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sezione lavoro; sentenza 12 novembre 1985, n. 5549; Pres. Franceschelli, Est. Alibrandi, P. M. Zema...

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sezione lavoro; sentenza 12 novembre 1985, n. 5549; Pres. Franceschelli, Est. Alibrandi, P. M. Zema (concl. parz. diff.); R.a.i.-TV (Avv. Scognamiglio) c. Candia (Avv. Predieri, De Donato). Cassa Trib. Torino 23 aprile 1981 Source: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 5 (MAGGIO 1986), pp. 1373/1374-1377/1378 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23187277 . Accessed: 28/06/2014 09:03 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 92.63.101.107 on Sat, 28 Jun 2014 09:03:13 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione lavoro; sentenza 12 novembre 1985, n. 5549; Pres. Franceschelli, Est. Alibrandi, P. M.Zema (concl. parz. diff.); R.a.i.-TV (Avv. Scognamiglio) c. Candia (Avv. Predieri, De Donato).Cassa Trib. Torino 23 aprile 1981Source: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 5 (MAGGIO 1986), pp. 1373/1374-1377/1378Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23187277 .

Accessed: 28/06/2014 09:03

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

I I

Motivi della decisione. — Con il primo motivo la ricorrente

lamenta violazione e falsa applicazione degli art. 1340, 8, 2078,

2095, 2103 c.c. e 95 disp. att. dello stesso codice, carenza e

contraddittorietà di motivazione su un punto essenziale della

controversia. La sentenza, secondo tale censura, aveva ritenuto

sussistente un uso aziendale, da ricondurre alla categoria degli usi

negoziali di cui all'art. 1340 c.c., senza peraltro tener poi conto

che le clausole d'uso, ai sensi di detta norma, si intendono

inserite nel contratto se non risulta che non sono state valutate

dalle parti e nella specie non poteva dubitarsi di tale contraria

volontà. Ma, continuava sul punto la ricorrente, gli usi normativi

costituiscono fonte sussidiaria e secondaria e pertanto ci si

doveva anzitutto porre il problema se essa fonte potesse operare

nella materia dibattuta dalla correlazione tra mansioni e qua

lifica; e la risposta avrebbe dovuto essere negativa, considerando

che la rilevanza degli usi, altresì in diritto del lavoro e nei

riguardi degli usi aziendali, postula o la mancanza di disposizioni

di legge e di contratto collettivo (art. 2078 c.c.) o uno specifico

richiamo della legge o della contrattazione collettiva (art. 8 e

2078 c.c., nonché art. 2110, 2120, ecc.); in materia di inquadra

mento e/o carriera dei dipendenti all'interno delle imprese, con

clude il ricorrente, non vi è spazio alcuno per la formazione di

usi o prassi che possono vincolare il potere del datore di lavoro,

andando al di là dei limiti fissati dalla legge e dalla contrattazio

ne collettiva di categoria o aziendale.

La censura non è fondata. È noto che la giurisprudenza e la

dottrina distinguono tra usi giuridici o normativi ed usi negozia li. I primi costituiscono fonte sussidiaria di diritto nelle materie

in cui manca del tutto la disciplina legislativa (usi praeter legem),

mentre nelle materie regolate dalla legge o dai regolamenti hanno

efficacia solo se espressamente richiamati; i secondi invece si

distinguono a loro volta in due categorie, a seconda che svolgano

la funzione di integrare la volontà delle parti in sede di forma

zione della volontà (usi contrattuali con funzioni integrative) o

quella invece di strumento di interpretazione delle pattuizioni

ambigue (usi interpretativi, quali le pratiche generali interpretati

ve ). Peraltro non vi è uniformità nell'individuare le norme del

codice che in materia di disciplina generale delle obbligazioni, a

tali distinte categorie di usi fanno riferimento: alcune sentenze

qualificano come usi negoziali le clausole d'uso di cui all'art.

1340 c.c., mentre altre ritengono dette clausole come usi normati

vi sullo stesso piano di quelli che, ai sensi dell'art. 1374 c.c.,

integrano gli effetti del contratto, mentre sarebbero usi negoziali

solo quelli interpretativi di cui all'art. 1368 c.c.

Sembra, seguendo un orientamento dottrinale, che le clausole

d'uso di cui al citato art. 1340 siano usi negoziali, e tale natura

contrattuale deve desumersi dalla stessa denominazione di « clau

sola » e dal loro inserimento nel contratto salva volontà contraria

delle parti, elementi questi che non si conciliano col carattere

normativo della consuetudine. Questa infatti, quale fonte norma

tiva, deve rimanere, come la legge, fuori del contratto, per

regolarne gli effetti, e non inserirsi in esso come negoziale; nè

potrebbe dipendere dalla volontà delle parti. E l'inserimento

previsto dall'art. 1340, comportando una parificazione dell'uso

inserito alle clausole contrattuali volute dalle parti, si risolve in

una prevaleneza dell'uso stesso sulle disposizioni suppletive di

legge, il che è tipico degli usi contrattuali, laddove, invece, quelli

normativi sono subordinati alla norma legislativa, anche dispositi

va (art. 8 disp. prel., 1374 c.c.).

Pertanto deve dirsi che, in materia di obbligazioni, il codice

prevede gli usi normativi all'art. 1374, gli usi negoziali con

funzioni integrative, quali le « clausole di uso », all'art. 1340 e gli

usi interpretativi, quali le « pratiche generali interpretative »,

all'art. 1368.

Sono stati da ultimo poi riconosciuti gli usi aziendali, compor

tamenti abituali nei rapporti interni d'impresa, in particolare a

quelli reiteratamente adottati nei confronti dei lavoratori. In

relazione a tali usi si è adottata dapprima la teoria normativa,

considerandoli appunto come usi normativi (art. 1374 c.c.), men

tre da ultimo appare prevalente la teoria contrattuale (art. 1340,

1368 c.c.).

È stato affermato, infatti, che l'uso aziendale consiste in una

prassi seguita all'interno di una determinata impresa ed è perciò riconducibile alla categoria degli usi negoziali; esso uso si inseri

sce nel contratto di lavoro individuale e, integrandone il contenuto,

ha forza vincolante per le parti che l'hanno osservato, ove deroghi al contratto collettivo in senso più favorevole al lavoratore (Cass.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 12 novem

bre 1985, n. 5549; Pres. Franceschelli, Est. Alibrandi, P. M.

Zema (conci, parz. diff.); R.a.i.-TV (Avv. Scognamiglio) c.

Candia (Avv. Predieri, De Donato). Cassa Trib. Torino

23 aprite 1981.

Lavoro (rapporto) — Usi aziendali — Natura — Fattispecie

(Disp. sulla legge in generale, art. 8; cod. civ., art. 1340, 1374,

2078, 2103, 2095; disp. att. cod. civ., art. 95).

L'attribuzione della qualifica in base a prassi aziendale

costituisce uso negoziale e non uso normativo, come tale

inserito nel contratto individuale di lavoro, ex art. 1340 c.c., salvo patto contrario. (1)

Va cassata con rinvio ad altro giudice la sentenza che abbia

ritenuto sussistere l'uso aziendale di attribuzione automatica

della qualifica di vice direttore generale della R.a.i. — la cui

previsione, in difetto di clausola del contratto collettivo, è stata

individuata dal giudice di merito con riferimento all'organi

gramma di tutte le direzioni centrali dell'ente — ai dirigenti dei

servizi della direzione centrale amministrativa, senza esaminare, ai fini dell'accertamento dell'uso aziendale stesso, le modalità di

attribuzione per prassi della qualifica negli altri settori dell'a

zienda, senza condurre un'adeguata ricerca della reiterazione

nel tempo del comportamento aziendale, e senza verificare se la

attribuzione della qualifica fosse automatica ovvero collegata a

criteri di meritevolezza. (2)

II

PRETURA DI PAVIA; sentenza 16 dicembre 1985; Giud. De

Angelis; Griffo (Avv. Melotti) c. Azienda servizi municipali zati di Pavia (Avv. Denti).

Lavoro (rapporto) — Premio di fedeltà — Corresponsione reite

rata in forza di delibera della commissione amministratrice di

azienda municipalizzata — Uso aziendale — Effetti (Cod. civ., art. 1340, 1374).

La corresponsione per oltre vent'anni di premio di fedeltà ai

dipendenti collocati a riposo con almeno trent'anni di servizio, in virtù di delibera della commissione amministratrice di azien

da municipalizzata, costituisce di per sé clausola obbligatoria del contratto individuale di lavoro, come tale non modificabile unilateralmente. (3)

(1-3) Le sentenze in epigrafe fanno propri alcuni principi della

giurisprudenza di legittimità in esse documentati: l'irrilevanza, ai fini della formazione dell'uso aziendale, dell'opmio iuris seu necessitatis

(da ultimo, v. Cass. 20 gennaio 1986, n. 359, e 10 gennaio 1986, n.

86, inedite, a quel che consta; 28 novembre 1985, n. 5906, Foro it., Mass., 1091); la qualificazione dell'uso aziendale come uso negoziale o non normativo, e pertanto la sua inserzione nel contratto individuale e non in quello collettivo (da ultimo, cfr. Cass. 23 gennaio 1986, n. 436, inedita, allo stato; 86/86, cit.; 12 dicembre 1985, n. 6260, id., Mass., 1158); la conseguenziale esclusiva sua derogabilità in melius da

parte di questi ultimi. Su tali aspetti v. la nota di G. Silvestri a Cass. 19 aprile 1980, n. 2565, id., 1980, I, 2504. Cfr., inoltre, G. Nicolini, Ancora sugli usi aziendali, in Riv. it. dir. lav., 1982, II, 714.

Cass. 5549/85 contiene alcune peculiarità che è opportuno sottoli neare. Non tanto l'applicazione dei principi suddetti in materia di

qualifica i(in proposito, v., in senso conforme, da ultimo, Cass. 359/86,

cit.) o la panoramica d'esordio (della parte motiva) sul dibattito in

tema di distinzione tra usi normativi e negoziali e sulle norme di

riferimento, quanto l'affermazione che, ove l'esistenza della prassi sia stata verificata con riferimento a tutto il personale, la ricostruzione dei

profili funzionali di una qualifica, attribuita appunto per prassi, va effettuata previo esame della situazione di tutti i lavoratori, non solo

di quelli di un limitato settore. L'affermazione non contrasta, però, con

l'orientamento, recentemente ribadito (Cass. 436/86, cit.; 28 novembre

1985, n. 5906, id., Mass., 1091) per il quale gli usi aziendali si

formano anche per un solo settore dell'azienda o per una categoria di

lavoratori. Quello che infatti la sentenza in epigrafe ha censurato della

decisione impugnata è, come è espressamente detto, la « brusca

modificazione di visuale nell'accertamento » del profilo della sussisten

za della qualifica e di quello dell'attribuzione di essa in concreto.

Per la non necessità, ai fini della formazione dell'uso, che la prassi

coinvolga la genericità di aziende di un settore, v., da ultimo, Cass.

436/86 e 6280/85, cit. Per quel che concerne Pret. Pavia 16 dicembre 1985, preme porre in

luce come l'applicazione del criterio dell'uso aziendale per raggiungere la soluzione della fattispecie, non abbia fatto prendere posizione al

pretore circa le difese delle parti (quali risultanti dallo svolgimento del

processo, qui non riportato) relative al valore vincolante o meno della

delibera della commissione amministratrice dell'ente, da cui era stato

istituito il premio di fedeltà reclamato in giudizio.

Il Foro Italiano — 1986.

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1375 PARTE PRIMA 1376

19 febbraio 1983, n. 1279, Foro it., Rep. 1983, voce Lavoro,

(rapporto), n. 524). Ed ancora è stato precisato che gli usi aziendali, riconducibili

alla categoria degli usi negoziali e non a quella degli usi

normativi, per esplicare la loro efficacia non debbono necessaria

mente interessare la generalità delle aziende di un settore, essen

do sufficiente l'affermazione di essi anche presso una sola azien

da, e debbono considerarsi inseriti, ai sensi dell'art. 1340 c.c.,

quali clausole d'uso, non già nel contratto collettivo, bensì in

quello individuale, di cui integrano il contenuto in senso mo

dificativo o derogativo, purché in melius, della regolamentazione

collettiva, con la conseguenza che la loro contrarietà a detta

regolamentazione non configura quella contraria volontà delle

parti dalla quale l'articolo citato fa discendere la mancata inser

zione dell'uso nella disciplina contrattuale, dovendo invece tale

volontà risultare dalla pattuizione individuale (Cass. 21 novembre

1983, n. 6948, id., Rep. 1983, voce Consuetudine e uso, n. 3; 6

febbraio 1982, n. 711, ibid., voce Lavoro, (rapporto), n. 525; 9

aprile 1981, n. 2051, id., Rep. 1982, voce cit., n. 642). Ed ancora è stato precisato che la prassi aziendale è riconduci

bile alla categoria degli usi negoziali o di fatto, i quali, se

prescindano dai requisiti della generalità e dell'opinione iuris seu

necessitatis propri degli usi normativi, presuppongono pur sempre l'accertata reiterazione di determinati comportamenti (Cass. 3 febbraio 1984, n. 839, id., Rep. 1984, voce Contratto in genere, n.

168). Non ha avuto seguito, poi, la tesi secondo cui la pratica

seguita abitualmente dal datore di lavoro non dà luogo ad una clausola di uso (art. 1340 c.c.), vale a dire ad un elemento

integrativo del contratto, bensì ad una prassi individuale rilevante ai sensi dell'art. 1362, 2° comma, c.c., dato che la clausola d'uso deve essere caratterizzata dai medesimi elementi strutturali dell'u so normativo (art. 1 e 8 disp. prel. c.c.). primo tra i quali la

generalità (Cass. 18 dicembre 1976, n. 4681, id., Rep. 1977, voce

Lavoro, (rapporto), n. 1026). Ritiene il collegio di dover seguire la tesi da ultimo prevalente

circa la natura contrattuale dell'uso aziendale, in quanto fondato sul principio di tutela dell'affidamento e della equità.

Ciò posto, la censura secondo cui l'uso aziendale non potrebbe trovare spazio in materia di inquadramento e/o carriera del lavoratore all'interno dell'impresa, in quanto l'applicazione dell'u so postula o la mancanza di disposizioni di legge o di contratto col lettivo (art. 2078 c.c.) o uno specifico richiamo della legge o della contrattazione collettiva (art. 8 disp. prel. e 2078 c.c.) non ha

fondamento, in quanto si basa su una nozione normativa dell'uso aziendale che deve essere respinta; trattandosi invece di uso

negoziale, cioè di clausola d'uso, esso può ben integrare il contratto individuale ai sensi dell'art. 1340 c.c.

Con il secondo motivo la ricorrente lamenta violazione e falsa

applicazione degli art. 8 disp. prel., 2078, 2085, 2103 c.c. e 95

disp. att. dello stesso codice, anche in relazione agli art. 2081 e

2103, carenza e contraddittorietà di motivazione su un punto essenziale della controversia.

La doglianza si incentra su due ordini di considerazioni, e cioè che la impugnata decisione, con motivazione carente e contraddit

toria, aveva ritenuto sussistente un uso aziendale nel senso che: 1) nella carriera dirigenziale era stata inserita la qualifica di vice direttore centrale; 2) che tale qualifica era stata attribuita ai

preposti ai servizi della direzione gestione abbonamenti. La censura è fondata in parte. L'accertamento, da parte del

giudice di merito, dell'esistenza di un determinato uso negoziale, come di un uso aziendale, è incensurabile in sede di legittimità, ove sorretto da motivazione congrua ed esente da vizi logici e

giuridici. In ordine al primo punto della censura in esame deve ritenersi

che essa non è fondata. Come già rilevato a proposito del primo motivo di ricorso, un uso aziendale in materia, anche di creazio ne di nuove qualifiche, appare consentito: la impugnata sentenza, poi, ha affermato, sulla base della documentazione acquisita (in particolare circolari ed organigrammi delle direzioni centrali della soc. R.a.i.), che quella qualifica di vice direttore centrale era

sempre sussistita.

Fondata invece è la doglianza per quanto concerne il secondo

punto. La ricorrente in proposito lamenta che il tribunale, per giun gere alla conclusione di ritenere sussistente l'uso aziendale dell'at tribuzione della qualifica di vice direttore centrale a tutti (otto) i direttori dei servizi della direzione centrale amministrativa, era incorso in vari vizi, in quanto: 1) aveva limitato la propria considerazione soltanto alla direzione centrale amministrativa, senza invece esaminare la situazione delle altre sette direzioni centrali e senza quindi rilevare come nel complesso all'epoca

Il Foro Italiano — 1986.

considerata i vice direttori centrali erano 36 ma di questi soltanto 23 erano preposti a direzione di servizi e che alla metà di tali direzioni erano preposti direttori di servizio e non già vice direttori centrali; 2) non aveva tenuto conto dei connotati di

generalità, continuità e durata, oltre che dell'elemento soggettivo, indispensabili per la formazione di un uso; 3) ritenendo inconce

pibile che ad una soltanto delle otto direzioni di servizi della direzione centrale amministrativa non fosse preposto un vice direttore centrale, non aveva rilevato un uso, bensì si era sostitui to all'imprenditore, formulando in suo luogo un giudizio di

congruità tra le mansioni di preposto al servizio gestione abbona menti e la qualifica di vice direttore centrale, al quale aveva creduto di poter vincolare lo stesso datore di lavoro; e cosi facendo aveva violato i principi, fissati dall'ordinamento giuridico, che disciplinano il potere di gestione, e specificamente di inqua dramento delle qualifiche, del datore di lavoro; 4) aveva dedotto in sostanza il diritto del Candia all'attribuzione di quella qualifica pel solo fatto che egli aveva sostituito il Di Bosia che quella qualifica aveva avuto; 5) in conclusione, sulla base di illazioni e di considerazioni di mera — ritenuta — opportunità aziendale, certamente non di competenza del giudice, si era sostituito

alL'imprenditore stabilendo che era ragionevole ed anche equo attribuire al dipendente una promozione.

L'uso aziendale negoziale, ritenuto sussistente dalla impugnata sentenza, consisterebbe nella attribuzione della qualifica di vice direttore centrale al dirigente preposto ad una direzione di servizio nell'ambito della direzione centrale amministrativa.

Il tribunale ha inteso limitare la propria considerazione alla direzione centrale amministrativa, senza volgere la propria atten zione alle altre direzioni centrali, come invece aveva fatto il

pretore. Il ragionamento sarebbe stato esatto se i vice direttori centrali

fossero stati presenti soltanto nell'ambito della detta direzione

centrale; cosi invece non era, come era pacifico e come il pretore aveva sottolineato.

Il tribunale, invece, nell'accertamento dell'uso aziendale, sotto un primo profilo — presenza di una qualifica non prevista dalla contrattazione collettiva — ha valutato la globale situazione aziendale (tanto è vero che quella qualifica ha ritenuto prevista sulla base degli organigrammi di tutte le direzioni centrali), poi, sotto il secondo profilo — attribuzione in concreto di quella qua lifica — ha limitato il proprio esame ad un settore soltanto del l'azienda (direzione centrale amministrativa).

In questo metodo di accertamento dell'uso consiste il vizio

logico in cui è incorsa la sentenza: in relazione ad entrambi i

profili la valutazione avrebbe dovuto essere effettuata con il medesimo unico criterio, avrebbe cioè dovuto essere globale.

Ed invece il tribunale, ripetesi, prima ha accertato che, per uso, era stata attribuita una qualifica non prevista dalla contrat tazione collettiva a numerosi dirigenti in servizio presso le varie direzioni dell'azienda, poi, ai fini di accertare come, in base a tale uso, era stata attribuita detta qualifica, ha ristretto l'esame delle modalità di attribuzione ad alcuni soltanto dei detti dirigen ti, quelli preposti alla direzione centrale amministrativa, ometten do di valutare invece, e di spiegare, come sarebbe stato doveroso, le modalità di attribuzione della qualifica stessa, sempre secondo il preteso uso, in genere a tutti i dirigenti, ai servizi di qualsiasi direzione preposti, che quella qualifica avevano ottenuto. E ciò nonostante che, proprio sulla base della constatazione anche del consistente numero di tutti i dirigenti aventi quella qualifica, pur non in servizio nella direzione amministrativa, la impugnata sentenza aveva tratto valido e fondamentale argomento per rite nere sussistente l'uso aziendale del conferimento di una qualifica non prevista dalla contrattazione collettiva.

In questa brusca modificazione di visuale nell'accertamento dei due profili — sussistenza della qualifica da un lato e attribuzione della stessa in concreto dall'altro — dell'uso aziendale che si è ritenuto esistente, consiste, ripetesi, il vizio logico della sentenza.

Questa, in sostanza, nel passare alla valutazione del secondo degli anzidetti profili, ha abbandonato la visuale delle qualifiche dirigenziali presenti in concreto nell'azienda, passando invece all'esame dell'organigramma, e cioè degli uffici dell'azienda; e per di più, ciò ha fatto limitando tale esame agli uffici di un settore soltanto di essa.

Tale metodo logico nell'accertamento di un uso tanto delicato, che consisteva in sostanza nel conferimento di una promozione, non appare corretto.

E proprio questo è il punto essenziale della sentenza: essa, come lamenta la ricorrente, ritenendo che in tal senso sussistesse un uso, ha in sostanza conferito una promozione che il datore di lavoro non aveva inteso conferire.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Il tribunale, oltre a tutto, non ha tenuto conto che in conclu sione veniva ad ammettere la possibilità di una promozione automatica ed addirittura una promozione per saltum, in quanto il condirettore di servizi, con la promozione a direttore di servizi, una volta preposto ad uno dei servizi della direzione centrale

amministrativa, avrebbe dovuto conseguire, automaticamente ed

immediatamente, la ulteriore promozione alla qualifica di vice direttore centrale, il che appare anomalo: ed invece proprio tale situazione la impugnata sentenza ha inteso avallare, dato che ha riconosciuto al Candia la qualifica di vice direttore centrale

proprio dal 1971, dalla data stessa cioè in cui da condirettore di servizi era stato promosso alla qualifica di direttore di servizi.

Il tribunale, quindi, nell'accertamento dell'uso, sotto il profilo della attribuzione della qualifica, avrebbe dovuto valutare la situa zione in relazione a tutti i vice direttori centrali dell'azienda, con

riguardo ai posti di organico da essi ricoperti; avrebbe dovuto valutare cioè, in riferimento a tutti i dirigenti aventi quella qualifica, le modalità di attribuzione della stessa e se detta attribuzione era stata automatica nel senso che era stata conferita contestualmente a quella di direttore di servizi, ovvero dopo un determinato periodo di tempo, come apparirebbe logico.

Il tribunale, poi, anche adottando l'ordine di idee da esso

seguito, cioè di prendere in considerazione i servizi della direzio

ne centrale amministrativa e di affermare che ad ogni servizio, sulla base dell'uso, era preposto un vice direttore centrale, avrebbe dovuto approfondire la ricerca nel tempo dandone

contezza in sentenza ed indicando dettagliatamente la documenta

zione in tal senso. Soltanto cosi sarebbe stato ammissibile ritenere

sussistente l'uso, per rigida e mai contraddetta reiterazione della

relativa previsione, secondo cui l'organigramma della soc. R.a.i.

era tale che al posto (funzione) di direttore di servizi della

direzione centrale amministrativa corrispondeva un dirigente con

qualifica di vice direttore dei servizi; solo a seguito di tale

approfondita ricerca sarebbe stato possibile cioè ritenere provato che da epoca apprezzabile tale correlazione tra funzione e qua lifica sussisteva e non fosse invece una mera coincidenza che,

all'epoca che qui viene in considerazione, tutti gli otto preposti ai

servizi di quella direzione centrale avessero la qualifica di vice

direttore centrale.

E si sarebbe dovuto accertare altresì se, pur avendo i detti otto

preposti, nel 1971, quella qualifica, questa avessero conseguito

contemporaneamente alla preposizione al servizio, ovvero in un

secondo momento.

Ma, soprattutto, si sarebbe dovuto accertare, ripetesi, stante la

massiccia presenza in tutte le direzioni centrali di dirigenti aventi

quella qualifica creata dall'uso aziendale, se tale uso fosse tale che

quella qualifica era stata attribuita quale conferimento di una

promozione ai dirigenti più meritevoli, potere questo incontestabi

le ed esclusivo del datore di lavoro, ovvero effettivamente soltan

to in relazione ad una funzione (posto di organico) aziendale; e

tale accertamento avrebbe dovuto effettuarsi in relazione a tutte

le direzioni centrali e tenendo presente che soltanto alla metà dei

servizi erano preposti vice direttori centrali e che, soprattutto, non tutti i dirigenti aventi tale qualifica (23 su 36) erano preposti a servizi. (Omissis)

II

Motivi della decisione. — (Omissis). 2. - Ma il punto più delicato della causa è un altro, e cioè se dalla delibera (legittima) del 1961 prima richiamata sia scaturito un obbligo della convenu

ta di corresponsione del premio. Al riguardo sembra inutile risolvere il problema « in sé »

quando, come nella specie, a seguito di tale atto vi è stato un

successivo comportamento ultraventennale in conformità, che ha

senz'altro integrato un c.d. uso aziendale, come tale entrato a far

parte del contenuto negoziale dei singoli rapporti di lavoro (art. 1340 e 1374 c.c.). Anche molto recentemente (Cass 19 gennaio

1985, n.173, Foro it., Mass., 41) la giurisprudenza di legittimità ha

affermato che « quando non siano imposte dalla legge, dal con

tratto collettivo o da pattuizione individuale, le erogazioni del

datore di lavoro, quale che ne sia la denominazione, devono

considerarsi come facenti parte della retribuzione, se siano corri

sposte continuativamente e ad una generalità di dipendenti,

assumendo, per effetto della prassi, anche se limitata ad una sola

azienda, la natura di emolumento dovuto per uso aziendale; in

tal caso l'originaria spontaneità, frutto di unilaterale determina

zione, escludente, inizialmente, la stretta sinallagmaticità con la

prestazione lavorativa, si trasforma, per effetto di inequivoco

comportamento delle parti, che genera una legittima aspettativa nei lavoratori, in vincolo obbligatorio, privando l'emolumento

Il Foro Italiano — 1986.

dall'originaria funzione, per attribuirgli quella diversa di integra zione del corrispettivo di detta prestazione ». E sul punto si deve sottolineare che la continuità — momento essenziale della prassi — è appunto nel fatto che per oltre venti anni il premio sia

stato corrisposto a tutti i dipendenti che abbiano maturato i

tent'anni di anzianità di servizio (e l'uso può riguardare anche

un numero esiguo di dipendenti: Cass. 17 aprile 1984, n. 2498, id.,

Rep. 1984, voce Lavoro (rapporto), n. 519), come del resto sono sta

ti e sono tutt'oggi consegnati il diploma di benemerenza e la meda

glia d'oro, aventi natura tutto sommato analoga. Sul punto è poi il caso di precisare che l'uso negoziale

pacificamente non necessita, ai fini della sua formazione, della c.d.

opinio iuris seu necessitatis (v., ad es., Cass. 6 febbraio 1982, n.

711, id., Rep. 1983, voce cit., n. 525), del resto considerata

irrilevante nel processo di formazione e di conservazione della

stessa consuetudine normativa dalla dottrina più prestigiosa. 3. - Nella memoria costitutiva è fatto cenno al mancato

recepimento del premio di fedeltà nella contrattazione collettiva. Ciò non significa, naturalmente, eliminazione di esso da parte dei

contraenti collettivi, ma, solo, che l'aspetto non è stato preso in

considerazione in tale sede. Si ricorda, del resto, che gli atti di

autonomia sindacale non possono derogare se non in melius su

quanto statuito dagli usi aziendali, proprio per la loro natura

negoziale e non normativa (ai riferimenti di cui antea, adde, ad

es., Cass. 19 aprile 1980, n. 2585, id., 1980, I, 2504) e quindi per la loro incidenza sul contratto individuale e non su quello collettivo. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 9 novembre

1985, n. 5484; Pres. Franceschelli, Est. Onnis, P. M. Golia

{conci, diff.); Soc. Necchi (Avv. Gorla, Magrone, Ardau,

Ceriani) c. Caldini (Avv. Ventura). Conferma Trib. Pavia

16 ottobre 1981.

Lavoro (rapporto) — Infrazione disciplinare — Genericità della

contestazione — Conseguenze (L. 20 maggio 1970 n. 300, norme sulla tutela della libertà e della dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di

lavoro e norme sul collocamento, art. 7). Lavoro (rapporto) — Infrazione disciplinare — Genericità della

contestazione — Successiva discolpa del lavoratore — Irrilevan

za (L. 20 maggio 1970 n. 300, art. 7).

È nulla per violazione di norma imperativa la sanzione disciplinare la cui inflizione sia stata preceduta da contestazione ritenuta

generica dal giudice di merito con apprezzamento di fatto in

sindacabile, se congruamente motivato, in Cassazione (nella spe

cie, al lavoratore era stato addebitato « di essere stato trovato

a svolgere altro lavoro durante il periodo di assenza per as

serita malattia »). (1) La nullità della contestazione generica di infrazione disciplinare

non è sanata dall'avere il lavoratore presentato delle discol

pe. (2) ; ;-fj

Motivi della decisione. — (Omissis). Respinto cosi il primo motivo, si osserva che con il secondo la Soc. Necchi denunzia la violazione degli art. 1418, 1324 c.c., 156 e 159 c.p.c. (art. 360, n.

3, c.p.c.) e si duole che il tribunale abbia ritenuto non sufficien temente circostanziata la contestazione dell'addebito, sebbene

questa avesse consentito l'instaurarsi di un efficace contraddittorio caratterizzato dalle difese precise e puntuali, ancorché infondate, del Caldini, ed escluso che il raggiungimento dello scopo avesse sanato l'asserita nullità della contestazione.

Anche questo motivo è infondato. Nel procedimento per l'irroga zione al lavoratore dipendente di sanzioni disciplinari da parte del datore di lavoro, la preventiva contestazione dell'addebito a norma dell'art. 7, 2° comma, statuto lavoratori assolve le finalità:

(1) V., in senso conforme, da ultimo, Cass. 17 novembre 1984, n. 5876 e 7 giugno 1984, n. 3449, Foro it., Rep. 1984, voce Lavoro

(rapporto), nn. 991, 1987. Per i riferimenti della dottrina e della giurisprudenza di merito e

per una sintesi della questione, cfr. G. Cazzara, in Commentario breve allo statuto dei lavoratori, a cura di M. Grandi e G. Pera, Padova, 1985, 21. Adde, F. Carinci, R. De Luca Tamajo, P. Tosi, T. Treu, Diritto del lavoro. 2°. Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 1985, 188; E. D'Avossa, Il potere disciplinare nel rapporto di lavoro, Milano, 1983, 56, anche nota 19 (entrambi gli studi in senso conforme a Cass. 5484/85).

(2) Non si rinvengono precedenti in termini.

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