sezione lavoro; sentenza 15 febbraio 2001, n. 2188; Pres. Amirante, Est. De Matteis, P.M.Matera (concl. parz. diff.); Benini e altri (Avv. Vallefuoco, Gaspari) c. Soc. Saima industriemeccaniche (Avv. Cavasola, Cinti). Cassa Trib. Verona 25 febbraio 1998Source: Il Foro Italiano, Vol. 124, No. 5 (MAGGIO 2001), pp. 1565/1566-1573/1574Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23196176 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Alcuni di essi sono tipizzati senza lasciare, ove ricorrano, al
cun margine di apprezzamento in sede giudiziaria circa la possi bilità di contestazione immediata, per cui la loro indicazione nel
verbale di accertamento notificato implica di per sé l'afferma
zione ex lege della impossibilità di contestazione immediata.
Tali sono 1'«attraversamento di un incrocio con semaforo indi
cante la luce rossa»; il «sorpasso in curva»; 1'«accertamento
della violazione da parte di un funzionario o di un agente a bor
do di un mezzo pubblico di trasporto»; 1'«accertamento della
violazione in assenza del trasgressore e del proprietario del vei
colo».
Parimenti, in materia di «accertamento della violazione per mezzo di appositi apparecchi di rilevamento», sono tipizzate senza lasciare alcun margine di apprezzamento in sede giudizia ria circa la possibilità di contestazione immediata, le ipotesi in
cui nel verbale sia indicato che l'accertamento è stato effettuato
con apparecchiatura che consentiva «la rilevazione dell'illecito
in tempo successivo, ovvero dopo che il veicolo sia già a distan
za dal posto di accertamento», restando salva, in tali casi, solo
l'impugnazione — nei modi di legge
— del verbale, su tali af
fermazioni, per difetto di veridicità.
Lascia invece margini di apprezzamento in sede giudiziale, la
ulteriore ipotesi prevista dall'art. 384, in relazione ad apparec chiature diverse dalle precedenti, di impossibilità di contesta
zione immediata, per essere stato il veicolo «comunque nella
impossibilità di essere fermato in tempo utile o nei modi rego lamentari», ovvero per l'impossibilità di raggiungerlo per essere
lanciato a eccessiva velocità (art. 384, lett. a).
Peraltro, sulla base di quanto già affermato con la sentenza n.
12330 del 1999 di questa corte, 1'«impossibilità di essere fer
mato in tempo utile o nei modi regolamentari», va valutata
esclusivamente in relazione al servizio di vigilanza così come
organizzato dall'amministrazione, quale risultante dalla motiva
zione che, nel caso di utilizzazione di apparecchiature diverse
da quelle più sopra menzionate, deve essere data nel verbale di
accertamento a giustificazione della mancata contestazione im
mediata.
Non possono infatti censurarsi, in sede giudiziaria, le moda
lità di organizzazione del servizio, che rientrano nella discrezio
nalità amministrativa, e dovendosi ritenere che l'art. 384, pre vedendo fra le ipotesi di impossibilità di contestazione imme
diata, in relazione all'uso di apparecchiature autovelox,
1'«impossibilità di fermare il veicolo in tempo utile o nei modi
regolamentari», tenendo conto delle particolari caratteristiche di
tale sistema di accertamento, abbia inteso ricomprendere fra i
casi di impossibilità di contestazione immediata, in relazione al
l'uso di apparecchiature autovelox, tutti quelli in cui in concreto
il servizio sia stato organizzato in modo che il fermo del veicolo
in tempo utile e nei modi regolamentari non sia possibile, ovve
ro scevro da pericolo. Ciò tenuto conto che nessuna norma impone all'amministra
zione l'obbligatorio impiego, per l'immediata contestazione
delle violazioni del codice della strada, e in particolare di quelle sui limiti di velocità, del dispiegamento di una pluralità di pat
tuglie, rendendo particolarmente oneroso e spesso impraticabile o rischioso per la pubblica utilità il valido accertamento di vio
lazioni che pongono in essere situazioni di pericolo per la vita
delle persone, legittimamente accertabili con il corretto uso
della moderna tecnologia. 3. - Sulla base dei principi sopra esposti, avendo la sentenza
impugnata ritenuto, in contrasto con essi, che il servizio di vi
gilanza, se organizzato con l'ausilio degli appositi apparecchi di
rilevamento della velocità, va predisposto in modo tale da per mettere agli operatori la contestazione immediata al trasgresso
re, va cassata con rinvio, dovendosi in quella sede fare ap
plicazione dei principi di diritto sopra enunciati.
Il giudice di rinvio, che deciderà anche sulle spese del giudi zio di cassazione, va individuato nel Tribunale di Reggio Emilia
(1. 16 giugno 1998 n. 188, in relazione al d.leg. 19 febbraio
1998 n. 51), nessuna incidenza avendo nel presente giudizio l'entrata in vigore del d.leg. 30 dicembre 1999 n. 507, che attri
buisce al giudice di pace competenze in materia di opposizioni alle ordinanze-ingiunzioni irrogative di sanzioni amministrative, atteso che tale attribuzione non ha carattere retroattivo e deve
quindi trovare applicazione il principio generale di cui all'art. 5
c.p.c.
Il Foro Italiano — 2001.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 15 feb
braio 2001, n. 2188; Pres. Amirante, Est. De Matteis, P.M.
Matera (conci, parz. diff.); Benini e altri (Avv. Vallefuoco,
Gaspari) c. Soc. Saima industrie meccaniche (Avv. Cavaso
la, Cinti). Cassa Trib. Verona 25 febbraio 1998.
Lavoro (rapporto di) — Licenziamento collettivo per ridu
zione di personale — Criteri di scelta — Onere della pro va (L. 23 luglio 1991 n. 223, norme in materia di cassa inte
grazione, mobilità, trattamenti di disoccupazione, attuazione
di direttive della Comunità europea, avviamento al lavoro ed
altre disposizioni in materia di mercato del lavoro, art. 4, 5,
24).
In tema d'impugnativa di licenziamento collettivo per riduzione di personale, grava sul datore di lavoro, a fronte della mera
contestazione del lavoratore ricorrente, l'onere di provare la
puntuale osservanza dei criteri di scelta dei lavoratori da li
cenziare, con la specificazione delle valutazioni comparative
compiute. (1)
(1) I. - Per la sentenza in epigrafe, in ipotesi d'impugnativa del li cenziamento collettivo per riduzione di personale, l'onere di provare l'osservanza dei criteri di scelta adottati, che si esprime nella esterna zione delle scelte comparative compiute, insorge in capo al datore di lavoro al cospetto della mera contestazione, da parte del lavoratore ri
corrente, della legittimità delle scelte operate. Il principio risulta enunciato per la prima volta con riguardo alla
normativa introdotta dalla 1. 223/91; v., per l'affermazione del principio in riferimento alla normativa antecedente, Cass. 10 luglio 2000, n.
9169, Foro it., Mass., 850; 8 giugno 1999, n. 5650, id., Rep. 1999, voce Lavoro (rapporto), n. 1944, citata in motivazione; 13 luglio 1998, n.
6858, ibid., n. 1981, citata in motivazione; 3 giugno 1997, n. 4935, id.,
Rep. 1997, voce cit., n. 1834; 13 febbraio 1990, n. 1039, id., Rep. 1990, voce cit., n. 1926; Pret. Pontedera 29 aprile 1988, id., Rep. 1988, voce
cit., n. 2282. Secondo un altro indirizzo, invece, il lavoratore ricorrente ha l'onere
di allegare gli elementi di fatto concernenti la propria situazione, al fine di consentire al datore di calibrare l'onere probatorio su di lui incom
bente, illustrando i raffronti compiuti con gli altri lavoratori. Cfr., per tale tesi, in relazione alla normativa introdotta dalla 1. 223/91, Cass. 14
luglio 2000, n. 9374, id., Mass., 866; 6 luglio 2000, n. 9045, ibid., 839, entrambe citate in motivazione, ed anche Cass. 29 maggio 1998, n.
5358, id., Rep. 1998, voce cit., n. 1837; Trib. Roma 11 aprile 1997, id.,
Rep. 1997, voce cit., n. 1836; per la disciplina antecedente alla 1. n.
223, Cass. 19 luglio 1997, n. 6652, ibid., n. 1832; 22 gennaio 1994, n.
599, id., Rep. 1994, voce cit., n. 1302; Trib. Cassino 19 ottobre 1990, id.. Rep. 1991, voce cit., n. 1710.
II. - La questione riecheggia, mutatis mutandis, il fermento giuris prudenziale sulla configurabilità, e in capo a chi, dell'onere della prova dell'impossibilità di utilizzare il lavoratore licenziato per giustificato motivo obiettivo in altre posizioni aziendali.
Per la tesi che configura in capo al datore di lavoro l'onere di una
prova rigorosa, a fronte della mera contestazione del lavoratore, Cass. 17 agosto 1998, n. 8057, id., Rep. 1998, voce cit., n. 1605; 11 dicembre
1997, n. 12548, id., Rep. 1997, voce cit., n. 1645; 13 ottobre 1997, n.
9967, id., Rep. 1998, voce cit., n. 1615; 5 settembre 1997, n. 8555,
ibid., n. 1617; 27 novembre 1996, n. 10527, ibid., n. 1620; 20 dicembre
1995, n. 12999, id., Rep. 1996, voce cit., n. 1396; 24 giugno 1994, n.
6067, id., Rep. 1995, voce cit., n. 1482; 28 novembre 1992, n. 12746, id., Rep. 1993, voce cit., n. 1595; 7 luglio 1992, n. 8254, ibid., n. 1362; 27 aprile 1991, n. 4688, id., Rep. 1991, voce cit., n. 1538; 23 novembre
1990, n. 11312, id., Rep. 1990, voce cit., n. 1710; 11 novembre 1988, n. 6106, id., Rep. 1988, voce cit., n. 1997; 2 febbraio 1988, n. 986, ibid., n. 1994; 22 gennaio 1987, n. 583, id., Rep. 1987, voce cit., n.
2249; 21 gennaio 1987, n. 540, ibid., n. 2250; 17 gennaio 1987, n. 375, ibid., n. 2251; 24 marzo 1984, n. 1941, id., Rep. 1984, voce cit., n.
1905; 9 gennaio 1984, n. 157, ibid., n. 1908; 28 ottobre 1983, n. 6406, id., Rep. 1983, voce cit., n. 2289; 26 agosto 1983, n. 5498, ibid., n.
2291; 14 giugno 1983, n. 4088, ibid., n. 2293; 25 febbraio 1983, n.
1443, ibid., n. 2297; 2 febbraio 1983, n. 903, ibid., n. 2299; 26 ottobre
1982, n. 5606, id., Rep. 1982, voce cit., n. 1630; 9 settembre 1982, n.
4865, ibid., n. 1632; 3 aprile 1982, n. 2049, id., Rep. 1983, voce cit., n.
2298; 24 aprile 1980, n. 2746, id., Rep. 1981, voce cit., n. 1914; Pret. Roma 14 novembre 1997, id., Rep. 1998, voce cit., n. 1578; 8 novem
bre 1996, id., Rep. 1997, voce cit., n. 1652; Pret. Napoli 3 novembre
1995, ibid., n. 1653; Trib. Roma 14 marzo 1995, ibid., n. 1651; Pret.
Roma 29 luglio 1994, ibid., n. 1655; Trib. Torino 21 dicembre 1993,
id., Rep. 1994, voce cit., n. 1464; Pret. Napoli 5 luglio 1993, id., Rep. 1993, voce cit., n. 1448; Pret. Napoli-Torre del Greco 18 maggio 1993, ibid., n. 1364; Trib. Milano 22 novembre 1989, id., Rep. 1990, voce
cit., n. 1722; Pret. Pula 30 maggio 1988, ibid., n. 1729; Pret. Milano 14
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1567 PARTE PRIMA 1568
Svolgimento del processo. — Gli odierni sei ricorrenti, ed in
più tale Ghittorelli, convennero avanti al Pretore del lavoro di
Verona la Saima industrie meccaniche s.p.a. per ottenere la de
claratoria di illegittimità del licenziamento collettivo ad essi in
timato con lettere del 1° marzo 1993, con conseguente reinte
grazione e condanna al pagamento delle retribuzioni.
Assumevano che i licenziamenti erano illegittimi per carenza
dei presupposti dei licenziamenti collettivi (inesistenza della
stabile riduzione dell'attività economica) e per violazione delle
norme sui criteri di scelta dei lavoratori da licenziare. Il ricor
rente Benini deduceva altresì la propria qualità di invalido e la
violazione delle norme sulle quote di invalidi da tenere alle di
pendenze nonché la circostanza che il recesso in un primo tem
po e prima dell'esaurimento delle procedure gli era stato comu
nicato verbalmente; il Ghittorelli e il Corbi deducevano la pro
pria qualità di rappresentanti sindacali, la natura discriminatoria
del licenziamento nei loro confronti anche perché intimato sen
za il nullaosta delle organizzazioni sindacali. I ricorrenti, ad ec
cezione del Benini, deducevano altresì di essere stati collocati in
cassa integrazione senza che fosse osservato il criterio della ro
tazione tra tutti i lavoratori ed in violazione dei canoni di cor
rettezza e buona fede.
Sull'opposizione della Saima e dopo l'esperimento della pro va orale il pretore dichiarava l'illegittimità del licenziamento
del solo Ghittorelli, respingendo ogni ulteriore domanda.
Riguardo in particolare ai criteri di scelta, il pretore osserva
va, da un lato, che essi dovevano essere applicati con riferi
mento all'intero complesso industriale, e, dall'altro, che l'i
struttoria svolta aveva consentito di accertare che alcuni lavo
ratori, ad eccezione del Ghittorelli, svolgevano mansioni coin
volte nella ristrutturazione e non avevano altra professionalità che consentisse il loro reimpiego, mentre altri svolgevano com
piti che erano stati ridotti, ad eseguire i quali era rimasto solo un
lavoratore invalido, che non poteva essere licenziato senza alte
rare la percentuale di invalidi impiegati. Avverso tale decisione gli odierni ricorrenti proponevano im
pugnazione avanti il Tribunale di Verona, sviluppando dodici
motivi d'appello. Con sentenza in data 6 febbraio 1998, il Tribunale di Verona
ha respinto il ricorso.
Hanno proposto ricorso per cassazione i ricorrenti indicati in
epigrafe, con dieci motivi, illustrati da memoria.
L'intimata società, ritualmente costituita con controricorso, ha resistito.
Motivi della decisione. — Con il settimo motivo di ricorso, da esaminare per primo in ordinato iter logico, i ricorrenti dedu cono il vizio di omessa pronuncia sul sesto motivo di appello, con il quale essi, in qualità di appellanti, avevano lamentato l'insussistenza dei presupposti per procedere al licenziamento
collettivo.
maggio 1981, id., Rep. 1982, voce cit., n. 1637; Trib. Forlì 18 settem bre 1980, id., Rep. 1981, voce cit., n. 1507.
Per la tesi che richiede che la prova offerta dal datore risponda a ca noni di ragionevolezza, Cass. 29 marzo 1999, n. 3030, id., Rep. 1999, voce cit., n. 1694; 16 gennaio 1999, n. 410, ibid., n. 1699; 9 luglio 1997, n. 6253, id., Rep. 1997, voce cit., n. 1648; 26 ottobre 1996, n. 9369, id., Rep. 1996, voce cit., n. 1463; 23 ottobre 1996, n. 9204, ibid., n. 1393; 14 settembre 1995, n. 9715, ibid., voce cit., n. 1466; 3 giugno 1994, n. 5401, id., Rep. 1994, voce cit., n. 1378; 10 marzo 1992, n. 2881, id., Rep. 1993, voce cit., n. 1600.
Per la tesi che configura in capo al lavoratore un onere di allegazione e deduzione di fatti specifici, necessari per l'insorgenza dell'onere pro batorio del datore, Cass. 16 giugno 2000, n. 8207, id., Mass., 743; 23 ottobre 1998, n. 10559, id., Rep. 1998, voce cit., n. 1541; 14 settembre 1995, n. 9715, cit.; Trib. Milano 27 settembre 1997, ibid., n. 1624; Pret. Chieti 27 maggio 1992, id., Rep. 1993, voce cit., n. 1473; Pret. Roma 21 aprile 1992, id., Rep. 1992, voce cit., n. 1673; Pret. Milano 13 otto bre 1988, id., Rep. 1989, voce cit., n. 1822.
Per la tesi, rimasta isolata, secondo cui è il lavoratore a dover offrire la prova della possibilità di una sua diversa utilizzazione in azienda, precisando in quale posto scoperto possa avvenire, Cass. 16 giugno 1998, n. 6009, id., Rep. 1998, voce cit., n. 1609.
Per l'inesistenza dell'onere probatorio del datore nell'ipotesi in cui il lavoratore licenziato sia un dirigente, Trib. Napoli 26 luglio 1997, ibid., n. 1499; contra, Coll. arb. dirigenti az. ind. Piacenza 16 maggio 1985, id., Rep. 1989, voce cit., n. 727.
III. - Per altri aspetti della normativa sui licenziamenti collettivi, v. Cass. 9 settembre 2000, n. 11875, id., 2000, I, 3099, con nota di ri chiami.
Il Foro Italiano — 2001.
Il motivo è infondato.
Come risulta dalla lettura della sentenza impugnata, questa dedica le pag. 14 e 15 alla motivazione del rigetto del motivo di
appello in questione. Così essa recita:
«Quanto alla doglianza relativa alla asserita insussistenza dei
presupposti stessi di adozione della procedura di mobilità o, per
meglio dire, della ritenuta sufficienza della dichiarazione di
stato di crisi ai fini della legittimazione all'adozione della pro cedura, basti notare che il pretore ha fatto idonea e condivisibile
analisi dagli elementi storici acquisiti al processo in ordine alle
situazioni di fatto comprovanti l'esistenza di un presupposto le
gittimante detta procedura e non si è affatto accontentato della
semplice dichiarazione. Ha infatti rilevato che lo strumento
della cassa integrazione guadagni era stato adoperato sino al suo
limite massimo di esaurimento; che il valore complessivo degli ordini acquisiti era calato enormemente; che a seguito dei licen
ziamenti è stato di fatto attuato un programma di ristrutturazio
ne della organizzazione produttiva, per tenere conto sia della ri
duzione delle commesse sia della necessità di una minore spesa
complessiva, per il personale dipendente, elementi storici che
sono idonei presupposti (ai sensi degli art. 1 e 4 1. n. 223 del
1991) per dare corso alla procedura per la dichiarazione di mo
bilità. Ciò posto (e riaffermata l'inoppugnabilità dei fatti storici accertati in causa) voler entrare nel merito della decisione di
adozione della procedura di mobilità dovrebbe significare riper correre le scelte imprenditoriali e sostituirsi ad esse, nel mentre
è ormai opinione unanime della dottrina che a seguito dell'ema
nazione della 1. n. 223 il controllo giurisdizionale non può che
'limitarsi alla verifica della corrispondenza della motivazione a
quella prevista dalla legge ed alla veridicità della stessa' ... Se
dunque il limite per l'esercizio del potere imprenditoriale è il ri
spetto della 'procedura' e nel controllo giurisdizionale non è ri
compreso il potere di controllo sulla fondatezza della motiva
zione, è sufficiente che si acciari l'esistenza di una relazione lo
gica e cronologica tra i licenziamenti collettivamente intimati e
il programma di 'ristrutturazione, riorganizzazione o riconver
sione industriale' perché si possa dire (e nella specie, va detto) che i provvedimenti imprenditoriali restano all'interno di una
sfera di non sindacabilità».
Poiché i ricorrenti non contestano la fondatezza di quanto motivato dal tribunale, ma deducono solo il vizio di omessa
pronuncia, il settimo motivo di ricorso va respinto. Con il primo motivo i ricorrenti, deducendo violazione e falsa
applicazione dell'art. 345 c.p.c., censurano la sentenza impu
gnata nella parte in cui ha dichiarato l'inammissibilità dei moti vi d'appello nn. 7-8-9, in quanto asseritamente nuovi.
Sul punto il tribunale così si è espresso:
«Quanto al capo settimo di gravame, nella parte in cui si la
menta la violazione del 9° comma dell'art. 4 1. n. 223 del 1991,
per l'omessa comunicazione agli uffici del lavoro ed alle rap
presentanze sindacali aziendali delle modalità a mezzo delle
quali la Saima addivenne alla cernita dei dipendenti da mettere in mobilità e poi licenziare, si tratta di doglianza che non trova riscontro alcuno, né nella pronuncia di prime cure né nelle do mande formulate nel giudizio di primo grado dagli allora ricor renti.
Come vera e propria domanda nuova simile gravame deve es sere qualificato giacché esso non si limita a valutare in un'ottica differente ragioni già poste a sostegno delle richieste dispiegate in prime cure ma introduce un nuovo thema decidendum in un
grado di giudizio in cui i nova sono preclusi espressamente dalla
regola del rito. Ai fini dell'esame del gravame qui in parola oc
correrebbe infatti non solo esaminare questioni del tutto nuove e mai proposte nel precedente grado ma anche valutare fatti prima mai oggetto di esame e prendere in considerazione circostanze non mai prima considerate, quale
— appunto
— la circostanza della avvenuta (e, in tesi, insufficiente) comunicazione prescritta dall'art. 4, 9° comma, anzicitato ...».
I ricorrenti censurano le proposizioni riportate, assumendo in
sostanza che la doglianza di inosservanza dei criteri di scelta,
proposta nel ricorso introduttivo del giudizio, contiene quella oggetto del motivo di appello, di omissione o di insufficienza della comunicazione di cui all'art. 4, 9° comma.
Invocano il precedente di questa corte 11 marzo 1997, n. 2165 (Foro it., 1998, I, 1535), secondo cui la contestazione della inosservanza dei criteri di scelta presuppone anche quella della rituale adozione degli stessi.
II motivo non è fondato.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Il collegio ritiene condivisibile l'affermazione della sentenza
impugnata secondo cui la censura sull'osservanza sostanziale
dei criteri di scelta non comporta quella sugli elementi procedu rali e formali, i quali possono costituire autonoma causa di inef
ficacia del licenziamento collettivo (Cass., sez. un., 11 maggio 2000, n. 302/SU, id., 2000,1, 2156) e comportano quindi distinti profili di allegazione e di prova.
Con lo stesso primo motivo di ricorso i ricorrenti si dolgono della declaratoria di inammissibilità del motivo di appello n. 8.
Con questo gli appellanti avevano dedotto l'illegittimità della
procedura di comminazione dei licenziamenti, in ragione della
«esternazione dei nominativi dei destinatari finali della procedu ra medesima in fase antecedente la comunicazione dei puntuali atti di recesso», comportante anticipazione del «giudizio fina
le».
Il tribunale rilevava che la censura si componeva di due parti: da una parte ribadiva la doglianza, già contenuta nel ricorso in
troduttivo del giudizio, di indicazione nominativa del solo Be
nini (per comunicazione orale a lui direttamente effettuata), dal
l'altra lamentava la possibilità di identificazione degli altri li
cenziandi per il fatto della troppo specifica indicazione della
«professionalità» del personale ritenuto eccedentario.
Per questa seconda parte il tribunale riteneva il motivo di
gravame nuovo ed inammissibile, per le medesime considera
zioni espresse a proposito del settimo motivo.
Viceversa, per quanto riguarda il Benini, il tribunale valutava
nel merito il motivo di doglianza, affermando che «anche questa censura è stata correttamente disattesa dal pretore, atteso che
non si vede in quale vizio possa essere incappato il datore di la
voro che (evidentemente senza spirito emulativo) ha anticipato al dipendente e con comunicazione del tutto informale l'even
tualità di una sua considerazione nel novero dei licenzian
di ...».
Nel medesimo primo motivo di ricorso i ricorrenti si dolgono della declaratoria di inammissibilità del motivo di appello n. 9, con il quale i medesimi lamentavano la genericità dei contenuti
della comunicazione di avvio della procedura di mobilità, sotto
il profilo che nell'atto in esame sarebbero carenti sia i dati nu
merici utili a consentire apprezzamento circa lo stato di crisi, sia
le notizie circa i motivi tecnici per i quali si ritenesse di non
poter adottare misure alternative alla mobilità e circa le misure
programmabili per fronteggiare sul piano sociale l'attuazione
del piano di ridimensionamento.
Il tribunale, premesso che il contenuto necessario dell'atto in
questione è delineato nel 3° comma dell'art. 4 1. n. 223, riteneva
il motivo di appello inammissibile, poiché all'esame di esso sa
rebbe funzionale il dato storico della completezza della comuni
cazione che non è mai stato fatto oggetto di indagine o di mera
allegazione nel corso del primo grado di giudizio. I ricorrenti in questa sede di legittimità accomunano in unica
censura le statuizioni riportate della sentenza impugnata relative
ai motivi di appello nn. 8 e 9, assumendo che, poiché la mancata
osservanza delle regole procedurali causa la nullità dell'intera
procedura, tale vizio può essere rilevato d'ufficio per la prima volta dal giudice di appello, e quindi eccepito dalla parte per la
prima volta in quella sede.
Si deve in contrario osservare che il principio di cui all'art.
1421 c.c., sulla rilevabilità d'ufficio della nullità del negozio
giuridico in ogni stato e grado del giudizio, va coordinato con le
regole del processo, e, segnatamente, con il principio dispositi vo e con quello della corrispondenza tra il chiesto ed il pronun ciato (art. 99 e 112 c.p.c.), i quali escludono che il giudice possa dichiarare di sua iniziativa una nullità il cui accertamento pre
supponga l'esercizio di un'azione, o di una prospettazione, di
versa da quella in effetti proposta (Cass. 12 ottobre 1999, n.
11455, id., Rep. 1999, voce Sentenza civile, n. 26; 16 giugno
1994, n. 5833, id., Rep. 1994, voce Lavoro (rapporto), n. 1492; 1° febbraio 1993, n. 1203, id., Rep. 1993, voce cit., n. 1480).
L'intero primo motivo di ricorso va pertanto respinto. Va altresì respinto l'ottavo motivo con cui i ricorrenti, dedu
cendo violazione e falsa applicazione dell'art. 11 1. 2 aprile 1968 n. 482, dell'art. 5, 2° comma, 1. 223/91 e dell'art. 9, ultimo
comma, d.l. 29 gennaio 1983 n. 17, censurano la sentenza im
pugnata nella parte in cui ha ritenuto il licenziamento intimato
all'invalido civile sig. Benini, nonostante che per effetto di tale
licenziamento venisse violata la soglia del quindici per cento di
invalidi presenti in azienda.
La decisione del tribunale è conforme alla giurisprudenza di
Il Foro Italiano — 2001.
questa Suprema corte, secondo cui il licenziamento collettivo
per riduzione di personale può estendersi ai lavoratori assunti
nelle forme del collocamento obbligatorio, anche se per effetto
di tale provvedimento l'aliquota di posti ad essi riservata per
legge rimanga scoperta; il riferimento, contenuto nella disposi zione dell'art. 9, 2° comma, 1. n. 79 del 1983 (richiamata dal
l'art. 5, 2° comma, 1. n. 223 del 1991) alle quote previste dalla 1.
n. 482 del 1968 non assicura all'esito del licenziamento la pro
porzione tra lavoratori assunti obbligatoriamente e personale
occupato, perché si riferisce solo alle percentuali del numero dei
soggetti protetti da includere nel licenziamento collettivo (Cass. 14 maggio 1998, n. 4886, id., Rep. 1998, voce cit., n. 1795; 2 novembre 1991, n. 11661, id., Rep. 1991, voce Lavoro (collo
camento), n. 31; 9 novembre 1990, n. 10802, id., Rep. 1990, vo
ce Lavoro (rapporto), n. 1907; 19 aprile 1990, n. 3216, ibid., n.
1908; 11 giugno 1987, n. 5103, id., Rep. 1987, voce Lavoro
(collocamento), n. 177). Va infine respinto il nono motivo con cui i ricorrenti, dedu
cendo violazione e falsa applicazione dell'art. 14 dell'accordo
interconfederale 18 aprile 1966, censurano la sentenza impu
gnata per avere ritenuto irrilevante, al fine del licenziamento in
timato al sig. Corbi, la mancata richiesta di nullaosta alle orga nizzazioni sindacali di cui esso era rappresentante.
L'accordo interconfederale 18 aprile 1966 per la costituzione
e il funzionamento delle commissioni interne (che sostituisce il
precedente accordo dell'8 maggio 1953) prevede, all'art. 14, che i membri di commissione interna ed i delegati di impresa in
carica e uscenti, fino ad un anno dalla cessazione della carica, non possono essere licenziati o trasferiti senza il nullaosta delle
organizzazioni sindacali che rappresentano rispettivamente il
lavoratore interessato e l'azienda.
La giurisprudenza di questa corte ha costantemente ritenuto
che le disposizioni di legge e della contrattazione collettiva pre vedenti limitazioni al potere di licenziamento individuale non
siano applicabili ai licenziamenti collettivi (Cass. 20 maggio 1983, n. 3514, id., Rep. 1983, voce Lavoro (rapporto), n. 2600, concernente la 1. 15 luglio 1966 n. 604 e l'art. 5, parte generale, c.c.n.l. per i metalmeccanici 1° maggio 1976; 22 dicembre
1987, n. 9534, id., Rep. 1987, voce Sindacati, n. 102, e 24 mag gio 1991, n. 5907, id., Rep. 1992, voce Lavoro (rapporto), n.
1831, sulla stessa disposizione contrattuale nonché specifica mente sull'art. 14 dell'accordo interconfederale 18 aprile 1966
in esame). Il ricorrente invoca l'autorità del precedente di questa corte 6
luglio 1990, n. 7105 (id., Rep. 1990, voce cit., n. 1910) limitan dosi a riportarne la massima. Ma tale sentenza non ha affrontato
il punctum decisionis rilevante nella presente causa; in una fatti
specie di licenziamento collettivo in cui il nullaosta era stato ri
chiesto dopo l'intimazione del licenziamento, la corte ha re
spinto il motivo di ricorso del lavoratore, affermando la tempe stività della richiesta.
Vanno viceversa accolti i motivi da 2 a 6, da esaminare con
giuntamente per la loro connessione.
Con il secondo motivo i ricorrenti, deducendo violazione e
falsa applicazione dell'art. 360, n. 5, c.p.c., censurano la senten
za impugnata nella parte in cui ha ritenuto provata in atti l'in
tervenuta soppressione dei reparti cui gli odierni ricorrenti erano
adibiti. Con il terzo motivo i ricorrenti censurano la sentenza impu
gnata per violazione e falsa applicazione dell'art. 360, n. 5,
c.p.c., nella parte in cui ha ritenuto provata la preventiva com
parazione, ad opera del datore di lavoro, delle distinte posizioni dei lavoratori del reparto macchine barenatrici (ridotto e non
soppresso) interessati dalla procedura, quanto a carichi di fami
glia ed anzianità. In sostanza i ricorrenti si dolgono che in un
reparto con tre addetti, di cui uno da conservare, la società abbia
mantenuto in servizio l'invalido Chiappin, ed abbia licenziato i ricorrenti Monese ed Orlandi, i quali pretendono di avere mag
giori carichi di famiglia o di anzianità, e che il licenziamento del
Chiappin non avrebbe inciso sulla quota degli invalidi da assu
mere obbligatoriamente. Con il quarto motivo i ricorrenti censurano la sentenza impu
gnata per violazione e falsa applicazione dell'art. 5 1. 23 luglio 1991 n. 223, nella parte in cui avrebbe ritenuto che possano co
stituire criterio esclusivo di scelta le esigenze d'ordine organiz
zativo, a prescindere dai criteri legali dell'anzianità e dei carichi
di famiglia. I ricorrenti ammettono che la concertazione sindacale può
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PARTE PRIMA 1572
prescegliere anche uno solo di detti criteri, ma assumono che in
caso di mancato accordo al riguardo tra le parti sociali, i tre cri
teri dalla legge indicati vanno tra loro integrati. Contestano la coincidenza tecnico concettuale tra macchine e
reparto posta a base della decisione del tribunale; contestano in
particolare che il centralino possa essere considerato un reparto; affermano che in realtà la Saima si limitò a sopprimere alcune
mansioni.
Con il quinto motivo i ricorrenti, deducendo violazione e fal
sa applicazione dell'art. 360, n. 5, c.p.c., censurano la sentenza
impugnata nella parte in cui ha ritenuto l'irrilevanza delle atti
tudini e delle esperienze specifiche dei lavoratori licenziati nelle
lavorazioni conservate. Illustrano ampiamente le mansioni
svolte in passato, per dimostrare la propria perfetta conoscenza
e fungibilità nelle lavorazioni preservate. Con il sesto motivo i ricorrenti, deducendo violazione e falsa
applicazione dell'art. 277 c.p.c., censurano la sentenza impu
gnata, ex art. 360, n. 5, c.p.c., per aver omesso di delibare la
censura, contenuta nel motivo di appello n. 3, relativa alla diva
ricazione tra motivi addotti in sede di comunicazione di apertura della procedura di mobilità e ragioni allegato in sede di giudi zio; erroneità della decisione impugnata, ex art. 360, n. 3, c.p.c.,
per violazione degli art. 2 1. 604/66 e 4 1. 223/91 (immodifica bilità dei motivi di licenziamento).
I ricorrenti individuano la divaricazione nella circostanza che
la Saima, nella comunicazione di apertura del procedimento di
mobilità, addusse la ricorrenza di ragioni di grave disagio finan
ziario, indicando quale possibile rimedio, atto al contenimento
dei costi fissi, dedotti siccome eccessivi, la soppressione di ta
luni reparti; mentre in sede esecutiva si limitò a dismettere talu
ne attività, in quanto collegate all'operatività di macchine indu
striali dismesse, già collocate, «disordinatamente», in più repar ti.
Le censure sono complessivamente fondate per i motivi che
seguono. Ai fini della determinazione dell'ambito di attuazione del li
cenziamento collettivo e dell'individuazione dei lavoratori da
licenziare deve tenersi conto di tutti i lavoratori dell'azienda,
salvo che questa risulti divisa in singole unità produttive (Cass. 9 giugno 1993, n. 6418, id., Rep. 1993, voce cit., n. 1649; 29 di cembre 1998, n. 12879, id., Rep. 1998, voce cit., n. 1780); sic
ché non può valere a ridurre il numero dei soggetti da valutare
comparativamente il mero ridimensionamento (o la stessa sop
pressione) di un reparto, potendo la riduzione del personale es
sere limitata agli addetti a tale reparto solo allorquando sia co
storo sia gli addetti ai restanti reparti siano portatori di specifi che professionalità non omogenee che ne rendano impraticabile in radice qualsiasi comparazione (Cass. 10 luglio 2000, n. 9169,
id., Mass., 850). In applicazione di tale principio, questa corte, in fattispecie
analoga a quella odierna, ha cassato la pronuncia del giudice del
merito che aveva ritenuto corretta l'individuazione dei lavorato ri da licenziare in base al criterio dell'appartenenza ai reparti da
sopprimere, senza motivare circa l'esistenza in altri reparti di
lavoratori aventi identica professionalità (Cass. 16 gennaio 1996, n. 327, id., Rep. 1996, voce cit., n. 1310).
Nel caso di specie, dalla stessa sentenza impugnata risulta che
l'azienda della controricorrente non è divisa in più unità pro duttive; pertanto, la deroga al criterio della universalità della
scelta andava motivata con particolare rigore. Un primo motivo di insoddisfazione della sentenza impugnata
è costituito dalla correlazione che essa istituisce tra macchine e
reparti, e quindi tra lavoratori addetti a tali macchine e profes sionalità infungibili, senza adeguata motivazione.
Ora, se si può convenire con il tribunale che il reparto può costituire una specificazione del criterio tecnico-organizzativo, in quanto attraverso il reparto possono essere individuate le pro fessionalità infungibili (v., a tale riguardo, Cass. 29 novembre
1999, n. 13346, id., Rep. 1999, voce cit., n. 1929, sull'ammissi
bilità della soppressione di determinate posizioni di lavoro an
che in licenziamento collettivo), tuttavia l'enunciazione di tale
principio non è sufficiente a sostenere la decisione del caso con
creto, dovendo il giudice del merito verificare che siano state
comparate tutte le professionalità analoghe esistenti in azienda. Su tale piano probatorio la sentenza impugnata è carente, perché non ha motivato in maniera appagante innanzitutto sulla imme
desimazione tra macchine e reparto, ed in secondo luogo sulla
Il Foro Italiano — 2001.
non fungibilità dei lavoratori licenziati, in un contesto produttivo
medio-piccolo con elevata circolarità delle mansioni.
A tale proposito è cruciale il problema, sollevato dai ricor
renti, dei criteri di scelta, cui consegue quello del riparto degli oneri probatori.
Sul primo la giurisprudenza di questa corte è ormai consoli
data nel senso che i criteri di scelta, ove non predeterminati se
condo uno specifico ordine stabilito da accordi collettivi, deb
bono essere osservati, a norma degli art. 5 e 24 1. n. 223 del
1991, in concorso fra loro, il che impone al datore di lavoro una
valutazione globale dei medesimi. Ciò non esclude tuttavia che
il risultato comparativo possa essere quello di accordare preva lenza ad uno solo di detti criteri e, in particolare, alle esigenze tecniche e produttive, essendo questo il criterio più coerente con
le finalità perseguite attraverso la riduzione di personale, sem
pre che naturalmente una scelta siffatta trovi giustificazione in
fattori obiettivi, la cui esistenza sia provata in concreto dal dato
re di lavoro e non sottenda intenti elusivi o ragioni discriminato
rie (Cass. 3 febbraio 2000, n. 1201, id., Mass., 121; 4886/98, cit.; 13 febbraio 1990, n. 1039, id., Rep. 1990, voce cit., n. 1926; 16 dicembre 1985, n. 6401, id.. Rep. 1986, voce cit., n. 2459).
Altro punto fermo in subiecta materia è che l'onere di fornire
la prova della corretta applicazione dei criteri legali, di cui al
l'art. 5 1. 23 luglio 1991 n. 223, o contrattuali di cui all'accordo
interconfederale del 5 maggio 1965, incombe sul datore di lavo
ro, prova che, per quanto non debba riguardare analiticamente le
posizioni di ciascun lavoratore, non deve limitarsi alla mera in
dicazione di formule generiche, ripetitive dei principi dettati in
astratto dalla disciplina contrattuale o legislativa sia pure speci ficamente riferiti ai singoli lavoratori che hanno impugnato il li
cenziamento, ma deve avere ad oggetto una valutazione compa rativa delle posizioni dei dipendenti potenzialmente interessati
al provvedimento, quanto meno con riguardo alle situazioni raf
frontabili per livello di specializzazione (Cass. 9169/00, cit.;
1781/84, id., Rep. 1984, voce cit., n. 2291; 8646/87, id., Rep. 1987, voce cit., n. 2637; 1115/93, id.. Rep. 1993, voce cit., n.
1652; 6652/97, id., Rep. 1997, voce cit., n. 1832). A questo punto gli orientamenti si divaricano.
Un indirizzo ha dedotto, dall'obbligo del datore di lavoro di
osservare i criteri di scelta.il suo onere, a norma dell'art. 2697
c.c., di dare la relativa prova, consistente nell'esternazione delle
valutazioni comparative compiute in funzione delle esigenze aziendali, dell'anzianità e dei carichi di famiglia dei lavoratori, sicché è sufficiente per il lavoratore, perché sorga tale onere
probatorio, contestare l'adempimento da parte del datore di la
voro dell'obbligo di rispettare i criteri stessi (Cass. 13 luglio 1998, n. 6858, id.. Rep. 1999, voce cit., n. 1981; 8 giugno 1999, n. 5650, ibid., n. 1944).
Secondo altro indirizzo, che richiama gli oneri di allegazione del ricorrente, il lavoratore ha l'onere di specificare gli elementi
di fatto (anzianità di servizio e carichi di famiglia) afferenti alla
sua persona, in modo da consentire al datore di lavoro di prova re a sua volta la legittimità delle sue scelte, specificando i raf
fronti operati con gli altri lavoratori (Cass. 19 luglio 1997, n.
6652, cit.; 6 luglio 2000, n. 9045, id., Mass., 839; 14 luglio 2000, n. 9374, ibid., 866).
Il collegio osserva che gli oneri processuali delle parti sono
modellati sulle situazioni sostanziali dedotte in giudizio. Se l'onere della prova della legittimità dei licenziamenti col
lettivi incombe sul datore di lavoro, in chiara analogia con
l'espressa disposizione dell'art. 5 1. 15 luglio 1966 n. 604 per i
licenziamenti individuali, ciò significa che fatti costitutivi della pretesa del lavoratore ricorrente sono l'esistenza di un rapporto di lavoro ed il fatto del successivo licenziamento; pertanto l'os
servanza dei criteri di scelta, della cui prova è onerato il datore
di lavoro, assume il valore di fatto impeditivo, che deve essere
allegato nella comparsa di costituzione, con il relativo corredo
istruttorio.
Le contestazioni del lavoratore licenziato circa i propri titoli
prioritari per la conservazione del rapporto assumono quindi il
valore di fatti costitutivi di secondo grado, da dedurre nella pri ma difesa utile, in replica alle difese del datore di lavoro conve
nuto, e cioè normalmente in limine dell'udienza di discussione.
Ciò precisato, si deve rilevare che il tribunale si è limitato a
rilevare che «la allora convenuta aveva offerto sufficiente prova (testimoniale) della intervenuta soppressione di alcuni reparti destinati a specifiche lavorazioni», e che è «lecito per il datore
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
di lavoro scegliere di conservare, insieme ai reparti, anche i la
voratori ad essi addetti, siccome caratterizzati da una specifica abilità non fungibile». Trattasi dunque, secondo la stessa sen
tenza impugnata, di un criterio di scelta, che andava provato dal
datore di lavoro.
Viceversa, e contraddittoriamente, il tribunale non ha esplici tato alcuna prova della sussistenza della affermata infungibilità dei lavoratori ricorrenti, sicché sussiste il vizio di insufficiente
motivazione dedotto, ai sensi dell'art. 360, n. 5, c.p.c., il che
comporta l'accoglimento della relativa censura dei ricorrenti.
Ne consegue la superfluità dell'esame specifico del decimo
motivo di ricorso, con il quale i ricorrenti, deducendo violazione
e falsa applicazione dell'art. 1, 8° comma, 1. 223/91, in relazio
ne all'art. 360, n. 3, c.p.c., censurano la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto non necessaria la rotazione degli addetti (ivi compresi gli odierni ricorrenti), in sede di colloca
zione in cassa integrazione guadagni straordinaria del personale
precariamente in esubero. Il motivo infatti va accolto per le ra
gioni esposte nell'esame dei motivi da 2 a 6.
Conclusivamente, vanno accolti i motivi di ricorso 2, 3, 4, 5,
6, 10; respinti gli altri; la sentenza impugnata va cassata, e gli atti rimessi al giudice del rinvio, che si designa nella Corte
d'appello di Venezia.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 13 feb
braio 2001, n. 2062; Pres. Ianniruberto, Est. Roselli, P.M.
Buonajuto (conci, diff.); Soc. Ferrovie dello Stato (Avv.
Corbo) c. Romeo; Cannizzaro e altri (Avv. Napolitani) c.
Soc. Ferrovie dello Stato. Cassa Trib. Reggio Calabria 14
agosto 1998 e decide nel merito.
Procedimento civile — Procura alle liti — Società di capitali — Mandatario del legale rappresentante
— Ammissibilità — Fattispecie (Cod. civ., art. 1399; cod. proc. civ., art. 75,
77, 83, 157, 182).
Non può tenersi conto della contestazione del potere rappre sentativo in capo al delegato del legale rappresentante di una
persona giuridica il quale abbia rilasciato al difensore la
procura alle liti per il giudizio d'impugnazione ove la relati
va contestazione venga prospettata — quale motivo di nullità
della sentenza d'appello — dalla controparte solo nel giudi
zio di cassazione, quando ormai la società ricorrente risulta
stare in giudizio per mezzo di un nuovo delegato del legale
rappresentante, munito di poteri giammai contestati (nella
motivazione, la corte ha altresì affermato che, ai fini della va
lida attribuzione del potere di rappresentanza processuale da
parte del legale rappresentante di una società di capitali ad
altro soggetto, non è necessaria la specificazione aprioristica dei singoli rapporti in relazione ai quali è attribuita la rap
presentanza sostanziale, potendosi pervenire all'individua
zione dei poteri sostanziali delegati anche per via indiretta
e/o in relazione alla natura controversa dei rapporti de qui
bus). (1)
(1) I. - A distanza di pochi mesi dalla decisione 15 dicembre 2000. n. 15820 (Foro it., Mass., 1465), la sezione lavoro riconferma il proprio allineamento con le posizioni espresse dalle sezioni unite (sent. 8 mag
gio 1998, n. 4666, id., 2001, I, 307, con nota di M. Iozzo), adesso te
stualmente definita vero e proprio «punto fermo». Si può dunque co
minciare a parlare — anche sulla base di altri recenti interventi (v. Cass. 1° luglio 2000, n. 8838, ibid., 179) — di un nuovo clima giuris prudenziale, propenso ad attribuire un ruolo decisivo alla contestazio
ne (tempestiva) della controparte al fine del sorgere in capo al giudice dell'obbligo di verificare se il conferimento della procura ad litem sia
Il Foro Italiano — 2001.
Svolgimento del processo. — Con ricorso del 17 novembre
1992 al Pretore di Reggio Calabria, Romeo Rocco affermava di
aver contratto una lombosciatalgia destra da ernia discale a cau
sa della sua attività di conduttore dell'ente Ferrovie dello Stato
e chiedeva che questo fosse condannato a corrispondergli tutti i
benefici economici derivanti dalla malattia contratta per causa
di servizio, compreso l'equo indennizzo.
Costituitosi il convenuto ed esperita una consulenza tecnica
medico-legale, il pretore accoglieva la domanda, ascrivendo la
causa di servizio alla settima categoria della tabella A, allegata
avvenuto ad opera di persona legittimamente investita della rappresen tanza processuale della persona giuridica (in argomento, v. altresì la coeva pronuncia della sez. II 23 febbraio 2001, n. 2655, id., Mass.,
195). La decisione odierna, rispetto ai suoi vicini precedenti, ribadisce in
termini ancor più netti che l'onere probatorio grava sulla parte che sol leva la relativa questione (assimilata pertanto alle eccezioni in senso
proprio) anziché sulla persona giuridica attrice. Il soggetto che dichiara di agire nel processo per conto dell'ente, secondo la corte, può (ed in un certo senso deve) limitarsi ad indicare l'atto-fonte dei propri poteri onde mettere la controparte in condizione di verificarne l'estensione e, eventualmente, avanzare le conseguenti contestazioni. E questo, viene
oggi ripetuto, vale anche per il rappresentante processuale volontario
(v., per indicazioni, la nota a Cass. 8838/00, cit.). II. - Ulteriore dato significativo, l'affermazione della possibilità di
ratifica (da parte del rappresentante volontario processuale) dell'attività svolta in giudizio nel nome e nell'interesse della persona giuridica da un precedente procuratore, in ipotesi carente di poteri rappresentativi (attività che la corte non esita a ricondurre nel novero delle «irregola rità», per di più «eventuali»). Anche in questa direzione si percepisce abbastanza netta l'inversione di tendenza, confermata da altre recenti decisioni: per l'affermazione esplicita che il difetto di legittimazione —
in relazione alla capacità processuale e quindi al rilascio di valida pro cura ad causam — dà luogo ad un vizio sanabile sia indirettamente, in
conseguenza di un giudicato interno, sia direttamente mediante la co stituzione di un rappresentante legale, nei vari gradi del giudizio, sia attraverso atti di ratifica o di accettazione anche implicita — per facta concludentia — del contraddittorio, v. infatti Cass. 1° febbraio 2000, n.
1070, id., 2000, I, 2266, in motivazione, nonché Cass. 21 novembre
2000, n. 15031, id., Mass., 1369. In un senso più restrittivo, v. però Cass. 22 settembre 2000, n. 12574,
ibid., 1133, secondo cui la società che stia in giudizio a mezzo di sog getto che non ne ha la rappresentanza per atto costitutivo o per statuto, finché questi non venga delegato da colui che invece ha tale rappre sentanza, è da dichiarare contumace; né la ratifica, da parte del rappre sentante, della procura al difensore per difendere la società in giudizio, conferita dal predetto soggetto sprovvisto di potere di rappresentanza, costituisce atto idoneo a conferire la legittimazione processuale a chi ne è privo.
L'orientamento sostanzialmente prevalente nei tempi più recenti —
soprattutto all'interno della sezione lavoro — pur ammettendo la possi bilità di ratifica, individuava un limite insuperabile all'operare del meccanismo di sanatoria nell'intervenuta decadenza conseguente alla scadenza dei termini di impugnazione: v., tra le altre, Cass., sez. lav., 13 giugno 1997, n. 5316, id., Rep. 1997, voce Procedimento civile, n. 101 (ricordata anche in motivazione); 22 febbraio 1997, n. 1622, ibid., n. 104; sez. II 27 marzo 1997, n. 2754, ibid., n. 102; sez. lav. 17 gen naio 1996, n. 346, id., Rep. 1996, voce cit., n. 79, e, per esteso, Arch,
civ., 1996, 1149 (anch'essa citata in motivazione), nonché 21 maggio 1996, n. 4652, Foro it., Rep. 1996, voce cit., n. 76, e Arch, civ., 1996, 1259, la quale aveva rilevato come il principio della salvezza dei diritti anteriormente quesiti fosse «connaturato all'istituto della ratifica, come è desumibile dall'art. 1399 c.c., che, nello stabilire l'efficacia retroatti va degli atti di ratifica, fa salvi i diritti dei terzi, e trova specifica con ferma nell'art. 182, 2° comma, c.p.c., che, prevedendo il possibile re
cupero anche di atti processuali affetti dal vizio in questione — dato che l'espressione 'difetto di rappresentanza' è sufficientemente generi ca e comprensiva — fa salva l'ipotesi che 'si sia avverata una decaden za'».
Il ritorno al passato (v., ad esempio, Cass. 13 dicembre 1990, n.
11828, Foro it., Rep. 1990, voce cit., n. 42; 6 febbraio 1987, n. 1186, id., Rep. 1987, voce cit., n. 40, e Arch, civ., 1987, 499) si pone in sinto nia con quegli orientamenti dottrinali i quali, sulla premessa della ca
renza dell'attuale disciplina dei vizi inerenti alla difesa tecnica, hanno
posto in luce come debba ritenersi coerente con la ratio della necessità della difesa tecnica «solo una disciplina la quale, alla presenza di un
atto introduttivo del giudizio (di primo grado o d'impugnazione) nullo
per difetto o vizio nella difesa tecnica, consenta di depurare il processo da tale vizio, allo scopo di consentirne la conclusione con una sentenza
di merito, senza che a ciò siano d'intralcio eventuali decadenze sostan
ziali o processuali maturate nel periodo intercorrente fra il compimento dell'atto invalido e la sua successiva sanatoria» (così A. Proto Pisani, Lezioni di diritto processuale civile, 3a ed., Napoli, 1999, 331).
E, viceversa, in contrasto con chi (v. Mandrioli, Delle parti, in
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