sezione lavoro; sentenza 12 novembre 1985, n. 5549; Pres. Franceschelli, Est. Alibrandi, P. M.Zema (concl. parz. diff.); R.a.i.-TV (Avv. Scognamiglio) c. Candia (Avv. Predieri, De Donato).Cassa Trib. Torino 23 aprile 1981Source: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 5 (MAGGIO 1986), pp. 1373/1374-1377/1378Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23187277 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
I I
Motivi della decisione. — Con il primo motivo la ricorrente
lamenta violazione e falsa applicazione degli art. 1340, 8, 2078,
2095, 2103 c.c. e 95 disp. att. dello stesso codice, carenza e
contraddittorietà di motivazione su un punto essenziale della
controversia. La sentenza, secondo tale censura, aveva ritenuto
sussistente un uso aziendale, da ricondurre alla categoria degli usi
negoziali di cui all'art. 1340 c.c., senza peraltro tener poi conto
che le clausole d'uso, ai sensi di detta norma, si intendono
inserite nel contratto se non risulta che non sono state valutate
dalle parti e nella specie non poteva dubitarsi di tale contraria
volontà. Ma, continuava sul punto la ricorrente, gli usi normativi
costituiscono fonte sussidiaria e secondaria e pertanto ci si
doveva anzitutto porre il problema se essa fonte potesse operare
nella materia dibattuta dalla correlazione tra mansioni e qua
lifica; e la risposta avrebbe dovuto essere negativa, considerando
che la rilevanza degli usi, altresì in diritto del lavoro e nei
riguardi degli usi aziendali, postula o la mancanza di disposizioni
di legge e di contratto collettivo (art. 2078 c.c.) o uno specifico
richiamo della legge o della contrattazione collettiva (art. 8 e
2078 c.c., nonché art. 2110, 2120, ecc.); in materia di inquadra
mento e/o carriera dei dipendenti all'interno delle imprese, con
clude il ricorrente, non vi è spazio alcuno per la formazione di
usi o prassi che possono vincolare il potere del datore di lavoro,
andando al di là dei limiti fissati dalla legge e dalla contrattazio
ne collettiva di categoria o aziendale.
La censura non è fondata. È noto che la giurisprudenza e la
dottrina distinguono tra usi giuridici o normativi ed usi negozia li. I primi costituiscono fonte sussidiaria di diritto nelle materie
in cui manca del tutto la disciplina legislativa (usi praeter legem),
mentre nelle materie regolate dalla legge o dai regolamenti hanno
efficacia solo se espressamente richiamati; i secondi invece si
distinguono a loro volta in due categorie, a seconda che svolgano
la funzione di integrare la volontà delle parti in sede di forma
zione della volontà (usi contrattuali con funzioni integrative) o
quella invece di strumento di interpretazione delle pattuizioni
ambigue (usi interpretativi, quali le pratiche generali interpretati
ve ). Peraltro non vi è uniformità nell'individuare le norme del
codice che in materia di disciplina generale delle obbligazioni, a
tali distinte categorie di usi fanno riferimento: alcune sentenze
qualificano come usi negoziali le clausole d'uso di cui all'art.
1340 c.c., mentre altre ritengono dette clausole come usi normati
vi sullo stesso piano di quelli che, ai sensi dell'art. 1374 c.c.,
integrano gli effetti del contratto, mentre sarebbero usi negoziali
solo quelli interpretativi di cui all'art. 1368 c.c.
Sembra, seguendo un orientamento dottrinale, che le clausole
d'uso di cui al citato art. 1340 siano usi negoziali, e tale natura
contrattuale deve desumersi dalla stessa denominazione di « clau
sola » e dal loro inserimento nel contratto salva volontà contraria
delle parti, elementi questi che non si conciliano col carattere
normativo della consuetudine. Questa infatti, quale fonte norma
tiva, deve rimanere, come la legge, fuori del contratto, per
regolarne gli effetti, e non inserirsi in esso come negoziale; nè
potrebbe dipendere dalla volontà delle parti. E l'inserimento
previsto dall'art. 1340, comportando una parificazione dell'uso
inserito alle clausole contrattuali volute dalle parti, si risolve in
una prevaleneza dell'uso stesso sulle disposizioni suppletive di
legge, il che è tipico degli usi contrattuali, laddove, invece, quelli
normativi sono subordinati alla norma legislativa, anche dispositi
va (art. 8 disp. prel., 1374 c.c.).
Pertanto deve dirsi che, in materia di obbligazioni, il codice
prevede gli usi normativi all'art. 1374, gli usi negoziali con
funzioni integrative, quali le « clausole di uso », all'art. 1340 e gli
usi interpretativi, quali le « pratiche generali interpretative »,
all'art. 1368.
Sono stati da ultimo poi riconosciuti gli usi aziendali, compor
tamenti abituali nei rapporti interni d'impresa, in particolare a
quelli reiteratamente adottati nei confronti dei lavoratori. In
relazione a tali usi si è adottata dapprima la teoria normativa,
considerandoli appunto come usi normativi (art. 1374 c.c.), men
tre da ultimo appare prevalente la teoria contrattuale (art. 1340,
1368 c.c.).
È stato affermato, infatti, che l'uso aziendale consiste in una
prassi seguita all'interno di una determinata impresa ed è perciò riconducibile alla categoria degli usi negoziali; esso uso si inseri
sce nel contratto di lavoro individuale e, integrandone il contenuto,
ha forza vincolante per le parti che l'hanno osservato, ove deroghi al contratto collettivo in senso più favorevole al lavoratore (Cass.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 12 novem
bre 1985, n. 5549; Pres. Franceschelli, Est. Alibrandi, P. M.
Zema (conci, parz. diff.); R.a.i.-TV (Avv. Scognamiglio) c.
Candia (Avv. Predieri, De Donato). Cassa Trib. Torino
23 aprite 1981.
Lavoro (rapporto) — Usi aziendali — Natura — Fattispecie
(Disp. sulla legge in generale, art. 8; cod. civ., art. 1340, 1374,
2078, 2103, 2095; disp. att. cod. civ., art. 95).
L'attribuzione della qualifica in base a prassi aziendale
costituisce uso negoziale e non uso normativo, come tale
inserito nel contratto individuale di lavoro, ex art. 1340 c.c., salvo patto contrario. (1)
Va cassata con rinvio ad altro giudice la sentenza che abbia
ritenuto sussistere l'uso aziendale di attribuzione automatica
della qualifica di vice direttore generale della R.a.i. — la cui
previsione, in difetto di clausola del contratto collettivo, è stata
individuata dal giudice di merito con riferimento all'organi
gramma di tutte le direzioni centrali dell'ente — ai dirigenti dei
servizi della direzione centrale amministrativa, senza esaminare, ai fini dell'accertamento dell'uso aziendale stesso, le modalità di
attribuzione per prassi della qualifica negli altri settori dell'a
zienda, senza condurre un'adeguata ricerca della reiterazione
nel tempo del comportamento aziendale, e senza verificare se la
attribuzione della qualifica fosse automatica ovvero collegata a
criteri di meritevolezza. (2)
II
PRETURA DI PAVIA; sentenza 16 dicembre 1985; Giud. De
Angelis; Griffo (Avv. Melotti) c. Azienda servizi municipali zati di Pavia (Avv. Denti).
Lavoro (rapporto) — Premio di fedeltà — Corresponsione reite
rata in forza di delibera della commissione amministratrice di
azienda municipalizzata — Uso aziendale — Effetti (Cod. civ., art. 1340, 1374).
La corresponsione per oltre vent'anni di premio di fedeltà ai
dipendenti collocati a riposo con almeno trent'anni di servizio, in virtù di delibera della commissione amministratrice di azien
da municipalizzata, costituisce di per sé clausola obbligatoria del contratto individuale di lavoro, come tale non modificabile unilateralmente. (3)
(1-3) Le sentenze in epigrafe fanno propri alcuni principi della
giurisprudenza di legittimità in esse documentati: l'irrilevanza, ai fini della formazione dell'uso aziendale, dell'opmio iuris seu necessitatis
(da ultimo, v. Cass. 20 gennaio 1986, n. 359, e 10 gennaio 1986, n.
86, inedite, a quel che consta; 28 novembre 1985, n. 5906, Foro it., Mass., 1091); la qualificazione dell'uso aziendale come uso negoziale o non normativo, e pertanto la sua inserzione nel contratto individuale e non in quello collettivo (da ultimo, cfr. Cass. 23 gennaio 1986, n. 436, inedita, allo stato; 86/86, cit.; 12 dicembre 1985, n. 6260, id., Mass., 1158); la conseguenziale esclusiva sua derogabilità in melius da
parte di questi ultimi. Su tali aspetti v. la nota di G. Silvestri a Cass. 19 aprile 1980, n. 2565, id., 1980, I, 2504. Cfr., inoltre, G. Nicolini, Ancora sugli usi aziendali, in Riv. it. dir. lav., 1982, II, 714.
Cass. 5549/85 contiene alcune peculiarità che è opportuno sottoli neare. Non tanto l'applicazione dei principi suddetti in materia di
qualifica i(in proposito, v., in senso conforme, da ultimo, Cass. 359/86,
cit.) o la panoramica d'esordio (della parte motiva) sul dibattito in
tema di distinzione tra usi normativi e negoziali e sulle norme di
riferimento, quanto l'affermazione che, ove l'esistenza della prassi sia stata verificata con riferimento a tutto il personale, la ricostruzione dei
profili funzionali di una qualifica, attribuita appunto per prassi, va effettuata previo esame della situazione di tutti i lavoratori, non solo
di quelli di un limitato settore. L'affermazione non contrasta, però, con
l'orientamento, recentemente ribadito (Cass. 436/86, cit.; 28 novembre
1985, n. 5906, id., Mass., 1091) per il quale gli usi aziendali si
formano anche per un solo settore dell'azienda o per una categoria di
lavoratori. Quello che infatti la sentenza in epigrafe ha censurato della
decisione impugnata è, come è espressamente detto, la « brusca
modificazione di visuale nell'accertamento » del profilo della sussisten
za della qualifica e di quello dell'attribuzione di essa in concreto.
Per la non necessità, ai fini della formazione dell'uso, che la prassi
coinvolga la genericità di aziende di un settore, v., da ultimo, Cass.
436/86 e 6280/85, cit. Per quel che concerne Pret. Pavia 16 dicembre 1985, preme porre in
luce come l'applicazione del criterio dell'uso aziendale per raggiungere la soluzione della fattispecie, non abbia fatto prendere posizione al
pretore circa le difese delle parti (quali risultanti dallo svolgimento del
processo, qui non riportato) relative al valore vincolante o meno della
delibera della commissione amministratrice dell'ente, da cui era stato
istituito il premio di fedeltà reclamato in giudizio.
Il Foro Italiano — 1986.
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1375 PARTE PRIMA 1376
19 febbraio 1983, n. 1279, Foro it., Rep. 1983, voce Lavoro,
(rapporto), n. 524). Ed ancora è stato precisato che gli usi aziendali, riconducibili
alla categoria degli usi negoziali e non a quella degli usi
normativi, per esplicare la loro efficacia non debbono necessaria
mente interessare la generalità delle aziende di un settore, essen
do sufficiente l'affermazione di essi anche presso una sola azien
da, e debbono considerarsi inseriti, ai sensi dell'art. 1340 c.c.,
quali clausole d'uso, non già nel contratto collettivo, bensì in
quello individuale, di cui integrano il contenuto in senso mo
dificativo o derogativo, purché in melius, della regolamentazione
collettiva, con la conseguenza che la loro contrarietà a detta
regolamentazione non configura quella contraria volontà delle
parti dalla quale l'articolo citato fa discendere la mancata inser
zione dell'uso nella disciplina contrattuale, dovendo invece tale
volontà risultare dalla pattuizione individuale (Cass. 21 novembre
1983, n. 6948, id., Rep. 1983, voce Consuetudine e uso, n. 3; 6
febbraio 1982, n. 711, ibid., voce Lavoro, (rapporto), n. 525; 9
aprile 1981, n. 2051, id., Rep. 1982, voce cit., n. 642). Ed ancora è stato precisato che la prassi aziendale è riconduci
bile alla categoria degli usi negoziali o di fatto, i quali, se
prescindano dai requisiti della generalità e dell'opinione iuris seu
necessitatis propri degli usi normativi, presuppongono pur sempre l'accertata reiterazione di determinati comportamenti (Cass. 3 febbraio 1984, n. 839, id., Rep. 1984, voce Contratto in genere, n.
168). Non ha avuto seguito, poi, la tesi secondo cui la pratica
seguita abitualmente dal datore di lavoro non dà luogo ad una clausola di uso (art. 1340 c.c.), vale a dire ad un elemento
integrativo del contratto, bensì ad una prassi individuale rilevante ai sensi dell'art. 1362, 2° comma, c.c., dato che la clausola d'uso deve essere caratterizzata dai medesimi elementi strutturali dell'u so normativo (art. 1 e 8 disp. prel. c.c.). primo tra i quali la
generalità (Cass. 18 dicembre 1976, n. 4681, id., Rep. 1977, voce
Lavoro, (rapporto), n. 1026). Ritiene il collegio di dover seguire la tesi da ultimo prevalente
circa la natura contrattuale dell'uso aziendale, in quanto fondato sul principio di tutela dell'affidamento e della equità.
Ciò posto, la censura secondo cui l'uso aziendale non potrebbe trovare spazio in materia di inquadramento e/o carriera del lavoratore all'interno dell'impresa, in quanto l'applicazione dell'u so postula o la mancanza di disposizioni di legge o di contratto col lettivo (art. 2078 c.c.) o uno specifico richiamo della legge o della contrattazione collettiva (art. 8 disp. prel. e 2078 c.c.) non ha
fondamento, in quanto si basa su una nozione normativa dell'uso aziendale che deve essere respinta; trattandosi invece di uso
negoziale, cioè di clausola d'uso, esso può ben integrare il contratto individuale ai sensi dell'art. 1340 c.c.
Con il secondo motivo la ricorrente lamenta violazione e falsa
applicazione degli art. 8 disp. prel., 2078, 2085, 2103 c.c. e 95
disp. att. dello stesso codice, anche in relazione agli art. 2081 e
2103, carenza e contraddittorietà di motivazione su un punto essenziale della controversia.
La doglianza si incentra su due ordini di considerazioni, e cioè che la impugnata decisione, con motivazione carente e contraddit
toria, aveva ritenuto sussistente un uso aziendale nel senso che: 1) nella carriera dirigenziale era stata inserita la qualifica di vice direttore centrale; 2) che tale qualifica era stata attribuita ai
preposti ai servizi della direzione gestione abbonamenti. La censura è fondata in parte. L'accertamento, da parte del
giudice di merito, dell'esistenza di un determinato uso negoziale, come di un uso aziendale, è incensurabile in sede di legittimità, ove sorretto da motivazione congrua ed esente da vizi logici e
giuridici. In ordine al primo punto della censura in esame deve ritenersi
che essa non è fondata. Come già rilevato a proposito del primo motivo di ricorso, un uso aziendale in materia, anche di creazio ne di nuove qualifiche, appare consentito: la impugnata sentenza, poi, ha affermato, sulla base della documentazione acquisita (in particolare circolari ed organigrammi delle direzioni centrali della soc. R.a.i.), che quella qualifica di vice direttore centrale era
sempre sussistita.
Fondata invece è la doglianza per quanto concerne il secondo
punto. La ricorrente in proposito lamenta che il tribunale, per giun gere alla conclusione di ritenere sussistente l'uso aziendale dell'at tribuzione della qualifica di vice direttore centrale a tutti (otto) i direttori dei servizi della direzione centrale amministrativa, era incorso in vari vizi, in quanto: 1) aveva limitato la propria considerazione soltanto alla direzione centrale amministrativa, senza invece esaminare la situazione delle altre sette direzioni centrali e senza quindi rilevare come nel complesso all'epoca
Il Foro Italiano — 1986.
considerata i vice direttori centrali erano 36 ma di questi soltanto 23 erano preposti a direzione di servizi e che alla metà di tali direzioni erano preposti direttori di servizio e non già vice direttori centrali; 2) non aveva tenuto conto dei connotati di
generalità, continuità e durata, oltre che dell'elemento soggettivo, indispensabili per la formazione di un uso; 3) ritenendo inconce
pibile che ad una soltanto delle otto direzioni di servizi della direzione centrale amministrativa non fosse preposto un vice direttore centrale, non aveva rilevato un uso, bensì si era sostitui to all'imprenditore, formulando in suo luogo un giudizio di
congruità tra le mansioni di preposto al servizio gestione abbona menti e la qualifica di vice direttore centrale, al quale aveva creduto di poter vincolare lo stesso datore di lavoro; e cosi facendo aveva violato i principi, fissati dall'ordinamento giuridico, che disciplinano il potere di gestione, e specificamente di inqua dramento delle qualifiche, del datore di lavoro; 4) aveva dedotto in sostanza il diritto del Candia all'attribuzione di quella qualifica pel solo fatto che egli aveva sostituito il Di Bosia che quella qualifica aveva avuto; 5) in conclusione, sulla base di illazioni e di considerazioni di mera — ritenuta — opportunità aziendale, certamente non di competenza del giudice, si era sostituito
alL'imprenditore stabilendo che era ragionevole ed anche equo attribuire al dipendente una promozione.
L'uso aziendale negoziale, ritenuto sussistente dalla impugnata sentenza, consisterebbe nella attribuzione della qualifica di vice direttore centrale al dirigente preposto ad una direzione di servizio nell'ambito della direzione centrale amministrativa.
Il tribunale ha inteso limitare la propria considerazione alla direzione centrale amministrativa, senza volgere la propria atten zione alle altre direzioni centrali, come invece aveva fatto il
pretore. Il ragionamento sarebbe stato esatto se i vice direttori centrali
fossero stati presenti soltanto nell'ambito della detta direzione
centrale; cosi invece non era, come era pacifico e come il pretore aveva sottolineato.
Il tribunale, invece, nell'accertamento dell'uso aziendale, sotto un primo profilo — presenza di una qualifica non prevista dalla contrattazione collettiva — ha valutato la globale situazione aziendale (tanto è vero che quella qualifica ha ritenuto prevista sulla base degli organigrammi di tutte le direzioni centrali), poi, sotto il secondo profilo — attribuzione in concreto di quella qua lifica — ha limitato il proprio esame ad un settore soltanto del l'azienda (direzione centrale amministrativa).
In questo metodo di accertamento dell'uso consiste il vizio
logico in cui è incorsa la sentenza: in relazione ad entrambi i
profili la valutazione avrebbe dovuto essere effettuata con il medesimo unico criterio, avrebbe cioè dovuto essere globale.
Ed invece il tribunale, ripetesi, prima ha accertato che, per uso, era stata attribuita una qualifica non prevista dalla contrat tazione collettiva a numerosi dirigenti in servizio presso le varie direzioni dell'azienda, poi, ai fini di accertare come, in base a tale uso, era stata attribuita detta qualifica, ha ristretto l'esame delle modalità di attribuzione ad alcuni soltanto dei detti dirigen ti, quelli preposti alla direzione centrale amministrativa, ometten do di valutare invece, e di spiegare, come sarebbe stato doveroso, le modalità di attribuzione della qualifica stessa, sempre secondo il preteso uso, in genere a tutti i dirigenti, ai servizi di qualsiasi direzione preposti, che quella qualifica avevano ottenuto. E ciò nonostante che, proprio sulla base della constatazione anche del consistente numero di tutti i dirigenti aventi quella qualifica, pur non in servizio nella direzione amministrativa, la impugnata sentenza aveva tratto valido e fondamentale argomento per rite nere sussistente l'uso aziendale del conferimento di una qualifica non prevista dalla contrattazione collettiva.
In questa brusca modificazione di visuale nell'accertamento dei due profili — sussistenza della qualifica da un lato e attribuzione della stessa in concreto dall'altro — dell'uso aziendale che si è ritenuto esistente, consiste, ripetesi, il vizio logico della sentenza.
Questa, in sostanza, nel passare alla valutazione del secondo degli anzidetti profili, ha abbandonato la visuale delle qualifiche dirigenziali presenti in concreto nell'azienda, passando invece all'esame dell'organigramma, e cioè degli uffici dell'azienda; e per di più, ciò ha fatto limitando tale esame agli uffici di un settore soltanto di essa.
Tale metodo logico nell'accertamento di un uso tanto delicato, che consisteva in sostanza nel conferimento di una promozione, non appare corretto.
E proprio questo è il punto essenziale della sentenza: essa, come lamenta la ricorrente, ritenendo che in tal senso sussistesse un uso, ha in sostanza conferito una promozione che il datore di lavoro non aveva inteso conferire.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Il tribunale, oltre a tutto, non ha tenuto conto che in conclu sione veniva ad ammettere la possibilità di una promozione automatica ed addirittura una promozione per saltum, in quanto il condirettore di servizi, con la promozione a direttore di servizi, una volta preposto ad uno dei servizi della direzione centrale
amministrativa, avrebbe dovuto conseguire, automaticamente ed
immediatamente, la ulteriore promozione alla qualifica di vice direttore centrale, il che appare anomalo: ed invece proprio tale situazione la impugnata sentenza ha inteso avallare, dato che ha riconosciuto al Candia la qualifica di vice direttore centrale
proprio dal 1971, dalla data stessa cioè in cui da condirettore di servizi era stato promosso alla qualifica di direttore di servizi.
Il tribunale, quindi, nell'accertamento dell'uso, sotto il profilo della attribuzione della qualifica, avrebbe dovuto valutare la situa zione in relazione a tutti i vice direttori centrali dell'azienda, con
riguardo ai posti di organico da essi ricoperti; avrebbe dovuto valutare cioè, in riferimento a tutti i dirigenti aventi quella qualifica, le modalità di attribuzione della stessa e se detta attribuzione era stata automatica nel senso che era stata conferita contestualmente a quella di direttore di servizi, ovvero dopo un determinato periodo di tempo, come apparirebbe logico.
Il tribunale, poi, anche adottando l'ordine di idee da esso
seguito, cioè di prendere in considerazione i servizi della direzio
ne centrale amministrativa e di affermare che ad ogni servizio, sulla base dell'uso, era preposto un vice direttore centrale, avrebbe dovuto approfondire la ricerca nel tempo dandone
contezza in sentenza ed indicando dettagliatamente la documenta
zione in tal senso. Soltanto cosi sarebbe stato ammissibile ritenere
sussistente l'uso, per rigida e mai contraddetta reiterazione della
relativa previsione, secondo cui l'organigramma della soc. R.a.i.
era tale che al posto (funzione) di direttore di servizi della
direzione centrale amministrativa corrispondeva un dirigente con
qualifica di vice direttore dei servizi; solo a seguito di tale
approfondita ricerca sarebbe stato possibile cioè ritenere provato che da epoca apprezzabile tale correlazione tra funzione e qua lifica sussisteva e non fosse invece una mera coincidenza che,
all'epoca che qui viene in considerazione, tutti gli otto preposti ai
servizi di quella direzione centrale avessero la qualifica di vice
direttore centrale.
E si sarebbe dovuto accertare altresì se, pur avendo i detti otto
preposti, nel 1971, quella qualifica, questa avessero conseguito
contemporaneamente alla preposizione al servizio, ovvero in un
secondo momento.
Ma, soprattutto, si sarebbe dovuto accertare, ripetesi, stante la
massiccia presenza in tutte le direzioni centrali di dirigenti aventi
quella qualifica creata dall'uso aziendale, se tale uso fosse tale che
quella qualifica era stata attribuita quale conferimento di una
promozione ai dirigenti più meritevoli, potere questo incontestabi
le ed esclusivo del datore di lavoro, ovvero effettivamente soltan
to in relazione ad una funzione (posto di organico) aziendale; e
tale accertamento avrebbe dovuto effettuarsi in relazione a tutte
le direzioni centrali e tenendo presente che soltanto alla metà dei
servizi erano preposti vice direttori centrali e che, soprattutto, non tutti i dirigenti aventi tale qualifica (23 su 36) erano preposti a servizi. (Omissis)
II
Motivi della decisione. — (Omissis). 2. - Ma il punto più delicato della causa è un altro, e cioè se dalla delibera (legittima) del 1961 prima richiamata sia scaturito un obbligo della convenu
ta di corresponsione del premio. Al riguardo sembra inutile risolvere il problema « in sé »
quando, come nella specie, a seguito di tale atto vi è stato un
successivo comportamento ultraventennale in conformità, che ha
senz'altro integrato un c.d. uso aziendale, come tale entrato a far
parte del contenuto negoziale dei singoli rapporti di lavoro (art. 1340 e 1374 c.c.). Anche molto recentemente (Cass 19 gennaio
1985, n.173, Foro it., Mass., 41) la giurisprudenza di legittimità ha
affermato che « quando non siano imposte dalla legge, dal con
tratto collettivo o da pattuizione individuale, le erogazioni del
datore di lavoro, quale che ne sia la denominazione, devono
considerarsi come facenti parte della retribuzione, se siano corri
sposte continuativamente e ad una generalità di dipendenti,
assumendo, per effetto della prassi, anche se limitata ad una sola
azienda, la natura di emolumento dovuto per uso aziendale; in
tal caso l'originaria spontaneità, frutto di unilaterale determina
zione, escludente, inizialmente, la stretta sinallagmaticità con la
prestazione lavorativa, si trasforma, per effetto di inequivoco
comportamento delle parti, che genera una legittima aspettativa nei lavoratori, in vincolo obbligatorio, privando l'emolumento
Il Foro Italiano — 1986.
dall'originaria funzione, per attribuirgli quella diversa di integra zione del corrispettivo di detta prestazione ». E sul punto si deve sottolineare che la continuità — momento essenziale della prassi — è appunto nel fatto che per oltre venti anni il premio sia
stato corrisposto a tutti i dipendenti che abbiano maturato i
tent'anni di anzianità di servizio (e l'uso può riguardare anche
un numero esiguo di dipendenti: Cass. 17 aprile 1984, n. 2498, id.,
Rep. 1984, voce Lavoro (rapporto), n. 519), come del resto sono sta
ti e sono tutt'oggi consegnati il diploma di benemerenza e la meda
glia d'oro, aventi natura tutto sommato analoga. Sul punto è poi il caso di precisare che l'uso negoziale
pacificamente non necessita, ai fini della sua formazione, della c.d.
opinio iuris seu necessitatis (v., ad es., Cass. 6 febbraio 1982, n.
711, id., Rep. 1983, voce cit., n. 525), del resto considerata
irrilevante nel processo di formazione e di conservazione della
stessa consuetudine normativa dalla dottrina più prestigiosa. 3. - Nella memoria costitutiva è fatto cenno al mancato
recepimento del premio di fedeltà nella contrattazione collettiva. Ciò non significa, naturalmente, eliminazione di esso da parte dei
contraenti collettivi, ma, solo, che l'aspetto non è stato preso in
considerazione in tale sede. Si ricorda, del resto, che gli atti di
autonomia sindacale non possono derogare se non in melius su
quanto statuito dagli usi aziendali, proprio per la loro natura
negoziale e non normativa (ai riferimenti di cui antea, adde, ad
es., Cass. 19 aprile 1980, n. 2585, id., 1980, I, 2504) e quindi per la loro incidenza sul contratto individuale e non su quello collettivo. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 9 novembre
1985, n. 5484; Pres. Franceschelli, Est. Onnis, P. M. Golia
{conci, diff.); Soc. Necchi (Avv. Gorla, Magrone, Ardau,
Ceriani) c. Caldini (Avv. Ventura). Conferma Trib. Pavia
16 ottobre 1981.
Lavoro (rapporto) — Infrazione disciplinare — Genericità della
contestazione — Conseguenze (L. 20 maggio 1970 n. 300, norme sulla tutela della libertà e della dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di
lavoro e norme sul collocamento, art. 7). Lavoro (rapporto) — Infrazione disciplinare — Genericità della
contestazione — Successiva discolpa del lavoratore — Irrilevan
za (L. 20 maggio 1970 n. 300, art. 7).
È nulla per violazione di norma imperativa la sanzione disciplinare la cui inflizione sia stata preceduta da contestazione ritenuta
generica dal giudice di merito con apprezzamento di fatto in
sindacabile, se congruamente motivato, in Cassazione (nella spe
cie, al lavoratore era stato addebitato « di essere stato trovato
a svolgere altro lavoro durante il periodo di assenza per as
serita malattia »). (1) La nullità della contestazione generica di infrazione disciplinare
non è sanata dall'avere il lavoratore presentato delle discol
pe. (2) ; ;-fj
Motivi della decisione. — (Omissis). Respinto cosi il primo motivo, si osserva che con il secondo la Soc. Necchi denunzia la violazione degli art. 1418, 1324 c.c., 156 e 159 c.p.c. (art. 360, n.
3, c.p.c.) e si duole che il tribunale abbia ritenuto non sufficien temente circostanziata la contestazione dell'addebito, sebbene
questa avesse consentito l'instaurarsi di un efficace contraddittorio caratterizzato dalle difese precise e puntuali, ancorché infondate, del Caldini, ed escluso che il raggiungimento dello scopo avesse sanato l'asserita nullità della contestazione.
Anche questo motivo è infondato. Nel procedimento per l'irroga zione al lavoratore dipendente di sanzioni disciplinari da parte del datore di lavoro, la preventiva contestazione dell'addebito a norma dell'art. 7, 2° comma, statuto lavoratori assolve le finalità:
(1) V., in senso conforme, da ultimo, Cass. 17 novembre 1984, n. 5876 e 7 giugno 1984, n. 3449, Foro it., Rep. 1984, voce Lavoro
(rapporto), nn. 991, 1987. Per i riferimenti della dottrina e della giurisprudenza di merito e
per una sintesi della questione, cfr. G. Cazzara, in Commentario breve allo statuto dei lavoratori, a cura di M. Grandi e G. Pera, Padova, 1985, 21. Adde, F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Diritto del lavoro. 2°. Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 1985, 188; E. D'Avossa, Il potere disciplinare nel rapporto di lavoro, Milano, 1983, 56, anche nota 19 (entrambi gli studi in senso conforme a Cass. 5484/85).
(2) Non si rinvengono precedenti in termini.
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