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sezione lavoro; sentenza 14 ottobre 1986, n. 6020; Pres. ed est. Cassata, Rel. Alibrandi, P. M. La...

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sezione lavoro; sentenza 14 ottobre 1986, n. 6020; Pres. ed est. Cassata, Rel. Alibrandi, P. M. La Valva (concl. conf.); Landi (Avv. Assennato) c. I.n.p.s. (Avv. Benanti). Conferma Trib. Milano 5 maggio 1982 Source: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 11 (NOVEMBRE 1986), pp. 2735/2736-2737/2738 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23180915 . Accessed: 25/06/2014 06:24 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.78.109.162 on Wed, 25 Jun 2014 06:24:14 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione lavoro; sentenza 14 ottobre 1986, n. 6020; Pres. ed est. Cassata, Rel. Alibrandi, P. M. LaValva (concl. conf.); Landi (Avv. Assennato) c. I.n.p.s. (Avv. Benanti). Conferma Trib. Milano 5maggio 1982Source: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 11 (NOVEMBRE 1986), pp. 2735/2736-2737/2738Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23180915 .

Accessed: 25/06/2014 06:24

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2735 PARTE PRIMA 2736

delle aziende di un settore ma anche presso una sola azienda e

non necessitando a tal fine dell' opinio iuris seu necessitatis. (1)

Motivi della decisione. —(Omissis). Nella specie, peraltro, la con

troversia aveva ad oggetto la esistenza — affermata dal ricorrente e

negata dalla soc. R.a.i. — di una prassi aziendale secondo cui la

qualifica di vice-capo complesso era attribuita anche ai dipendenti preposti a più strutture che complesso non erano.

La giurisprudenza di questa corte ha riconosciuto quali usi aziendali i comportamenti abituali nei rapporti interni d'impresa, in particolare quelli reinteramente adottati nei confronti dei lavoratori. In relazione a tali usi si è adottata dapprima la teoria

normativa, considerandoli appunto quali usi normativi (art. 1374

c.c.), mentre da ultimo appare prevalente la teoria contrattuale

(art. 1340, 1368 c.c.), che è da preferire. È stato affermato, infatti, che l'uso aziendale consiste in una

prassi seguita all'interno di una determinata impresa ed è perciò riconducibile alla categoria degli usi negoziali: esso uso si

inserisce nel contratto di lavoro individuale e, integrandone il

contenuto, ha forza vincolante per le parti che l'hanno osservato, ove deroghi al contratto collettivo in senso più favorevole al

lavoratore (Cass. 19 febbraio 1983, n. 1279, Foro it., Rep. 1983, voce Lavoro (rapporto), n. 1279).

Ed ancora è stato precisato che gli usi aziendali, riconducibili alla categoria degli usi negoziali e non a quella degli usi

normativi, per esplicare la loro efficacia non debbono necessaria

mente interessare la generalità delle aziende di un settore, essendo sufficiente la affermazione di essi anche presso una sola azienda, e debbono considerarsi inseriti, ai sensi dell'art. 1340 c.c., quali clausole d'uso, non già nel contratto collettivo, bensì in quello individuale, di cui integrano il contenuto in senso modificativo

derogativo, purché in melius della regolamentazione collettiva, con la conseguenza che la loro contrarietà a detta regolamenta zione non figura quella contraria volontà delle parti dalla quale l'articolo citato fa discendere la mancata inserzione dell'uso nella

disciplina contrattuale dovendo invece tale volontà risultare dalla

pattuizione individuale (Cass. 21 novembre 1983, n. 6948, ibid., voce Consuetudine e uso, n. 3; 6 febbraio 1982, n. 711, id., Rep. 1982, voce Lavoro (rapporto), n. 689; 9 aprile 1981, n. 2051,

ibid., n. 672). Ed ancora è stato precisato che la prassi aziendale è riconduci

bile alla categoria degli usi negoziali o di fatto, i quali, se

prescindono dai requisiti della generalità e dell'opimo iuris seu

necessitatis, propri degli usi normativi, presuppongono pur sempre l'accertata reiterazione di determinati comportamenti (Cass. 3

febbraio 1984, n. 839, id., Rep. 1984, voce Contratto in genere, n.

168). Ritiene il collegio, come rilevato, preferibile la tesi ora preva

lente circa la natura contrattuale dell'uso aziendale, in quanto fondata sul principio di tutela dell'affidamento e delle equità.

(Omissis)

(1) La sentenza conferma alcuni principi già affermati dalla Cassa zione e dalla giurisprudenza di merito: cfr., da ultimo, Cass. 12 novembre 1985, n. 5549 e Pret. Pavia 16 dicembre 1985, Foro it., 1986, I, 1373, con nota di richiami.

Cass. 19 marzo 1986, n. 1916, id., Mass., 335, e in Giust. civ., 1986, I, 1909, ha visto nell'uso aziendale nei confronti di una determinata collettività di lavoratori dipendenti dell'impresa, l'elemento costitutivo di un accordo collettivo aziendale, come tale modificabile anche in peius da contratto collettivo successivo.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 14 otto

bre 1986, n. 6020; Pres. ed est. Cassata, Rei. Alibrandi, P. M.

La Valva (conci, conf.); Landi (Avv. Assennato) c. I.n.p.s.

(Aw. Benanti). Conferma Trib. Milano 5 maggio 1982.

Previdenza sociale — Trasmissione omessa o tardiva del certi

ficato di malattia — Conseguenze sull'indennità di malattia

(Cod. civ., art. 1184, 1457, 1460, 1886, 1913, 1915; d.l. 30 di

cembre 1979 n. 663, provvedimenti per il finanziamento del

servizio sanitario nazionale, per la previdenza, per il conteni

mento del costo del lavoro e per la proroga dei contratti sti

pulati dalle p.a. in base alla 1. 1° giugno 1977 n. 285, sull'occu

pazione giovanile, art. 2; 1. 29 febbraio 1980 n. 33, conversione

in legge, con modificazioni, del d.l. 30 dicembre 1979 n. 663, art. 1; 1. 23 aprile 1981 n. 155, adeguamento delle strutture e

Il Foro Italiano — 1986.

delle procedure per la liquidazione urgente delle pensioni e

per i trattamenti di disoccupazione e misure urgenti in ma

teria previdenziale e pensionistica, art. 15).

Il lavoratore assente dal servizio per infermità, che ometta di

inviare all'I.n.p.s. nel termine previsto il certificato di malattia, non ha diritto alla relativa indennità economica, salvo che per i due giorni precedenti alla denunzia fatta all'I.n.p.s. nei modi

di legge. (1)

Motivi della decisione. — Con riferimento ai fatti pacificamente

accertati in sede di merito — e cioè che essa Landi era stata amma

lata dal 14 luglio al 15 agosto 1980, che a causa del ritardo con cui

lt era pervenuta la documentazione relativa la datrice di lavoro

le aveva rifiutato l'indennità di malattia per le quattordici giorna te intercorse dal 21 al 31 luglio e dal 9 al 12 agosto e che a sua

volta l'I.n.p.s., cui non era stata inviata alcuna comunicazione

dell'infermità, aveva ritenuto la sua assenza giustificata solo per i

quattro giorni dal 25 al 29 luglio, durante i quali era stata

ricoverata in ospedale per minaccia di aborto — la ricorrente

censura la sentenza impugnata — sotto il profilo della violazione

e falsa applicazione dell'art. 2964 c.c., dell'art. 152 c.p.c., dell'art.

6 1. 29 febbraio 1933 n. 33 e degli art. 1913 e 1915 c.c. e sotto

quello della insufficienza e contraddittorietà della motivazione ■—

per avere ravvisato nella disposizione dell'art. 2 della legge del

1980, secondo cui il lavoratore ammalato deve entro due giorni dal rilascio far pervenire al datore di lavoro e all'I.n.p.s. l'attesta

zione e il certificato di malattia, la fissazione di un termine di

decadenza dal diritto alla prestazione previdenziale; laddove una

•ale conclusione avrebbe dovuto essere esclusa in base ai rilievi:

che la legge del 1943 pone tale diritto in dipendenza semplice mente dello stato di malattia; che in mancanza di espressa

disposizione in senso diverso un termine deve considerarsi ordina

torio, e non perentorio; che non può darsi sanzione di decadenza

se non in forza di espressa disposizione di legge o contrattuale; e

che, infine, per l'ipotesi di ritardo della denunzia del sinistro

all'assicuratore provvede specificamente, prevedendo soltanto la

riduzione dell'indennizzo nella misura del pregiudizio subito dal

debitore, l'art. 1915 c.c.

La censura è infondata. È noto come la legge istitutiva delle

assicurazioni obbligatorie dei lavoratori contro le malattie non

fissasse alcun termine per la denunzia dell'evento, come un

termine di tre giorni fosse stato invece al riguardo stabilito a

pena di decadenza dal regolamento di esecuzione della detta

legge, come tale disposizione sia stata ritenuta dalla giurispruden za di questa corte illegittima e come, a comporre il contrasto

manifestatosi in vari giudicati delle sezioni semplici sulle ultime

conseguenze di tale illegittimità, sia intervenuta una pronunzia delle sezioni unite (13 giugno 1980, n. 3749, Foro it., 1980, I,

2467), cui la giurisprudenza successiva si è costantemente unifor

mata, secondo cui in mancanza di una disciplina specifica doveva

nella materia ritenersi operante, in forza del rinvio contenuto

nell'art. 1886 c.c., il combinato disposto dei successivi art. 1913 e

1915; alla stregua dei quali il lavoratore infermo era tenuto, da

un canto, a comunicare lo stato di malattia entro tre giorni dalla

sua insorgenza, ma, salvo il caso di dolo, non subiva in caso di

inosservanza altra conseguenza che quella, fermo il suo diritto al

trattamento previdenziale, della riduzione dell'entità di questa per ii pregiudizio eventualmente subito dall'istituto assicuratore.

La vicenda ora in esame si è svolta però sotto il vigore dell'art. 2 1. 29 febbraio 1980 n. 33 (di conversione del d.l. 30

dicembre 1979 n. 663), secondo cui il lavoratore infermo è tenuto

alla documentata denunzia del suo stato tanto al datore di lavoro

quanto all'I.n.p.s. entro due giorni dal rilascio della relativa

certificazione e attestazione da parte del medico curante.

Tale norma non stabilisce, peraltro, quali siano le conseguenze della mancanza di tale adempimento.

Si pone dunque il problema del suo eventuale collegamento con l'art. 1915 c.c. alla stessa stregua dell'art. 1913, cui verrebbe

a sostituirsi semplicemente come norma speciale in deroga a

norma generale, con conseguente persistenza della validità dell'in

dicato indirizzo giurisprudenziale; ovvero — come ha ritenuto il

(1) Con una motivazione fondata sui principi generali delle obbliga zioni, la Cassazione, nell'emettere la sentenza in epigrafe, si allinea all'orientamento espresso da ultimo dalla sent. 9 aprile 1986, n. 2494

(Foro it., 1986, I, 2111, con nota di richiami), ma si pone in contrasto con la sent. 23 luglio 1986, n. 4725, ibid.

D'altro canto è significativo, a testimoniare il dissenso anche nello stes so collegio giudicante, che la motivazione della sentenza sia stata estesa dal presidente e non dal relatore della causa.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

tribunale — del ravvisamento in essa di una disciplina autonoma svincolata dal detto collegamento e comportante effetti desumibili soltanto dai principi generali della disciplina delle obbligazioni.

La corte è di questo secondo avviso per le ragioni che

seguono. L'art. 1913 stabilisce semplicemente un onere relativo al fun

zionamento del rapporto assicurativo (Cass. 7 aprile 1964, n. 769,

id., Rep. 1964, voce Surrogazione del creditore, n. 1); l'art. 2 della legge del 1980 stabilisce, invece, un vero e proprio obbligo inerente nel contempo al rapporto assicurativo e al rapporto di

lavoro, il cui adempimento serve, sia per mettere l'ente pubblico in grado di adempiere tempestivamente la sua funzione previden ziale, sia per consentire al datore di lavoro di adeguare l'organiz zazione della propria azienda alle esigenze derivate dalla prevedi bile durata, sia per mettere l'uno e l'altro in grado di esercitare,

rispettivamente nell'interesse pubblico generale e in quello privato

particolare, i controlli previsti dalla legge per evitare e combatte

re il c.d. fenomeno dell'assenteismo; ed è appena il caso di

sottolineare come sotto quest'ultimo profilo l'assegnazione di un

termine breve per la denunzia della malattia sia essenziale allo

scopo in ragione della estrema labilità di gran parte degli stati di

infermità e come, per converso, in relazione a cosiffatto scopo la

previsione dell'art. 1915 di una riduzione dell'indennità « in

ragione del pregiudizio sofferto » dall'assicuratore per il ritardo

della sua denunzia sia praticamente priva di senso utile.

Consegue che il detto termine si deve considerare stabilito, comecché finale, in favore (oltre che del datore di lavoro) dell'assicuratore (art. 1184 e 1457 c.c.) e che, la (sostanziale) esclusione di ogni effetto della sua inosservanza si risolverebbe in

una interpretatio abrogans della norma che lo prevede. È per contro principio generale delle obbligazioni (art. 1460

c.c.) che l'inadempimento di una obbligazione esonera la parte nei confronti della quale questa è dovuta dalla controprestazione e lo è del pari che nessun termine, anche non perentorio, può essere prorogato (art. 152 c.p.c.) dopo la sua scadenza.

Salvo dunque il caso di impedimento per forza maggiore (art. 1218 c.c.), che neutralizza l'inadempimento, nessun effetto giuridi co che sia collegato all'osservanza di un termine può prodursi se

questa non si verifica; ed è da rilevare che tale sarebbe la

conclusione da trarsi anche nel caso di inosservanza del termine di cui all'art. 1913, se non si ponesse in coordinazione con esso il

disposto dell'art. 1915, dettato in via eccezionale in favore (come si

desume dal successivo art. 1932) dell'assicurato. 'Posto, pertanto, che l'art. 2 della legge del 1980 ha una portata più ampia e più incisiva di quella dell'art. 1913 c.c. e che in ragione di ciò la

prima delle due norme è certamente esclusiva, ma non semplice mente sostitutiva della seconda; posto che il disposto dell'art.

1915 c.c. è norma speciale inconciliabile con la ratio del detto

art. 2; e posto che l'applicazione dell'art. 1915 nel campo dell'as

sicurazione obbligatoria contro le malattie è stato determinato

solo dalla necessità di applicazione nel campo stesso, finché

mancava per esso una disciplina particolare, il collegato art. 1913;

posto tutto ciò, sembra doversi trarre la conclusione che la

sopravvenuta norma si sottrae a tale collegamento e si coordina

per i suoi effetti solo con i principi generali in materia di

obbligazione, e che, pertanto, l'assicurato non può pretendere, salvo il caso di giustificazione del ritardo con motivi di forza

maggiore, prestazioni previdenziali per malattia se non per i due

giorni precedenti alla denunzia fatta all'l.n.p.s. nei modi di legge. Il ricorso deve pertanto, in conformità a quanto a casi analoghi

è stato da questa corte già deciso con le sentenze 8 maggio 1985, n. 2869 (id., 1985, I, 1985), e 5 novembre 1985, n. 5392 (id.,

1986, I, 472), essere rigettato. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; sezione i civile; sentenza 29 luglio

1986, n. 4845; Pres. Scribano, Est. Schermi, P.M. Leo (conci,

conf.); DAngelo (Avv. Pietropaoli, Mariani) c. Balestra e

Micara (Aw. E. Biamonti). Cassa App. Roma 11 febbraio

1981.

Responsabilità civile — Appoggio illegittimo di costruzione su

muro perimetrale di edificio contiguo — Demolizione —

Responsabilità — Insussistenza (Cod. civ., art. 2043).

La demolizione di un edificio sul cui muro perimetrale risulti

illegittimamente appoggiata una contigua costruzione non com

Jl Foro Italiano — 1986.

porta l'obbligo di risarcire i danni ad essa causati dal venir

meno dell'appoggio. (1)

Svolgimento del processo. — Con ricorso al presidente del

Tribunale di Roma Gabriella Balestra in Marini, Luigia Balestra

in Ludovisi, Gaetano Micara e Linda Mazzanti ved. Balestra

esponevano: che i primi tre erano proprietari e l'ultima era

usufruttuaria di un blocco di appartamenti e locali costituenti il

fabbricato sito in Roma, via Muzio Clementi n. 70, confinante, da

un lato, con uno stabile di proprietà della Banca d'Italia, già demolito ed in corso di ricostruzione, sito all'angolo delle vie

Gioacchino Belli e Muzio Clementi, distinti nel nuovo catasto

fabbricati al foglio 407 particella 57; che la Banca d'Italia, prima di dare inizio ai lavori di demolizione e ricostruzione del proprio

edificio, aveva chiesto al presidente del Tribunale di Roma, ai

sensi dell'art. 696 c.p.c., l'accertamento tecnico diretto a verificare

lo stato dei luoghi e la qualità e la condizione dello stabile di

essi ricorrenti; che, ammesso ed eseguito l'accertamento tecnico

preventivo, dalla descrizione dei locali dell'edificio di via Muzio

Clementi n. 70 si rilevava la presenza in alcuni di essi di lievi

lesioni, filature, infiltrazioni di acqua, o altri danni anch'essi di

lieve entità, che sostanzialmente non avevano mai rappresentato motivo di preoccupazione per la solidità e la stabilità dell'immo

bile; che dopo la demolizione dell'edificio della Banca d'Italia e

la sua ricostruzione si era determinata una variazione dello stato

di tensione del sottosuolo, provocando disturbi statici di notevole

gravità nel fabbricato di via Muzio Clemente n. 70, dove si

rilevavano nuove e sensibili lesioni nelle strutture portanti (mura ture e solai) e nelle tramezzature. Premesso ciò, chiedevano che

fosse disposto, ai sensi dell'art. 696 c.p.c., l'accertamento tecnico

diretto alla verifica dei danni provocati nell'immobile di via

Muzio Clementi n. 70 di loro proprietà per effetto dei lavori di

demolizione e ricostruzione del confinante edificio della Banca

d'Italia.

Convocate le parti con decreto 27 febbraio 1970, veniva dispo sto l'accertamento tecnico preventivo nominandosi un consulente

tecnico.

Il consulente tecnico, descritte le lesioni riscontrate, affermava

(1) La decisione si inserisce, non senza alcune radicalizzazioni, in un risalente orientamento della Cassazione secondo il quale il proprietario di un edificio che subisce un illegittimo appoggio da parte di una

contigua costruzione può senz'altro procedere alla demolizione del

proprio fabbricato, senza essere preventivamente tenuto ad apprestare opere di puntellamelo a sostegno dell'edificio adiacente. A tal propo sito cfr. Cass. 21 ottobre 1974, n. 2983, Foro it., Rep. 1975, voce

Responsabilità civile, n. 85, commentata da Alvino, Limiti alla facoltà di demolizione del proprio edificio, in Giust. civ., 1975, I, 451; nonché Cass. 17 ottobre 1974, n. 2896, Foro it., 1974, I, 2330, annotata adesivamente da Alvino, Illecito appoggio all'edificio conti

guo e mancanza di tutela giuridica in caso di demolizione, in Giust.

civ., 1975, I, 283 (l'orientamento fu successivamente ribadito da Cass. 7 dicembre 1979, n. 6367, Foro it., Rep. 1979, voce cit., n. 174, a cui dire chi demolisce il proprio fabbricato non fa altro che esercitare un diritto e non può essere chiamato a rispondere dei danni causati dal venir meno dell'illegittimo appoggio precedentemente goduto da altro edificio. Peraltro, la decisione — a quanto è dato di capire dalla massima — affrontò il problema solo incidentalmente. I danni, nella

specie, erano stati causati non dal venir meno dell'appoggio, ma dalle vibrazioni di intensità superiore alla norma prodotte durante i lavori di demolizione).

A differenza della sentenza che si riporta, i due summenzionati

precedenti apportavano alcuni temperamenti a favore del proprietario del fabbricato che usufruiva del sostegno fornito dall'edificio adiacente. In particolare, secondo Cass. 2896/74, chi procede alla demolizione non solo deve avvertire il proprietario della costruzione contigua delle sue intenzioni, per dar modo a quest'ultimo di porre in essere le necessarie opere di consolidamento ma deve, inoltre, eseguire i lavori tenendo conto della particolarità della situazione di fatto perché, per quanto illegittima questa possa essere, egli è tenuto a limitare per quanto possibile i danni (id., 1974, I, 2330).

Di questo obbligo, la cui traduzione in concreti parametri operativi non costituisce certo un compito agevole, Cass. 4845/86 non fa più alcun cenno, individuando nella mancata comunicazione al vicino dell'intenzione di iniziare i lavori di demolizione l'unica fattispecie idonea a generare una responsabilità a carico del proprietario dell'edi ficio che subisce l'appoggio.

In dottrina, una posizione particolarmente conciliante nei confronti di chi fruisce del provvidenziale sostegno della costruzione da demoli

re, è assunta da Alvino, cit., 458-59, secondo il quale se il proprieta rio dell'edificio illegittimamente appoggiato rifiuta di effettuare le

opere di puntellamento di sua competenza, non si può procedere tout court alla demolizione, dovendosi invece comunque provvedere agli interventi necessari, il cui costo gli sarà successivamente addebitato.

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