sezione lavoro; sentenza 13 marzo 1986, n. 1701; Pres. Vela, Est. Cassata, P. M. Iannelli (concl.conf.); Credito romagnolo (Avv. Visconti, Jacchia) c. F.a.b.i.,F.i.d.a.c.-C.g.i.l., F.i.b.-C.i.s.l.,U.i.b.-U.i.l. (Avv. Luberto, Rinaldi). Cassa Trib. Bologna 13 gennaio 1981Source: Il Foro Italiano, Vol. 110, No. 9 (SETTEMBRE 1987), pp. 2477/2478-2487/2488Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23179017 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
dizione ordinaria (cfr. sentenza n. 39 del 1984, id., 1985, I, 93
e precedenti ivi menzionati). 6. - Una volta accertato che la situazione soggettiva di cui il
comune di Falconara Marittima lamenta la lesione ha consistenza
di diritto soggettivo — dal lato attivo, corrispondente all'obbli
gazione pubblica assunta ex lege dal lato passivo, dalla regione Marche — deve concludersi che la controversia attinente alla di
sfunzionalità di quel rapporto spetta interamente alla giurisdizio ne dell'autorità giudiziaria ordinaria.
Pare superfluo soggiungere che il provvedimento del presidente della giunta regionale, dichiarativo della compensazione parziale tra il debito della regione con il debito verso di essa assertiva
mente gravante sul comune di Falconara Marittima, non vale a
degradare la tutelabilità piena della regione creditoria di quest'ul timo sospingendola sul piano della difesa degli interessi legittimi; ma semmai sottintende la soggettiva opinione che l'obbligazione
pecuniaria assunta nei confronti del comune sia passibile di uno
dei modi di estinzione previsti in generale per le obbligazioni di
diritto comune.
Gli ulteriori assunti dal ricorrente, circa l'illegittimità, anche
sotto il profilo costituzionale, della pretesa creditoria avanzata
dall'ente regionale e circa l'inoperatività del meccanismo della com
pensazione attengono al merito della controversia e, non inve
stendo la questione della giurisdizione, esulano dai limiti
dell'indagine in questa sede consentita. (Omissis)
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 13 marzo
1986, n. 1701; Pres. Vela, Est. Cassata, P. M. Iannelli (conci,
conf.); Credito romagnolo (Avv. Visconti, Jacchia) c.
F.a.b.i.,F.i.d.a.c.-C.g.i.l., F.i.b.-C.i.s.l., U.i.b.-U.i.l. (Aw. Lu berto, Rinaldi). Cassa Trib. Bologna 13 gennaio 1981.
Sindacati — Condotta antisindacale — Sciopero — Ricorso alle
prestazioni di lavoratori non scioperanti — Legittimità (Cost., art. 40).
Va cassata la sentenza che abbia ritenuto antisindacale la condot
ta del datore di lavoro che impieghi personale non scioperante, anche estraneo all'azienda. (1)
II
TRIBUNALE DI FIRENZE; sentenza 22 novembre 1986; Pres.
Malenotti, Est. Pavone; Min. pubblica istruzione (Avv. dello
Stato Andronio) c. Coordinamento nazionale dei lavoratori della
scuola (Avv. Pucci).
Sindacati — Repressione di condotta antisindacale — Ammini
strazione statale — Tutela del diritto di sciopero — Legittima zione dei sindacati — Giurisdizione ordinaria — Competenza
(L. 20 maggio 1970 n. 300, norme sulla tutela della libertà e
dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sin
dacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento, art. 28;
1. 29 marzo 1983 n. 93, legge-quadro sul pubblico impiego,
art. 23, 28). Sindacati — Sostituzione del personale scioperante — Comporta
mento antisindacale (Cost., art. 39, 40; 1. 20 maggio 1970 n.
300, art. 28; 1. 29 marzo 1983 n. 93, art. 23).
(1) Con la decisione in epigrafe — riportata anche in Mass. giur. lav.,
1986, 336, con nota di B. Brattoli, La Suprema corte ed il c.d. crumi
raggio — la Cassazione affronta la problematica del c.d. crumiraggio e reputa legittima la sostituzione dei lavoratori in sciopero. Sul ricorso
all'impiego di personale non scioperante la giurisprudenza di merito ha
adottato soluzioni difformi: per ogni riferimento v. Cass. 7 febbraio 1987, n. 1331, Foro it., 1987, I, 775, con nota di G. Silvestri, cui adde, Pret.
Rimini 10 dicembre 1986, Notiziario giur. lav., 1986, 713, nonché Corte
cost. 23 luglio 1980, n. 125, Foro it., 1980, I, 2369, con nota di ulteriori
richami (anche sullo sciopero dei titolari di servizi pubblici) di A. Pizzo
russo; in dottrina, per la legittimità della sostituzione del personale scio
perante con i c.d. crumiri: Pera, Diritto del lavoro, 1984, 314-315; Id.,
Crumiraggio interno ed esterno e comportamento antisindacale, in Giust.
civ., 1981, I, 437; Vidiri, È antisindacale il comportamento del datore
di lavoro che sostituisce il personale scioperante?, in Giur. merito, 1979,
531.
Il Foro Italiano — 1987.
Il diritto al pieno esercizio del diritto di sciopero, del quale va
riconosciuta la titolarità iure proprio ai sindacati anche nel cam
po del pubblico impiego, è azionabile dinanzi all'autorità giu diziaria ordinaria, secondo il rito ordinario. (2)
Il comportamento attivo della p.a. che sia intenzionalmente indi
rizzato a rendere nulli gli effetti dell'astensione dal lavoro, at
traverso la sostituzione dei lavoratori scioperanti, costituisce
condotta antisindacale. (3)
III
PRETURA DI AVELLINO; ordinanza 16 giugno 1987; Giud.
Vignes; Sindacato direttori penitenziari c. Min. grazia e giusti zia (Avv. dello Stato Albano, Fiengo).
Sindacati — Repressione di condotta antisindacale — Ammini
strazione statale — Ricorso — Improponibilità — Competenza
(2-3) I. - Nonostante il particolare clamore giornalistico suscitato (per il clima di contestazione, contro alcuni recenti provvedimenti del ministro
Falcucci, nel quale si è casualmente — i fatti risalgono all'anno scolastico 1982/83 — inserita), la sentenza in epigrafe non si discosta dal solco tracciato dalla Cassazione in tema di tutelabilità autonoma dei diritti sin
dacali nel pubblico impiego su cui cfr., da ultimo, Cass. 25 marzo 1986, n. 2099, ed altre, Foro it., 1986, I, 2514, con nota di G. Albenzio; sulla
configurabilità di una lesione al diritto di sciopero nel caso di sostituzio ne del personale scioperante v. la nota che precede; sui limiti allo sciope ro nei pubblici servizi: Fiorai, La disciplina dello sciopero nei servizi
pubblici: autoregolamentazione, eteroregolamentazione, forme spurie, in Studi senesi, 1985, 47 (con riferimenti anche all'art. 11 1. n. 93/83); Car
nevale, Brevi notazioni sul diritto di sciopero nei servizi pubblici essen
ziali, in Trib. amm. reg., 1983, I, 133; Vacca, Sostituzione dei dipendenti pubblici per scioperi e regolamentazione del diritto di sciopero, in Temi
romana, 1980, 689. II. - Particolare interesse suscita, invece, la vicenda processuale che
ha portato alla pronuncia del tribunale, non compiutamente emergente dalla descrizione dei fatti riportata nella stessa: il C.n.l.s. adiva origina riamente il T.A.R. Toscana per l'annullamento degli atti amministrativi intervenuti in analoga vertenza sorta nell'anno 1982, ottenendo soltanto
la reiezione della istanza di sospensione proposta ai sensi dell'art. 21, ultimo comma, 1. 1034/71.
Ripresentatasi la questione nell'anno 1983, il sindacato proponeva ri
corso ex art. 700 c.p.c. al Pretore di Firenze, in funzione di giudice del
lavoro, per la cessazione del denunziato comportamento antisindacale della
p.a., ma il pretore (giud. Soresina), con ordinanza 4-7 giugno 1983, re
spingeva la domanda con motivazione puntuale ed approfondita, la cui
lettura vale la pena di suggerire (la decisione è riportata per esteso in
Foro it., 1984, I, 475, con nota di A. Proto Pisani), anche perché costi tuisce una qualificata testimonianza dello stato della giurisprudenza di
merito anteriormente alle famose pronunzie del 26 luglio 1984 della Su
prema corte. Il C.n.l.s., non ancora rassegnato, proponeva altro ricorso ex art. 409
c.p.c., chiedendo la declaratoria di illegittimità dei provvedimenti della
p.a., sotto il profilo dell'illegittimità per antisindacalità, ed il risarcimen
to dei danni subiti. Il Pretore di Firenze (giud. Chiari), con sentenza
29 febbraio-2 aprile 1984 (id., Rep. 1984, voce Sciopero, n. 34, e in Giusi,
civ., 1984, I, 2276, con nota di Cecchella), accoglieva integralmente le domande, affermando la giurisdizione dell'a.g.o. e la legittimazione ad agire del segretario del sindacato.
Il ministero appellava la sentenza, secondo la procedura dettata dagli art. 433 ss. c.p.c., ma la sezione lavoro del Tribunale di Firenze (pres. e rei. Palazzolo), con ordinanza 31 ottobre 1984 (in ossequio a quanto statuito dalle pronunzie delle sezioni unite della Corte di cassazione, nel
frattempo pubblicate), cosi decideva: «rilevato che il C.n.l.s. con il ricor
so introduttivo ha proposto una domanda tendente ad ottenere il risarci
mento di danni cagionati da comportamenti definiti antisindacali dello
Stato e come tali in violazione dei diritti di cui lo stesso C.n.l.s. assume
di essere titolare ex art. 39 e 40 Cost.; che tale domanda non si inquadra nell'ambito dell'art. 28 1. n. 300/70, del resto inapplicabile nei confronti
dello Stato; che, invece si richiede la tutela del diritto ai sensi dell'art.
24 Cost.; che tale tutela non rientra nelle ipotesi previste dalla legge per il rito speciale del lavoro, ma è rimessa al giudice ordinario, identificato
nel tribunale in primo grado dalle sezioni unite della Cassazione (sent, n. 4389 del 26 luglio 1984, Foro it., 1984, I, 2110), e pertanto nella specie va disposto il mutamento di rito ex art. 439 c.p.c., per questi motivi, rimette gli atti al presidente del tribunale per i provvedimenti relativi al
cambiamento di rito». Il processo proseguiva, quindi, secondo il rito ordinario e si chiudeva
con la pronunzia in epigrafe. La vertenza, però, non è ancora conclusa, perché la sentenza è stata
impugnata in Cassazione dall'avvocatura dello Stato; sarà cosi la Supre ma corte a pronunziare la parola definitiva in materia.
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2479 PARTE PRIMA 2480
(Cod. proc. civ., art. 9, 700; 1. 20 marzo 1865 n. 2248, all.
E, sul contenzioso amministrativo, art. 4; r.d. 30 luglio 1940
n. 2041, regolamento per il personale civile di ruolo degli istitu
ti di prevenzione e di pena, art. 31; 1. 20 maggio 1970 n. 300, art. 28).
Il ricorso proposto dal sindacato direttori penitenziari avverso un
preteso comportamento antisindacale del ministero di grazia e
giustizia, repressivo del diritto di sciopero, è improponibile sia
ai sensi dell'art. 28 I. 300/70 sia ai sensi dell'art. 700 c.p.c.,
potendo essere proposto soltanto nelle forme ordinarie ex art.
9 c.p.c. (4)
I
Svolgimento del processo. — Il 12 novembre 1979, mentre era
in corso dal 15 ottobre precedente uno sciopero indetto dalle or
ganizzazioni sindacali nazionali in vista del rinnovo del contratto
collettivo dei dipendenti delle aziende di credito e finanziarie, che
veniva attuato in sede locale mediante astensione da ogni presta zione di lavoro straordinario, il Credito romagnolo s.p.a. di Bo
logna dispose al fine di assicurarsene il servizio dalle ore 17 alle
ore 18 che il commesso Remo Marchi, aderente allo sciopero, a partire dall'indomani osservasse — in luogo di quello comune
con inizio alle ore 8,15 e termine ore 17 — l'orario (di durata
ordinaria, tenuto conto del normale intervallo meridiano), dalle
ore 9,15 alle ore 18; nelle stesse circostanze dispose inoltre, per
l'espletamento dei compiti del Centro elaborazione dati, la pre stazione da parte di dipendenti non aderenti allo sciopero, di la
voro straordinario nella giornata, normalmente non lavorativa, di sabato.
Ravvisando in tali fatti un comportamento antisindacale inteso
ad elidere almeno parzialmente i naturali effetti dello sciopero sull'attività dell'azienda ed a ridurre in conseguenza l'efficacia
di un mezzo di autotutela dei lavoratori costituzionalmente ga
rantito, i segretari pro tempore in carica a Bologna delle quattro
organizzazioni sindacali indicate in epigrafe, Romano Pierantoni,
Pierluigi Cavalli, Mario Lo Munno e Luigi Di Salvatore, adirono
congiuntamente con ricorso del 27 novembre 1979 il Pretore di
Bologna perché ai sensi dell'art. 28 1. n. 300 del 1970 ordinasse
la cessazione del detto comportamento e la rimozione dei suoi
effetti.
La domanda — vanamente contrastata dalla società convenu
ta, per la quale le disposizioni date costituivano legittimo eserci
zio dei propri diritti in nessun modo in contrasto con l'esercizio
del diritto di sciopero — venne integralmente accolta con decreto
del 17 dicembre dello stesso anno, confermato poi, a seguito di
opposizione e d'appello della soccombente, con le sentenze, rese
rispettivamente dallo stesso giudice e dal tribunale della medesi ma città, il 14 aprile e il 15 dicembre del 1980.
Contro l'ultima di tali decisioni il Credito romagnolo ha infine
proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi, da ulti mo illustrati anche con memoria. Le organizzazioni sindacali hanno
proposto controricorso.
Motivi della decisione. — Col primo motivo il ricorrente de nunzia violazione o quanto meno falsa applicazione degli art. 40 e 41 Cost, e 28 1. 20 maggio 1970 n. 300 ed omessa o quanto meno insufficiente motivazione su di un punto decisivo della con troversia per il fatto che il giudice a quo abbia ritenuto garantito dall'ordinamento, non solo l'esercizio del diritto di sciopero, ma anche il conseguimento degli effetti, dannosi per il datore di la
voro, con lo stesso perseguiti, con corrispondente obbligo del da tore di astenersi da qualsiasi comportamento inteso ad ostacolarne la realizzazione; col secondo mezzo censura la sentenza del tribu nale — ravvisandovi violazione o quanto meno falsa applicazione
(4) Anche il provvedimento del Pretore di Avellino si pone nel solco dell'insegnamento della Cassazione in punto di proponibilità e competen za per le domande di accertamento di condotta antisindacale nei confron ti della p.a., come la sentenza del Tribunale di Firenze in epigrafe (su cui v. la nota che precede).
Sulle altre problematiche delle quali è cenno nella decisione in epigrafe cfr., per le pronunzie meramente dichiarative in sede di procedimento ex art. 700 c.p.c. ed in relazione all'art. 4 1. 2248/1865, Pret. Roma 28 novembre 1985, Foro it., 1986, I, 2516, con nota di richiami; per le pro nunzie sulle spese nel caso di reiezione del ricorso, Trib. Bari 6 febbraio 1986 e Pret. Sestri Ponente 9 gennaio 1987, id., 1987, I, 1615, con nota di A. Proto Pisani, Rigetto di misure cautelari chieste «ante causam» e spese giudiziali.
Il Foro Italiano — 1987.
degli art. 3 e 4 Cost., dell'art. 15 1. 20 maggio 1970 n. 300 e
dell'art. 2697 c.c. ed omessa motivazione circa un punto decisivo
della controversia — per avere ritenuto indicativo dell'antisinda
calità del comportamento denunziato il fatto che l'invito alla pre stazione di lavoro straordinario nel giorno di sabato era stato
in prevalenza rivolto a lavoratori in prova, in quanto tali privi di una piena libertà di scelta, senza che di un tale assunto fosse
stata dai ricorrenti fornita alcuna prova e senza adeguatamente considerare né che, come era stato per contro provato, i dipen denti in prova aderenti allo sciopero erano stati definitivamente
assunti in base a lusinghiera valutazione del loro zelo, né che
la ipotizzata esclusione dei lavoratori in prova dall'invito a pre stare lavoro straordinario si sarebbe risolta in una illegittima di
scriminazione in loro danno; col terzo mezzo, infine, ravvisa
contraddittorietà di motivazione nella discordanza, mutuata dalla
sentenza del pretore, tra la parte motiva della decisione, che af
fermava, restando nei limiti del petitum, l'illegittimità del ricorso
al lavoro straordinario nel giorno di sabato per l'espletamento dell'attivtà del C.e.d. e il dispositivo, che, in difformità da quello del decreto, afferma l'illegittimità in genere di tale ricorso.
Il ricorso è fondato. Rilevato preliminarmente che lo stesso
non contiene alcuna censura in ordine alle statuizioni della sen
tenza impugnata concernenti lo spostamento dell'orario di lavoro
del Marchi e che pertanto resta come unico residuo oggetto del
contendere la ravvisabilità oppure no, con tutte le conseguenze
relative, di un comportamento antisindacale nel ricorso fatto dal
l'istituto — per far fronte a sue particolari esigenze in pendenza di uno sciopero dello straordinario — a prestazioni fornite nella
giornata non lavorativa di sabato da dipendenti non scioperanti, la corte deve in primo luogo dare atto, con riferimento al terzo
motivo di impugnazione, che, come risulta dagli atti e come tra
spare dalla esposizione dei fatti e dei motivi contenuta nella sen
tenza impugnata e nelle difese dei sindacati resistenti, l'azione
da questi promossa si riferisce specificamente solo alle prestazio ni straordinarie chieste ed ottenute nelle circostanze indicate per il funzionamento del «centro elaborazione dati» e che pertanto la decisione della causa non poteva e non può estendersi, come
potrebbe apparire dai termini generici usati nel dispositivo della
sentenza ma non anche nel decreto del pretore e fatti implicita mente propri dal tribunale, a comportamenti datoriali diversi da
quello in tali sensi individuato e circoscritto. Quanto, poi, agli altri due motivi, la corte deve osservare, con riferimento al pri
mo, che se il diritto di sciopero direttamente attribuito ai lavora
tori dalla Costituzione di per sé comporta — trattandosi di un
mezzo di autotutela specificamente ordinato a condizionare le de
terminazioni del datore di lavoro attraverso la provocazione di
una diminuzione dei suoi profitti — l'illegittimità (nei noti limiti, nel caso fuori questione) della produzione di danni a carico del
predetto, la soggezione di questo ad una tale forma di pressione certamente non esclude il suo diritto — postulato, anzi, dal ca
rattere conflittuale del rapporto dialettico entro cui l'esercizio del l'autotutela si pone — di avvalersi di ogni mezzo legale che possa — senza impedire tale esercizio — evitarne o attenuarne gli effet
ti nocivi.
È pertanto senz'altro da escludere che, come dal tribunale si
afferma, sussista «a carico del datore di lavoro un dovere di aste
nersi da quegli atti da cui consegua la vanificazione della lotta
sindacale» ed è per contro da ritenersi legittimo il ricorso, benin
teso per le vie legali, all'impiego di personale, anche esterno al
l'azienda, non scioperante, la cui volontaria collaborazione
costituisce oltretutto fruizione di una libertà assicurata dai princi
pi fondamentali della Costituzione, con la particolare accentua
zione conferita in materia dal disposto del suo art. 4, e necessario
risvolto dello stesso diritto di sciopero.
Posto, dunque, che, come il tribunale riconosce, il fatto di aver
preteso la prestazione di lavoro straordinario al di fuori, in as
sunto, delle situazioni al riguardo previste dal contratto collettivo
non potrebbe di per sé costituire comportamento antisindacale, ben potendo tale pretesa trovare naturale correttivo nel rifiuto
da parte degli interpellati delle prestazioni richieste, la possibilità di ravvisare nel caso un tale comportamento viene a porsi in esclu siva dipendenza dell'effettiva sussistenza, secondo quanto soste nuto dai sindacati, di mezzi di coartazione, ancorché indiretta, della volontà degli aderenti alla richiesta.
Ma sul punto deve darsi atto, con riguardo al secondo mezzo, della insufficienza della motivazione della sentenza impugnata;
giacché a fronte delle alligazioni dell'istituto ricorrente — per di
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
più sostenute, in assunto, da non esaminate prove dallo stesso
fornite senza che ne avesse l'onere — che la richiesta di lavoro
straordinario nel giorno di sabato per l'espletamento dei servizi
del «centro elaborazione dati» era stata nel caso fatta secondo
modalità abituali e rivolta, come dovuto, alla generalità, senza
distinzione, degli addetti al centro, che la stessa era stata in mag
gioranza accolta da dipendenti che non erano in prova e che nes
suna disparità di trattamento era stata in seguito usata — per
quanto concerneva in particolare le note di qualifica e le confer
me di servizio — tra coloro che avevano e coloro che non aveva
no aderito alla richiesta, la mera affermazione del giudice a quo che questa era stata rivolta «prevalentemente a lavoratori in pro va» si appalesa affatto gratuita e il collegato — ma sul piano
logico non necessariamente conseguente — avviso che alla stessa
«poteva facilmente essere attribuito un contenuto intimidatorio»
per essere i detti destinatari «obiettivamente non liberi di aderire
o meno», si rivela del tutto indimostrato.
Il ricorso deve pertanto essere accettato.
II
Svolgimento del processo. — Con ricorso in data 8 luglio 1983
il Coordinamento nazionale lavoratori delle scuole esponeva al
Pretore di Firenze che aveva proclamato uno sciopero da attuarsi
mediante astensione dagli scrutini ed esami per l'anno scolastico
1982/83, sciopero che era stato già attuato per gli scrutini del
1° quadrimestre. Il ricorrente soggiungeva che con nota in data
9 maggio 1987 il provveditorato agli studi di Firenze aveva tras
messo a tutti i presidi delle scuole e degli istituti di istruzione
secondaria ed artistica la direttiva, conforme ad istruzioni mini
steriali, di sostituire gli insegnanti in sciopero con altri docenti
della stessa disciplina della medesima scuola o, in mancanza, ri
correndo al personale a disposizione o a supplenze. Dopo avere
affermato che intendeva denunciare la violazione dei diritti di
cui si riteneva titolare in qualità di rappresentante di associazione
sindacale, chiedeva la declaratoria d'illegittimità dei provvedimenti della p.a. sotto il profilo dell'illegittimità per antisindacalità ed il risarcimento dei danni subiti.
Il ministero della pubblica istruzione si costituiva in giudizio e rilevava: l'inammissibilità dell'impugnazione avverso norme in
terne della p.a.; il difetto di legittimazione del segretario del sin
dacato perché nella specie si trattava di un'assunta violazione di
interessi diffusi; che, nel merito, la circolare non aveva violato
alcuna norma imperativa né era lesiva del diritto allo sciopero in quanto si era limitata all'utilizzazione di strumenti normativi
vigenti per disciplinare la sostituzione del personale assente per
garantire la conclusione dell'anno scolastico; che la libertà di scio
pero dei docenti non era stata lesa e che l'amministrazione aveva
contemperato le opposte esigenze derivanti da interessi tutti
protetti. Con sentenza in data 29 febbraio 1984 il Pretore di Firenze
accoglieva il ricorso sul presupposto che non sussisteva il difetto
di giurisdizione dell'a.g.o.; che il segretario del sindacato in quanto tale e come portatore del diritto di sciopero era legittimato al
ricorso; che, nel merito, le disposizioni impartite non costituiva
no norme interne, ma avevano attuato una condotta antisindaca
le in quanto si erano poste in contrasto con la libertà di sciopero. Con atto notificato in data 28 maggio 1984 il ministero della
pubblica istruzione proponeva appello avverso la detta sentenza
e con tre mezzi di impugnazione ne domandava la riforma.
Il Cooordinamento nazionale dei lavoratori della scuola si co
stituiva in giudizio e rilevava che le censure mosse alla sentenza
del pretore erano destituite di fondamento; concludeva chiedendo
il rigetto dell'impugnazione proposta. (Omissis) Motivi della decisione. — Con il primo motivo di impugnazio
ne l'amministrazione ha eccepito il difetto di giurisdizione del
l'a.g.o. sul presupposto che per effetto della imprescindibile coesistenza delle posizioni soggettive con gli interessi pubblici per
seguiti dall'amministrazione, i dipendenti non possono che essere
portatori di interessi legittimi. Ulteriore conferma di questo prin
cipio andrebbe ricercata, secondo l'appellante, nell'inapplicabili tà dell'art. 28 dello statuto dei lavoratori alla materia del pubblico
impiego. La questione che è stata di grande momento, sino a qualche
anno fa, ha perso il carattere della problematicità ed almeno allo
stato della vigente disciplina legislativa, la sua stessa attualità,
Il Foro Italiano — 1987.
dal momento che le sezioni unite della Corte suprema di cassazio
ne con sentenza del 28 luglio 1984, n. 4390 (Foro it., 1984, I,
2105), hanno stabilito che «nel settore degli enti pubblici non
economici i diritti soggettivi delle associazioni sindacali alla liber tà ed attività sindacale nonché all'esercizio del diritto di sciopero sono sempre deducibili in giudizio su domanda delle associazioni
sindacali che ne sono titolari iure proprio: la giurisdizione spetta al giudice ordinario e l'azione è esperibile nelle forme speciali ex art. 28 statuto dei lavoratori se il comportamento antisindaca
le denunciato incide su diritti sindacali in senso stretto propri esclusivamente delle associazioni sindacali; la giurisdizione spet
ta, invece, agli organi di giustizia amministrativa in sede di giuris dizione esclusiva se il comportamento antisindacale denunciato
incide su diritti sindacali correlati a posizioni soggettive proprie del pubblico dipendente».
A prescindere da considerazioni che la decisione delle sezioni
unite inducono a formulare su problematiche estranee al tema
della decisione (individuazione del giudice competente — tribuna
le o pretore — e uso del rito ordinario o di quello speciale: even
tuali interferenze della decisione del giudice civile con un atto
amministrativo e problematiche derivanti dalla valenza degli ef
fetti promananti dall'art. 4 1. 20 marzo 1865 n. 2248, ali. E), resta da dire che nel settore del pubblico impiego statale e con
riguardo ai diritti sindacali in senso stretto (cioè afferenti alla
posizione del sindacato in relazione alle cosiddette posizioni «agi te» come assemblee, propaganda e sciopero) è stata riconosciuta, una volta esclusa l'applicabilità dello statuto dei lavoratori, la
natura di diritto soggettivo dei diritti sindacali nel solco del prin
cipio interpretativo che era stato da tempo espresso dalla Corte
costituzionale (sent. 68/80, id., 1980, I, 1553). Con il secondo mezzo di gravame l'amministrazione appellante
ha segnalato che il sindacato non era legittimato a proporre il
ricorso avverso le disposizioni di servizio che hanno carattere in
terno per essere state emanate esclusivamente allo scopo di assi
curare il normale svolgimento dell'attività degli insegnanti. Il
carattere di disposizione interna degli atti dell'amministrazione
impedisce che si possa riconoscere una derivazione di causalità
adeguata tra quegli atti e l'offesa che il sindacato lamenta di ave
re subito al proprio diritto.
La tesi sostenuta dall'amministrazione è strumentalmente ri
duttiva della portata dell'atto in quanto trascura di considerare
che le istruzioni ministeriali prima e le istruzioni del provveditore
agli studi, poi, se sono state solo indirizzate a presidi, dovevano
di costoro servirsi non come destinatari finali ed esclusivi delle
disposizioni, ma come mezzo operativo teso al fine di rendere
attivo quel complesso di provvedimenti che avrebbero dovuto avere
la loro massima efficacia, oltre che sul personale dipendente (in
segnanti in servizio) anche su personale estraneo alla stessa am
ministrazione (personale supplente). La misura di valenza delle
circolari è stata apprezzata dall'amministrazione solo con criteri
validi nell'ambito dell'organizzazione amministrativa in generale nella quale, appunto, quelle istruzioni assumono il carattere di
norme interne contenenti istruzioni di servizio.
Questa incidenza, però, deve restare circoscritta all'ambito dei
semplici rapporti amministrativi con la p.a. dove si dovrà esclu
dere che, non contenendo norme giuridiche vere e proprie, posso no avere valore esterno per i terzi. Ciò che in questa situazione
gioca come fattore di confusione è che l'avvocatura dello Stato
pretende di fare conseguire a queste ineccepibili premesse (il valo
re interno della circolare) l'inesistenza di diritti soggettivi lesi di
cui il sindacato è portatore. Il diritto, infatti, non trova né ragione d'essere né tutela nella
circolare amministrativa, ma proprio il contrario: il sindacato è
titolare, come già si è detto, di un diritto proprio che trova fon
damento nello statuto dei lavoratori: la circolare amministrativa, che d'ordinario produce effetti indiretti anche all'esterno, a mez
zo di tali effetti ha inciso negativamente sul diritto sindacale in
senso stretto (quello di sciopero). Non è necessario, contrariamente a quanto suppone la difesa
dello Stato, che siano emanati provvedimenti esecutivi di tali cir
colari per potersi dire attuata la lesione del diritto: le istruzioni
ministeriali e quelle del provveditore agli studi ai presidi costitui
scono già di per sé disposizioni immediatamente operative in quan
to attuano al momento stesso della emanazione uno status
normativo che si contrappone di fatto a quello di tutela del dirit
to sindacale protetto. L'esecuzione materiale di quelle istruzioni non aggiunge nulla
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2483 PARTE PRIMA 2484
agli effetti che già le istruzioni hanno determinato perché la no
mina di supplenti o la «comandata» degli insegnanti in servizio
per supplire gli scioperanti rappresenta solo una conseguenza au
tomatica necessaria ed inevitabile (per gli organi amministrativi
dipendenti) delle istruzioni. Sembra perciò tecnicamente errato
considerare che la sostituzione per chiamata degli insegnanti sia
un atto funzionale solo al raggiungimento e non invece alla pro trazione di effetti di neutralizzazione delle conseguenze dello scio
pero; effetti che, è utile ripetere, hanno già prodotto le circolari.
Quanto, invece, alle perplessità prospettate sulla legittimazione del segretario del sindacato a proporre il ricorso sul presupposto che si tratterebbe di un soggetto esponenziale di interessi diffusi,
è già sufficiente segnalare che il Consiglio di Stato ha affermato
il principio opposto in tema di legittimazione (cfr. Cons. Stato,
sez. V. 27 novembre 1981, n. 513, id., 1982, III, 248). Il che senza nemmeno considerare che il sindacato è, com'è
pacifico nell'interpretazione giurisprudenziale, portatore diretto
di un diritto sindacale in senso stretto tra cui rientra quello scio
pero (cfr. Cass., sez. un., n. 4390/84, cit.). Non sembra nemmeno tecnicamente corretta l'impostazione del
l'eccezione relativa al difetto di legittimazione del sindacato sotto
altro profilo. Oggetto della tutela attuabile col ricorso al giudice infatti è non solo la libertà e l'attività sindacale (che comprende
pure lo sciopero) ma anche l'interesse del sindacato in quanto
soggetto a rivendicare il riconoscimento di un diritto acquisito
nel sindacalismo praticato, passibile di repressione per l'effetto
neutralizzante che si è inteso raggiungere con le istruzioni alle
quali più volte si è fatto richiamo. Queste motivazioni mi consen
tono di dichiarare infondato il secondo motivo d'appello.
Il terzo mezzo d'impugnazione è stato proposto allo scopo di
segnalare che la circolare ha rappresentato solo l'applicazione di
uno strumento giuridico previsto dalla legge per contemperare le
esigenze coesistenti e contrapposte, tutte costituzionalmente pro
tette, strumento che ha carattere eccezionale e non generale.
Gli interessi che nella specie si sono contrapposti sono solo
quelli degli insegnanti e quello — dal punto di vista della orga
nizzazione scolastica — della continuità e regolarità del servizio
scolastico.
In questa materia le conclusioni alle quali perviene la difesa
dello Stato sono alquanto parziali per le ragioni che non tengono
conto di vari aspetti della complessa problematica che si pone
con la questione in esame.
Dalle sentenze della Corte costituzionale (12 gennaio 1977, n.
4, id., 1977, I, 276 e 3 agosto 1976, n. 222, id., 1976, I, 2297) si traggono utili argomenti per il problema in esame perché è
stato precisato che l'ordinamento offre i criteri per riconoscere,
nell'ambito di un servizio pubblico essenziale, le prestazioni es
senziali in senso stretto e cioè che non possono in nessun caso
essere sospese e quelle che, essendo complementari alle prime e
ordinariamente necessarie, rivestono un minor grado di impor
tanza e di indispensabilità e perciò possono essere interrotte o
sospese. Se la funzione dell'istruzione in relazione all'art. 34 Cost, deve
essere considerata un servizio essenziale, si deve, però, evitare
di pervenire a troppo affrettate conclusioni e perciò affermare
che il servizio è connotato dal carattere di tale importanza ed
indispensabilità che non sopporti sospensioni limitate nel tempo come quelle del personale di scuola. È infatti eccezionale che la
durata e le modalità dello sciopero siano articolate in tal maniera
da costituire seriamente, e non solo astrattamente, una sostanzia
le lesione del diritto costituzionale all'istruzione.
Il blocco degli scrutini e degli esami consistente nell'astensione
dal lavoro di valutazione degli alunni non incide nemmeno in
via mediata sul diritto all'istruzione che è stata, invece, assicurata
agli alunni.
Il ritardo nella valutazione finale degli alunni e nell'espleta mento delle prove di esami che si connota di notevoli caratteri
amministrativi solo complementari all'attività d'insegnamento si
risolve nella determinazione di una situazione di disagio che è
produttrice di un danno che costituisce ragione di travalicamento
del limite di legittimità dello sciopero in quanto non attenta a
nessuno degli interessi preminenti la cui salvaguardia deve essere,
comunque, garantita. Il Consiglio di Stato (sez. II 27 gennaio 1982, n. 750, id., Rep.
1983, voce Istruzione pubblica, nn. 97-99) ha appunto chiarito
che non costituisce sciopero illegittimo quello degli insegnanti che
abbia avuto una durata limitata e soporattutto non abbia costi
li, Foro Italiano — 1987.
tuito ragione di attentato ad interessi primari come quelli dell'i
struzione, dell'assistenza, della vigilanza degli alunni e della loro
incolumità fisica. Non è di scarso momento l'analisi della inten
zionalità dei comportamenti della p.a. allo scopo di ricavarne il
giudizio di verificazione del carattere antisindacale.
Ancorché sia stato avvertito dalla giurisprudenza che la sosti
tuzione del lavoratore per chiamata è lecita quando è diretta, esclu
sivamente ad evitare danni irreparabili per la stessa struttura
dell'impresa, la circolare ha attuato questo principio pur non ri
correndone i presupposti giustificativi, per le ragioni che si sono
spiegate. Secondo l'indirizzo interpretativo più accreditato occorre di
stinguere tra comportamenti la cui illiceità è desumibile da altre
norme, da quelli — come nel caso di specie — in sé illeciti, la
cui repressione presuppone l'accertamento concreto dell'idoneità
del comportamento stesso a ledere o minacciare il bene protetto
(Cass. 26 gennaio 1979, n. 602, id., 1979, I, 945; 6 giugno 1984,
n. 3409, id., 1984, I, 2779). Le disposizioni impartite dall'amministrazione incidono diret
tamente sul corretto svolgimento della dialettica sindacale, dal
momento che, predisponendo un apparato operativo alternativo
a quello ordinario, si contrappongono all'iniziativa del sindacato
neutralizzandone o comunque elidendone buona parte degli effet
ti, fino a renderla pressoché priva di contenuto pratico. La tendenza del datore di lavoro a non collaborare con il lavo
ratore in sciopero è fatto legittimo atteso che non esiste a suo
carico un obbligo comportamentale attivo di collaborazione; uti
lizzare però questa posizione concettuale per rendere giustificabi
le un comportamento attivo intenzionalmente indirizzato a rendere
nulli gli effetti della estensione del lavoro costituisce certamente
un illecito sanzionabile per antisindacalità.
Alla luce delle argomentazioni esposte si deve concludere affer
mando che l'appello proposto dall'amministrazione della pubbli
ca istruzione deve essere rigettato e la sentenza del pretore
confermata.
Ili
Fatto. — Con ricorso depositato in data 12 giugno 1987 Bevi
lacqua Clorinda e Siciliano Vito, nella qualità rispettivamente di
segretaria e vice-segretario nazionali del sindacato direttori peni
tenziari (Si.di.pe.), premesso che nel corso di uno sciopero indet
to dalla categoria dall'11 al 16 giugno 1987 il ministero di grazia
e giustizia - direzione generale degli ist. prev. e pena con provve
dimento fonografico del 10 giugno 1987 aveva affidato la titola
rità della direzione degli istituti di pena ad impiegati della carriera
di concetto in forza dell'art. 81 r.d. n. 2041/40, chiedevano che
il Pretore di Avellino, ai sensi dell'art. 28 1. 300/70 ovvero, in
subordine, ai sensi dell'art. 700 c.p.c. ordinasse la revoca del det
to provvedimento con la rimozione immediata di tutti gli effetti
connessi e vietasse per l'avvenire l'adozione di atti di analogo contenuto.
A sostegno della domanda ponevano il carattere antisindacale
del citato provvedimento — chiaramente diretto ad impedire l'e
sercizio del diritto di sciopero — desumibile dalla sua evidente
illegittimità in quanto adottato dal capo della direzione generale del ministero carente di potere in materia ed in applicazione di
norma abrogata per effetto di costante e pluriennale prassi non
ché per incompatibilità con le norme del testo unico degli impie
gati civili dello Stato. Convocate le parti, il ministero di grazia e giustizia si costituiva a mezzo degli avv. dello Stato G. Fiengo
e G. Albano (il primo su delega ex art. 9, 3° comma, 1. n. 103/79)
eccependo, in primis, l'inammissibilità del ricorso ex art. 28 1.
n. 300/70 sotto i seguenti profili: a) in quanto inapplicabile nei
confronti dello Stato; b) per il difetto di giurisdizione dell'a.g.o. trattandosi di pretesa correlata al diritto individuale dei direttori
degli istituti penitenziari di esercitare il diritto di sciopero; c) per difetto di legittimazione attiva del Si.di.pe. sprovvisto della natu
ra di organizzazione sindacale rappresentativa della categoria. Ec
cepiva, altresì, la incompetenza funzionale del Pretore di Avellino
vertendo il ricorso su un provvedimento adottato in Roma e con
valenza nazionale. Contestava, infine, l'azionabilità del rimedio
ex art. 700 c.p.c. per insussistenza dei presupposti (danno grave ed irreperibile) richiesti dalla norma. Nel merito contestava la
fondatezza della pretesa argomentando: a) dalla non tutelabilità
del diritto di sciopero in presenza dell'esigenza di salvaguardare
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
altri diritti (come quello di voto dei detenuti); b) dalla inesistenza
di un provvedimento dal contenuto innovativo vertendosi in ma
teria di atto meramente organizzativo del servizio di supplenza ex art. 81 r.d. 30 luglio 1940 n. 2041; c) dal rilievo che le norme
del testo unico degli impiegati civili dello Stato consentono l'uti
lizzazione per motivi di urgenza degli impiegati dello Stato in
altra qualifica della carriera, facendo salva, in ogni caso, la spe ciale disciplina prevista per il settore in questione; d) dalla consi
derazione che al datore di lavoro è sempre consentito adoperarsi
per evitare o limitare i danni derivanti da uno sciopero. (Omissis) Diritto. — Il ricorso, azionato con l'atto introduttivo della pre
sente procedura dal sindacato direttore penitenziari (Si.di.pe.), deve essere dichiarato improponibile sia ai sensi dell'art. 28 1.
n. 300/70 sia ai sensi dell'art. 700 c.p.c. Con una serie di pronunce rese in sede di regolamento di giuris
dizione la Corte di cassazione ha delineato un quadro di tutela
dei diritti sindacali riassumibile nei seguenti termini: a) i diritti dei sindacati dei pubblici dipendenti contemplati nell'art. 28 sta
tuto lavoratori sono diritti soggettivi che discendono dagli art.
39 e 40 Cost, e, come tali, sono tutelabili di fronte al giudice
ordinario; b) la predetta tutela, nei confronti dello Stato, è espe ribile mediante ricorso a normali azioni di accertamento la cui
cognizione appartiene al tribunale ai sensi dell'art. 9 c.p.c.; c) nei confronti degli altri enti pubblici non statali, in virtù dell'e
stensione di cui all'art. 37 statuto lavoratori, è ammissibile il ri
corso alla speciale procedura prevista dall'art. 28 dello stesso
statuto.
Viceversa — ma non è il caso che ne occupa — quando il
diritto del sindacato è connesso con una situazione giuridica del
pubblico dipendente la cognizione, sia nel caso dell'impiego sta
tale sia nel caso dell'impiego non statale, viene attratta nella com
petenza esclusiva del giudice amministrativo in materia di pubblico
impiego, comprensivo della tutela del singolo dipendente nonché
dei sindacati ai quali i pubblici impiegati aderiscono (Cass., sez.
un., 26 luglio 1984, nn. 4411, 4397, 4390 e 4386, Foro it., 1984,
I, 2108; nn. 4409 e 4387, id., Rep. 1984, voce Sindacati, nn.
115, 146). In tal modo la Suprema corte ha accolto l'indirizzo
espresso dalla Corte costituzionale che nella sentenza 5 maggio
1980, n. 68 (id., 1980, I, 1553), nel dichiarare non fondata la
questione di costituzionalità dell'art. 28 statuto lavoratori nella
parte in cui non prevede l'applicabilità della tutela dell'attività
sindacale ivi prevista alle associazioni sindacali dei dipendenti dello
Stato (cfr. pressoché in termini Corte cost. 26 dicembre 1982,
n. 169, id., 1983, I, 862), ha affermato l'inapplicabilità dello spe ciale rimedio de quo alle associazioni sindacali dei dipendenti sta
tali che, pertanto, possono salvaguardare le proprie ed esclusive
situazioni di diritto soggettivo attraverso i procedimenti ordinari
promossi innanzi al giudice civile, cioè al di fuori del quadro del predetto art. 28. Quindi, una volta rilevato che la posizione che si intende tutelare in questa sede (diritto di sciopero) ha paci ficamente dignità di diritto soggettivo proprio ed esclusivo del
sindacato, non possono esservi dubbi sulla tutelabilità dello stes
so attraverso l'applicazione delle norme del processo ordinario
davanti al giudice civile cui spetta, nel riparto delle giurisdizioni, la cognizione dei diritti sia civili che politici. Sul punto, non può
tralasciarsi un riferimento alla legge quadro sul pubblico impiego n. 93/83 che, da un lato, riconosce e disciplina molti aspetti dei
diritti di libertà e attività sindacale con esplicito richiamo a nor
me dello statuto, ma, dall'altro, nega implicitamente il ricorso
allo speciale procedimento di cui all'art. 28, vuoi evitando di ri
chiamarlo espressamente, vuoi prevedendo uno strumento analo
go a quello in esame nel contesto di un prospettato riordinamento
della giurisdizione amministrativa. L'esclusione del ricorso all'art.
28 comporta una pronuncia di improponibilità della relativa do
manda avanzata con l'atto introduttivo della presente procedura.
Soluzione analoga si impone anche con riferimento alla propo
nibilità della stessa domanda mediante l'utilizzazione dello stru
mento cautelare atipico previsto dall'art. 700 c.p.c., azionato dal
sindacato istante in via subordinata. La Suprema corte nella pro
nuncia in data 26 luglio 1984 n. 4390 ha espressamente statuito
che nel rapporto di impiego statale, la tutela dei diritti sindacali
in senso stretto, cioè dei diritti propri esclusivamente delle orga
nizzazioni sindacali, spetta al giudice ordinario e, quindi, trattan
dosi di cause di valore indeterminabile al tribunale ex art. 9 c.p.c.
In altri termini, quest'ultimo giudice deve pronunciare in pri
mo grado a seguito di azione introdotta con atto di citazione
e nelle forme dell'ordinario processo di cognizione (negandosi in
Il Foro Italiano — 1987 — Parte 7-162.
tal modo la competenza del pretore ex art. 409, n. 5, c.p.c., l'ap
plicabilità del rito del lavoro nonché del rimedio previsto dall'art.
700 c.p.c.). Una parte della dottrina e della giurisprudenza di merito ha,
non senza ragione, mostrato qualche perplessità in merito a tale
soluzione per l'evidente minore incisività della tutela cosi accor
data. Quanto precede si è tradotto in una serie di tentativi volti, sotto un primo profilo, ad affermare la competenza del giudice del lavoro e, sotto altro aspetto, ad ammettere il ricorso al rime
dio ex art. 700 c.p.c. Oltre all'esigenza di privilegiare la compe tenza di un giudice specializzato nella materia, si è evidenziato
come il rito possa essere esteso alle controversie collettive come
già legislativamente sancito dalla 1. n. 847/77 che ha demandato
allo stesso pretore la cognizione dell'opposizione nelle controver
sie introdotte ex art. 28. Inoltre, si è posto l'accento sulla possi bilità di una proficua utilizzazione dell'art. 409, n. 5, c.p.c. con
conseguente assegnazione al pretore del lavoro di tutte le contro
versie che in tale materia non sono riservate al T.A.R. o ad altre
giurisdizioni speciali. La soluzione, a parere del giudicante, non
può essere condivisa ostandovi ragioni di carattere sistematico,
atteso che il rito del lavoro è stato introdotto per disciplinare controversie individuali di lavoro ed il relativo impiego al di fuori
di questo stretto ambito è sempre avvenuto con deroga espressa del legislatore (v. art. 35 1. n. 689/81). Inoltre, il richiamo all'art.
409, n. 5 — oltre a contrastare con la costante applicazione che
della norma si è finora fatta — non appare pertinente per il pre ciso riferimento ai «rapporti di lavoro dei dipendenti di enti pub blici ed altri rapporti di lavoro pubblico» che essa contiene. Quindi,
pur nella consapevolezza che il permanere di una situazione come
quella attuale costituisce una grossa limitazione per le organizza zioni sindacali dei dipendenti statali, il rinvio fatto dalla sentenza
n. 68 del 1980 ai «procedimenti ordinari promossi innanzi al giu dice civile» deve essere inteso — come autorevolmente fatto dalla
Suprema corte — in senso rigorosamente tecnico: laddove per
«procedimenti ordinari» si devono intendere i procedimenti a co
gnizione prima e non sommaria, mentre la menzione del «giudice civile» non è sufficiente a consentire l'utilizzazione di qualunque
procedimento speciale purché dinanzi al giudice civile.
La distinzione che precede, d'altronde, si accorda — quanto al problema della esperibilità dell'art. 700 c.p.c. che più diretta
mente interessa — anche ai limiti dei poteri dell'a.g.o. in tema
di atti amministrativi, nonché alla natura ed agli effetti del prov vedimento cautelare. La norma dell'art. 4 1. n. 2248 del 1865
ali. E dispone che, se un diritto si pretende leso da un atto del
l'autorità amministrativa, i tribunali si limiteranno a conoscere
gli effetti dell'atto stesso in relazione all'oggetto dedotto in giudi
zio, fermo restando che «l'atto amministrativo non potrà essere
modificato o revocato se non sovra ricorso alle competenti auto
rità amministrative le quali si conformeranno al giudicato dei tri
bunali in quanto riguarda il caso deciso». Nella fattispecie, ordinare
alla p.a. la revoca del provvedimento denunciato e di astenersi
per il futuro dall'adottare atti dal contenuto analogo — secondo
la richiesta formulata dal sindacato istante — esula dai poteri
dell'a.g.o. Una tale pronuncia verrebbe a proiettare i suoi effetti,
sostanzialmente ablativi dell'atto amministrativo, ben oltre lo spe cifico caso dedotto in giudizio con indebita invasione della sfera
della p.a. ed incidenza nell'azione della stessa. Il che, se non è
consentito all'esito di un procedimento a cognizione ordinaria,
lo è ancor meno in questa sede. Infatti, la richiesta declaratoria
di illegittimità del comportamento (in uno all'ordine di revoca
dell'atto e di astensione per il futuro da analoghi comportamen
ti), lungi dal costituire una cautela strumentale e prodromica ri
spetto alla sentenza, si sovrappone alla stessa accertando e
dichiarando. Invece, accertamento e dichiarazione sono i conte
nuti tipici della decisione definitiva adottata all'esito di un proce
dimento a cognizione piena. Trattandosi di un principio posto
da una legge (e non di rango costituzionale) potrebbe essere dero
gato espressamente dal legislatore che, di fatto, con l'art. 28 ha
consentito che nei confronti di altri enti pubblici diversi dallo
Stato sia azionabile tale speciale rimedio con possibilità per l'a.g.o.
di adottare provvedimenti immediatamente esecutivi che impon
gono la cessazione dei denunciati comportamenti antisindacali.
L'assenza di una espressa deroga anche in favore delle organiz
zazioni sindacali dei dipendenti dello Stato costituisce la più
evidente conferma della diversità di disciplina (che la Corte
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2487 PARTE PRIMA 2488
costituzionale ha già avuto modo di ritenere non configgente con
i principi della Costituzione) tutt'ora esistente in materia.
Senza contare, infine, le difficoltà che si incontrerebbero sul
momento in cui si tratta di conciliare il requisito della minaccia
di un pregiudizio imminente ed irreparabile al diritto (presuppo sto dall'art. 700 c.p.c.) ed una pronuncia di carattere meramente
dichiarativa (l'unica ammissibile, anche secondo la direttiva po sta dalla Suprema corte nella sentenza citata).
I
CORTE D'APPELLO DE L'AQUILA; sentenza 30 dicembre
1986; Pres. Nicoletti, Est. Porreca; Min. finanze c. Fall. soc.
f.lli Fedele (Avv. Conicella).
CORTE D'APPELLO DE L'AQUILA;
Fallimento — Accertamento de) passivo — Credito tributario con
testato dinanzi alle commissioni tributarie — Esecutorietà del
l'accertamento per un terzo dell'imposta — Ammissione con
riserva (R.d. 16 marzo 1942 n. 267, disciplina del fallimento, art. 95; d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 633, istituzione e disciplina
dell'imposta sul valore aggiunto, art. 60).
Il credito tributario, di cui l'amministrazione finanziaria abbia
chiesto il pagamento di un terzo dell'imposta accertata in pen denza di ricorso del contribuente alla commissione tributaria
di primo grado, deve essere ammesso con riserva al passivo
fallimentare. (1)
II
TRIBUNALE DI LANCIANO; sentenza 2 luglio 1985; Pres. Va
lentina Est. Nappi; Min. finanze c. Fall, ditta Govita Stampi.
Fallimento — Accertamento del passivo — Credito di imposta — Pendenza di giudizio dinanzi alle commissioni tributarie —
Insinuazione tardiva — Ammissione con riserva — Esclusione — Sospensione del processo (Cod. proc. civ., art. 295; r.d.
16 marzo 1942 n. 267, art. 95, 101; d.p.r. 29 settembre 1973
n. 602, disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito, art. 45).
Il credito di imposta per il quale penda controversia dinanzi alle
commissioni tributarie non può essere ammesso con riserva al
passivo fallimentare quando formi oggetto di dichiarazione tar
diva ex art. 101 l. fall., dovendo in tale ipotesi disporsi la so
spensione del processo a norma dell'art. 295 c.p.c. (2)
III
TRIBUNALE DI LANCIANO; sentenza 12 ottobre 1984; Pres.
Gennaro, Est. Nappi; Min. finanze c. soc. Fall. soc. f.lli Fedele.
Fallimento — Accertamento del passivo — Credito tributario con
testato dinanzi alle commissioni tributarie — Esecutorietà del
l'accertamento per un terzo dell'imposta — Ammissione con
riserva — Inammissibilità (R.d. 16 marzo 1942 n. 267, art. 95;
d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 633, art. 60).
Il credito tributario, di cui l'amministrazione finanziaria abbia
chiesto il pagamento di un terzo dell'imposta accertata in pen denza di ricorso del contribuente alla commissione tributaria
di primo grado, non può essere ammesso con riserva al passivo
fallimentare. (3)
(1-3) Non risultano precedenti editi. Sul potere dell'amministrazione finanziaria di ottenere il pagamento
di un terzo dell'imposta accertata in pendenza del ricorso del contribuen te alla commissione tributaria di primo grado, cfr. Corte cost. 25 maggio 1985, n. 176, Foro it., Rep. 1985, voce Valore aggiunto (imposta), n. 181, che ha dichiarato infondata la questione di costituzionalità dell'art. 60 d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 633, in riferimento agli art. 3, 24 e 113 Cost.
L'art. 45, 2° comma, d.p.r. 29 settembre 1973 n. 602, che consente l'ammissione al passivo con riserva dei crediti d'imposta per il cui accer tamento penda ricorso dinanzi alle commissioni tributarie, è applicabile esclusivamente ai tributi diretti esigibili mediante ruoli: v. Trib. Catania
Il Foro Italiano — 1987.
I
Motivi della decisione. — Devesi, innanzitutto, precisare che
dal gravame, e dai relativi allegati, dell'appellante (non, però, dalla copia della sentenza di primo grado che è stata prodotta in atti nella sola prima facciata, di mera intestazione, e nelle ulti
me conclusive due pagine), nonché dalla comparsa di risposta
dell'appellata curatela, risulta che per una prima istanza per am
missione tardiva con riserva al passivo fallimentare di credito ac
certato dall'ufficio fiscale, per i.v.a. ed accessori per complessive lire 54.810.000, il giudice delegato ha sospeso il giudizio a norma
dell'art. 295 c.p.c., nel rilievo che per il predetto preteso credito
di imposta pende controversia avanti alla competente commissio
ne tributaria. Per altra diversa e seconda istanza dell'ufficio del
registro, pure di ammissione tardiva, ma senza riserva, quanto a lire 17.842.000, al passivo fallimentare del medesimo preteso credito di imposta, il giudice delegato ha di nuovo sospeso il giu dizio per la stessa ragione sopra riportata, per i due terzi del
credito di i.v.a. corrispondente a lire 35.233.000, mentre per il
residuo terzo corrispondente a lire 17.842.000, immediatamente
esigibile a norma dell'art. 60 d.p.r. n. 633/72, la decisione è stata
rimessa al tribunale che, però, con l'impugnata sentenza, emessa
in contumacia della curatela, ha dicharato l'istanza inammissibile
assumendo che l'esecutorietà del provvedimento di accertamento
del tributo limitatamente ad un terzo della complessiva pretesa, è irrilevante rispetto alla diversa questione dell'accertamento del
la effettiva esistenza e legittimità del vantato credito tributario, la cui decisione è di esclusiva competenza della commissione tri
butaria avanti a cui pende il relativo giudizio, con la conseguenza che la medesima questione non può essere in alcun modo delibata
dal giudice ordinario con il richiesto provvedimento giurisdizio nale di accertamento della fondatezza del credito, di ammissione
al passivo fallimentare.
In tal modo ricostruiti e precisati i fatti processuali e l'ambito
del giudizio, va ora, rilevato che l'appellante ha chiesto, in que sto grado, l'ammissione in via tardiva e con riserva, dell'intero
preteso credito erariale di lire 54.810.000, al passivo fallimentare, assumendo che i crediti tributari contestati o in via di definitivo
accertamento vanno equiparati ai crediti condizionali (art. 55, 3°
comma, r.d. 16 marzo 1942 n. 267) e possono, quindi, anch'essi
partecipare al concorso dei creditori sul patrimonio del fallito, a norma degli art. 95 e 113 1. fall.
L'appellata curatela ha, però, in proposito eccepito preliminar
mente, non solo l'inammissibilità della domanda ai sensi dell'art.
345 c.p.c., cosi come ex novo formulata in questo grado con
riferimento non più ad un terzo, ma all'intero del preteso credi
to tributario, e in relazione ad un'ammissione al passivo falli
mentare non più incondizionata per la quota di terzo, ma con
riserva per l'intero, da sciogliersi dopo la decisione della contro
versia tributaria e secondo l'esito della stessa, ma anche l'inam
missibilità della medesima domanda poiché l'istanza d'ammissione
al passivo del fallimento non è stata tempestiva, per cui la legge
24 luglio 1985, Fallimento, 1986, 891, secondo cui in caso di domanda di insinuazione di un credito per i.v.a. contestato dinanzi al giudice tribu
tario, il giudice deve sospendere il giudizio fino alla definizione della con troversia fiscale. Per una più ampia interpretazione dell'art. 45 d.p.r. n. 602 del 1973, cfr. Trib. Padova 10 gennaio 1986, id., 1987, 193, che ha ritenuto possibile l'ammissione con riserva di un credito per i.v.a. insinuato al passivo con le forme della dichiarazione tardiva ex art. 101 1. fall.
Sull'argomento v., in dottrina, A. Rossi, L'ammissione nel passivo fal limentare dei crediti per imposte e sanzioni pecuniarie dopo la riforma tributaria, in Giur. comm., 1984, I, 314, secondo cui la disciplina del l'art. 45 è applicabile anche in caso di ammissione tardiva; Lo Cascio, Le problematiche fiscali delle procedure concorsuali, 1980, 84 ss.; Pajar
di, Fallimento e fisco, 1980, 543 ss. e, da ultimo, Morellini, Crediti tributari in contestazione ed effetti della relativa domanda di ammissione al passivo fallimentare, in Giur. it., 1986, I, 2, 433, in nota adesiva alla sentenza sub II, riportata con la data del 27 settembre 1984.
Con sentenza 11 aprile 1987, Min. finanze c. Fall. soc. Govita Stampi, inedita, la Corte d'appello de L'Aquila ha parzialmente riformato la sen tenza sub III, statuendo, da un lato, che l'ammissione con riserva previ sta dall'art. 45 d.p.r. n. 602/73 non è applicabile nel procedimento di insinuazione tardiva e ribadendo, dall'altro, che il credito di imposta (nella specie, per i.v.a.) può essere ammesso con riserva limitatamente all'im
porto di un terzo ex art. 60 d.p.r. n. 633/72.
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