+ All Categories
Home > Documents > Sezione lavoro; sentenza 13 agosto 1982, n. 4602; Pres. A. Caleca, Est. Menichino, P. M. Miccio...

Sezione lavoro; sentenza 13 agosto 1982, n. 4602; Pres. A. Caleca, Est. Menichino, P. M. Miccio...

Date post: 31-Jan-2017
Category:
Upload: phungnguyet
View: 220 times
Download: 3 times
Share this document with a friend
5
Sezione lavoro; sentenza 13 agosto 1982, n. 4602; Pres. A. Caleca, Est. Menichino, P. M. Miccio (concl. conf.); Soc. Fiat (Avv. Magrone, Ardau, Ceriani) c. D'Aniello (Avv. Leon). Cassa Trib. Milano 27 maggio 1977 Source: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 9 (SETTEMBRE 1983), pp. 2231/2232-2237/2238 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23177013 . Accessed: 25/06/2014 09:31 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.34.79.107 on Wed, 25 Jun 2014 09:31:35 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
Transcript
Page 1: Sezione lavoro; sentenza 13 agosto 1982, n. 4602; Pres. A. Caleca, Est. Menichino, P. M. Miccio (concl. conf.); Soc. Fiat (Avv. Magrone, Ardau, Ceriani) c. D'Aniello (Avv. Leon). Cassa

Sezione lavoro; sentenza 13 agosto 1982, n. 4602; Pres. A. Caleca, Est. Menichino, P. M. Miccio(concl. conf.); Soc. Fiat (Avv. Magrone, Ardau, Ceriani) c. D'Aniello (Avv. Leon). Cassa Trib.Milano 27 maggio 1977Source: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 9 (SETTEMBRE 1983), pp. 2231/2232-2237/2238Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23177013 .

Accessed: 25/06/2014 09:31

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].

.

Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.

http://www.jstor.org

This content downloaded from 195.34.79.107 on Wed, 25 Jun 2014 09:31:35 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 2: Sezione lavoro; sentenza 13 agosto 1982, n. 4602; Pres. A. Caleca, Est. Menichino, P. M. Miccio (concl. conf.); Soc. Fiat (Avv. Magrone, Ardau, Ceriani) c. D'Aniello (Avv. Leon). Cassa

2231 PARTE PRIMA 2232

sospendere il procedimento di adottabilità per il tempo necessario

alla conclusione del giudizio per la dichiarazione di paternità o

maternità), ma ancor più dallo spirito del sistema in armonia con

i principi sopra accennati sui diritti-doveri dei genitori, può desumersi il primo criterio generale, secondo cui, se la legge consente al minore di riconoscere il figlio solo al compimento del

suo sedicesimo anno di età — soprattutto allo scopo di avere una

dichiarazione che dia maggiori garanzie di conformità alla realtà

naturale — non per questo gli nega la sua condizione di genitore nel periodo precedente. Potrebbe dirsi che semel parens semper

parens, nel senso che, una volta fatto il riconoscimento del figlio da parte di chi ha raggiunto il minimo di maturità fisio-psichica

prevista dalla legge, questa lo ritiene genitore a tutti gli effetti fin

dal momento della nascita.

Il secondo criterio orientativo, già in parte espresso nella

sentenza n. 1707/81 (id., Rep. 1981, voce Adozione, nn. 64, 68) di

questa corte, è che, finché resti aperto o sia ancora apribile il

giudizio in tema di opposizione, di revoca e di revocazione dello

stato di adottabilità, di revoca dell'affidamento preadottivo, il

sopravvenire del riconoscimento del figlio da parte del genitore divenuto sedicenne, gli fa acquisire diritti sostanziali e processuali

previsti dalla legge per il genitore conosciuto.

4. - Nell'economia della presente decisione non appare necessa

rio approfondire come nei vari casi possa realizzarsi il fenomeno

ora accennato, dovendo il giudice limitare la pronuncia a quanto sufficiente alla fattispecie in esame. Nella controversia che occupa ora il collegio, con aspetti processuali diversi dal primo caso di

genitore infrasedicenne, deciso con la citata sent. 1707/81, la

madre del minore prima del compimento dei sedici anni — in

quanto non ancora considerabile genitore — non era nelle

condizioni legali di opporsi alla declaratoria di adottabilità o di

chiedere la revoca né di impugnare l'affidamento preadottivo; ma,

raggiunto quel limite di età, ha immediatamente provveduto a

riconoscere il figlio, a legittimarlo con susseguente matrimonio, a

sollecitare il p.m. per la proposizione di istanza di revoca

dell'adottabilità, ad intervenire in detto giudizio, ad impugnare la

sentenza dei primi giudici e a resistere nella presente fase.

Il ragionamento seguito dalla Corte d'appello di Bologna, sezione minorenni, appare in sostanza esatto. Rispettata, cioè, la

lettera della norma (art. 314/18, 4° comma, c.c.) secondo cui nel

caso di affidamento preadottivo, lo stato di adottabilità può essere

revocato ad istanza del pubblico ministero e ciò anche in armonia

alle ratio di evitare iniziative speculative e ingiustificate, è stato

ritenuto ammissibile nel giudizio cosi aperto l'intervento dei

genitori legittimi per far valere un loro diritto autonomo; e per coneguenza ammissibile l'impugnazione della pronuncia dei primi

giudici. Per i criteri esposti nel precedente n. 3, non può, quindi questo

collegio condividere la tesi dei ricorrenti, secondo cui i genitori legittimi « non potevano spiegare alcun intervento perché allora

(ma ciò basta) per il minore essi non erano nessuno, come

precisamente ha voluto il legislatore ».

La conferma della esattezza sostanziale della decisione della corte di Bologna, che viene censurata dal ricorrente per essere « ancora legata ai concetti tradizionali di vincoli di sangue » si trae dalla considerazione che questa corte ha più volte (sent. 3464/77, id., 1978, I, 114; 1832/78, ibid., 2795; 2409/79, id., 1980, I, 789; 2442/80, id., Rep. 1980, voce cit., n. 67) riconosciuto

legittimazione ad intervenire ed a impugnare ai coniugi affidatari. Mentre non si ravvisa un decisivo contrasto fra dette pronunce ed alcuni precedenti di questa stessa corte, dal momento che, nell'ipotesi decisa con sentenza 3128/72 (id., 1973, I, 54), il

giudizio di revoca non era stato aperto per iniziativa del p.m. e

nell'ipotesi decisa con sentenza 3318/74 (id., Rep. 1974, voce cit., n. 58), la revoca era stata chiesta dai genitori prima dell'affida mento preadottivo.

5. - Con il secondo motivo del ricorso proposto dai coniugi affidatari, mentre si afferma che accertare se esista lo stato di abbandono per statuire sulla revoca dell'adottabilità è un falso

problema, si soggiunge che ciò costituirebbe una indagine di fatto,

preclusa nella presente sede, e comunque essa non può essere

svolta per il passaggio in giudicato della sentenza dei primi giudici, una volta riconosciuta l'inammissibilità dell'appello pro posto dai genitori.

Dal momento che quest'ultima tesi è stata ritenuta infondata con la motivazione che precede, ed i ricorrenti non hanno censurato con

questioni di diritto o vizi di motivazione la seconda parte della sentenza impugnata, questa resta ferma in ordine alla fondatezza nel merito della domanda di revoca. (Omissis)

I

CORTE DI CASSAZIONE; Sezione lavoro; sentenza 13 agosto

1982, n. 4602; Pres. A. Caleca, Est. Menichino, P. M. Miccio

(conci, conf.); Soc. Fiat (Avv. Magrone, Ardau, Ceriani) c.

D'Aniello (Avv. Leon). Cassa Trib. Milano 27 maggio 1977.

Lavoro (rapporto) — Studenti lavoratori — Industria metalmec

canica privata — Corsi delle 150 ore — Permessi retribuiti

per esami — Cumulabilità — Esclusione (Cod. civ., art. 1362,

1363).

Stante la totale diversità e autonomia delle norme contenute negli art. 28 e 29 del c.c.n.l. 19 aprile 1973 per gli addetti al

l'industria metalmeccanica privata e nei correlativi art. 29 e 30

del successivo contratto 1° maggio 1976, la frequenza ai corsi

c.d. delle 150 ore non comporta anche l'attribuzione dei giorni di permesso retribuito per gli esami e per la relativa prepara

zione, di conseguenza la corte ha cassato la sentenza che non

aveva seguito tali criteri interpretativi. (1)

II

PRETURA DI PONTEDERA; sentenza 1° marzo 1982; Giud.

F. Marinelli; Andreini (Aw. Sampieri) c. Soc. Piaggio (Avv.

Benvenuti).

Lavoro (rapporto) — Studenti lavoratori — Industria metalmec

canica privata — Corsi delle 150 ore — Permessi retribuiti per esami — Cumulabilità — Condizioni.

I benefici previsti per i lavoratori che frequentano corsi di studio

«regolari» dall'art. 30 del contratto collettivo 16 luglio 1979 per l'industria metalmeccanica privata non sono automaticamente

cumulabili con i permessi retribuiti previsti dall'art. 29 dello

stesso contratto in relazione al diritto allo studio, a meno che

non ricorrano, in capo allo studente lavoratore, i presupposti

oggettivi e soggettivi per il godimento autonomo sia dell'uno

che dell'altro beneficio. (2)

(1-2) La sentenza cassata, Trib. Milano 27 maggio 1977, e quella di

primo grado, Pret. Milano 9 marzo 1977, sono rispettivamente riassunte in Foro it., Rep. 1978, voce Lavoro (rapporto), n. 492 e Rep. 1977, voce cit., n. 618. Il principio interpretativo espresso con le decisioni in

epigrafe (e che, quanto alla prima, si identifica in una diretta interpreta zione delle norme collettive da parte della Corte di cassazione, più che

con un controllo sulla motivazione e sull'applicazione dei criteri legali di ermeneutica) conferma la linea seguita dalla più recente e persuasi va giurisprudenza di merito: cfr. Pret. Reggio Emilia 6 aprile 1982,

id., Rep. 1982, voce cit., n. 1035 e Trib. Milano 18 febbraio 1981.

id., Rep. 1981, voce cit., n. 1285. Come ha posto in luce Pret. Pontedera (che non esclude, peraltro,

ove ne sussistano i presupposti oggettivi, il godimento autonomo sia

dell'uno che dell'altro beneficio), mentre i benefici di cui all'art.

30 tendono a facilitare i lavoratori- studenti « tradizionali », quei lavoratori cioè che frequentano corsi di studio « regolari » al fine di

conseguire un diploma da utilizzare in fabbrica o altrove per migliora re la propria condizione di lavoro, il diritto allo studio ex art. 29 è uno strumento particolare concesso a tutti i lavoratori perché colletti

vamente programmino un processo formativo volto all'accrescimento del

proprio livello culturale, politico e professionale. L'accento si sposta dunque da una scelta soggettiva e limitata ad una parte dei lavoratori, ad un diritto avente natura collettiva, come si evince, altresì, da alcuni indici quali la previsione di un monte-ore per tutti i lavoratori del l'azienda e di una commissione abilitata a scegliere i beneficiari delle facilitazioni.

Nel senso invece della cumulabilità tra i due benefici era finora orientata la prevalente giurisprudenza: v. per tutti Pret. Bassano del

Grappa 18 gennaio 1978, id., 1979, I, 2177, e in Nuovo diritto,

1978, 334, con nota adesiva di Taddei, In tema di permessi retribuiti

per studenti lavoratori. Da ultimo, Pret. Milano 28 settembre 1979, Foro it., Rep. 1980, voce cit., n. 502.

Per l'individuazione dei corsi che danno diritto ai permessi retribuiti ex art. 29 del c.c.n.l. 16 luglio 1979 cfr., in senso contrastante, Pret. Milano 16 marzo 1982, id., Rep. 1982, voce cit., n. 1036 e Pret. Milano 8 marzo 1982, ibid., n. 1037.

Per la differenza tra corsi regolari e corsi sperimentali, cfr. Pret. Torino 23 febbraio 1980, id., Rep. 1980, voce cit., 499.

Sul diritto di tutti i lavoratori-studenti indiscriminatamente (universi tari o medi, privatisti o non privatisti) a fruire di permessi retribuiti

per i giorni delle prove di esame, ai sensi dell'art. 10 1. n. 300 del

1970, cfr. Pret. Milano 20 febbraio 1982, id., Rep. 1982, voce cit., n. 1038 In dottrina, in senso conforme alle decisioni in epigrafe, v.

Scognamiglio, Parere « pro ventate » sulla cumulabilità delle provvi denze di cui all'art. 28 (diritto allo studio) e all'art. 29 {permessi retribuiti per i giorni di esame) disc, gen. sez. seconda del c.c.n.l. 19

aprile 1973 per l'industria metalmeccanica, in Orient, giur. lav., 1976, 330; Zanelli, in Commento al c.c.n.l. industria metalmeccanica priva ta 19 aprile 1973, 1974, 159, sub art. 28 e 29; Mammone, Diritto allo

This content downloaded from 195.34.79.107 on Wed, 25 Jun 2014 09:31:35 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 3: Sezione lavoro; sentenza 13 agosto 1982, n. 4602; Pres. A. Caleca, Est. Menichino, P. M. Miccio (concl. conf.); Soc. Fiat (Avv. Magrone, Ardau, Ceriani) c. D'Aniello (Avv. Leon). Cassa

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

I

Fatto. — Con ricorso al Pretore di Milano in data 15 ottobre 1976 i nominati in epigrafe, dipendenti tutti della s.p.a. Fiat-vei coli industriali, esponevano di aver frequentato nell'anno scolasti co 1975-76 un corso statale sperimentale nelle ore serali e fuori del l'orario di lavoro e di aver chiesto ed ottenuto le giornate di per messo per i giorni di esame di fine corso, e delle due giornate a que sto antecedenti, ma che la società non aveva loro retribuito tali

cinque giorni, pertanto essi chiedevano che la società fosse tenuta a corrispondere tale compenso ai sensi degli art. 28 e 29 del contr. coli. 1973 del settore, con la condanna di essa al pagamen to ed alla rivalutazione monetaria.

La società, costituitasi, opponeva in via preliminare il difetto di

legittimazione attiva dei ricorrenti, perché non iscritti ad alcuna associazione sindacale stipulante del contratto invocato; negava nel merito la cumulabilità dei due benefici degli art. 28 e 29 del

contratto stesso, ed in particolare la applicazione dell'art. 29 per la concessione dei permessi retribuiti per i giorni di esame e dei

due precedenti, avendo gli attori frequentato dei corsi di studio « non regolari » e quindi previsti solo dalla disciplina dell'art. 28; in subordine eccepiva che il maggior danno da svalutazione fosse

liquidato dalla data del ricorso, o da quella dell'entrata in vigore della 1. n. 533/73.

Il pretore con sentenza in data 9 marzo 1977, rigettava le

domande dei ricorrenti; su impugnazione dei medesimi soccom

benti, l'adito Tribunale di Milano con sentenza del 19-27 maggio 1977 accoglieva il gravame, condannando la società a corrisponde re a ciascuno gli importi corrispondenti ai suddetti cinque giorni.

Lo stesso tribunale riteneva, succintamente, che entrambi i

benefìci invocati dai dipendenti, erano loro dovuti, e cioè oltre la

concessione dei permessi retribuiti per la frequenza prevista dall'art. 28 contr. coli, ai corsi (per i quali non vi era questione), anche il riconoscimento del compenso per i relativi giorni di

esame. E ciò perché tra l'art. 28 e l'art. 29 del contratto collettivo

correva un rapporto di genere a specie, come appariva chiaro

dalla loro stessa rubrica: infatti la prima norma, avente carattere

generale, riconosce e regola il diritto dei lavoratori allo studio; la

seconda contiene, invece, particolari facilitazioni per la frequenza, da parte degli stessi lavoratori, dei corsi di studio e per affrontare

gli esami conclusivi. Pertanto il tribunale concludeva che la

posizione delle due norme era « chiara » e « indicativa » (sic), contenendo la seconda tutti gli elementi della prima, ed in più le

particolari facilitazioni per rendere appunto effettivo il diritto allo

studio.

Avverso tale sentenza la S.p.A. Fiat-veicoli industriali ha pro posto ricorso con quattro mezzi di annullamento, illustrati anche con memoria; dei dipendenti intimati ha resistito con controricor so soltanto il D'Amelio Francesco, mentre gli altri non si sono

costituiti.

Motivi della decisione. — (Omissis). Ccn il terzo motivo la socie

tà deduce la violazione degli art. 1362 e 1363 c.c. sulla interpretazio ne dei contratti, e con ampie argomentazioni sostiene che gli art. 28

e 29 del contratto collettivo del 19 aprile 1973, come quelli 29 e

30 del contr. coli. 1° maggio 1976, hanno una diversa sfera di

efficacia; specifica che i « corsi speciali » previsti dall'art. 28 (1°

contratto) non possono confondersi con i regolari « corsi di

studio» di cui all'art. 29 (1° contratto), e pertanto mentre per i

primi sono consentite le ed. «150 ore» di espletamento, senza ulteriori aumenti per i giorni dì esame essendo questi ricompresi

studio, studenti lavoratori e addetti all'industria metalmeccanica pri vata, in Dir. lav., 1978, II, 141.

Contra, Lega, I lavoratori e il diritto allo studio, in Riv. dir. lav., 1977, I, 146. Cfr., invece, per la netta distinzione tra l'aspetto puramente individuale, tutelato dall'art. 10 dello statuto, e quello più propriamente « collettivo » del diritto allo studio M. Ricci, Lo sta tuto dei lavoratori, in Commentario diretto da Giugni, Milano, 1979, 126 ss., nonché, per un'attenta valutazione delle finalità perseguite dal movimento sindacale mediante l'introduzione dei corsi c.d. delle 150 ore, Id., Aspetti giuridici del diritto allo studio, in Dir. lav., 1976, I, 114.

Sulla tutela « collettiva » del diritto allo studio v. Carinci, Commento all'art. 29, in AA.VV., Il contratto dei metalmeccanici. Commento al contratto collettivo nazionale 1" maggio 19,76 per i lavoratori addetti all'industria metalmeccanica privata, Bologna, 1978, 120 ss. Più in generale, sul diritto dei lavoratori allo studio ex art. 10 dello statuto v. per tutti Pera (Assanti), Commento allo statuto dei diritti dei la voratori, Padova, 1972, 126 ss., sub art. 10.

Per un ampio esame della contrattazione collettiva in tema di diritto allo studio, cfr. 'Polverari-La Porta, La contrattazione collettiva per la formazione dei lavoratori, in I.a.l.-C.i.s.l., Quaderni formazione doma ni, 1976, n. 4, 69 ss.; Varesi, L'alternanza studio-lavoro nella contrat tazione collettiva e nella legislazione, in Riv. giur. lav., 1981, I, 203.

in detto numero, per l'espletamento dei secondi da parte dei « lavoratori studenti », sono previste le diverse facilitazioni delle 120 ore di permesso non retribuito e dei giorni retribuiti di esame e di relativa preparazione; conclude che nel caso presente i

permessi di esame non possono essere retribuiti, perché i corsi

frequentati erano quelli serali (rientranti in quelli delle c.d. « 150 ore »).

Tali doglianze sono fondate. IL tribunale infatti non ha osser vato i criteri legali di interpretazione dei contratti — e che

valgono anche in ordine a quelli collettivi postcorporativi di natura privatistica — concernenti l'indagine della comune inten zione delle parti e del loro comportamento complessivo (art. 1362

c.c.), e l'interpretazione delle clausole in modo che a ciascuna sia

attribuito il senso risultante dal complesso dell'atto (art. 1363

c.c.). Esso al contrario, collegando le due clausole degli art. 28 e 29 (contr. coli. 1973) e degli art. 29 e 30 (contr. coli. 1976), con un preteso rapporto di genere a specie, ha attribuito a tali norme un significato che non era quello voluto dalle parti, ed ha in realtà creato una nuova diversa norma che comprendeva per la

prima ipotesi prevista anche il trattamento riservato esclusiva mente alla seconda diversa previsione.

Invero, dal punto di vista della successione delle norme con trattuali in materia, che è pure utilizzabile per comprendere il

significato effettivo delle parole e della volontà degli stipulanti, devesi tener presente che il contratto collettivo del 15 dicembre

1966 e quello dell'8 gennaio 1970 già contenevano le norme che

concedevano facilitazioni ai fini della frequenza, e permessi per i

giorni di esame a favore soltanto dei « lavoratori studenti », e cioè

di quei dipendenti (sia operai, che impiegati, nelle rispettive normative) i quali erano iscritti a corsi regolari di studio (anche se

soltanto serali per il contr. coli. 1966), in scuole pubbliche o

parificate o riconosciute, per il conseguimento di un titolo legale di studio, ovvero erano iscritti a corsi universitari.

Tale previsione, che è poi stata regolata dall'art. 29 (contr. coli.

1973) e dall'art. 30 (contr. coli. 1976), costituisce quindi una

norma del tutto preesistente, ed interamente completa ed autono

ma rispetto a quella concernente i diversi corsi di studio diretti al

miglioramento della propria cultura (art. 28 contr. coli. 1973 e 29

contr. coli. 1976), o i corsi sperimentali per il recupero dell'attuale

scuola dell'obbligo (art. 29, ult. comma, contr. coli. 1976). Pertanto

appare del tutto errata l'argomentazione del tribunale secondo cui

la norma concernente i corsi di studio regolari costituisce una

previsione « speciale » che si inserisce nella pretesa norma genera le sul diritto allo studio, in modo che anche i benefici considerati

in essa norma speciale siano già considerati — e perciò da

attribuire — per coloro che frequentino anche i soli corsi indicati

dalla norma generale. Al contrario la disciplina dei « corsi regola ri » era già esistente e completa prima dell'introduzione di quella relativa ai corsi di aggiornamento e di recupero.

Un secondo errore, nella interpretazione delle clausole contrat

tuali in questione, inerisce a quello della esatta attribuzione del

senso di esse, desunto dal necessario riferimento dell'una con

l'altra e del complessivo intento derivante dall'intero atto in cui

esse sono contenute.

Invero dal contemporaneo e comparativo esame delle due

norme risulta evidente che la prima di esse (art. 28 contr. co-li.

1973 e art. 29 contr. coli. 1976) riguarda i lavoratori che non

frequentano regolari corsi di studio — di ordine tradizionale per conseguire il relativo titolo ordinario (di scuole superiori o di ordine universitario) — ma i lavoratori che intendono seguire corsi di aggiornamento o di recupero della scuola media dell'ob

bligo; che essa inerisce a quello che è stato definito un « diritto

collettivo » nel senso che un gruppo di lavoratori può usufruire

di un numero complessivo di ore retribuite di frequenza, da

attingere nel monte ore triennale all'uopo predisposto, messo a

disposizione di tutti i dipendenti e calcolato in base al loro

numero complessivo; che inoltre tale diritto collettivo si fraziona

poi nell'utilizzo individuale dei permessi retribuiti, in misura pari a 150 ore triennali per i corsi liberi, oppure a 250 ore triennali, e

comprensive delle prove di esame, nel caso di frequenza dei corsi

sperimentali per il recupero della scuola dell'obbligo. Per i

lavoratori che seguono tali corsi, pertanto, sono previsti i permes si retribuiti come sopra complessivamente calcolati e comprensivi anche di quelli per gli esami (di licenza media), senza l'ulteriore

concessione di altri giorni di permessi retribuiti per esami e

preparazione relativa.

La seconda di tali norme (art. 29 contr. coli. 1973 e 30 contr.

coli. 1976), invece, concerne i soli « lavoratori studenti » i quali

seguono i corsi normali di studio, di scuola superiore o di

università, ed usufruiscono del beneficio di potersi assentare dal

lavoro per 120 ore con permessi non retribuiti, nell'anno solare, nonché per i giorni di esame e per i due lavorativi precedenti, con permessi retribuiti. E ciò perché tali lavoratori devono

Il Foro Italiano — J985 — Parte I-143.

This content downloaded from 195.34.79.107 on Wed, 25 Jun 2014 09:31:35 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 4: Sezione lavoro; sentenza 13 agosto 1982, n. 4602; Pres. A. Caleca, Est. Menichino, P. M. Miccio (concl. conf.); Soc. Fiat (Avv. Magrone, Ardau, Ceriani) c. D'Aniello (Avv. Leon). Cassa

2235 PARTE PRIMA 2236

conseguire un titolo di studio legale, collegato ad un regolare corso di studi, che essi effettuano con il duplice loro impegno di

studenti e di lavoratori. Pertanto il particolare beneficio del

permesso retribuito per ogni giorno di esame (sempreché non sia

ripetuto oltre la seconda volta per quelli di carattere universita

rio) e per i due di preparazione precedenti, attiene soltanto ai

« lavoratori studenti », e non anche a coloro che seguono i diversi

corsi di aggiornamento o di recupero. La totale diversità delle due fattispecie risulta, del resto, anche

dalla espressa previsione contenuta nella parte finale della norma

concernente i « lavoratori studenti » nel senso che i permessi (per i

giorni di esame e per i due lavorativi precedenti) non intaccano il

monte ore a disposizione in base alla norma del « diritto allo

studio » (art. 28 contr. coli. 1973 e 29 contr. coli. 1976). Invero

tale divieto di defalcare dal monte ore triennale i permessi retribuiti dei lavoratori studenti risponde allo scopo di non

restringere il diritto collettivo dei lavoratori al godimento delle

« 150 ore » dei corsi speciali, non facendovi partecipare appunto

quelli iscritti a corsi regolari di studio, ossia estranei alla funzione

politico sociale di generale incremento culturale, propria del dirit

to allo studio.

Devesi dunque concludere nel senso che la totale diversità e

autonomia delle due norme collettive esaminate esclude la cumu

labilità dei due benefici in esse rispettivamente previsti, e che la

frequenza ai corsi c.d. delle 150 ore non comporta anche l'attri

buzione dei giorni di permesso retribuito per gli esami relativi.

La sentenza impugnata non ha seguito tali criteri interpretativi e perciò deve essere cassata, in accoglimento del terzo motivo di

ricorso, con la conseguente remissione della causa ad altro giudice di appello. Questo, che si designa nel Tribunale di Como, sez.

lavoro, provvederà al riesame della controversia su tale punto

specifico secondo i principi già esposti. (Omissis)

II

Motivi della decisione. — La presente controversia individuale

di lavoro trae origine unicamente dall'interpetrazione congiunta

degli art. 29 e 30 disc. gen. sez. Ili del c.c.n.l. 16 luglio 1979

(tuttora vigente), più specificamente dalla possibilità di cumulare

entrambi i benefici, previsti negli articoli richiamati, in capo ad

un unico lavoratore-beneficiario (prospettazione del ricorrente)

oppure dalla impossibilità di effettuare il predetto cumulo (pro

spettazione della resistente). In punto di fatto entrambe le parti forniscono la medesima

versione senz'alcuna controversia.

Non deve apparire una mera digressione il richiamo stori

co-normativo della istituzione dei benefici predetti. Già con il c.c.n.l. 15 dicembre 1966, infatti, furono introdotte

nel settore metalmeccanico particolari facilitazioni per i c.d.

lavoratori-studenti.

La definizione normativa del loro status si riscontra nel contrat

to collettivo per l'industria metalmeccanica dell' 8 gennaio 1970

nel senso che lavoratori-studenti sono « gli iscritti e frequentanti corsi regolari di studio in scuole di istruzione primarie, secondarie

o di qualificazione professionale, statali, parificate o legalmente riconosciute o, comunque, abilitate al rilascio di titoli legali di

studio ».

Del tutto conforme è la qualificazione che si rinviene all'art. 10

1. 20 maggio 1970 n. 300 nonché all'art. 30 disc. gen. sez. Ili del

c.c.n.l. in vigore. A coloro che rispondono ai suddetti requisiti si riconosce il

diritto, su loro richiesta, di essere immessi in turni di lavoro che

agevolino la frequenza ai corsi e la preparazione agli esami. Essi

sono, inoltre, esonerati dal lavoro straordinario ed hanno diritto a

permessi retribuiti per i giorni di esame e per due giorni antecedenti ciascuna prova.

Possono, infine, usufruire nel corso dell'anno solare di 120 ore

di permessi non retribuiti per meglio provvedere alla loro prepa razione o a particolari esigenze connesse con la frequenza al

corso di studi.

Solo a seguito della contrattazione collettiva del 1973 fu introdotto e disciplinato il c.d. « diritto allo studio » a favore di tutti i lavoratori dell'azienda e con la finalità dichiarata di portare al miglioramento latu sensu della loro cultura anche in relazione all'attività della azienda.

Per tutti i beneficiari il miglioramento culturale può raggiunger si con la frequenza di corsi di studio presso istituti pubblici o

legalmente riconosciuti con predisposizione di un monte-ore trien nale da utilizzare in permessi regolari retribuiti.

Le predette ore di permesso programmate nell'arco di un triennio possono usufruirsi anche in un solo anno. I permessi sono previsti in un limite massimo di 150 ore pro capite, elevatole a 250 ore in caso di frequenza dei corsi sperimantali per

il recupero della scuola dell'obbligo e per la alfabetizzazione

degli adulti. L'introduzione della normativa collettiva predetta veniva commentata subito dopo il raggiungimento dell'accordo nel

senso che: « con le 150 ore di studio conquistate per tutti i

lavoratori si ottiene una svolta fondamentale rispetto alla linea

rivendicativa che poneva il problema con il riferimento alla

figura particolare dei lavoratori-studenti ».

« L'accento si sposta da una scelta soggettiva e limitata ad una

parte dei 'lavoratori, ad un diritto collettivo: si tratta di privile

giare non già il singolo lavoratore che sceglie di frequentare un

corso serale per conseguire un diploma da « spendere » in fabbri

ca o altrove, per migliorare la propria condizione di lavoro

attraverso una mobilità individuale, ma uttti i lavoratori che

collettivamente programmano un processo formativo per far cre

scere il proprio livello culturale politico e professionale, per rifondare una cultura» (da Fabbrica e Stato, 1973, fase. 7/8,

pag. 61 ss., numero speciale dedicato alle 150 ore conquistate dai

metalmeccanici per il diritto allo studio). Da sottolineare che tale commento interpretativo fu espresso

dalle stesse organizzazioni sindacali unitarie dei lavoratori.

Traspare da quanto detto la diversità normativa degli art. 29 e

30 c.c.n.l. metalmeccanici sia sotto il profilo delle finalità, che dei

destinatari, che dei distinti meccanismi mediante i quali le due

norme in questione vengono ad operare. Evidente appare a questo giudicante che nel predetto art. 29

prevale la considerazione della crescita culturale di base, generi camente e globalmente considerata; in tal senso si richiede

specificamente la frequenza di corsi di studio anche a carattere

monografico o a « tema libero » presso pubblici istituti (o legal mente riconosciuti) e a tale frequenza si commisura lo stesso

diritto ai permessi retribuiti fino ad un massimo di 150 ore pro

capite, elevabile a 250 nel caso specifico di recupero della scuola

d'obbligo o di eliminazione dell'analfabetismo.

Nell'art. 30 predetto, invece, l'ampio beneficio di cui all'art. 29

(collettivamente considerato) si restringe ed entra in funzione

unicamente a favore del singolo lavoratore-studente nel presuppo sto della iscrizione e frequenza di quest'ultimo a regolari corsi di

studio e, in tal senso, non può sostenersi ohe il beneficio non

venga singolarmente considerato.

È inutile far qui un mero riferimento alla dicotomia tra un

diritto collettivo o civico e un diritto particolare o soggettivo: situazioni giuridiche che in senso del tutto traslato denotano una

diversità ontologica dei benefici di cui agli art. 29 e 30 predetti.

Sempre in via del tutto esemplificante e tralaticia, ben potrebbe, con riferimento al singolo lavoratore, ritenersi nell'ipotesi di cui

all'art. 29 una situazione di interesse legittimo e nell'altra succes

siva una di diritto soggettivo.

Appare marcata una preminenza dell'art. 29 cit., atteso che il

beneficio in esso previsto viene incontro a masse più consistenti

di lavoratori (talvolta il beneficio si estende alla totalità delle maestranze di un'intera fabbrica con evidente vantaggio oltre che della cultura anche della capacità produttiva aziendale sia pure di riflesso), elimina difficoltà e differenze e riconduce i lavoratori a processi di apprendimento sempre più elevati rispetto all'origi naria cultura di base.

La diversità ontologica delle due norme si rinviene anche

perché nella prima si ha l'intervento di organismi collettivi di

rappresentanza dei lavoratori nella determinazione ed utilizzazione del monte-ore; nella seconda le facilitazioni trovano attuazione su decisione del singolo lavoratore-studente che si pone direttamente in contatto con l'azienda al di fuori di ogni intervento delle

rappresentanze sindacali aziendali.

Rimarchevole appare, inoltre, che per l'attuazione del c.d. « diritto allo studio » (art. 29 cit.) viene istituito un monte-ore triennale calcolato sul numero dei dipendenti e, per un arco di

tempo uguale alla durata del contratto collettivo, viene prevista la

possibilità di accesso a favore di una quota determinata di

lavoratori e la durata dei corsi; viene disposto che i permessi siano retribuiti in quanto l'attuazione del diritto allo studio viene a sospendere l'effettiva prestazione, cadendo in orario di lavoro. Cosi come ha giustamente affermato il procuratore del convenuto « la realizzazione del diritto coinvolge tutti i lavoratori, le loro

rappresentanze sindacali e l'azienda in un sistema di programma zione a carattere collettivo ».

« Diversamente, il beneficio di cui all'art. 30 cit. viene goduto dal lavoratore-studente a sua esclusiva richiesta e all'unica condi zione che sia iscritto e frequenti corsi regolari di studio ».

In tale caso egli può ottenere rassegnazione a turni compatibili con le esigenze scolastiche, l'esonero da lavoro straordinario e

permessi retribuiti limitatamente ai due giorni precedenti gli esami e a quello di reale svolgimento degli esami stessi, oltre a 120 ore di permesso non retribuito nell'arco dell'anno solare. Tutte le suesposte diversità delle due norme sottoposte all'esame

This content downloaded from 195.34.79.107 on Wed, 25 Jun 2014 09:31:35 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 5: Sezione lavoro; sentenza 13 agosto 1982, n. 4602; Pres. A. Caleca, Est. Menichino, P. M. Miccio (concl. conf.); Soc. Fiat (Avv. Magrone, Ardau, Ceriani) c. D'Aniello (Avv. Leon). Cassa

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

di questo decidente (diversità ontologica, di fonte normativa, di

beneficiari, di oggetto, di finalità e di strumenti di operatività delle stesse) inducono ragionevolmente a ritenere l'autonomia netta dei due benefici in esse contenuti.

Conseguentemente, non è ipotizzabile una cumulazione pura e

semplice degli stessi in testa allo studente-operaio, come nel caso di specie.

■Ciò non pregiudica minimamente lo studente-operaio, atteso che

lo stesso può, comunque, godere di entrambi i benefici a condi

zione che ricorrano i presupposti oggettivi e soggettivi per il

godimento autonomo sia dell'uno che dell'altro.

Ulteriori elementi di convincimento della suesposta tesi inter

pretativa possono trarsi da una integrazione introdotta nel testo

dell'art. 30 cit. in sede di rinnovo del contratto collettivo del

1976.

In essa si precisa che i permessi concessi ai lavoratori studenti « non intaccano il monte-ore a disposizione in base alla norma del

diritto allo studio di cui all'art. 29 (cit.) ».

Ne deriva il divieto per il datore di lavoro di defalcare dal

monte-ore di cui all'art. 29 le facilitazioni riservate ai lavoratori

studenti; e ciò a riconferma dell'autonomia normativa dei due

benefici.

Tale opportuno inserimento è valso ad eliminare un restringi mento del diritto collettivo dei lavoratori al godimento delle c.d. « 150 ore » a favore del beneficio stesso concesso ai lavoratori

studenti (singolarmente considerati), con conseguente vanificazione

della ratio dell'art. 29 cit., afferente a motivazioni ed interessi di

carattere essenzialmente generali e pubblici. Le parti contraenti invero (cui il giudice non può sicuramente

sostituirsi in alcun caso) hanno considerato preminente il « diritto

allo studio » inteso in senso collettivo. Il riscatto dei lavoratori,

infatti, da condizioni sub-culturali o di analfabetismo o di

deficiente scolarità doveva prevalere rispetto al diritto di coloro

che (sia pure per fini encomiabili) volevano conseguire un titolo

di studio superiore, teso a migliorare la loro posizione professio nale od economica nell'azienda o valevole anche fuori dell'azienda

per altre attività (anche autonome). È da escludere, con riferimento alle due norme di specie,

qualsiasi profilo di incostituzionalità (ex art. 3 Cost.) sia perché si

è in presenza di normativa collettiva pattizia e non di legislazione ordinaria o avente valore ordinario, sia perché la diversa

autonoma regolamentazione del « diritto allo studio » e delle « faci

litazioni » per i lavoratori-studenti trae origine dalla diversità

ontologica e soggettiva delle due situazioni giuridicamente tutelate.

Da ultimo appare non inopportuno qui richiamare la piattaforma rivendicativa del gruppo nazionale Piaggio, allegata in atti, ove al

punto F) capoverso si legge che tra le richieste da avanzare in

sede di prossima contrattazione vi è la « estensione del diritto a

permessi retribuiti dell'art. 29, disciplina generale sez. 3°, del

c.c.n.l. (150 ore) anche per alcuni casi previsti dall'art. 30 ».

Tale proposizione denota la consapevolezza anche di una delle

parti contraenti della non automatica cumulabilità dei due be

nefici e la scelta della via più adeguata per giungere alla

estensione (sia pure parziale) congiunta di benefici medesimi in

capo ad un unico lavoratore-beneficiario, atteso che la materia è

rimessa all'autonomia negoziale delle parti contraenti e che il

giudice deve limitarsi unicamente a interpretare le volontà nego ziali espresse dalle stesse poiché ogni modifica ed ogni inte

grazione normativa è rimessa esclusivamente ad una pattuizione delle parti contraenti.

Circa la richiesta di risarcimento del danno proposta dall'An

dreini non vi è dubbio che debba essere disattesa.

Sotto tale profilo è assorbente la suestesa motivazione dalla

quale si evince la carenza del diritto del ricorrente a usufruire

nell'ipotesi di specie del beneficio di cui all'art. 29 cit. cumulati

vamente a quello dell'art. 30 cit. e, conseguentemente, la legittimità del riliuto da parte dell'azienda convenuta di concedere tale non

dovuto beneficio.

Incidenter tantum appare opportuno sottolineare che dall'inter

rogatorio reso dal ricorrente, che qui s'intende interamente ri

chiamato, traspare la carenza materiale del danno cosi come

lamentato e prospettato dall'Andreini sia sotto il profilo del

« lucro cessante » che del « danno emergente » (la carenza di un

fatto-reato generatore del debito risarcitorio esclude nel caso di

specie la risarcibilità di eventuali danni morali), atteso che il

medesimo, per sua stessa ammissione, non ha avuto né ritardi, né

omissione di esami ed ha puntualmente ottenuto e usufruito a

sua richiesta dei permessi retribuiti di cui all'art. 30 cit. Ne

deriva l'integrale rigetto del ricorso sia sotto il profilo del

riconoscimento del diritto all'ottenimento del beneficio di cui

all'art. 29 cit. in testa al ricorrente, sia sotto il profilo, conseguen

ziale, del risarcimento del danno derivante dell'omesso riconosci

mento di tale diritto. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; Sezione I civile; sentenza 13 luglio 1982, n. 4107; Pres. Mazzacane, Est. Borruso, P.M. Sgroi V.

(conci, conf.); Anguilano (Avv. Verna) c. Cavallari e Proc.

gen. App. Bologna. Cassa App. Bologna 29 aprile 1980.

Adozione — Adozione speciale — Stato di abbandono — Fatti

specie (Cod. civ., art. 314/4).

Va cassata, per difetto di motivazione, la sentenza che abbia dichiarato lo stato di adottabilità di un minore in base alle

seguenti considerazioni: a) sussisteva abbandono solo morale da

parte della madre, la quale non era riuscita a mantenere con la

figlia un rapporto affettivo idoneo a causa dell'esercizio da parte sua della prostituzione e dell'affidamento della piccola a terzi nelle ore destinate a tale attività; b) non era attendibile il

proponimento manifestalo dalla madre di abbandonare l'eserci zio del meretricio. (1)

(1) La sentenza riportata non enuncia un vero e proprio principio di diritto ma si limita — come si desume agevolmente dalla massima — a rilevare l'insufficienza della motivazione addotta dai giudici di merito, fuorviati probabilmente da talune petizioni di principio. Nondimeno, la corte offre alcuni spunti di particolare interesse in relazione al requisito dell'® abbandono materiale e morale» richiesto dall'art. 314/4 c.c. ai fini della dichiarazione dello stato di adottabilità di un minore. Si rileva infatti l'impossibilità di separare meccanicamente l'abbandono morale da

quello materiale, con la conseguenza, non priva di rilievo, che per dichiarare lo stato di adottabilità è necessario valutare se l'assistenza in concreto prestata garantisca complessivamente al minore l'appagamento del suo bisogno di cure e di affetto da parte dei genitori, requisiti necessari perché la sua personalità possa realizzarsi in modo normale. In proposito, cfr. Trib. min. Milano 20 novembre 1968, Foro it., 1969,

I, 517, a cui dire « è di tutta evidenza che l'espressione usata dalla legge all'art. 314/4, 1" comma («privi di assistenza materiale e morale») non va intesa in senso assoluto, ma si sostanzia invece nella sensibile riduzione di atti e prestazioni normalmente dovuti ai propri figli e

quindi nella carenza di affetti e di attenzioni », senza dire che « la sussistenza del requisito di cui all'art. 314/4 non è riconducibile a schemi generali ma va riconosciuta concretamente, caso per caso, tenendo presenti gli oggettivi elementi emersi ed avendo come fine ultimo il contemperamento dell'interesse dei genitori con quello del minore, che si concreta nell'esigenza di una normale formazione psico fisica ». V., altresì, Trib. min. 'Palermo 29 giugno 1968, id., Rep. 1969, voce Adozione, n. 37, ove si afferma che lo stato di abbandono previsto e considerato dall'art. 314/4 consiste nella privazione delle prestazioni che i genitori devono effettuare nei confronti dei figli secondo il comune modo di comportarsi della società in cui vive il soggetto considerato. In sede di legittimità v. Cass. 21 novembre 1978, n. 5401, id., Rep. 1978, voce cit., n. 43; 14 aprile 1978, n. 1762, id., 1979, I, 2048; 14 febbraio 1980, n. 1068, id., Rep. 1980, voce cit., n. 49; 30 marzo 1981, n. 1822, id., Rep. 1981, voce cit., n. 37; 22 luglio 1980, n.

4782, id., 1981, I, 71, con nota redazionale di G. Salmè; nonché Cass. 29 gennaio 1981, n. 688, id., Rep. 1981, voce cit., n. 48; 14 aprile 1981, n. 2216, ibid., n. 30; 17 novembre 1981, n. 6105, ibid., n. 31.

In dottrina, v., da ultimo, Rossi Carleo, L'adozione speciale, Persone e famiglia, in Trattato di diritto privato, diretto da Rescigno, Tori

no, 1982, IV, 3°, 295 ss., a cui dire « è evidente che nella realtà delle

fattispecie concrete è quasi sempre difficile distinguere fra una valuta zione meramente quantitativa ed una valutazione qualitativa, ciò perché l'intima concatenazione fra assistenza morale e materiale non permette meccaniche suddivisioni »; Bessone e Ferrando, L'adozione speciale, voce del Novissimo digesto, appendice, 1980, I, 95 ss.; Palladino, L'adozione speciale (note di commento alla l. 5 giugno 1967 n.

431), in Corti Brescia e Venezia, 1967, 561, il quale afferma doversi ricercare il parametro di valutazione dell'esistenza dello stato di adottabilità « nell'id quod plerumque accidit in una normale famiglia anche di modeste condizioni economiche », sicché « sono da ritenersi

privi di assistenza materiale e morale quei minori nei cui confronti non siano adempiuti i più elementari doveri di un sufficiente sostentamento e di educazione »; Agostino, Osservazioni sullo stato di adottabilità nella nuova legislazione, in Foro pad., 1969, il, 953, che sostiene la necessità di interpretare congiuntamente la formula « abbandono mate riale e morale » in quanto si tratta di una disposizione particolare che ammette un'interpretazione restrittiva; I. Baviera, L'adozione speciale, Milano, 1968, 79 ss., il quale afferma non potersi distinguere precisa mente fra assistenza materiale e morale, per il motivo che « l'una si intreccia e si combina con l'altra in modo tale da non lasciare scorgere due entità distinte, ma da presentarsi come una sola entità qualificata dall'altra », in quanto « ogni singola prestazione in favore dei figli ha

sempre qualcosa di materiale e qualcosa di morale ».

Sotto altro profilo la sentenza si aggiunge alle precedenti pronunce con cui la corte di legittimità ha affermato l'insufficienza della condotta immorale dei genitori, o di uno di essi, ad integrare di per sé lo stato di abbandono: cfr., nei termini della controversia, Cass. 21 luglio 1978, n. 3624, Foro it., Rep. 1978, voce cit., n. 63, richiamata in motivazione, la quale non ha difficoltà ad ammettere che anche una prostituta può educare convenientemente i propri figli senza compromettere il loro normale sviluppo psico-fisico. Del resto già Cass. 3 settembre 1976, n.

3076, id., Rep. 1976, voce cit., n. 21, sottolineava la necessità di

This content downloaded from 195.34.79.107 on Wed, 25 Jun 2014 09:31:35 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions


Recommended