sezione lavoro; sentenza 14 maggio 1998, n. 4882; Pres. Genghini, Est. Ianniruberto, P.M.Giacalone (concl. conf.); Giacomini (Avv. L. Esposito) c. Cassa nazionale di previdenza eassistenza forense (Avv. De Stefano). Conferma Trib. Novara 11 ottobre 1994Source: Il Foro Italiano, Vol. 121, No. 6 (GIUGNO 1998), pp. 1787/1788-1791/1792Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23192631 .
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1787 PARTE PRIMA 1788
per la natura di questo, non ha più spazio per rimettere in di
scussione ciò che, per una scelta precisa ed assolutamente di
screzionale e per essersi avvalso di agevolazioni introdotte da
una legislazione premiale, deve invece essere inteso come definito.
Da ultimo, a conferma della soluzione accolta, è il caso di
ricordare che varie leggi, che hanno disciplinato il condono pre
videnziale, con una formula sostanzialmente simile, hanno di
sposto che «la regolarizzazione estingue . . . ogni onere acces
sorio con esclusione delle spese legali e degli aggi connessi alla
riscossione dei contributi a mezzo ruoli esattoriali» (art. 2, 5°
comma, d.l. 12 settembre 1983 n. 463 convertito in 1. 11 no
vembre 1983 n. 638; art. 3, 6° comma, d.l. 25 febbraio 1987
n. 48; art. 4, 8° comma, d.l. 30 dicembre 1987 n. 536 converti
to in 1. 29 febbraio 1988 n. 48; art. 2, 10° comma, d.l. 9 otto
bre 1989 n. 338 convertito in 1. 7 dicembre 1989 n. 389; art.
3, 8° comma, d.l. 29 marzo 1991 n. 103 convertito in 1. 1°
giugno 1991 n. 166). Orbene, siffatta previsione sottolinea che,
fra gli oneri posti a carico del soggetto tenuto al pagamento dei contributi, sono comprese anche le spese relative a procedi menti giudiziari pendenti, per cui non si giustifica come l'impli cita previsione della definizione di questi giudizi possa essere
compatibile con la possibilità di mantenere in vita quelli già
pendenti o di promuoverne di nuovi al fine di sentir accertare
l'inesistenza del debito.
Per concludere sul punto, ritiene la corte che, una volta eser
citata la facoltà di avvalersi del condono, non è possibile agire — o proseguire nell'azione — per contrastare la pretesa credito
ria dell'ente, al fine di richiedere la restituzione delle somme
versate.
6. - L'ulteriore interrogativo, che si pone, riguarda il valore
dell'apposizione alla domanda di condono della riserva circa
l'esito dell'accertamento negativo giudizialmente richiesto in or
dine alla pretesa contributiva.
Sul punto la corte non ha ragione per discostarsi dall'opinio
ne, già espressa da Cass. 2684/97, cit., che ha ravvisato in detta
clausola una condizione risolutiva unilateralmente apposta alla
domanda, in linea di principio inefficace se non è accettata dal
l'altra parte. Ma quello che più rileva è che, essendo le modali
tà ed i termini di adempimento delle obbligazioni nascenti dal
condono predisposte dalla legge, non è possibile che quegli ele
menti possano essere diversamente regolati, per cui, di fronte
ad un contenuto vincolato, se non può essere consentita l'intro
duzione di elementi estranei alla previsione legale, a maggior
ragione non è possibile apporre una clausola di riserva, che in
sostanza impedirebbe la realizzazione di quelli che sono gli sco
pi del condono, ossia l'eliminazione di ogni contestazione o pen denza tra le parti, con una più rapida riscossione delle somme
previste. Tale clausola, ove sia apposta, non può pertanto inci
dere sulla validità della domanda di condono e, quindi, vitiatur
sed non vitiat.
7. - L'ultimo aspetto del problema riguarda gli effetti della
domanda di condono sui giudizi pendenti o che dovessero esse
re successivamente proposti in forza della clausola di riserva.
Ritiene la corte che la sola domanda di condono non può
avere alcun effetto, fino a quando da parte dell'ente creditore
non sia data risposta affermativa alla richiesta. Non vi è dub
bio, infatti, che l'ente non possa sottrarsi al suo compito istitu
zionale se il condono possa essere accordato, allo scopo di evi
tare che questo diventi strumento per realizzare situazioni non
conformi alla legge: si pensi all'ipotesi di denunzia di rapporti di lavoro inesistenti o che ex lege non può essere costituito,
allo scopo di ottenere la costituzione di posizioni contributive
non consentite e per conseguire utilità comunque non dovute.
Fatta questa premessa, nel momento in cui la risposta del
l'ente sia positiva, si instaura tra le parti un nuovo regolamen
to, in forza del quale, all'obbligazione iniziale si sovrappone
un diverso assetto conforme alle condizioni previste dalla legge
sul condono: data la sostituzione legale del titolo debitorio, ces
sa ogni ragione di controversia sulla questione dell'esistenza e
consistenza dell'obbligazione contributiva originaria, per cui, nel
caso di avvenuto adempimento di quanto è prescritto dalla spe
cifica normativa sul condono, non può che aversi una decisione
di cessazione della materia del contendere.
Può accadere, peraltro, che venga prevista una rateizzazione
di modo che il pagamento del dovuto possa avvenire in un pe
riodo abbastanza ampio (l'art. 1, comma 227, 1. 23 dicembre
1996 n. 662, ad esempio, consente che all'estinzione del debito
Il Foro Italiano — 1998.
si provveda in trenta rate bimestrali). Se, come si è detto in
precedenza, con il condono si pone in essere tra le parti un
diverso titolo obbligatorio, che, da un lato, chiude ogni contro
versia sulla pretesa contributiva dell'ente e, dall'altro, offre al
contribuente la possibilità di estinguere la sua posizione debito
ria mediante un pagamento agevolato, la conseguenza è che il
giudizio non può essere definito se non con un provvedimento meramente processuale. Qualora poi il soggetto obbligato non
adempia al versamento delle somme dovute alle scadenze previ ste dalla legge, egli decade dal beneficio (art. 2, 12° comma, d.l. 483/83, ma un tale effetto è implicito nella previsione della
sospensione delle esecuzioni in corso subordinata al puntuale
pagamento delle somme dovute alle scadenze previste: v. art.
1, comma 230, della richiamata 1. 662/96), mentre la definizio
ne del precedente giudizio non può in ogni caso compromettere
l'originaria pretesa creditoria dell'ente — non più contestabile
a seguito dell'accoglimento della domanda di condono — che
pertanto sopravvive alla caducazione dai benefici già accordati.
Nell'ipotesi, infine, della parte, che, dopo aver adempiuto a
tutte le condizioni per l'operatività del condono, successivamente
proponga domanda di accertamento negativo del debito estinto,
questa non può che essere rigettata. 8. - Sulla base delle considerazioni svolte queste sezioni unite
ritengono di dover concludere nei seguenti termini.
La domanda di condono accolta dall'ente previdenziale fa ve
nir meno ogni contestazione sull'esistenza del debito contributi
vo, mentre la riserva di accertamento negativo del debito appo sta alla domanda stessa è priva di effetti, in quanto vitiatur
sed non vitiat.
Accolta la domanda, la parte ha la possibilità di estinguere la sua obbligazione mediante il versamento del dovuto secondo
le agevolazioni previste dalla normativa dei singoli condoni, ma, in caso di decadenza dal beneficio, l'ente potrà agire per il pa
gamento delle somme originariamente dovute.
Deve essere rigettata la domanda di accertamento negativo
dell'obbligo contributivo proposta dopo che siano stati adem
piuti gli obblighi previsti dalla disciplina sui condoni.
Per i giudizi pendenti, se l'adempimento di tali obblighi av
venga in corso di causa, il giudice dovrà dichiarare cessata la
materia del contendere, mentre nel caso in cui, secondo la pre visione della legge, il soggetto obbligato possa avvalersi del pa
gamento dilazionato, il giudice dovrà limitarsi ad emettere un
provvedimento meramente processuale, che non pregiudica la
pretesa originaria dell'ente nel caso di decadenza del soggetto
obbligato dai benefici del condono.
9. - Nella controversia in esame, la società ha proposto do
manda di ripetizione delle somme già versate a seguito del con
dono e, quindi, la sentenza impugnata deve essere cassata.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti di merito, ai sensi
dell'art. 384 c.p.c. la corte, decidendo nel merito, rigetta la do
manda proposta dalla Coca Cola Italia s.r.l.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 14 mag
gio 1998, n. 4882; Pres. Genghini, Est. Ianniruberto, P.M.
Giacalone (conci, conf.); Giacomini (Avv. L. Esposito) c.
Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense (Avv. De
Stefano). Conferma Trib. Novara 11 ottobre 1994.
Avvocato — Previdenza forense — Pensione di vecchiaia —
Attualità di iscrizione all'albo professionale — Necessità (L.
20 settembre 1980 n. 576, riforma del sistema previdenziale
forense, art. 2, 3; 1. 2 maggio 1983 n. 175, interpretazione autentica dell'art. 24 ed integrazione e modifica di norme del
la 1. 20 settembre 1980 n. 576, art. 2; 1. 11 febbraio 1992
n. 141, modifiche ed integrazioni alla 1. 20 settembre 1980
n. 576, in materia di previdenza forense e di iscrizione alla
cassa nazionale di previdenza ed assistenza per gli avvocati
e procuratori).
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Avvocato — Previdenza forense — Pensione di anzianità —
Mutamento in pensione di vecchiaia — Esclusione (L. 20 set
tembre 1980 n. 576, art. 2, 3; 1. 2 maggio 1983 n. 175, art.
2; 1. 11 febbraio 1992 n. 141).
Nella previdenza forense, ai fini della liquidazione della pensio ne di vecchiaia, è necessaria l'attualità dell'iscrizione all'albo
professionale. (1) Nella previdenza forense non vi è alcuna disposizione che con
sente la trasformazione della pensione di anzianità in quella di vecchiaia al compimento del sessantacinquesimo anno di
età. (2)
Svolgimento del processo. — Con ricorso al Pretore del lavo
ro di Novara, sezione distaccata di Borgomanero, l'avv. Mario
Giacomini, titolare di pensione di anzianità a carico della Cassa
nazionale di previdenza ed assistenza a favore degli avvocati
e procuratori con decorrenza 27 gennaio 1987 e dalla stessa da
ta cancellato dall'albo professionale, avendo raggiunto l'età di
sessantacinque anni l'8 settembre 1992 ed essendo sua intenzio
ne reiscriversi all'albo, chiedeva che gli venisse riconosciuto il
diritto a tale reiscrizione e la concessione, in luogo della pensio
(1-2) I. - La fattispecie esaminata dalla presente sentenza è stata og
getto di esame da parte della Corte costituzionale (sentenza 28 novem bre 1997, n. 362, Foro it., 1998, I, 10) che ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale degli art. 2 e 3 1. 20 settembre 1980 n. 576 nella parte in cui prevedono, in caso di reiscrizione nell'al
bo professionale del titolare della pensione di anzianità, da un lato, la revoca di quest'ultima pensione, dall'altro, l'esclusione del tratta
mento di vecchiaia. Sulla prima massima non constano precedenti specifici. Contra, ma
con riferimento alla attualità della iscrizione alla cassa di previdenza categoriale, Cass. 19 gennaio 1993, n. 620, id., Rep. 1993, voce Previ
denza sociale, n. 681; 11 dicembre 1991, n. 13354, id., Rep. 1991, voce
Professioni intellettuali, ri. 157; 18 aprile 1985, n. 2573, id., Rep. 1985, voce cit., n. 117; 15 ottobre 1983, n. 6054, id., Rep. 1983, voce cit., n. 109; Trib. Frosinone 28 novembre 1979, id., Rep. 1980, voce cit., n. 88, sentenze che si sono pronunciate tutte sul diritto alla pensione di vecchiaia senza l'attualità dell'iscrizione alla cassa (ovviamente sod
disfatti i requisiti dell'età e della contribuzione). La soluzione cui è pervenuta la sentenza odierna (nel senso che per
il diritto alla pensione di vecchiaia è necessario che al momento della
domanda di pensione sia in atto l'iscrizione all'albo professionale), pe rò, non può che destare perplessità in quanto fa derivare la perdita
(anzi la mancata acquisizione) del diritto alla tutela previdenziale, costi
tuzionalmente garantito (art. 38 Cost.), da un fatto meramente occasio
nale; senza considerare poi che dalla riportata soluzione deriva quanto meno l'incoerenza di non consentire di presentare la domanda di pen sione di vecchiaia dopo la cancellazione dall'albo (pur in possesso dei
requisiti contributivi e dell'età), mentre tale possibilità sussisterebbe per l'avvocato, già cancellato dall'albo professionale da molti anni e che
si iscrivesse soltanto per presentare la domanda di pensione (l'iscrizione all'albo professionale non incontra limitazioni connesse all'età del sog
getto). Aggiungasi che da una eventuale cancellazione dall'albo profes sionale in conseguenza di provvedimenti disciplinari (es., radiazione dal
l'albo) che non consentono una «immediata» reiscrizione all'albo pro fessionale, deriverebbe per il professionista (pur in presenza dei requisiti di età e contributivi) la perdita del diritto alla pensione di vecchiaia
(ma non della pensione di anzianità o di invalidità), oltre che del diritto
al rimborso dei contributi ex art. 2 1. 576/80: il tutto in contrasto con
le sentenze della Corte costituzionale (Corte cost. 13 gennaio 1966, n.
3, id., 1966, I, 555; 3 luglio 1967, n. 78, id., mi, I, 1685; 30 giugno 1971, n. 144 e n. 147, id., 1971, I, 2138; 17 febbraio 1972, n. 25,
id., 1972, I, 844) che hanno eliminato dall'ordinamento (sia pure con
riferimento ai dipendenti pubblici) tutte quelle disposizioni che prevede vano la perdita, la riduzione o la sospensione del diritto del dipendente al conseguimento e godimento della pensione.
È da ritenersi, pertanto, che in mancanza di espressa previsione nor
mativa di «attualità» di iscrizione all'albo professionale (e nella previ denza forense non vi è alcuna norma in tal senso), per il diritto alla
pensione di vecchiaia (ma anche di altre prestazioni), non è necessaria
la «attualità» della iscrizione all'albo professionale. Sulla attualità o meno della iscrizione alla cassa per il diritto alle
prestazioni nelle varie casse di previdenza categoriali, in dottrina. L.
Carbone, La tutela previdenziale dei liberi professionisti, Torino, Utet,
1998, 250 ss. II. - Sulla seconda massima (oltre alla giurisprudenza citata in moti
vazione) per la immutabilità del titolo della pensione (se non è espressa mente previsto dalla legge: Cass. 5 aprile 1991, n. 3567, Foro it., 1992,
I, 187), conf., Corte cost. 28 novembre 1997, n. 362, cit. In dottrina, conf. Carbone, op. cit., 301. [L. Carbone]
Il Foro Italiano — 1998.
ne di anzianità, di quella di vecchiaia, ricorrendo tutti i presup
posti per il godimento di tale diverso trattamento.
Il pretore ha rigettato la domanda e la decisione è stata con
fermata dal Tribunale di Novara, con sentenza 28 settembre-11
ottobre 1994, il quale ha ritenuto che il ricorrente non poteva aver diritto alla pensione di vecchiaia, in quanto la concessione
di questa presuppone l'attualità della iscrizione all'albo profes
sionale, elemento che non ricorre per chi goda della pensione di anzianità.
Per l'annullamento di tale sentenza ha proposto ricorso l'avv.
Giacomini con quattro motivi, illustrati da memoria. Resiste
la Cassa nazionale di previdenza e assistenza a favore degli av
vocati e procuratori con controricorso.
Con ordinanza 3 aprile 1996 la corte ha sollevato la questione di legittimità costituzionale degli art. 2 (modificato dalla 1. 2
maggio 1983 n. 175 e dalla 1. 11 febbraio 1992 n. 141) e 3 1.
20 settembre 1980 n. 576, dichiarata infondata da Corte cost.
28 novembre 1997, n. 362 (Foro it., 1998, I, 10). Fissata la nuova udienza di discussione, le parti hanno depo
sitato memorie.
Motivi della decisione. — (Omissis). 3. - Il quarto motivo
è infondato. Gli art. 2 e 3 1. 20 settembre 1980 n. 576 sulla
riforma della previdenza forense, come modincata dalle leggi 2 maggio 1983 n. 175 e 11 febbaio 1992 n. 141, ai fini della
liquidazione della pensione di vecchiaia, presuppongono l'at
tualità della iscrizione all'albo professionale, elemento che non
ricorre per la concessione della pensione di anzianità. Ed infatti
l'art. 2 1. n. 576, come modificato dalla 1. n. 175, dispone tra
l'altro che la pensione di vecchiaia del professionista iscritto
alla cassa viene determinata, per ogni anno di effettiva iscrizio
ne e contribuzione, moltiplicando per un certo coefficiente (ini zialmente dell'I,50% ed elevato all'I,75% con la 1. n. 141) la
media dei più elevati dieci redditi professionali dichiarati dall'i scritto ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche risul
tanti dalle dichiarazioni relative ai quindici anni solari anteriori
alla maturazione del diritto a pensione. Alla luce della lettera di tale norma ritiene la corte che debba
ritenersi corretta la tesi del pretore, richiamata, come si è detto, dal tribunale, in forza della quale, dovendosi procedere alla de
terminazione della misura della pensione sulla base dei redditi
maturati negli ultimi quindici anni di iscrizione, non è possibile che questo trattamento possa essere riconosciuto a chi non sia
in attualità di esercizio professionale al momento nel quale ma
tura il relativo diritto, perché viene appunto a mancare il riferi
mento all'arco temporale, in relazione al quale devono essere
presi in considerazione i redditi da porre alla base del calcolo.
Né è a pensare che, nel caso di interruzione dell'attività profes
sionale, il calcolo potrebbe comunque essere fatto, in quanto a tale operazione si deve procedere sulla base dei soli redditi
di natura professionale e nulla esclude, nel caso prospettato,
che, negli ultimi quindici anni, non si abbiano redditi di tal
natura riferiti ad almeno dieci anni.
Per altro verso, la diversità tra la pensione di vecchiaia (com
patibile con l'iscrizione all'albo) e quella di anzianità è stata
anche affermata da Corte cost. 28 febbraio 1992, n. 73 (id.,
1992, I, 1030), la quale ha precisato che la seconda non è una
ipotesi particolare della prima, indipendente dall'età e fondata
esclusivamente sulla durata dell'attività lavorativa e sulla conse
guente anzianità di contribuzione effettiva; in questo caso la
cancellazione dall'albo è una condizione strettamente inerente
a questa forma di pensione, cosiderata sia come un premio per
coloro che hanno partecipato ad un'attività produttiva per al
meno trentacinque anni, sia come godimento anticipato conces
so in considerazione del logoramento psico-fisico sopravvenuto
dopo un lungo periodo di attività professionale. Ha aggiunto il giudice delle leggi che, nella logica del sistema, la prosecuzio ne dell'attività professionale, nel mentre appare compatibile con
una diversa attività, autonoma o subordinata, non lo è con quella
di avvocato o procuratore per fattori presenti in questa specifi ca attività, in una linea di tendenza, anche se non assoluta,
del vigente ordinamento pensionistico, che esclude la compati
bilità della pensione di anzianità con la prosecuzione nella me
desima attività professionale. Con la stessa decisione la Corte costituzionale ha avuto mo
do di ribadire la differenza tra la pensione di anzianità nella
previdenza forense e quella di altre forme di previdenza per
lavoratori autonomi, con la conseguenza che ognuna di queste
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1791 PARTE PRIMA 1792
forme assume il carattere di un micro-ordinamento, con regole sue proprie e che pertanto non possono essere mutuate da quel le di un diverso microordinamento.
A tal proposito va pure ricordato il principio, costantemente
affermato da questa corte, del divieto di mutamento del titolo
della pensione, salvo le ipotesi espressamente previste dalla leg
ge (Cass 20 giugno 1972, n. 1971, id., Rep. 1972, voce Previ
denza sociale, n. 542; 22 dicembre 1983, n. 7563, id., Rep. 1983,
voce cit., n. 560; 5 aprile 1991, n. 3567, id., 1992, I, 187; 25
marzo 1993, n. 3548, id., Rep. 1993, voce cit., n. 309), per
cui, al rilievo desumibile dalla formulazione del richiamato art.
2, si aggiunge l'assenza di qualsivoglia disposizione che, nel
l'ambito della previdenza forense, consenta la trasformazione
della pensione di anzianità in quella di vecchiaia.
In questo contesto, i dubbi di legittimità del sistema così deli
neato e che hanno indotto questa corte a sollevare nel presente
giudizio la questione di costituzionalità, sono stati dichiarati in
fondati dal giudice delle leggi (Corte cost. 28 novembre 1997, n. 362, cit.), il quale ha ritenuto che non è irragionevole «pre cludere l'erogazione di una nuova pensione di vecchiaia all'av
vocato già titolare di pensione di anzianità, il quale, avendo
cominciato a beneficiare di quest'ultima, ... ha modificato —
transitando da una posizione debitoria ad una pensione credito
ria — il rapporto assicurativo, compromettendo l'integrità della
provvista contributiva alla quale dovrebbe ricondursi una nuo
va pensione di vecchiaia». La corte poi, nel richiamare la prece dente decisione 73/92, cit., ha ribadito che la incompatibilità
riguarda solamente lo svolgimento dell'attività forense e non
già altre attività professionali ed ha infine osservato che la re
voca della pensione di anzianità a seguito della ripresa nella
stessa attività professionale — così come dispone l'art. 3 1. 576/80 — può essere intesa come sospensione temporanea della presta zione previdenziale, destinata a cessare con il venir meno della
causa di incompatibilità. A questo proposito è appena il caso
di aggiungere che comunque esula dall'oggetto del presente giu dizio la questione del riconoscimento del diritto al mantenimen
to della pensione di azianità nel caso di reiscrizione nell'albo
professionale, questione che appare prospettata per la prima volta
con la memoria del ricorrente del 22 gennaio 1998.
4. - In conclusione, previa correzione della motivazione della
sentenza impugnata, il ricorso deve essere rigettato.
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 13 mag
gio 1998, n. 4841; Pres. Sommella, Est. Vigolo, P.M. Delli
Priscoli (conci, conf.); Donato (Aw. Patrizi, Dante) c. Inail
(Avv. Ioppoli, Noto, Varone). Conferma Trib. Terni 21 di
cembre 1994.
Infortuni sul lavoro e malattie professionali — Infortunio «in
itinere» — Uso necessitato di mezzo proprio — Fattispecie
(D.p.r. 30 giugno 1965 n. 1124, t.u. delle disposizioni sull'as
sicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, art. 2).
Non costituisce infortunio in itinere indennizzabile dall'Inail l'in cidente occorso al lavoratore mentre, dopo aver fatto rientro a casa dal lavoro facendo uso di mezzo proprio, stia provve dendo al ricovero del mezzo (nella specie, la Suprema corte ha escluso che potesse rientrare nella copertura assicurativa
l'infortunio avvenuto mentre il lavoratore, disceso dal moto rino utilizzato per rientrare dal lavoro e sospingendo il mezzo a piedi, affrontava la ripida discesa di accesso al garage di
casa con cattive condizioni atmosferiche). (1)
(1-2) Le sentenze aggiungono due significativi tasselli al puzzle del diritto vivente sull'infortunio in itinere, stabilendo che il rischio elettivo
Il Foro Italiano — 1998.
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 5 maggio 1998 n. 4535; Pres. Ravagnani, Est. Vigolo, P.M. Carne
vali (conci, diff.); Piraneo (Avv. Tarsitano) c. Inail (Avv.
Ioppoli, Noto, Ruffini, Varone). Cassa Trib. Varese 14 feb braio 1995.
Infortuni sul lavoro e malattie professionali — Infortunio «in
itinere» — Percorso a piedi — Fattispecie (D.p.r. 30 giugno 1965 n. 1124, art. 2).
Costituisce infortunio in itinere indennizzabile dall'Inail l'inve
stimento subito dal lavoratore mentre a piedi rientra al lavo
ro dopo aver desinato, durante l'intervallo lavorativo, pres so la propria abitazione sita nelle vicinanze del luogo di
lavoro. (2)
costituisce l'unico limite alla copertura assicurativa garantita dal t.u. 1124/65.
L'affermazione, conclamata in entrambe le motivazioni (per Cass. 4535/98 ne è stata omessa parte solo perché perfettamente conforme a quella di Cass. 4841/98), si fonda sull'osservazione della giurispru denza più recente che, superando l'orientamento secondo cui non si riteneva sufficiente la sola mancanza di rischio elettivo per dare vita alla tutela assicurativa, ha equiparato l'infortunio in itinere all'infortu nio sul lavoro propriamente detto.
Nota, infatti, la corte che nella giurisprudenza meno recente si indivi duava il fondamento della tutela dell'infortunio in itinere nel rapporto di causa ed effetto (idoneo a trasformare il rischio generico che incom be sull'utente della strada in rischio specifico di lavoro), che veniva a costituirsi tra il rischio stesso e l'attività anteriore o successiva alla
prestazione lavorativa (per riferimenti, cfr. Cass. 10 marzo 1992, n.
2883, e 24 febbraio 1992, n. 2291, Foro it., 1993, I, 3122, con nota di V. Ferrari, Infortunio «in itinere»: facciamo il punto). L'evoluzio ne giurisprudenziale successiva cui la corte fa riferimento è segnata da alcune decisioni citate nelle motivazioni delle sentenze riportate ed in
particolare da Cass. 23 agosto 1997, n. 7918, id., Mass., 787, che ha riconosciuto la sussistenza dell'occasione di lavoro nell'ipotesi di una lavoratrice che al termine dell'orario di servizio, indossando il cappot to, urta accidentalmente contro la stufetta sita nei locali della portine ria, cadendo e provocandosi lesioni.
Il passaggio concettuale è il seguente: essendo il lavoro fattore occa sionale del rischio tutelato, che in quanto tale si definisce rischio pro fessionale, nell'infortunio in itinere è sufficiente il collegamento della condotta necessitata del lavoratore con la prestazione a configurare la
professionalità del rischio. L'importanza di tale approdo risiede nel fat to che rende assolutamente irrilevante, rispetto al configurarsi della fat
tispecie di infortunio in itinere, il concreto atteggiarsi del rischio con nesso allo spostamento del lavoratore, in quanto il quid pluris che ne determina la specificità (o l'aggravamento), rispetto al rischio generico gravante su qualsiasi utente della strada, va ricercato in un elemento estrinseco alla condotta. Con la conseguenza che non ha alcun senso discettare sulle modalità dell'evento infortunistico una volta appurato che esso è intervenuto nel corso di uno spostamento da casa al lavoro
(o viceversa), posto che la professionalità del rischio è data dal mero necessitato collegamento dell'attività di spostamento con l'attività lavo rativa e non dalle circostanze dell'evento in sé considerato. Si rinviene la stessa impostazione concettuale in Cass. 19 gennaio 1998, n. 455, id., 1998, I, 781, con osservazioni di V. Ferrari, secondo cui l'uso del mezzo di trasporto pubblico, in orario confacente a quello di inizio
(o di fine) della prestazione lavorativa, rende sempre indennizzabile l'in fortunio in itinere (ma rispetto alla quale si pone in contrasto Cass. 11 aprile 1998, n. 3742, id., Mass., 401, nella cui sintetica motivazione si legge testualmente che per configurarsi il rischio specifico è necessa rio che il lavoratore «debba percorrere una strada particolarmente peri colosa ovvero debba necessariamente usare un mezzo di trasporto parti colare che non sia quello solitamente usato dalla generalità degli utenti della strada»). Le sentenze in epigrafe chiariscono che il fondamento della tutela assicurativa dell'infortunio in itinere è, come per l'infortu nio sul lavoro in genere, l'occasione di lavoro e che dunque anche per esso vale la regola generale che vede esclusa l'indennizzabilità dell'in fortunio solo in ipotesi di rischio elettivo.
Ciò stabilito, occorre intendersi su come il rischio elettivo possa con
figurarsi nell'infortunio in itinere, posto che la professionalità del ri schio connesso all'attività di spostamento deriva da elementi estrinseci alla condotta del lavoratore.
Cass. 4535/98 che si riporta, coerentemente con il principio afferma
to, ritiene irrilevante la «minore entità del rischio» connesso all'attività di spostamento, che lascerebbe configurare l'evento come una qualsiasi
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