarie — Esecuzione su
beni del quartier genrale della N.a.t.o. — Impignorabilità — Que stione manifestamente infondata di costituzionalità (Cost., art. 3,
24, 52; 1. 30 novembre 1955 n. 1338, ratifìoa ed esecuzione del
protocollo sullo statuto dei quartieri generali militari internaziona
li creati in virtù del trattato Nord Atlantico, firmato a Parigi il
28 agosto 1952, art. 11; d.p.r. 18 settembre 1962 n. 2083, esecuzione dell'accordo tra il governo italiano ed il comando
supremo alleato in Europa degli Stati membri del trattato del
l'Atlantico del nord sulle particolari condizioni di installazione e di funzionamento nel territorio italiano dei quartieri generali militari internazionali che vi sono o che vi potranno essere
installati, firmato a Parigi il 26 luglio 1961).
Il Foro Italiano — 1985.
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