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sezione lavoro; sentenza 15 gennaio 1997, n. 360; Pres. Rapone, Est. Genghini, P.M. Delli Priscoli...

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sezione lavoro; sentenza 15 gennaio 1997, n. 360; Pres. Rapone, Est. Genghini, P.M. Delli Priscoli (concl. conf.); Cuccio (Avv. D'Alessandro) c. Soc. Mondialpol (Avv. Barbato, Moro). Conferma Trib. Milano 3 settembre 1994 Source: Il Foro Italiano, Vol. 120, No. 3 (MARZO 1997), pp. 781/782-787/788 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23191840 . Accessed: 25/06/2014 08:14 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 188.72.126.89 on Wed, 25 Jun 2014 08:14:58 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione lavoro; sentenza 15 gennaio 1997, n. 360; Pres. Rapone, Est. Genghini, P.M. DelliPriscoli (concl. conf.); Cuccio (Avv. D'Alessandro) c. Soc. Mondialpol (Avv. Barbato, Moro).Conferma Trib. Milano 3 settembre 1994Source: Il Foro Italiano, Vol. 120, No. 3 (MARZO 1997), pp. 781/782-787/788Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23191840 .

Accessed: 25/06/2014 08:14

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

non era stata contestata. La stessa, inoltre, si esprimeva in ter

mini di dubbio circa la possibilità di fornire una esauriente ri

sposta ai quesiti formulati, per la carenza di dati indispensabili, ed in particolare della cartella clinica anestesiologica (rilevata sin nel primo capoverso della relazione e ribadita nelle con

clusioni). È opportuno sgombrare il campo, anzitutto, di alcune affer

mazioni inesatte o fuorviami.

Per l'art. 2236 c.c., i prestatori d'opera intellettuale, fra i

quali il medico ed il chirurgo, rispondono solo in caso di dolo

0 di colpa grave solo «se la prestazione implica la soluzione

di problemi tecnici di speciale difficoltà»; allorché non sussista

no problemi tecnici di quel tipo, gli stessi rispondono, come

in ogni ipotesi di inadempimento contrattuale, anche per colpa

lieve, a norma dell'art. 1218 c.c. Nell'esaminare la responsabili tà del sanitario, e, conseguentemente, quella della Usi, la corte

di merito, ha escluso persino la colpa lieve, aderendo implicita mente alla tesi che l'anestesia epidurale — quali che ne fossero

1 rischi — non comportasse il superamento di problemi di parti colare difficoltà tecnica.

Sotto un diverso profilo, è noto che il lavoro intellettuale

comporta una tipica prestazione di mezzi al fine del raggiungi mento di un determinato risultato, il cui conseguimento potrà

dipendere poi da una serie di circostanze estranee alla volontà

dell'obbligato. Allorché sia fatta valere la responsabilità contrattuale del pre

statore d'opera intellettuale e/o dell'ente contrattualmente te

nuto alla prestazione (né dalla citazione risulta che la ricorrente

abbia inteso fare esclusivo riferimento alla responsabilità extra

contrattuale), ed il trattamento o l'intervento non siano di diffi

cile esecuzione, l'aggravamento della situazione patologica del

paziente o l'insorgenza di nuove patologie eziologicamente col

legabili ad essi — quali nella specie, secondo i giudici di merito, i postumi derivati alla Scarpetta — comporta, a norma dell'art.

1218 c.c., una presunzione semplice in ordine all'inadeguata o

negligente prestazione; in conseguenza, il paziente che chiede

il risarcimento del danno subito assolve all'onere probatorio che

gli incombe dimostrando: a) l'aggravamento delle sue condizio

ni o l'insorgenza di nuove patologie; b) il rapporto causale tra

le stesse ed il trattamento o l'intervento.

Spetta all'obbligato — sia esso il sanitario o la struttura —

fornire la prova che la prestazione professionale è stata eseguita in modo idoneo e che quegli esiti peggiorativi sono stati deter

minati da un evento imprevisto e imprevedibile, eventualmente

in dipendenza di una particolare condizione fisica del paziente non accertabile e non evitabile con l'ordinaria diligenza profes sinale (ovvero, al fine di limitare la responsabilità alla colpa

grave, che il trattamento o l'intervento comportavano la solu

zione di problemi di particolare difficoltà). Ne discende che l'incertezza degli esiti probatori in ordine

all'esatto adempimento della prestazione professionale va posto

a carico del prestatore d'opera o della struttura in cui lo stesso

è inserito e comporta l'accoglimento della domanda risarcito

ria, fondata sulla responsabilità contrattuale.

Nella specie risulta inesatto affermare che l'attuale ricorrente

abbia accettato le conclusioni del consulente di ufficio, laddove

nel secondo motivo di appello si contestavano esplicitamente le conclusioni, sottolineandosi, anche se in modo forse non del

tutto chiaro, che il consulente di ufficio non avrebbe spiegato «il meccanismo causale dell'incidente», e, soprattutto, la caren

za di elementi decisivi, derivanti dalla mancanza della cartella

clinica, ripetutamente rilevata dallo stesso.

In effetti, in mancanza della cartella clinica relativa all'ane

stesia, il consulente di ufficio (e, adottandole, la corte ancone

tana) ha fondato le proprie conclusioni su quanto normalmente

praticato nella struttura, dedotto da dichiarazioni di terzi, e non

su quanto era stato effettivamente praticato ed era avvenuto

nella specifica fattispecie. L'esclusione, da parte del consulente,

con argomentazione adottata dai giudici di merito, che nella

specie era stata attinta la zona aracnoidea, risulta quindi del

tutto inadeguata ai fini della prova imposta dall'art. 1218 c.c.,

secondo le precisazioni svolte, mancando pur sempre la prova

che nalla concreta fattispecie non solo non è stata attinta quella

zona, ma che l'anestesia è stata praticata con i farmaci e secon

do le tecniche usuali, riferite (in astratto) al consulente e cui

10 stesso ha fatto riferimento.

La sentenza impugnata dev'essere, pertanto, cassata, con rin

vio, anche per le spese, alla corte viciniore de L'Aquila.

11 Foro Italiano — 1997.

I

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 15 gen naio 1997, n. 360; Pres. Rafone, Est. Genghini, P.M. Delli

Priscoli (conci, conf.); Cuccio (Avv. D'Alessandro) c. Soc.

Mondialpol (Avv. Barbato, Moro). Conferma Trib. Milano

3 settembre 1994.

Lavoro (rapporto di) — Licenziamento — Giusta causa — «Con

vertibilità» anche d'ufficio in giustificato motivo (Cod. civ., art. 1424, 1455, 2119; 1. 15 luglio 1966 n. 604, norme sui

licenziamenti individuali, art. 3).

Il giudice (nella specie, d'appello), anche d'ufficio, può ritenere

giustificato motivo soggettivo legittimante il recesso il fatto che abbia dato luogo a licenziamento per giusta causa, con

il limite dell'immutabilità della causa del licenziamento, che

si riferisce ai fatti a sostegno del recesso e non alla loro quali

ficazione. (1)

II

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 9 ottobre

1996, n. 8836; Pres. Panzarani, Est. Berni Canani, P.M.

Arena (conci, conf.); Soc. Vetrotex Italia (Avv. Natoli, Vil

lani) c. Diapede (Aw. Beninato, Morixe). Conferma Trib.

Savona 31 dicembre 1992.

Lavoro (rapporto di) — Licenziamento — Giusta causa — «Con

vertibilità» anche d'ufficio in giustificato motivo — Rilevabi

lità in appello — Limiti (Cod. civ., art. 1424, 1455, 2119; 1. 15 luglio 1966 n. 604, art. 3).

Incorre in difetto di motivazione, che va denunciato a pena di

inammissibilità dei motivi d'appello, la decisione che dichiari

illegittimo il licenziamento negando la giusta causa ed omet

tendo di provvedere anche d'ufficio alta riqualificazione del

l'inadempimento sotto il profilo del giustificato motivo sog

gettivo, in tal caso il recesso producendo i suoi effetti alla

scadenza del periodo di preavviso. (2)

III

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 2 aprile

1996, n. 3048; Pres. Panzarani, Est. Prestipino, P.M. De

Gregorio (conci, conf.); Corsini (Avv. Muggia, Capezzera,

Durante) c. Soc. Esselunga (Avv. F. Biamonti, Lavizzari).

Conferma Trib. Milano 7 aprile 1993.

Lavoro (rapporto di) — Licenziamento — Giusta causa — «Con

vertibilità» anche d'ufficio in giustificato motivo (Cod. ci v.,

art. 1424, 1455, 2119; 1. 15 luglio 1966 n. 604, art. 3).

Il giudice, anche d'ufficio, può ritenere giustificato motivo sog

gettivo legittimante il recesso il fatto che abbia dato luogo a licenziamento per giusta causa, con il limite dell'immutabi

lità della contestazione (nella specie, la diversa qualificazione era stata richiesta solo con l'atto d'appello). (3)

(1-3) Con le sentenze in epigrafe (riportate solo in parte qua) la Cor

te di cassazione consolida il proprio indirizzo circa la convertibilità d'uf

ficio del licenziamento per giusta causa in licenziamento per giustificato motivo soggettivo, ribadendo, sia pure con qualche differenza di sfu

matura quanto alla ratio decidendi, che non si tratta di conversione

in senso stretto ma di valutazione del medesimo fatto da parte del giu dice in ragione della diversa gravità richiesta dalle due nozioni: cfr.,

più di recente, Cass. 2 marzo 1995, n. 2414, Foro it., Rep. 1995, voce

Lavoro (rapporto), n. 1408, e Giust. civ., 1995, I, 3033, con nota di

G. Bolego, Obbligo di affissione e principio di conversione nel licen

ziamento disciplinare-, 27 novembre 1992, n. 12678, Foro it., Rep. 1992, voce cit., n. 1561; 20 settembre 1991, n. 9803, ibid., n. 1559, e Riv.

it. dir. lav., 1992, II, 676, con nota di M. Caro, Conversione del licen

ziamento e poteri del giudice; 24 agosto 1991, n. 9102, Foro it., Rep.

1992, voce cit., n. 1558; nella giurisprudenza di merito, tra le più recen

ti, Trib. Milano 28 novembre 1995, Orient, giur. lav., 1995 , 976. Per

la non convertibilità, cfr. Cass. 12 febbraio 1981, n. 875, Foro it., 1982,

I, 1392. In dottrina, cfr., quale recente contributo monografico, A. M.

Bruni, Sulla conversione del licenziamento. Profili civilistici, Padova,

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PARTE PRIMA

I

Svolgimento del processo. — Con ricorso al Pretore del lavo

ro di Milano dell'8 luglio 1992, Cuccia Sebastiano impugnava il licenziamento per giusta causa intimatogli dalla s.p.a. Mon

dialpol con lettera del 24 giugno 1992, affermando che era pre testuoso e persecutorio in relazione alle denunce che egli aveva

fatto per attività non corretta della Mondialpol, e per aver egli sensibilizzato i dipendenti ai miglioramento delle condizioni la

vorative; inoltre, si doleva che i fatti contestati non fossero ine

renti alle modalità di svolgimento della prestazione lavorativa, alla quale si riferiva l'art. 92 ccnl. Chiedeva pertanto l'annulla

mento del licenziamento e la reintegrazione nel posto di lavoro.

Si costituiva la società e resisteva alla domanda eccependo

che, ancorché i fatti contestati non riguardassero l'adempimen to della prestazione lavorativa, essi integravano un comporta mento diffamatorio e travalicante i limiti della legittima critica, talché ne risultava irrimediabilmente compromesso il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e prestatore d'opera.

Il pretore respingeva la domanda.

Tale sentenza era impugnata dal lavoratore, e, ricostituitosi

il contraddittorio, il tribunale rigettava il gravame, ritenendo

che il comportamento del lavoratore fosse stato quanto mai ostru

zionistico e tale da ingenerare un comprensibile disagio della

datrice di lavoro, giungendo ad accusarla di truffare i lavorato

ri, sol perché predisponeva gli assegni apponendovi la data del

giorno nel quale erano effettivamente riscuotibili: si trattava di

atteggiamenti reiterati che alla fine non davano più al rapporto di lavoro prospettive di normale svolgimento in un clima di fi

ducia e collaborazione reciproca. Riteneva peraltro il tribunale

che il loro protrarsi e in certo qual modo cronicizzarsi, non

giustificava la risoluzione in tronco ma il licenziamento per giu stificato motivo soggettivo, con le conseguenze di legge in ordi

ne alla indennità sostitutiva di preavviso non ricevuto ed al nuovo

computo del trattamento di fine rapporto che non aveva tenuto

conto di tale ultimo periodo. Riteneva infine che la richiesta

di declaratoria di illegittimità della sospensione cautelare dove

va ritenersi nuova rispetto alle conclusioni di primo grado. Contro questa sentenza ha presentato ricorso il lavoratore;

resiste con controricorso la società. Il ricorrente ha illustrato

il ricorso con memoria recante allegata la copia di una sentenza

penale in un procedimento nel quale il ricorrente era imputato di reati in danno della soc. Mondialpol.

Motivi della decisione. — (Omissis). Né ha fondamento la

affermazione che il tribunale ha errato nel ritenere che la stessa

fattispecie considerata dal pretore come giustificativa del licen

ziamento per giusta causa, dovesse, invece, ritenersi legittimare il licenziamento per giustificato motivo soggettivo. La giusta causa ed il giustificato motivo sono, infatti, qualificazioni giuri diche di comportamenti ugualmente idonei a legittimare la ces

sazione del rapporto di lavoro, l'uno con effetto immediato e l'altro con preavviso; sono, cioè, due species di un unico genus: il licenziamento per inadempimento deve essere considerato un

atto unico al quale la legge, e non la volontà dell'autore, colle

ga effetti diversi in dipendenza della gravità dell'inadempimen to. Pertanto, è ammissibile la c.d. conversione di ufficio di un

licenziamento per giusta causa in licenziamento per giustificato motivo soggettivo da parte del giudice, il quale, adito con l'im

pugnativa del licenziamento, attribuisca al fatto che è stato po sto a fondamento del recesso del datore di lavoro la minore

gravità propria del giustificato motivo soggettivo; in tal caso

la modificazione del titolo di recesso, che non è applicazione dell'art. 1424 c.c., è conseguenza soltanto di una diversa quali ficazione da parte del giudice della situazione di fatto posta a fondamento del provvedimento espulsivo, senza necessità di

una specifica volontà del datore di lavoro di voler comunque

interrompere il rapporto in mancanza della giusta causa. Infat

ti, il principio dell'immutabilità della causa di licenziamento si

1988, spec. 112 ss., ed ivi anche ricostruzione del dibattito dottrinale in argomento.

Con riferimento alle massime sub 1 e 2 è opportuno sottolineare co me, avendo il giudice di primo grado, nel caso deciso da Cass. 360/97, rigettato la domanda d'impugnazione del licenziamento sul rilievo della sussistenza della giusta causa, non si sia posto avanti la Corte di cassa zione il problema della denuncia nei motivi d'appello di cui alla pun tualizzazione sub 2.

Il Foro Italiano — 1997.

riferisce esclusivamente ai fatti addotti a sostegno del recesso

e non alla qualificazione dei medesimi, a parte la considerazio

ne che si versa, comunque, in ipotesi di continenza dell'ipotesi di minore gravità in quella maggiore contestata a fondamento

del licenziamento (Cass. 5 novembre 1985^ n. 5384, Foro it.,

Rep. 1985, voce Lavoro (rapporto), n. 2017; 17 gennaio 1987, n. 376, id., Rep. 1987, voce cit., n. 2367; 10 marzo 1987 n.

2502, ibid., n. 2474; 23 giugno 1987, n. 5513, ibid., n. 2349; 30 luglio 1987, n. 6632, ibid., n. 2342; 28 settembre 1988, n.

5236, id., Rep. 1988, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 313; 28 marzo 1990, n. 2496, id., Rep. 1990, voce Lavoro

(rapporto), n. 1803; 10 aprile 1990, n. 3034, ibid., n. 1659; 24

agosto 1991, n. 9102, id., Rep. 1992, voce cit., n. 1558; 20

settembre 1991, n. 9803, ibid., n. 1559; 27 novembre 1992, n.

12678, ibid., n. 1561; 25 ottobre 1993, n. 10582, id., Rep. 1994, voce cit., n. 1489; 2 marzo 1995, n. 2414, id., Rep. 1995, voce

cit., n. 1408; 2 aprile 1996, n. 3048, id., 1997, I, 782). (Omissis)

II

Motivi della decisione. — (Omissis). Il primo, il secondo ed

il terzo motivo, che per la loro connessione possono essere con

giuntamente esaminati, non possono essere accolti.

Secondo la ricostruzione proposta dalla ricorrente nel primo

motivo, licenziamento per giusta causa e licenziamento per giu stificato motivo soggettivo sono fattispecie autonome, definite

dall'effetto voluto dal recedente (estinzione immediata o diffe

rita del rapporto), che si traducono sul piano processuale in

autonome domande tendenti alla declaratoria di legittimità del

provvedimento risolutivo (più propriamente eccezioni, con le quali il datore di lavoro fa valere distinti fatti costitutivi del potere di recesso, o estintivi del rapporto, o impeditivi dell'azione di

annullamento proposta dal lavoratore, o impeditivi degli effetti

giuridici che attraverso l'annullamento il lavoratore mira a con

seguire, secondo le diverse tesi proposte nella letteratura sull'ar

gomento). Ne deriva che, dedotto il licenziamento con preavviso, il giu

dice il quale, senza esaminare l'eccezione, dichiara illegittimo il recesso per difetto di giusta causa, incorre in extrapetizione, e comunque in omessa pronuncia.

Una ulteriore conseguenza, non rilevata dalla ricorrente, è

che il giudice non può convertire d'ufficio il licenziamento in

valido per mancanza di giusta causa in un licenziamento valido

per giustificato motivo soggettivo (v. Cass. 1915/69, Foro it.,

Rep. 1969, voce Obbligazioni e contratti, n. 493; 3443/73, id.,

Rep. 1973, voce Contratto in genere, n. 277) a meno che non

ricorra ad una presunzione in ordine alla fungibilità delle due

forme di recesso per il datore di lavoro tale da rendere implici tamente proposta, o rilevabile d'ufficio, la relativa eccezione.

Simile ricostruzione trova riscontro in alcune più remote de cisioni di quesa corte (v. Cass. 3734/81, id., Rep. 1981, voce Lavoro (rapporto), n. 1526; 875/81, id., 1982, I, 1392), ma ap pare superata dalla giurisprudenza successiva (v. Cass. 2414/95, id., Rep. 1995, voce cit., n. 1402; 9803/91, id., Rep. 1992, voce

cit., n. 1559; 5263/88, id., Rep. 1988, voce Lavoro e previden za (controversie), n. 313; 6632/87, ibid., voce Lavoro (rappor to), n. 2064; 5384/85, id., Rep. 1985, voce cit., n. 2017; 3744/84, id., Rep. 1984, voce cit., n. 1936), secondo la quale giusta cau sa e giustificato motivo di licenziamento costituiscono qualifi cazioni giuridiche di comportamenti egualmente idonei a legitti mare la cessazione del rapporto di lavoro, l'una con effetto im

mediato, l'altra con preavviso, con conseguente ammissibilità della «conversione» d'ufficio.

Un tale orientamento può essere fondato sulla considerazione

che, in riferimento all'inadempimento agli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro, le fattispecie del licenziamento per giu sta causa e del licenziamento per giustificato motivo soggettivo (e le corrispondenti disposizioni di legge) sono in rapporto di

specialità; sicché unico è il potere di recesso da esse determina

to, regolato nei suoi effetti dalla legge e non dalla volontà del recedente.

Si è in presenza, cioè di un concorso di norme: se l'inadempi mento del lavoratore non è sussumibile in una ipotesi di giusta causa, ma in una ipotesi di giustificato motivo soggettivo, l'in

timato licenziamento in tronco non è invalido, ma è suscettibile di riqualificazione (e non di conversione in senso proprio), pro

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

ducendo i suoi effetti alla scadenza del periodo di preavviso. Sul piano processuale, la deduzione dell'inadempimento del

lavoratore integra, indipendentemente dalla «qualificazione»

adottata, un'unica eccezione, con la conseguenza che il giudice ha il potere-dovere di valutare la gravità del fatto al fine di

sussumerlo nell'una o nell'altra previsione normativa (nel rispetto, ovviamente, in relazione agli effetti fatti valere in giudizio, del

principio della domanda e del divieto, in appello, di reformatio in peius).

E poiché la gravità dell'inadempimento («importanza» di es

so, in relazione alla previsione dell'art. 1455 c.c., e con riferi

mento alla disciplina di cui alla 1. 15 luglio 1966 n. 604) appar tiene, come qualità del comportamento addebitato al lavorato

re, alla fattispecie costitutiva del potere di recesso, il giudice, il quale dichiari illegittimo il licenziamento negando la giusta causa ed omettendo di valutare l'inadempimento sotto il profilo del giustificato motivo soggettivo, incorre in un difetto di moti

vazione: accoglie, infatti, la domanda di annullamento con una

motivazione insufficiente, per l'incompleta verifica del fatto estin

tivo (o impeditivo) eccepito.

Ora, il primo motivo del ricorso in esame presuppone in mo

do essenziale la ricostruzione prospettata dalla ricorrente, ma

va rigettato perché nei motivi di appello essa ha sostenuto che, contrariamente a quanto affermato dal pretore, i fatti addebita

ti al lavoratore rientravano nella ipotesi prevista come giusta causa dall'art. 69, lett. 0, del ccnl; non si è però doluta del

mancato esame della validità del licenziamento, siccome intima

to con preavviso, sotto il profilo del giustificato motivo sogget tivo. (Omissis)

III

Motivi della decisione. — (Omissis). I. - Con il primo motivo

dell'impugnazione il ricorrente denuncia violazione e falsa ap

plicazione degli art. 2106-2119 c.c. e dell'art. 7 1. 20 maggio 1970 n. 300, in relazione all'art. 360, 1° comma, n. 3, c.p.c. e sostiene che il tribunale non avrebbe dovuto convertire il li

cenziamento per giusta causa, intimato dalla società datrice di

lavoro, in licenziamento per giustificato motivo soggettivo, ma

avrebbe dovuto limitarsi, una volta accertato che il comporta mento del lavoratore non integrava un inadempimento talmente

grave da essere sanzionato con il licenziamento in tronco, a di

chiarare l'illegittimità di tale licenziamento. Ad avviso del me

desimo ricorrente, infatti, il giudice, che è privo di un potere determinativo in materia disciplinare, manca pure del potere di

operare la c.d. conversione del licenziamento, dato che il reces

so per giusta causa e quello per giustificato motivo soggettivo costituiscono due differenti sanzioni disciplinari applicabili so

lamente dal datore di lavoro.

Il motivo è privo di fondamento. Pur dovendosi riconoscere, sotto il profilo teorico, l'esattezza di quanto assume il ricorren

te in ordine alla mancanza nel giudice del potere di irrogare le sanzioni disciplinari — dato che un tale principio è stato af

fermato anche di recente da questa corte (Cass. 25 maggio 1995, n. 5753, Foro it., Rep. 1995, voce Lavoro (rapporto), n. 1531, secondo la quale il suddetto potere appartiene solamente al da

tore di lavoro, ai sensi dell'art. 2106 c.c., quale esplicazione del più ampio potere di direzione dell'impresa attribuito dagli art. 2086 c.c. e 41 Cost., ragion per cui al giudice di merito

non è consentito di applicare, d'ufficio, una sanzione conserva

tiva in luogo di quella espulsiva comminata dal datore di lavo

ro) — tuttavia non possono essere condivisi né l'ulteriore as

sunto da cui muove il ragionamento del medesimo ricorrente

né le conclusioni che ne sono tratte. Se è vero, infatti, che quel la conservativa e quella espulsiva sono sanzioni ontologicamen te e qualitativamente diverse, come diverse sono fra loro le va

rie sanzioni di tipo conservativo stabilite dai contratti collettivi, la stessa cosa non può dirsi per le due sottospecie dell'unica

sanzione di tipo espulsivo prevista dall'ordinamento, dato che

il licenziamento per giusta causa e quello per giustificato moti

vo soggettivo hanno in comune sia il titolo e cioè il presupposto del recesso (l'inadempimento del lavoratore), sia la causa giuri dica e i relativi effetti (la risoluzione del rapporto di lavoro): e le uniche differenze, solamente quantitative ma non qualitati

ve, che debbono essere ravvisate nell'una e nell'altra sottospecie — quanto al presupposto, la maggiore o minore gravità dell'i

II Foro Italiano — 1997.

nadempimento in cui è incorso il lavoratore e, quanto agli ef

fetti, la cessazione del rapporto o immediatamente o dopo il

periodo di preavviso — non sono tali da conferire alle medesi

me una diversa natura. Ed invero, come in più occasioni è stato

asserito da questa corte, sia la giusta causa che il giustificato motivo soggettivo del licenziamento «costituiscono qualificazio ni giuridiche di comportamenti egualmente idonei a legittimare la cessazione del rapporto di lavoro, l'una con effetto immedia

to, l'altra con preavviso» (Cass. 27 novembre 1992, n. 12678, id., Rep. 1992, voce cit., n. 1561; 20 settembre 1991, n. 9803, ibid., n. 1559; 23 giugno 1987, n. 5513, id., Rep. 1987, voce

cit., n. 2349, e 5 novembre 1985, n. 5384, id., Rep. 1985, voce

cit., n. 2017); con la conseguenza che deve ritenersi ammissibi

le, ad opera del giudice e anche d'ufficio, la valutazione di un

licenziamento intimato per giusta causa come licenziamento per

giustificato motivo soggettivo qualora al fatto addebitato al la

voratore venga attribuita la minore gravità propria del licenzia

mento per giustificato motivo soggettivo, «essendo la modifica

zione del titolo di recesso soltanto il risultato di una diversa

qualificazione della situazione di fatto posta a fondamento del

provvedimento espulsivo» (v. le medesime sentenze sopra in

dicate). Per quanto concerne, poi, il fondamento giuridico del rico

nosciuto potere di operare una siffatta «conversione», in un

primo tempo da parte della giurisprudenza era stata richiamata

la disposizione contenuta nell'art. 1424 c.c. (che, come il suc

cessivo art. 2701, tale termine usa nella rubrica) e dettata per i contratti, ma applicabile, come è pacifico, anche ai negozi

giuridici unilateriali stante il generale richiamo di cui all'art.

1324 c.c. E si ammetteva, quindi, che potesse essere effettuata la conversione purché fosse accertata la volontà del datore di

lavoro di procedere egualmente al licenziamento anche in assen

za di una giusta causa (cfr., anche per ulteriori riferimenti, ol

tre che giurisprudenziali, anche dottrinari, Cass. 29 aprile 1981, n. 2637, id., 1981, I, 1557).

A questa teoria, però, reputa la corte che si debba ormai

contrapporre una diversa concezione, ricavabile dalle afferma

zioni che ricorrono in più recenti, reiterate decisioni giurispru denziali, secondo cui il giudice, nell'indagare sull'effettivo tito

lo del recesso intimato al lavoratore, non ha necessità di riscon

trare la specifica volontà del datore di lavoro, essendo la

modificazione del titolo del recesso conseguenza soltanto di una

diversa qualificazione giuridica della situazione di fatto collega ta alla minore gravità dell'inadempimento (v., al riguardo, Cass. 20 settembre 1991, n. 9803, sopra indicata). La valutazione de

ve, pertanto, appuntarsi sull'elemento oggettivo e non già su

quello soggettivo (che deve pur sempre sussistere: volontà del

datore di lavoro di risolvere il rapporto) e deve fare riferimento

al fatto oggettivo dell'inadempimento del lavoratore, la cui im

portanza, secondo quanto è previsto in generale per la risolu

zione di ogni contratto dall'art. 1455 c.c., deve essere in ogni caso valutata dal giudice. Anche di fronte all'inadempimento del lavoratore, infatti, nell'ipotesi di impugnazione del licenzia

mento, si impone una siffatta valutazione ad opera del giudice, con una sola differenza rispetto a quanto è disposto dalle nor me di diritto comune, dato invero che, mentre a norma del sud

detto art. 1455 c.c. deve essere stabilito se il contratto possa essere o meno risolto a seconda che l'inadempimento di una

delle parti abbia o no importanza non scarsa avuto riguardo all'interesse dell'altra, invece in forza delle disposizioni che di

sciplinano il contratto di lavoro al giudice è conferito il potere — oltre che di mantenere in vita il rapporto in caso di inadem

pimento di scarsa importanza, accogliendo l'impugnazione del

licenziamento — di accertare la legittimità dell'intimato recesso

in base a due differenti graduazioni della gravità dell'inadempi mento stesso, con effetti diversi nell'uno e nell'altro caso.

Per questa via, quindi, deve essere riconosciuto al giudice di

merito il potere di effettuare la «conversione» del licenziamento

per giusta causa in licenziamento per giustificato motivo sogget

tivo, e ciò beninteso con il limite rappresentato dalla immutabi

lità della contestazione (Cass. 2 marzo 1995, n. 2414, id., Rep.

1995, voce cit., n. 1408). In sintesi e in via conclusiva deve

pertanto affermarsi, in aderenza al più recente indirizzo seguito dalla giurisprudenza di questa corte, che il suddetto potere del

giudice di merito si basa, non già sull'istituto della conversione

degli atti giuridici nulli di cui all'art. 1424 c.c. (comportante anche un'indagine su un particolare profilo psicologico), bensì

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Page 5: sezione lavoro; sentenza 15 gennaio 1997, n. 360; Pres. Rapone, Est. Genghini, P.M. Delli Priscoli (concl. conf.); Cuccio (Avv. D'Alessandro) c. Soc. Mondialpol (Avv. Barbato, Moro).

PARTE PRIMA

sul dovere di valutazione, sul piano oggettivo, del dedotto ina

dempimento colpevole del lavoratore, la gravità del quale —

per stabilire se esso sia tale da giustificare comunque la risolu

zione del contratto di lavoro — deve essere in ogni caso esami

nata dal giudice stesso in quanto chiamato a verificare sul pian to sostanziale la sussistenza oppur no, in concreto, del potere di recesso del datore di lavoro: riferimento normativo, pertan

to, alla previsione dell'art. 1455 c.c. coordinata con quelle di

cui all'art. 2119 c.c. e all'art. 3, seconda ipotesi, 1. 15 luglio 1966 n. 604.

Con riguardo alla fattispecie la sentenza impugnata, per con

seguenza, deve sul punto rimanere ferma, legittimo dovendo es

sere considerato l'operato del tribunale che ha motivatamente

esercitato, in concreto, tale potere (v. i rilievi di cui infra).

(Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 11 gen naio 1997, n. 195; Pres. Martinelli, Est. Berni Canani, P.M.

Martone (conci, conf.); Inps (Avv. Carrera, Lironcurti) c. Converso (Aw. Biscotto, Sonino, Balich). Conferma Trib.

Venezia 21 gennaio 1993.

Previdenza e assistenza sociale — Fiscalizzazione degli oneri so

ciali — Requisiti — Trattamenti economici minimi — Dina

miche retributive contrattuali — Rilevanza — Limiti — Pro

trazione dei termini di apprendistato — Irrilevanza (L. 19 gen naio 1955 n. 25, disciplina dell'apprendistato, art. 7; 1. 28

novembre 1980 n. 782, nuove norme dirette a sostenere la

competitività del sistema industriale, definire procedure di spesa della Cassa per il Mezzogiorno e a trasferire competenze al

i comitato tecnico di cui all'art. 4 1. 12 agosto 1977 n. 675, art. 1).

Nei trattamenti economici (non inferiori a quelli minimi previsti dai contratti collettivi nazionali di categoria stipulati dalle or

ganizzazioni sindacali maggiormente rappresentative) che, ai

sensi dell'art. 1 l. 28 novembre 1980 n. 782, il datore di lavo

ro ha l'onere di corrispondere per poter fruire del beneficio della fiscalizzazione degli oneri sociali, sono compresi gli ade

guamenti automatici direttamente connessi al solo decorso del

tempo, e non anche quelli dipendenti da mutamenti nel con tenuto del rapporto di lavoro, anche se a loro volta associati

dalla contrattazione collettiva al decorso del tempo; rientrano

pertanto nei suddetti trattamenti economici gli scatti di anzia nità nonché i mutamenti di livello retributivo conseguenti, senza mutamento di mansioni, al tempo trascorso in determinate

posizioni lavorative; non vi rientrano, invece, gli aumenti che

il lavoratore percepirebbe con il passaggio automatico a qua

lifiche e mansioni superiori dopo il tempo di permanenza nel

livello inferiore fissato dal contratto collettivo, qualora il da

tore di lavoro non dia attuazione all'avanzamento; in parti colare non vi rientra la maggiore retribuzione che il dipen dente, superato il termine di durata del periodo di apprendi stato contrattualmente previsto, avrebbe diritto di percepire a seguito della trasformazione del rapporto di apprendistato in un normale rapporto di lavoro a tempo indeterminato, qua lora detta trasformazione non avvenga. (1)

(1) Prosegue il contrasto all'interno della sezione lavoro della Corte di cassazione — che rende quanto mai necessario l'intervento delle se zioni unite — circa il significato e i limiti dei trattamenti economici minimi (dalla particolare angolazione evidenziata in massima) che con sentono di usufruire della fiscalizzazione degli oneri sociali ex lege n. 782 del 1980; in senso, conforme a Cass. 195/97 in epigrafe, cfr. Cass. 9 ottobre 1996, n. 8847, Foro it., Mass., 809, anche con riferimento al d.l. n. 328 del 1986, convertito, con modificazioni, in 1. n. 440 dello stesso anno; 23 febbraio 1995, n. 2029, id., Rep. 1995, voce Previdenza

Il Foro Italiano — 1997.

Svolgimento del processo. — Con sentenza del 5 dicembre

1990 il Pretore di Venezia annullava l'ordinanza-ingiunzione emessa nei confronti di Gianni Converso per il pagamento di

sanzioni amministrative conseguenti all'inosservanza, in riferi

mento a diciannove dipendenti, dei termini di durata dell'ap

prendistato previsti dal ccnl di categoria che il Converso, aven

do richiesto la fiscalizzazione degli oneri sociali, avrebbe dovu

to applicare. La decisione, impugnata dall'Inps, veniva confermata dal Tri

bunale di Venezia, con sentenza del 21 gennaio 1993, sulla base

delle seguenti considerazioni: — nel contesto della 1. 782/80, vigente nel periodo in conte

stazione, la decisione di applicare ai dipendenti, ai fini della

fiscalizzazione degli oneri sociali, trattamenti economici non in

feriori a quelli minimi previsti dai contratti collettivi non pote va interpretarsi come adesione, sia pure implicita, ai contratti

stessi: — sul significato della dichiarazione resa contestualmente al

la richiesta di ammissione alla fiscalizzazione non poteva influi

re neppure l'incidenza dei limiti temporali dell'apprendistato sul

trattamento economico dei dipendenti; rilevante tutt'al più ai

fini dell'ammissibilità al beneficio ma non implicante un obbli

go di applicazione del contratto collettivo.

Avverso la decisione del tribunale l'Inps ha proposto ricorso

per cassazione sorretto da un unico motivo. Resiste il Converso

con controricorso illustrato da memoria.

Motivi della decisione. — Con l'unico motivo del ricorso, denunziandosi violazione dell'art. 7 1. 19 gennaio 1955 n. 25

e dell'art. 1 1. 28 novembre 1980 n. 782, nonché difetto di moti

vazione, si sostiene: — che dalla normativa in materia di fiscalizzazione degli oneri

sociali, ed in particolare dalla 1. n. 782 del 1980, discende l'ob

bligo del beneficiario, riconducibile alla categoria del contratto

a favore di terzo, di corrispondere i minimi retributivi previsti dalla contrattazione collettiva e correlativamente il diritto dei

dipendenti alla applicazione dei contratti di settore e quello del

l'Inps di ottenere i contributi sulle retribuzioni dovute; — che per trattamento minimo deve intendersi quello com

posto, oltre che dalla paga base e dalla contingenza, da tutti

gli incrementi economici dovuti in applicazione degli istituti con

trattuali incidenti direttamente o indirettamente sulla retribuzione.

Si deduce, in relazione alla seconda questione: — che l'ampiezza dell'espressione «trattamenti» adottata dal

legislatore nella 1. 782/80 ne impone il risarcimento al contenu

to economico globale del ccnl; — che, consistendo lo scopo della normativa sulla fiscalizza

zione nella riduzione del costo del lavoro mediante riduzione

dei contributi, il beneficio presuppone che il costo del lavoro

di chi non sia tenuto all'applicazione del ccnl debba essere eguale a quello di chi vi sia tenuto in forza dell'iscrizione all'associa

zione stipulante o della adesione al contratto, con la conseguen za che il beneficio stesso non può essere attribuito, senza dar

luogo ad ingiustificata disparità di trattamento, a chi detto co

sto abbia ridotto non applicando le clausole collettive; — che il costo del lavoro è determinato anche dagli emolu

menti che per effetto del solo trascorrere del tempo incrementa no direttamente o indirettamente la paga base;

sociale, n. 395; contra, Cass. 15 aprile 1996, n. 3509, id., Mass., 342; 19 novembre 1994, n. 9816, id., Rep. 1995, voce cit., n. 398, e Dir.

lav., 1995, II, 61, con nota di G. Bettera, Fiscalizzazione degli oneri sociali e minimi retributivi dinamici, incidentalmente; 4 novembre 1994, n. 9100, Foro it., 1995, I, 136, con nota di L. Carbone, «Vecchi» e «nuovi» sgravi contributivi (e fiscalizzazione) nella legislazione e nella

giurisprudenza-, Dir. lav., 1995, II, 60, con la citata nota di Bettera. Pare opportuno segnalare gli obiter dicta, presenti in sentenza quali

ipotesi esemplificative, in ordine alla rilevanza degli scatti di anzianità e all'irrilevanza delle retribuzioni superiori ex art. 2103 c.c. nel caso di disposto rientro del lavoratore nelle mansioni inferiori dopo la sca denza del periodo previsto dalla contrattazione collettiva per la promo zione automatica in misura inferiore a quella stabilita dall'art. 2103 stesso. In tema di individuazione del contratto collettivo rilevante ai fini della fiscalizzazione degli oneri sociali, cfr., di recente, Cass. 18 marzo 1996, n. 2260, e 18 gennaio 1996, n. 382, Foro it., Mass., 231, 48, e Riv. it. dir. lav., 1996, II, 886, con nota di A. Avio, Applicazione del contratto collettivo e fiscalizzazione degli oneri sociali. Sempre in

argomento di minimi retributivi ai fini del diritto agli sgravi, da ultimo, Cass. 23 agosto 1996, n. 7769, Foro it., Mass., 705.

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