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sezione lavoro; sentenza 13 luglio 2001, n. 9554; Pres. Trezza, Est. De Matteis, P.M. Sepe (concl....

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sezione lavoro; sentenza 13 luglio 2001, n. 9554; Pres. Trezza, Est. De Matteis, P.M. Sepe (concl. parz. diff.); Colombari (Avv. Ramadori, Gallotta) c. Pasqualini (Avv. Ottolenghi). Cassa Trib. Ferrara 20 settembre 1999 Source: Il Foro Italiano, Vol. 124, No. 10 (OTTOBRE 2001), pp. 2793/2794-2795/2796 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23196309 . Accessed: 28/06/2014 11:22 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.213.220.163 on Sat, 28 Jun 2014 11:22:35 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione lavoro; sentenza 13 luglio 2001, n. 9554; Pres. Trezza, Est. De Matteis, P.M. Sepe (concl.parz. diff.); Colombari (Avv. Ramadori, Gallotta) c. Pasqualini (Avv. Ottolenghi). Cassa Trib.Ferrara 20 settembre 1999Source: Il Foro Italiano, Vol. 124, No. 10 (OTTOBRE 2001), pp. 2793/2794-2795/2796Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23196309 .

Accessed: 28/06/2014 11:22

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

di scelte maturate nell'ambito della contrattazione sindacale e, come tali, operate dall'ente in posizione (non di supremazia, ma) di parità rispetto agli altri soggetti del rapporto (Cass., sez.

un., 9 aprile 1999, n. 231/SU, ibid., voce Responsabilità conta

bile, n. 675). Ed è pertanto evidente che tali atti sono inidonei a

fondare responsabilità perseguibili presso il giudice contabile.

5. - I ricorsi debbono essere quindi accolti, dichiarandosi la

giurisdizione del giudice ordinario.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 13 luglio 2001, n. 9554; Pres. Trezza, Est. De Matteis, P.M. Sepe

(conci, parz. diff.); Colombari (Avv. Ramadori, Gallotta) c.

Pasqualini (Avv. Ottolenghi). Cassa Trib. Ferrara 20 set

tembre 1999.

Lavoro (rapporto di) — Licenziamento — Impugnazione —

Richiesta di tentativo di conciliazione comunicata nel ter

mine di sessanta giorni — Decadenza — Esclusione (L. 15

luglio 1966 n. 604, norme sui licenziamenti individuali, art. 6; 1. 11 maggio 1990 n. 108, disciplina dei licenziamenti indivi duali, art. 5).

La comunicazione al datore di lavoro da parte dell'(allora) uf

ficio provinciale del lavoro e della massima occupazione, nel

termine di cui all'art. 6 l. 15 luglio 1966 n. 604, della richie

sta di espletamento della procedura obbligatoria di concilia

zione, prevista dall'art. 5 l. 11 maggio 1990 n. 108, conte

nente l'impugnativa scritta del licenziamento da parte del la

voratore, impedisce la decadenza ivi contemplata. ( 1 )

(1) La sentenza in epigrafe si discosta consapevolmente da un pro

prio «lontano precedente», come è ivi detto, che però prescindeva dal

l'art. 5 1. 11 maggio 1990 n. 108 (cfr. Cass. 18 luglio 1991, n. 8010, Foro it., Rep. 1992, voce Lavoro (rapporto), n. 1530, e, per esteso, Riv.

it. dir. lav., 1992, II, 1025, con nota di L. Massart, La convocazione del datore di lavoro da parte dell'ufficio del lavoro per il tentativo di

conciliazione vale come impugnazione del licenziamento?). In senso

conforme, cfr. D. Borghesi, Il tentativo di conciliazione e l'arbitrato nei licenziamenti, in AA.VV., La disciplina dei licenziamenti dopo le l.

108/90 e 223/91 a cura di F. Carinci, Napoli, 1991, I, 240 ss.; sempre in senso conforme, ma prima della 1. n. 108 cit., Pret. Livorno 14 marzo

1988, Foro it., Rep. 1988, voce cit., n. 1931, e, per esteso, Giust. civ.,

1988, I, 1872, con nota di S. Pulidori, La procura ad impugnare il li

cenziamento, nonché Cass. 1° settembre 1982, n. 4750, Foro it., 1983, I, 2186; contra, in dottrina, per l'ipotesi in cui la comunicazione ex art. 5 cit. sia appunto stata fatta dall'ufficio provinciale del lavoro e della

massima occupazione e non dal lavoratore, Massart, op. cit., 1033. Se condo Trib. Milano 10 maggio 1999, Foro it., Rep. 2000, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 97, pronunciatasi con riferimento al no

vellato art. 410 c.p.c., è invece sufficiente a sospendere ogni decadenza anche il semplice portare a conoscenza dell'ufficio e non del datore di

lavoro la richiesta di espletamento del tentativo (sugli effetti sostanziali della richiesta ex art. 410 novellato, cfr. V. Pinto, Il tentativo obbliga torio di conciliazione nelle controversie di lavoro privato e pubblico, in

AA.VV., Il lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche. Commentario diretto da F. Carinci e M. D'Antona, Milano, 2000, III, 1931 ss., ed ivi riferimenti).

Pret. Cassino 9 luglio 1985, Foro it., Rep. 1986, voce Lavoro (rap

porto), n. 2013, ha affermato che la procedura di conciliazione ed arbi

trato, prevista dall'art. 7, 6° comma, 1. 20 maggio 1970 n. 300, differi

sce formalmente e sostanzialmente dal tentativo di conciliazione presso l'ufficio provinciale del lavoro, previsto dall'art. 7 1. 15 luglio 1966 n.

604, e che pertanto essa non è idonea a sospendere il termine di deca

denza per l'impugnazione del licenziamento, non essendo suscettibile

di estensione analogica il disposto eccezionale di quest'ultima norma.

Gli uffici provinciali del lavoro e della massima occupazione (Upl mo) sono stati soppressi e sostituiti con le direzioni provinciali del la

voro con d.m. n. 687 del 1996.

Il Foro Italiano — 2001.

Motivi della decisione. — (Omissis). Con il secondo motivo

la ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione degli art. 2118, 2119 c.c., e 7 1. 20 maggio 1970 n. 300 (art. 360, n. 3,

c.p.c.) censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha valu

tato la lettera del datore di lavoro 24 ottobre 1996 come sempli ce constatazione delle dimissioni, laddove queste erano inesi

stenti, dovendo essere comunicate in forma scritta. Tale lettera

andava considerata, secondo la ricorrente, come licenziamento

disciplinare per assenza ingiustificata dal posto di lavoro, il

quale avrebbe dovuto essere preceduto, a pena di nullità, dalla

relativa contestazione disciplinare. Ne deduce che la lettera in

questione aveva il valore di un licenziamento disciplinare non

preceduto dalla contestazione, e perciò produttivo di tutte le

conseguenze risarcitone previste dall'art. 8 1. 15 luglio 1966 n.

604, conseguenti alla mancata osservanza dell'art. 7 1. 20 mag

gio 1970 n. 300. Per valutare l'ammissibilità di tale censura, occorre prima

prendere posizione sull'eccezione del resistente, secondo cui il

motivo sarebbe precluso dalla mancata tempestiva impugnazio ne del licenziamento, in quanto non sarebbe utile a tal fine la

comunicazione, da parte dell'ufficio provinciale del lavoro e

della massima occupazione, del ricorso per la procedura obbli

gatoria di conciliazione.

Viene in rilievo l'art. 5 1. 11 maggio 1990 n. 108, il quale di spone testualmente: «La comunicazione al datore di lavoro della

richiesta di espletamento della procedura obbligatoria di conci

liazione avvenuta nel termine di cui all'art. 6 1. 15 luglio 1966

impedisce la decadenza ...». L'art. 6 1. 15 luglio 1966 n. 604 a

sua volta dispone: «Il licenziamento deve essere impugnato a

pena di decadenza entro sessanta giorni dalla ricezione della sua

comunicazione, con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore anche attraverso

l'intervento dell'organizzazione sindacale diretto ad impugnare il licenziamento stesso».

L'interpretazione di tale ultima disposizione si è consolidata, a partire da Cass., sez. un., 2 marzo 1987, n. 2179, Foro it.,

1987, I, 2425 (cui ha aderito tutta la giurisprudenza successiva

di questa corte: ex plurimis, sent. 17 gennaio 1983, n. 375, id.,

1983, I, 2186; 5 febbraio 1988, n. 1231, id., Rep. 1988, voce Lavoro (rapporto), n. 1927; 13 febbraio 1990, n. 1036, id., Rep. 1990, voce cit., n. 1609; 4 aprile 1990, n. 2785, ibid., n. 1608; 19 gennaio 1989, n. 249, id., Rep. 1989, voce cit., n. 1692; 15 maggio 1990, n. 4151, id., Rep. 1990, voce cit., n. 1607; 4 lu glio 1991, n. 7387, id., Rep. 1991, voce cit., n. 1427; 24 giugno

1997, n. 5611, id., Rep. 1997, voce cit., n. 1573; 20 agosto

1996, n. 7651, ibid., n. 1576; 7 ottobre 1999, n. 11178, id.. Rep. 2000, voce cit., n. 1567), nel senso che l'impugnativa del licen

ziamento costituisce un atto negoziale dispositivo e formale (es sendo richiesta la forma scritta ad substantiam) che può essere

posto in essere unicamente: a) dal lavoratore medesimo; b) dal

l'associazione sindacale, cui quest'ultimo aderisca, in forza del

potere di rappresentanza ex lege previsto dall'art. 6 cit.; c) da un

rappresentante del primo munito di specifica procura scritta; d) da un terzo, ancorché avvocato e procuratore legale sprovvisto di procura, il cui operato venga successivamente ratificato dal

lavoratore sempre che tale ratifica rivesta la forma scritta e —

come l'impugnativa — sia comunicata o notificata al datore di

lavoro prima della scadenza del suddetto termine di decadenza.

Il terzo cui si riferisce la giurisprudenza citata è colui che agi sce in nome e per conto del lavoratore, in forza di un potere di

rappresentanza conferitogli direttamente dalla legge o dall'inte

ressato (art. 1387 c.c.). Cosa diversa sono i terzi i quali, in forza dei loro doveri pro

fessionali, devono provvedere alla fase ed al processo di tra

smissione della volontà impugnatoria del lavoratore, come sopra formatasi e manifestata, al destinatario, su incarico non formale

del primo. Dalla natura ricettizia dell'atto d'impugnazione discende

l'applicabilità ad essa dell'art. 1334 c.c., e della relativa giuris

prudenza di questa corte, secondo cui, per determinare nel de

stinatario la conoscenza di un atto unilaterale ricettizio, nego ziale o non, la legge non impone alcun mezzo determinato

(quale, ad es., potrebbe essere la raccomandata con ricevuta di

ritorno), e ciò perché la natura ricettizia dell'atto dipende dalla

sua funzione, e non dalla forma con cui essa sia portata a cono

scenza del destinatario (Cass. 3 ottobre 1985, n. 4783, id., Rep.

1986, voce Contratti agrari, n. 371). Ne discende che, salvi i

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2795 PARTE PRIMA 2796

casi in cui una forma determinata sia espressamente prescritta

per legge o per volontà delle parti, deve ritenersi idoneo, al pre detto fine, qualsiasi strumento di comunicazione, purché esso

sia congruo in concreto a farne apprendere compiutamente e nel

suo giusto significato il contenuto; e l'accertamento del giudice del merito che l'atto sia stato ricevuto dal destinatario può esse

re condotto anche sulla base di presunzioni (Cass. 9 aprile 1984, n. 2262, id., Rep. 1984, voce Contratto in genere, n. 118; 5

maggio 1999, n. 4525, id., Rep. 1999, voce Lavoro (rapporto), n. 1608).

Non si richiede quindi la consegna personale dell'impugna zione, ma il lavoratore (o il suo rappresentante) può avvalersi

dei processi di trasmissione materiali e giuridici, che implichino

l'opera di uno o più terzi, ed in tal caso si applicheranno al pro cesso trasmissivo le norme giuridiche, sostanziali e processuali, che disciplinano specificamente l'impiego del processo o mezzo

usato.

La trasmissione dell'atto ricettizio dal mittente al destinatario

può poi avvenire in via diretta, oppure triangolare, nel senso che

il terzo, invece di avere una funzione di mero supporto mate

riale, come di consueto, ha, come si vedrà meglio infra, il potere ufficioso di ricevere egli stesso la comunicazione, di esaminarla, di integrarla, e di disporne l'ulteriore corso al destinatario fina

le, tramite propri ufficiali. Quello che dunque rileva è la provenienza dell'atto dal lavo

ratore, la forma scritta, e la sua iniziativa nel portarlo a cono

scenza del datore di lavoro, o di altre persone cui compete di

portarlo a conoscenza del datore.

Il lavoratore può usare una semplice lettera, della quale il

datore di lavoro non contesti il ricevimento; oppure una lettera

raccomandata, in tal caso avvalendosi delle norme del codice

postale relative alla prova del ricevimento tramite la cartolina di

ritorno; o un telegramma, sottoscritto dall'interessato (Cass. 10

luglio 1991, n. 7610, id., Rep. 1991, voce cit., n. 1419; 26 luglio 1996, n. 6749, id., Rep. 1997, voce cit., n. 1579; 16 settembre

2000, n. 12256, id., Rep. 2000, voce cit., n. 1542); ovvero det

tato per telefono (Cass. 30 ottobre 2000. n. 14297, id., 2001, I,

98); ancora può notificare ricorso giudiziario, o atto stragiudi ziale.

È opportuno ricordare alcune importanti precisazioni di que sta corte in relazione alle ultime fattispecie.

Nel caso di telegramma redatto per iscritto, ma privo della

sottoscrizione della parte, è sufficiente, in applicazione dell'art.

2705 c.c., che questa provi di averlo consegnato o fatto conse

gnare all'ufficio postale (Cass. 6749/96 cit.); in caso di tele

gramma dettato per telefono all'operatore del servizio (in cui,

per via del mezzo tecnologico adottato, le due fasi, normalmente

distinte, dell'espressione della volontà e della sua trasmissione

coincidono) la parte interessata può fornire la prova della det

tatura anche con presunzioni, consentite dalla disciplina specifi ca del telegramma di cui all'art. 2705 c.c. (Cass. 14297/00). Anzi, in una fattispecie di dettatura di telegramma ad opera di un terzo, questa corte ha precisato, in recente pronuncia, che

«l'impugnativa per iscritto del licenziamento a norma dell'art. 6 1. 604/66 può essere realizzata, in base alla disciplina di cui al l'art. 2705 c.c., anche mediante telegramma inoltrato tramite

l'apposito servizio di dettatura telefonica, sempreché l'invio del

telegramma, anche se effettuato materialmente da parte di un altro soggetto e da un'utenza telefonica non appartenente al

l'interessato, avvenga su mandato e a nome di quest'ultimo, il

quale, in caso di contestazione in giudizio, rimane onerato della

prova di tale incarico, che può essere fornita anche a mezzo di

testimoni e per presunzioni». Nel caso poi il licenziamento venga impugnato con ricorso

giudiziario (quale atto scritto giudiziale, a norma dell'art. 6 1.

604/66; ex plurimis, Cass. 20 giugno 2000, n. 8412, id., Rep. 2000, voce cit., n. 1549), la volontà impugnatoria è consacrata

nel ricorso introduttivo del giudizio, indirizzato al giudice, il

quale vi appone in calce il provvedimento di convocazione delle

parti; atto e provvedimento sono poi portati a conoscenza del datore di lavoro, a cura della cancelleria (art. 417, ultimo com

ma, 418, 3° comma, 420, 9° e 11° comma, c.p.c.) o dello stesso attore (art. 415, 4° comma, c.p.c.), a mezzo di terzi.

In questo quadro si inserisce la disposizione dell'art. 5 1. 11

maggio 1990 n. 108 sopra riportata. Per la sua corretta interpretazione, occorre tenere presente in

nanzi tutto il canone ermeneutico per il quale si deve presumere

Il Foro Italiano — 2001.

che il legislatore abbia voluto attribuire alla disposizione un

contenuto normativo, rispetto ad una interpretazione che possa rendere la disposizione meramente ripetitiva di altra già esi

stente.

Si deve altresì tener presente la priorità del criterio letterale

(art. 12 preleggi). Poiché la norma in esame richiama espressamente l'art. 6 1.

15 luglio 1966 n. 604, l'istituto della decadenza da esso enun

ciato ed il relativo termine, nonché i mezzi per evitarla, essa si

iscrive chiaramente nell'ambito della disposizione richiamata

come specificazione dell'espressione «con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavo

ratore», disponendo che la comunicazione al datore di lavoro

della richiesta di espletamento della procedura obbligatoria di

conciliazione, contenente l'impugnativa scritta del licenzia

mento da parte del lavoratore, avvenuta nel termine di cui al

l'art. 6 1. 15 luglio 1966, impedisce la decadenza.

A ben vedere, la struttura dell'atto e della sua comunicazione

non è diversa da quella del ricorso introduttivo del giudizio, nel

quale pure, come cennato, la volontà impugnatoria del lavorato

re viene resa pubblica mediante deposito del ricorso in cancelle

ria, che l'ufficio provvede poi a portare a conoscenza del datore

di lavoro, così realizzando il carattere ricettizio dell'atto.

Una diversa interpretazione dell'art. 5 1. 11 maggio 1990 n.

108 renderebbe la stessa priva di contenuto normativo, perché sarebbe meramente ripetitiva della disposizione di cui all'art. 6

1. 15 luglio 1966 n. 604. Si deve dunque concludere enunciando il principio di diritto

che la comunicazione al datore di lavoro della richiesta di

espletamento della procedura obbligatoria di conciliazione,

contenente l'impugnativa scritta del licenziamento da parte del

lavoratore, avvenuta nel termine di cui all'art. 6 1. 15 luglio 1966 impedisce la decadenza.

Non si può perciò seguire un lontano precedente di questa corte che negava tale valore (Cass. 18 luglio 1991, n. 8010, id.,

Rep. 1992, voce cit., n. 1530), perché non distingueva tra il ter

zo che forma ed esprime la volontà impugnatoria del lavoratore

in forza di un potere di rappresentanza, e deve essere perciò munito di procura scritta, e terzo incaricato della fase di tra

smissione. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; sezione tributaria; sentenza 28

giugno 2001, n. 8829; Pres. Cantillo, Est. Graziadei, P.M.

Maccarone (conci, parz. diff.); Min. finanze (Avv. dello

Stato Giacobbe) c. Veggetti (Avv. Zurlo). Cassa senza rin

vio Comm. trib. reg. Lombardia 15 marzo 2000.

Tributi in genere — Commissioni tributarie — Costituzione in giudizio — Modalità (D.leg. 31 dicembre 1992 n. 546, di sposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al

governo contenuta nell'art. 30 1. 30 dicembre 1991 n. 413, art.

22).

La costituzione innanzi alle commissioni tributarie deve avveni

re con la consegna diretta alla segreteria dell'originale del

ricorso e dei relativi allegati e non per il tramite del servizio

postale. (1)

(1) Non si rinvengono precedenti in termini nella giurisprudenza della Suprema corte.

In motivazione, la Cassazione esclude la configurabilità di una sa natoria ex art. 156, 2° comma, c.p.c. in considerazione del fatto che «il ricevimento del plico postale, provato dalla sottoscrizione dell'apposito

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