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sezione lavoro; sentenza 13 maggio 1985, n. 2978; Pres. La Torre, Est. Pontrandolfi, P. M. Caristo...

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sezione lavoro; sentenza 13 maggio 1985, n. 2978; Pres. La Torre, Est. Pontrandolfi, P. M. Caristo (concl. conf.); Di Lorenzo (Avv. Macolino) c. Giardello e altri; Giardello (Avv. G. Leone) c. Di Lorenzo. Cassa Trib. Avellino 5 gennaio 1982 Source: Il Foro Italiano, Vol. 108, No. 9 (SETTEMBRE 1985), pp. 2243/2244-2247/2248 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23177985 . Accessed: 28/06/2014 08:05 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.31.195.178 on Sat, 28 Jun 2014 08:05:59 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione lavoro; sentenza 13 maggio 1985, n. 2978; Pres. La Torre, Est. Pontrandolfi, P. M.Caristo (concl. conf.); Di Lorenzo (Avv. Macolino) c. Giardello e altri; Giardello (Avv. G. Leone)c. Di Lorenzo. Cassa Trib. Avellino 5 gennaio 1982Source: Il Foro Italiano, Vol. 108, No. 9 (SETTEMBRE 1985), pp. 2243/2244-2247/2248Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23177985 .

Accessed: 28/06/2014 08:05

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2243 PARTE PRIMA 2244

Secondo altro arresto il creditore deve dimostrare l'eventuale

danoo emergente derivante dal fatto di' essersi dovuto procurare la

somma non pagatagli a condizioni particolarmente svantaggiose o

mediante l'alienazione di beni1 reali (Oass. 30 luglio 1983, n. 5246,

id., Rep. 1983, voce cit., n. 210). Si è poi aggiunto che il giudice può, im mancanza di altre

specifiche prove, utilizzare, oltre che il notorio acquisito alita

comune esperienza, presunzioni fondate su condizioni' e qualità

personali del creditore e sulle modalità di impiego del denaro

coerenti — secondo i criteri della normalità e della possibilità —

a tali elementi per desumere dal complesso di questi dati

(integrando, ove occorra, i risultati dell'indagine con l'esercizio di

poteri equitativi) quali maggiori utilità, nei singoli casi', la somma

tempestivamente pagata avrebbe potuto procurare al creditore

medesimo (Cass. 8 aprile 1981, n. 1990, id., Rep. 1981, voce cit.

n. 174; 9 giugno 1981, n. 3722, ibid., n. 171). A questo indirizzo se ne contrappone un altro sostenuto da due

recenti sentenze per le quali il danno da inadempimento dell'ob

bligazione pecuniaria è per qualsiasi creditore non inferiore alla

misura dell'inflazione della moneta, che ne costituisce l'elementare

dato probatorio, salivo prova contraria e salvo Che esso assuma un

diverso e maggiore valore per il singolo creditore io relazione al

comprovato uso che della somma portata dall'obbligazione doveva

fare. Pertanto, salvo questa prova diversa o quella contrarila, tale

danno può essere determinato sulla base degli' indici ufficiali di

svalutazione monetaria in relazione al costo della vita (Cass. 7

gennaio 1983, n. 123, id., Rep. 1983, voce cit., n. 171; 27. gennaio

1984, n. 651, id., Rep. 1984, voce cit., n, 171). A quest'ultimo indirizzo ritiene il collegio di dovere aderire

sulla base delle seguenti ulteriori considerazioni in aggiunta a

quelle contenute nelle sentenze da ultimo richiamate.

Costituzione nozione di fatto rientrante nella comune esperienza non solo che in una situazione di inflazione caratterizzata dalla

perdita di valore della moneta, nel senso cioè della necessità di

una quantità via via maggiore di moneta per l'acquisto di una

stessa quantità di beni o d'i servizi, .il creditore di somme di

danaro che non veda soddisfatto il suo credito per fatto imputabile al debitore (inadempimento) subisce un d'anno che deve essere

risarcito da quest'ultimo, ma anche che tale danno è normalmente

pari al tasso di svalutazione monetaria determinato — per il

periodo compreso fra la .scadenza e l'adempimento — sulla base

degli indici ufficiali in relazione al costo della vita, tenendo

presente che — in difetto di prova diversa o contrarila — non

esiste alcun valido motivo per ritenere una incidenza della

svalutazione monetaria sul patrimonio del creditore in misura

diversa quella ufficialmente accertata.

Pertanto, deve ritenersi che in tema di inadempimento di

obbligazione pecuniaria adempia al proprio onere probatorio, ai

sensi dell'art. 1224, 2° comma, c.c., il creditore il quale deduca, come prova del maggior danno subito in conseguenza dell'inadem

pimento del proprio debitore, la svalutazione monetaria richieden

done la liquidazione nella misura determinata sulla base degli indici ufficiali di svalutazione in relazione al oosto della v'ita,

isempre salivo comunque il potere dello stesso creditore di fornire

la dimostrazione di avere subito in conseguenza dell'inadempimen to danni diversi e maggiori, nonché la prova contraria da parte del debitore che deduca e dimostri' l'insussistenza in concreto del danno da svalutazione dedotto o una sua incidenza in misura

inferiore a quella costituita dal tasso di inflazione.

In altre parole, l'onere di provare quali investimenti specifica mente programmati siano stati resi impossibili dall'inadempimento del debitore, o di dimostrare a quali condizioni particolarmente

svantaggiose il creditore si è potuto procurare la somma non entrata nel suo patrimonio .al momento della scadenza o quali maggiori utilità la somma tempestivamente pagata avrebbe potuto

procurare al creditore medesimo sulla base delle sue condizioni o

qualità personali o delle modalità di impiego del denaro coerente a tali elementi, sussiste ove si. richieda i'1 risarcimento dei danni in misura maggiore di quella coperta dal tasso ufficiale di svaluta

zione monetaria, ma non anche quando oi si limiti a chiedere la

liquidazione dei danni in tale misura, dal momento che la

svalutazione monetaria costituisce un fatto notorio non solo in

ordine alia sua esistenza ma anche in ordine al suo concreto

ammontare, mentre l'incidenza della stessa nel patrimonio del

creditore costituisce una nozione di fatto che rientra nella comune

esperienza, sicché, in difetto di prova diversa o contraria, è

sufficiente l'allegazione di tali fatti per l'accoglimento della do

manda ex art. 1224, 2° comma, c.c.

Ira accoglimento del motivo di ricorso, la sentenza definitiva

della corte d'appello va sul punto cassata e la causa rinviata al

giudice di .rinvio il quale applicherà i principi in precedenza enunciati. (Omissis)

Il Foro Italiano — 1985.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 13 maggio

1985, n. 2978; Pres. La Torre, Est. Pontrandolfi, P. M.

Caristo '(conci, coraf.); Di Lorenzo (Aw. Macolino) c. Giardel

lo e altri; Giardello (Avv. G. Leone) c. Di Lorenzo. Cassa

Trib. Avellino 5 gennaio 1982.

Lavoro e previdenza (controversie in materia di) — Giudizio di

rinvio — Riassunzione — Deposito del ricorso — Mancata

notifica per decesso della controparte — Interruzione del giu dizio di rinvio (Cod. proc. civ., art. 299, 392, 414).

Nel rito del lavoro il giudizio di rinvio è tempestivamente riassunto ove nel termine annuale di cui all'art. 392 c.p.c.

venga depositato in cancelleria il ricorso in riassunzione; con la

conseguenza che, ove la notifica del ricorso non si sia potuta

effettuare per decesso della controparte, del quale si sia avuto

notizia solo al momento della tentata notifica, il giudice deve

disporre i provvedimenti conseguenti all'interruzione del proces so. (1)

Svolgimento del processo. — Con ricorso depositato il 6

febbraio 1974, Alessandra Di' Lorenzo conveniva in giudizio davanti al Pretore di Napoli i coniugi Severino Giardiello e Luisa

Uccello, chiedendone la condanna al pagamento della complessiva somma di Lire 6.941.500 per crediti derivanti da pregresso rappor to di lavoro subordinato intercorso dal 1° gennaio 1937 al 27

luglio 1973, in cui essa aveva lavorato come domestica a pieno servizio iin favore dei suddetti coniugi.

Sulla resistenza dei predetti coniugi convenuti, l'adito pretore oon sentenza 2-23 dicembre 1974, in parziale accoglimento della

domanda attrice, condannava il Giardiello e la Uccello, in solido

tra loro, al pagamento in favore della Di Lorenzo della somma

complessiva di lire 3.510.595 per le causali specificate in motiva

zione, con gli .interessi^ legali su detta somma a far data dalla

maturazione di ciascun diritto, nonché al pagamento della somma

di lire 801.855 per .risairaimento del danno da svalutazione

monetaria, e al pagamento delle spese processuali, liquidate in

complessive litre 350.000.

Su appello dei datori di lavoro, al quale resisteva la Di

Lorenzo, il Tribunale di Napoli con sentenza 4-30 giugno 1975, in

parziale accoglimento del gravame, riduceva la somma dovuta alla

Di Lorenzo a lire 523.841, oltre ai relativi interessi legali e

all'importo di lire 120.483 per svalutazione monetaria.

Avverso tale sentenza la Di Lorenzo proponeva ricorso per cassazione deducendo un unico motivo e al ricorso resistevano i

coniugi Severino Giardiello e Luisa Uccello con controricorso.

Con sentenza 23 maggio-11 settembre 1980, n. 5247, la Suprema corte accoglieva il ricorso per quanto di ragione, cassava la

sentenza impugnata e rinviava la causa al Tribunale di Avellino

per nuovo esame ed anche per provvedérsi sulle spese del

giudizio di legittimità. Con ricorso depositato il 7 settembre 1981, la Di Lorenzo

riassumeva il giudizio davanti al giudice di rinvio e il ricorso

stesso, unitamente al decreto di fissazione dell'udtenza di discus

sione, veniva notificato, a cura della Di Lorenzo, ai convenuti-ap

pellanti coniugi Severino Giairdielilo e Luisa Uccello in duplice modalità di esecuzione della notifica, dm data 15 settembre 1981:

urna copia per ciascuno di essi presso il loro procuratore in

(1) Con l'affermazione che nel rito del lavoro il giudizio di rinvio è

tempestivamente riassunto ove il ricorso in riassunzione venga deposita to nel termine annuale, di cui all'art. 392 c.p.c., la Cassazione estende al giudizio di rinvio il parallelo principio, consolidato in materia di

proposizione dell'appello e applicato anche in tema di opposizione a decreto ingiuntivo, in base al quale l'impugnazione o l'opposizione è tempestivamente proposta ove il ricorso sia depositato nei termini di

legge. Sull'argomento v. Cass., sez. un., 27 giugno 1983, n. 4388, Foro

it., 1983, I, 2446; 19 ottobre 1983, n. 6128, ibid., 3024, entrambe con nota di richiami e osservazioni di A. Proto Pisani; e, da ultimo, Cass. 3 novembre 1984, n. 5577, id., 1985, i, 1110, con nota di richiami.

Sulla necessità del ricorso quale atto riassuntivo del giudizio di rinvio nel rito speciale di lavoro v. App. Milano 7 aprile 1978, id., Rep. 1978, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 380; App. Caltanissetta 6 giugno 1975, id., Rep. 1976, voce cit., n. 158.

Sulla decorrenza del termine annuale v. Cass. 21 aprile 1983, n. 2738, id., 1983, I, 1599. Sulla necessità di notificare l'atto riassuntivo del giudizio presso la parte personalmente v. Cass. 18 gennaio 1983, n. 433, id., Rep. 1983, voce Rinvio civile, n. 8; 25 giugno 1983, n. 4379, ibid., n. 9; 11 luglio 1977, n. 3113, id., Rep. 1978, voce Procedimento civile, n. 230. Sulla necessità per il giudice di rinvio di disporre l'integrazione del contraddittorio nei confronti degli eredi della parte deceduta prima di ricevere la notificazione della citazione in riassunzione v. Cass. 19 febbraio 1980, n. 1216, id., 1980, I, 2457, con nota di richiami di G. Costantino.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

giudizio e domiciliatario aw. Giambattista Leone ini Roma; altra

copia per ciascuno di essi personalmente nella loro residenza e

domicilio .ili Napoli, via Mario De Ciccio, 6. Le copie del ricorso

in riassunzione e del decreto di fissazione di udienza utilizzate per la notifica personale ai convenuti-appellarati tornavano con la

relata dell'ufficiale giudiziario del seguente tenore: « Omessa notifica

perché risultano deceduti1 al sito indicato, giuste informazioni

assunte sul luogo ».

Con sentenza emessa all'udienza del 24 novembre 1981 e

depositata il 5 gennaio 1982, il Tribunale d'i Avellino, quale giudice di «invio in causa di lavoro, dichiarava inammissibile di giudizio di riassunzione introdotto da Alessandra Di Lorenzo con atto

depositato il 7 settembre 1981, per omessa rituale notifica dell'atto di riassunzione.

Premesso che, a norma del 1° comma dell'art. 392 c.p.c., la riassunzione della causa davanti al giudice di rinvio può essere fatta da ciascuna delle parti1 non oltre un anno dalla pubblicazio ne della sentenza della Corte di cassazione, e che, in base al

disposto di cui ail 2° comma dello stesso articolo, la riassunzione deve essere fatta con citazione da notificarsi personalmente alla

parte interessata a norma degli art. 137 ss. c.p.c., con la

conseguenza che qualora l'atto di citazione in riassunzione non

venga notificato personalmente si verifica la nullità della notifica

zione medesima, oltre die dell'eventuale giudizio che dovesse alla

stessa eventualmente seguire, tutto ciò premesso, di Tribunale di

Avellino rilevava che, nella specie, l'atto di citazione in riassun

zione era stato notificato ai convenuti (appellanti') presso lo studio

dell'avv. Giambattista Leone, domiciliatario, e non ai medesimi

personalmente in quanto, come si evinceva dalla relativa relata, entrambi erano deceduti.

Ne conseguiva, ad avviso del tribunale, che, a norma delle

disposizioni sopra richiamate, non poteva ritenersi ritualmente

introdotto il giudizio di rinvio, attesa la mancata notificazione

personale (nella specie: agli eredi dei defunti) dall'atto introdutti

vo dello stesso.

Inoltre, sempre ad avviso del tribunale, non poteva ordinarsi la

rinnovazione della notificazione dell'atto di riassunzione, dal mo

mento che, cosi operando, si sarebbe vanificata la prescrizione di

cui -al 1° comma dell'art. 392 cjp.c., posto che si sarebbe

consentito di procedere alla riassunzione del giudizio di rinvio

dopo il decorso di un anno dalla pubblicazione della sentenza

della 'Corte di cassazione (avvenuta nella specie il 17 settembre

1980; rectius: I'll settembre 1980).

Conseguentemente andava dichiarata t'inammissibiiLkà del giudi zio di riassunzione così come introdotto dalla Di Lorenzo.

Avverso la suddetta sentenza Alessandra Di Lorenzo ha propo sto ricorso per cassazione deducendo un unico motivo. Degli intimati Antonio Giardiello, Vittorio Giardiello, Alberto Giardiel

lo, Guido Giardiello e Rita Giardiello, tutti quali eredi dei co

niugi Severino Giardiello e Luisa Uccello, si è costituito il solo

Ailtonio Giardiello con controricorso, proponendo anche ricorso

incidentale condizionato per un unico motivo, illustrato anche da

successiva memoria.

Motivi della decisione. — Con l'unito motivo del ricorso

principale, denunciando violazione e falsa applicazfcme di norme

di diritto processuale, e, din particolare, degli art. 300, 303 e 298, in 'relazione all'art. 392 c.p.c., nonché omessa, insufficiente e

contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia

prospettati dalle parti, la Di Lorenzo si duole che erroneamente il

Tribunale di Avellino abbia ritenuto violato èl"l° comma dell'art.

392 c.p.c., in quanto il ricorso in riassunzione era stato depositato 'il 7 settembre 1981, prima della scadenza del termine dell'anno

dalla pubblicazione della sentenza delia Corte di cassazione,

avvenuta I'll settembre 1980.

Fa rilevare la ricorrente che, nell'ambito del rito del lavoro, il

giudizio di rinvio si riassume con ricorso depositato (entro un

anno dalla pubblicazione della sentenza della Corte di cassazione), anziché con citazione notificata all'ai 'tra .parte (entro lo stesso

termine), in quanto il principio che, per la 1. 11 agosto 1973 n.

533, il processo del lavoro si inizia in tutti i gradi e le

fasi con ricorso, riguarda anche il giudizio di rinvio, e in tal

senso deve intendersi modificata, per d processi' di' lavoro, la

'disposizione dell'art. 392 c.p.c. Aggiunge la ricorrente di aver

conosciuto il decesso delle controparti solo a seguito della manca

ta notifica personale del ricorso in riassunzione e del pedissequo decreto di fissazione dell'udienza di discussione, come da relata di

omessa notifica dell'ufficiale giudiziario (altea notifica presso il

procuratore docimiliatarito delle controparti è stata effettuata —

secondo la ricorrente — ad abundantiam e per mero tuziorismo, onde non assume alcun rilievo ai fini del presente giudizio). Per

la suddetta circostanza, soltanto a seguito della relata di mancata

Il Foro Italiano — 1985.

notifica (personale) dell'ufficiale giudiziario, e non prima, « nel

meccanismo processuale » si sarebbe introdotta « la dichiarazione

dell'evento morte, che, ai sensi dell'art. 300 c.p.c., produce l'interruzione del proceso in maniera automatica ». Quindi —

sempre secondo la ricorrente — malamente il Tribunale di Avellino

non iavrebbe dichiarato l'interruzione del processo, richiesta dalla

difesa di essa Di Lorenzo all'udienza di discussione del 24

novembre 1981 e avrebbe dichiarato inammissibile il giudizio di

riassunzione.

Con l'unico motivo del suo ricorso incidentale condizionato, Antonio Giardiiello sostiene che, anche nell'ipotesi in cui si voglia ritenere sufficiente, per l'introduzione del giudizio di rinvio, il

deposito dell'atto nei termini e non pure la notifica dell'atto stesso, in nessun caso il Tribunale di Avellino avrebbe potuto dichiarare

interrotto il processo, in quanto, comunque, questo era stato

irritualmente introdotto, contenendo il ricorso in riassunzione

depositato presso la cancelleria del giudice di rinvio l'in

dicazione errata delle parti convenute (decedute); né tale

riassunzione era stata, successivamente, in qualche modo sanata

(dopo la pretesa conoscenza dell'evento morte) nel termine di sei

mesi (ex art. 328 ss. c.p.c.), con l'indicazione, pur possibile, degli eredi ctìllettivamente e impersonalmente, .nell'ultimo domicilio del

defunto. In tale caso, occorrerebbe ila correzione della motivazione

della sentenza impugnata, che il Giardiello dichiara di voler

chiedere anche sotto forma di ricorso incidentale condizionato

all'eventuale accoglimento del ricorso principale, denunciando, al

riguardo, la violazione degli art. 414, 328 ss. c.p.c. in relazione

all'art. 360, min. 3 e 5, dello stesso codice, anche sotto il profilo di

omessa o insufficiente motivazione su un punto decisivo.

Il ricorso principale e quello incidentale vanno riuniti ai sensi

dell'art. 335 c.p.c.

Il ricorso principale, nell'unico motivo prospettato, è fondato. È

inesatto quanto si assume nella sentenza impugnata, e, cioè, che il

termine stabilito dall'art. 392 c.p.c. per la riassunzione della cau

sa davanti al giudice di' rinvio sarebbe stato violato: infatti, si

rileva, dall'esame degli atti', che il ricorso in riassunzione è stato

depositato dalla Di Lorenzo nella cancelleria del Tribunale di Avel

lino, quale giudice di rinvio, in data 7 settembre 1981 e, quindi, pri

ma della scadenza del termine di' un anno dalla pubblicazione della

sentenza di questa Suprema corte, avenota I'll settembre 1980.

Il Tribunale di Avellino, dichiarando inammissibile il giudizio

di riassunzione in sede di rinvio, per omessa rituale notifica

dell'atto di riassunzione (in quanto non notificato nel suddetto

termine di un anno dalla Di Lorenzo alle controparti personal

mente), non ha tenuto conto del fatto che, nel rito del lavoro

disciplinato dalla l. 11 agosto 1973 n. 533, il ricorso depositato si

sostituisce alla citazione notificata tutte le volte che questa sia

prescritta dal rito ordinario, con la conseguenza che anche la

riassunzione per rinvio dalla Cassazione si effettua con 'ricorso, e

in tal senso deve ritenersi modificato, per le controversie indivi

duali di lavoro e per quelle di previdenza e assistenza obbligatorio,

il 2° comma dell'art. 392 c.p.c., il quale stabilisce, per la

riassunzione del giudizio di rinvio, la forma della citazione. Ne

consegue che, quando nel rito del lavoro il giudizio di rinvio sia

riassunto con ricorso depositato nel termine di un anno dalla

pubblicazione della sentenza della Cassazione, termine stabilito dal

1° comma dell'art. 392, esso si deve intendere validamente e

tempestivamente instaurato, mentre la successiva notificazione del

ricorso e del pedissequo decreto di fissazione dell'udienza di

discussione davanti al giudice di rinvio riguarda l'ulteriore fase

della vocatio in ius della controparte e nulla ha a che fare con la

tempestività e l'ammissibilità del giudizio di rinvio.

Pertanto, erronea appare l'affermazione del tribunale circa l'im

possibilità di ordinare la rinnovazione della notificazione dell'atto

di riassunzione in quanto cosi si vanificherebbe la prescrizione del

termine perentorio di cui al 1° comma dell'art. 392, dato che tale

affermazione parte dall'erroneo presupposto che, nella specie, il

giudizio di rinvio dovesse ritenersi ritualmente introdotto solo con

la notificazione personale idell'atto introduttivo alle controparti e,

in particolare, agli eredi delle stesse, essendo gli intimati coniugi

Giiardiello-Uccello deceduti.

Né, del resto, la questione si poneva nel senso della rinnova

zione della notificazione dell'atto riassuntivo del giudizio, ma solo

nei termini dell'interruzione del giudizio di rinvio, regolarmente richiesta dal procuratore della ricorrente Di Lorenzo all'udienza di

discussione, prima che il tribunale, in sede di decisione, dichiaras

se inopinatamente, invece, l'inammissibilità del giudizio di riassun

zione.

Ed invero, avendo avuto la Di Lorenzo, per la prima volta,

legale conoscenza del decesso delle controparti in sede di tentata

notificazione personale del ricorso in riassunzione del decreto d'i

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2247 PARTE PRIMA 2248

fissazione dell'udienza di discussione (v. Telata negativa dell'ufficia le giudiziario, da cui risulta l'omessa notificazione per essere i

coniugi Giardiello-Uocello deceduti), e poiché le controparti! erano sicuramente iti vita quando avevano resistito con controricorso nei

pregresso giudizio di legittimità, il giudizio di rinvio doveva essere dichiarato .interrotto dal Tribunale di Avellino alla stregua del

principio secondo cui, ove una parte sia deceduta dopo l'inizio del giudizio di cassazione e prima che venga notificato l'atto che riassume la causa davanti al giudice di rinvio, valgono le norme sull'interruzione del processo (Cass. 19 febbraio 1980, n. 1216, Foro it., 1980, I, 2547).

In base a tale principio va disatteso anche l'assunto del resistente Antonio Giardiello secondo cui dovrebbe rimaner ferma ila dichiarata inammissibilità del giudizio di riassunzione in sede di rinvio in quanto, comunque, questo sarebbe stato irritualmente introdotto mei confronti di parti già decedute, assunto contenuto nel controricorso. Il contestuale ricorso incidentale, sia pure

condizionato, è inammissibile, e come itale va dichiarato: sia

perché proposto da una parte risultata completamente vittoriosa nel giudizio di rinvio, sia perché tale ricorso tende ad una

semplice correzione della motivazione della sentenza impugnata, alla quale, ove il dispositivo fosse conforme a diritto, la corte

dovrebbe procedere anche d'ufficio (art. 384, cpv., c.p.c.). Pertanto, il ricorso principale va accolto, mentre quello inciden

tale va dichiarato inammissibile; la sentenza impugnata va, in

relazione ai ricorso accolto, cassata e la causa va (rinviata, anche

per provvedersi sulle spese e sugli onorari di questa fase del

giudizio, al Tribunale di Benevento, sezione lavoro, il quale si

conformerà alle considerazioni sopra svolte.

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 29

aprile 1985, n. 2762; Pres. Mirabelli, Est. O. Fanelli, P. M.

Valente (conci, conf.); Iacuitto (Avv. Donzelli) c. Soc. Fezia

(Aw. Fedeli, Cap rio). Cassa Trib. Roma 23 giugno 1980.

Lavoro (rapporto) — Licenziamento — Risarcimento dei danni

per il periodo intermedio — Disciplina (Cod. civ., art. 1223,

1453; 1. 20 maggio 1970 n. 300, norme sulla tutela della libertà

e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività

sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento, art.

18).

Il risarcimento del danno spettante al lavoratore per il periodo intercorrente fra il licenziamento, dichiarato illegittimo, e la

sentenza di annullamento si identifica — quanto al danno

•eccedente le cinque mensilità dovute per legge — nelle retribu

zioni non percepite, salvo che il dipendente provi di aver

subito un danno maggiore o che il datore provi /'aliunde

peroeptum ovvero il ricorrere di fatto colposo del creditore. (1)

(1) La sentenza si può leggere in Foro it., 1985, I, 1290, con nota di richiami; ne riproduciamo la massima per pubblicare la nota di M. D'Antona.

Licenziamento illegittimo e prova del danno: la stabilità « eco

nomica » del rapporto di lavoro secondo le sezioni unite.

1. - Le sezioni unite della Corte di cassazione sono state investite a

seguito di un contrasto di indirizzi, manifestatosi nella sezione lavoro, intorno all'onere di provare il quantum del danno per il licenziamento riconosciuto illegittimo. Ma non hanno esitato a metter a nudo e ad affrontare il delicato problema che vi era appena dissimulato: nel dissenso sulla prova del quantum si esprimeva obliquamente un persisten te, e ben più sostanzioso, dissenso sull'an, oltreché sulla natura (retributi va, risarcitoria) e sul regime, non solo probatorio, delle somme richieste dal lavoratore, al di sopra delle cinque mensilità dovute ex lege (sul frequente ricorso, da parte dei giudici del lavoro, alla « regola del giudizio », per evitare di motivare in punto di diritto opzioni interpre tative consapevolmente manipolatorie, cfr. B. Caruso, Tutela giurisdi zionale, onere della prova ed equità processuale. Una ricerca sul diritto del lavoro nel processo, in Riv. giur. lav., 1982, I, 3).

Le radici del problema sono profonde, almeno quanto ia contraddi zione insita nella lettera dell'art. 18 statuto dei lavoratori. Da un lato, la stabilità « reale » del rapporto di lavoro — garantita dall'art. 18 sta tuto dei lavoratori — implica che il licenziamento invalido (annullato o dichiarato nullo o inefficace) non interrompe il rapporto ma ne im

pedisce soltanto la «funzionalità di fatto». Dall'altro lato, la stessa

norma, anziché riconoscere il diritto a tutte le retribuzioni maturate nel periodo che intercorre tra il licenziamento e la sentenza, preve de un diritto al « risarcimento del danno » misurato in men

II Foro Italiano — 1985.

silità di retribuzione calcolate a norma dell'art. 2121 c.c., e co munque « non inferiore » a cinque mensilità. Per colmo di incoeren za, il diritto alle « retribuzioni dovutegli in virtù del rapporto » è testualmente riconosciuto al lavoratore dopo la sentenza, fino alla effettiva reintegrazione.

2. - La contraddizione è croce e delizia degli interpreti fin dai primi commenti allo statuto dei lavoratori. E in effetti l'orizzonte delle possibili interpretazioni sembra aperto ad ipotesi diametralmente oppo ste.

Si può sostenere che debba prevalere il concetto-cardine della stabilità « reale » (la continuità del rapporto di lavoro solo di fatto interrotto dal licenziamento ingiusto) e argomentare che il lavoratore matura nel periodo considerato tutte le retribuzioni a titolo di adempimento (tardivo ma non impossibile, trattandosi di somme di denaro), ed ha inoltre la facoltà di dedurre e provare un danno ulteriore.

O all'opposto si può sostenere che il legislatore ha scientemente sostituito ai rigorosi effetti dell'invalidità negoziale del licenziamento un « più blando » regime risarcitorio, ammettendo con ciò implicita mente che — al di sopra delle cinque mensilità dovute ex lege — il risarcimento possa anche non comprendere tutte le retribuzioni matura te, restando peraltro aperta la via alla allegazione di un danno maggiore.

La prima soluzione può essere accreditata in base a concatenazioni argomentative diverse, ma sacrifica alla coerenza sistematica la lettera della norma, che parla di risarcimento del danno e non di retribuzioni.

La seconda soluzione ha pregi e difetti speculari a quelli della prima: è assecondata dalla formulazione testuale della norma ma fa a pugni con l'interpretazione del sistema di tutela nel suo complesso. Se è vero infatti che il licenziamento illegittimo non interrompe il rapporto di lavoro, e restano immutate le obbligazioni delle parti, non si comprende come e perché la retribuzione cambi natura e diventi risarcimento del danno.

3. - L'impasse è stata superata di slancio da una sentenza della Corte di cassazione del 1976 (Cass. 28 maggio 1976, n. 1927, Foro

it., Rep. 1976, voce Previdenza sociale, n. 195, e per esteso in Riv.

giur. lav., 1977, II, 86, con nota di M. D'Antona): il danno, affermò la corte, non può non contenere, in primo luogo, proprio le retribuzioni

perdute per l'ingiusto licenziamento. Solo che, nel caso, la corte sembrò gettare il cuore al di là

dell'ostacolo: come vi fosse arrivata, non sapeva spiegarlo chiaramente. La debolezza teorica della posizione della Corte di cassazione su di

uno snodo di tale rilevanza, apparve fin dall'inizio foriera di complica zioni (M. Dell'Olio, Licenziamento, reintegrazione, retribuzione, risar

cimento, in Mass. giur. lav., 1978, 504; D'Antona, La reintegrazione nel posto di lavoro, Padova, 1979, 137 ss.; Pera, La cessazione del rapporto di lavoro, Padova, 1979; nonché la più recente rilettura critica di U. Romagnoli, Statuto dei diritti dei lavoratori, in Commentario, a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1981, 120 ss.).

Sempre protestando fedeltà ai principi ed ai precedenti, la Cassazio ne cominciò a tradire le proprie incertezze sul terreno, in apparenza più defilato, dell'onere della prova del quantum del risarcimento.

Si manifestò un indirizzo « rigoroso » (nel danno sono contenute in primo luogo le retribuzioni, la prova del pregiudizio essendo in ipsa re, cioè nell'esistenza attuale di un rapporto di lavoro mai validamente interrotto: così Cass. 21 novembre 1977, n. 5079, Foro it., Rep. 1977, voce Lavoro '(rapporto), n. 1087 e in Riv. giur. lav., 1978, II, 847) ed uno « temperato » (l'art. 18 vede un temperamento al principio che la

prova del danno deve essere fornita dall'interessato, nella presunzione semplice che assiste il lavoratore, in relazione alla natura alimentare del credito: Cass. 28 giugno 1978, n. 3271, Foro it., Rep. 1978, voce

cit., n. 1371, e in Riv. giur. lav., 1978, II, 533) che si fece ben presto maggioritario [v. l'esauriente riepilogo dei diversi filoni giu risprudenziali nella nota redazionale alla sentenza in commento in Foro it., 1985, I, 1290, nonché nella nota di Del Punta a Cass. 14

giugno 1983, n. 4088 (Foro it., Rep. 1983, voce cit., n. 2167), in Giust. civ., 1983, I, 2941 ss., ove una attenta ed opportuna indagine, sulle motivazioni e sulle fattispecie, anziché soltanto sulle « massime » dei precedenti richiamati ].

Poi le incertezze iniziali cominciarono a provocare pentimenti, e si precisò un indirizzo «dissenziente». Dimostrata agevolmente la impos sibilità di ricavare temperamenti al principio dell'art. 2697 c.c. da una « presunzione semplice » di danno (se non altro perché « le presunzioni semplici sono quelle ritenute di volta in volta dal giudice di merito secondo il suo prudente apprezzamento ») apparve logico affermare che al di là del minimo garantito di cinque mensilità, il maggior danno subito nel periodo compreso tra il licenziamento e la sentenza, deve essere provato dal lavoratore, anche per quanto concerne la mancata percezione di altri redditi (Cass. 14 giugno 1983, n. 4088, cit.); dopodiché, presa la rincorsa, si è giunti ad addossare al lavoratore danneggiato anche la prova della diligente, quanto infruttuosa, ricerca di una diversa occupazione (Cass. 12 aprile 1983, n. 2586, Foro it., Rep. 1983, voce cit., n. 2169).

4. - Le sezioni unite confermano l'indirizzo « rigoroso » apportando alcune significative precisazioni che conferiscono alla soluzione il massimo di coerenza possibile, considerata la qualità non eccelsa del materiale normativo sistemato.

Se la soluzione non è tale da risolvere tutti i problemi concreti dei giudici di merito e degli operatori (di fronte all'abnorme durata dei

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