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Sezione lavoro; sentenza 15 maggio 1984, n. 2964; Pres. Bonelli, Est. Ravagnani, P. M. Gazzara...

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Sezione lavoro; sentenza 15 maggio 1984, n. 2964; Pres. Bonelli, Est. Ravagnani, P. M. Gazzara (concl. conf.); Guarino (Avv. Franciosi) c. Soc. Rubinacci (Avv. Rizzo). Conferma Trib. Napoli 28 febbraio 1983 Source: Il Foro Italiano, Vol. 107, No. 9 (SETTEMBRE 1984), pp. 2195/2196-2207/2208 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23177301 . Accessed: 25/06/2014 02:44 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.44.77.40 on Wed, 25 Jun 2014 02:44:04 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Sezione lavoro; sentenza 15 maggio 1984, n. 2964; Pres. Bonelli, Est. Ravagnani, P. M. Gazzara(concl. conf.); Guarino (Avv. Franciosi) c. Soc. Rubinacci (Avv. Rizzo). Conferma Trib. Napoli 28febbraio 1983Source: Il Foro Italiano, Vol. 107, No. 9 (SETTEMBRE 1984), pp. 2195/2196-2207/2208Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23177301 .

Accessed: 25/06/2014 02:44

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2195 PARTE PRIMA 2196

ta nella medesima massima, con riferimento alla Corte costi

tuzionale, l'espressione « cui pertanto è consentito di precisa re (successivamente) la portata di una sua pronuncia di incostitu

zionalità, senza che ciò comporti una inammissibile reviviscenza

di norme già certamente nell'ordinamento », non devesi in ciò

ravvisare un'assoluta limitazione d'ordine soggettivo, circa l'in

terprete, là dove non si tratta di estendere la portata ad altre

norme (contro la riserva di potere derivabile alla Corte costitu

zionale dall'art. 27 1. 11 marzo 1953 n. 87), ma di constatare

attinto dalla Corte costituzionale il nucleo unico (d'ordine negati vo, di carenza) che è oggetto della declaratoria di illegittimità

rispetto ad una norma che sotto altri aspetti {d'ordine positivo) ha subito una qualche variante.

Per queste considerazioni il ricorso deve essere accolto e

l'impugnata sentenza deve essere cassata, con rinvio della causa

per nuovo esame ad altro giudice di stesso grado, da indicarsi nel

Tribunale di Lucca, il quale, in applicazione del principio che

discende dalla suddetta pronuncia della Corte costituzionale, ac

certerà e congruamente farà risultare a presidio dell'emanabile

sua decisione, 1) quando venne costituito il rapporto assicurativo;

2) quali fossero le condizioni fisio-psichiche del soggetto de quo al momento della costituzione del rapporto di lavoro e del

connesso rapporto assicurativo e quale fosse, allora, l'incidenza

delle condizioni medesime sulla capacità di guadagno, con spe cificazione del grado e al di là del mero accenno, contenuto nella

sentenza ora annullata, dell'essere « incontroverso » che il ricor

rente prima dell'inizio del rapporto assicurativo era affetto da

totale invalidità e che si tratta di vizio precostituito, cioè di

affezioni fisio-psichiche congenite; 3) se in epoca successiva alla

costituzione del rapporto assicurativo e nello svolgimento del

rapporto di lavoro le condizioni del soggetto, quanto pure già invalido nei limiti di legge anteriormente alla costituzione del

rapporto, si siano ulteriormente aggravate per intensità ed esten

sione delle infermità con riflessi peggiorativi sulla residua capaci

tà; quando eventualmente ciò si sia verificato e per quale entità

rispetto ai limiti di legge. (Omissis)

I

CORTE DI CASSAZIONE; Sezione lavoro; sentenza 15 maggio 1984, n. 2964; Pres. Bonelli, Est. Ravagnani, P. M. Gazzaea

(conci, conf.); Guarino (Avv. Franciosi) c. Soc. Rubinacci

(Aw. Rizzo). Conferma Trib. Napoli 28 febbraio 1983.

Lavoro (rapporto) — Licenziamento disciplinare — Garanzie

procedurali — Inapplicabilità a licenziamenti non inclusi fra le

sanzioni disciplinari (L. 20 maggio 1970 n. 300, norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sinda

cale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul

collocamento, art. 7).

La procedura prevista dai tre comma dell'art. 7 l. n. 500/70, è applicabile, a seguito della pronuncia della Corte costi

tuzionale n. 204 del 1982, ai soli licenziamenti discipli nari e non anche a quei licenziamenti per mancanze che dalla normativa collettiva (nella specie, c.c.n.l. 24 maggio 1957 per i lavoratori addetti alle aziende fabbricanti maglierie e calzette rie reso efficace erga omnes con d.p.r. 28 agosto 1960 n. 1325) non siano inclusi tra le sanzioni disciplinari. (1)

(1-12) I. - Le sentenze qui riportate si inseriscono nel « nuovo corso » che — alla giurisprudenza in tema di applicabilità dell'art. 7 !. n. 300/70 ai licenziamenti disciplinari — è stato imposto da Corte cost. 30 novembre 1982, n. 204 (Foro it., 1982, I, 2981, con osservazioni di G. Silvestri).

La rassegna sistematica di giurisprudenza (oltre che di dottrina) —

contenuta in M. De Luca, Licenziamenti disciplinari: « nuovo corso » della giurisprudenza dopo l'intervento della Corte costituzionale (nota a Cass. 7 novembre 1983, n. 6579, 27 luglio 1983, n. 5172, 12 luglio 1983, n. 4719, id., 1984, 1, 59) — va quindi integrata, inserendovi

principi di diritto e spunti argomentativi, desunti dalla giurisprudenza (oltre che dalla dottrina).

II. - Confermando la classificazione come « decisione interpretativa di accoglimento » la qui riportata Cass. n. 5393/83 perviene all'affer mazione del principio di diritto — riassunto nella massima 7 — all'esito di una analitica confutazione (per la quale si rinvia alla motiva zione) delle argomentazioni — trasfuse nelle difese del resistente — di un orientamento dottrinario (v. Suppiej, La Corte costi tuzionale legifera sui licenziamenti disciplinari, in Riv. it. dir. lav., 1983, II, 214; nello stesso senso, Papaleoni, Il licenziamento disciplinare dopo la Corte costituzionale, in Mass. giur. lav., 1982, 757), che, svolgendo una critica radicale della pronuncia della Corte

II

CORTE DI CASSAZIONE; Sezione lavoro; sentenza 24 gen naio 1984, n. 596; Pres. Afeltra, Est. Nuovo, P. M. Minetti

(conci, conf.); Vezzana (Avv. Di Stefano, Tesoriere) c. Sa

pienza. Cassa Trib. Termini Imerese 7 dicembre 1981.

Lavoro e previdenza (controversie in materia di) — Licenzia

mento disciplinare — Deduzione in primo grado del difetto

di giusta causa o giustificato motivo — Domanda nuova in

appello — Inammissibilità (Cod. proc. civ., art. 436, 437; 1. 20

maggio 1970 n. 300, art. 7).

Il lavoratore licenziato, che in primo grado abbia dedotto la

illegittimità del licenziamento per difetto di giusta causa o

giustificato motivo, non può proporre in appello la domanda

nuova diretta ad ottenere l'accertamento della nullità del

licenziamento medesimo, avente natura disciplinare, per inosser

vanza delle garanzie procedurali previste dall'art. 7 /. n.

300/70. (2)

III

CORTE DI CASSAZIONE; Sezione lavoro; sentenza 6 gennaio

1984, n. 66; Pres. Dondona, Est. Farinaro, P. M. Leo (conci,

conf.); Covelli (Avv. Mite, Martorana, Trentini) c. Gutterer

(Avv. Stella Richter, De Finis). Conferma Trib. Trento 9

settembre 1980.

Lavoro (rapporto) — Licenziamento per giusta causa — Discipli

na — Inapplicabilità — Conversione in licenziamento « ad

nutum » — Ammissibilità — Condizioni (Cod. civ., art. 1424,

2118, 2119; 1. 15 luglio 1966 n. 604, norme sui licenziamenti

individuali, art. 11; 1. 20 maggio 1970 n. 300, art. 35).

Lavoro (rapporto) — Licenziamento « ad nutum » — Sentenza

della Corte costituzionale — Applicabilità — Esclusione —

Autonomia rispetto al licenziamento disciplinare — Sussistenza

(Cod. civ., art. 2118; 1. 20 maggio 1970 n. 300, art. 7).

Lavoro (rapporto) — Licenziamento — Disciplina — Inapplica

bilità — Forma scritta del licenziamento per iniziativa dell'in

timante — Estensione al mandato a licenziare — Esclusione

(Cod. civ., art. 1324, 1342, 1392; 1. 15 luglio 1966 n. 604, art. 2).

Lavoro (rapporto) — Licenziamento « ad nutum » — Motivo

illecito — Nullità (Cod. civ., art. 1324, 1343, 1344, 1345, 1418,

2118; 1. 15 luglio 1966 n. 604, art. 4; 1. 20 maggio 1970 n. 300,

art. 15).

Al di fuori del campo d'applicazione della disciplina legale limitativa dei licenziamenti, il licenziamento per giusta causa

può essere convertito in licenziamento ad nutum, purché sia

accertata la volontà del datore di lavoro di procedere al

licenziamento nonostante il difetto della giusta causa. (3)

costituzionale, ne sostiene, tra l'altro, la « natura sostanzialmente legislativa » e la conseguente disapplicazione da parte dei giudici oppure, in alternativa, propone la espunzione dall'ordinamento dei primi tre comma dell'art. 7 dello statuto e non già soltanto del loro contenuto normativo dichiarato incostituzionale.

III. - Nella lettura di Corte cost. n. 204/82 la riportata Pret. Roma aderisce all'orientamento (finora costante nella giurisprudenza di cassa zione e prevalente in quella di merito), che — ai fini della applicabili tà dei primi tre comma dell'art. 7 dello statuto — accoglie una nozione, per cosi dire, ontologica di licenziamento disciplinare quale licenziamento motivato di colpa — in senso generico — del

lavoratore, indipendentemente dalla espressa qualificazione in tal senso da parte di norme legislative o extra-legislative.

Nello stesso senso, vedi Cass. 12 ottobre 1983, n. 5940 (Foro it., Rep. 1983, voce Lavoro (rapporto), n. 2322, e in Giust. civ., 1984, I, 803, con nota critica di Magrini); Pret. Torino 23 novembre 1983, est. F. Rossi, Br-iguglio c. Banco di Roma (inedita a quanto consta), in motivazione.

In senso contrario, vedi oltre alle riportate Cass. n. 2964/84 (nonché alla peraltro ambigua Cass. 6 febbraio 1984, n. 912, Foro it., Mass., 182), Pret. Galatina 15 aprile 1983 (Le società, 1983, 1911); Pret. Bassano del Grappa, est. Gacoin, Faccio c. Soc. Oìivalto e Miardegan's (inedita, a

quanto consta). IV. - Sulle conseguenze giuridiche deila violazione dei primi tre

comma dell'art. 7 dello statuto le qui riportate Pret. Roma e Pret. Reg gio Emilia concordano, nell'individuarle in ogni caso nella nullità del licenziamento disciplinare, con la costante giurisprudenza di legittimità e di merito, aia la motivazione di entrambe le sentenze presentano spunti originali, che vanno sottolineati.

In particolare, sulla concezione causale del licenziamento —

invocata da Pret. Roma (a sostegno ulteriore della proposta declarato ria di nullità) — cfr. A. Cessari, « lura » e « leges » nella disciplina dei licenziamenti individuali, in Riv. dir. lav., 1979, I, 77 e anche in Stadi in onore di C. Grassetti, 1980, I, 349; Id., Verso una disci

plina unitaria dei licenziamenti individuali, in Dir. lav., 1980, I, 87;

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Anche dopo la sentenza n. 204 del 30 novembre 1982 — con la

quale la Corte costituzionale ha dichiarato l'incostituzionalità dei primi tre comma dell'art. 7 l. 20 maggio 1970 n. 300,

interpretati nel senso che siano inapplicabili ai licenziamenti

disciplinari, per i quali detti comma non siano espressamente richiamati dalla normativa legislativa, collettiva o validamente

posta dal datore di lavoro — le garanzie procedurali, previste dai menzionati tre comma, non sono applicabili ai licenziamenti

ad nutum, che conservano la loro autonomia rispetto ai

licenziamenti disciplinari e sono soggetti, esclusivamente, alla

disciplina residuale dell'art. 2118 c.c. <4) Al di juori del campo d'applicazione della disciplina legale

limitativa dei licenziamenti, vige il principio della libertà di

forma nella intimazione del licenziamento, e, di conseguenza, la forma scritta, adottata per libera iniziativa dell'intimante, non va estesa al mandato a licenziare che gli sia stato conferito dal datore di lavoro. (5)

Anche al di fuori del campo d'applicazione della disciplina legale limitativa dei licenziamenti, il motivo illecito, ancorché diverso

da quelli espressamente individuati dalla legge (art. 4 l. 604/66, art. 15 l. 300/70), rende nullo il licenziamento ad nutum. (6)

IV

CORTE DI CASSAZIONE; Sezione lavoro; sentenza 18 agosto 1983, n. 5393; Pres. Afeltra, Est. Mollica, P. M. Gazzara

(conci, conf.); Carrozzo e altri (Avv. Bacci) c. Soc. Centro

toscano di analisi mediche (Avv. Papaleoni). Cassa Trib. Fi

renze 2 luglio 1982.

Lavoro (rapporto) — Licenziamento disciplinare — Garanzie

procedurali — Sentenza della Corte costituzionale — Obbli

go del giudice ordinario (Cost., art. 136; 1. 20 maggio 1970

n. 300, art. 7). Lavoro (rapporto) — Licenziamento disciplinare — Dichiara

zione di incostituzionalità — Retroattività — Limiti (Cost., art. 136; 1. 11 marzo 1953 n. 87, norme sulla costituzione e

sul funzionamento della Corte costituzionale, art. 30; 1. 20

maggio 1970 n. 300, art. 7).

A seguito della sentenza n. 204 del 30 novembre 1982 — con la

quale la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimi i primi tre comma dell'art. 7 /. 20 maggio 1970 n. 300, interpretati nel senso che siano inapplicabili ai licenziamenti disciplinari,

per i quali detti comma non siano espressamente richiamati

dalla normativa legislativa, collettiva o validamente posta dal

datore di lavoro — il giudice ordinario è obbligato ad applicare detti comma, quali risultano dopo averne espunto il contenuto

normativo — ricavabile in via interpretativa — dichiarato

incostituzionale. {7)

R. Agnesi, In tema di concezione causale dell'atto di recesso, in Riv. it. dir. lav., 1982, II, 98.

La rilevabilità d'ufficio (ai sensi dell'art. 1421 c.c.) di tale nullità deve essere coordinata con i principi fondamentali del processo e, principalmente, con il principio della domanda fissato dagli art. 99 e 112 c.p.c., secondo la surriportata Cass. n. 596/84 (in conformità,

peraltro, con la costante giurisprudenza precedente: v. De Luca, Licen ziamenti disciplinari, cit., spec, nota 44).

Conseguenze giuridiche ulteriori della inosservanza dei primi tre comma dell'art. 7, nella intimazione del licenziamento disciplinare, discendono dalla pronuncia interpretativa di rigetto, che la stessa Corte cost. n. 204/82 ha adottato con riferimento all'art. 18 dello statuto.

Il difetto di efficacia erga omnes delle pronunce di rigetto della Corte

costituzionale non aveva escluso che giurisprudenza di legittimità e di

merito (cfr. De Luca, Licenziamenti disciplinari, oit., spec, note 54 e 55) facessero discendere dalla inosservanza dei primi tre comma dell'art. 7

anche l'adozione dei provvedimenti (reintegrazione nel posto di lavoro, risarcimento dei danni) previsti dall'art. 18 dello statuto.

In senso contrario, v. Pret. Bari 26 ottobre 1983 (data della

decisione), est. Lo Foco, Bizzarro c. Soc. API (inedita, a quanto

consta), secondo cui « non è possibile una interpretazione estensiva

dell'art. 18 alla sopravvenuta ipotesi di nullità del licenziamento

disciplinare » per violazione dell'art. 7 dello statuto. V. - Sui problemi di coordinamento tra gli art. 8 e 18 dello statuto,

imposti essenzialmente dal loro diverso campo d'applicazione cfr.: — La riportata Cass. n. 66/84, che ritiene inapplicabile l'art. 7

dello statuto, anche dopo Corte cost. n. 204/82, al licenziamento

ad nutum, che, nell'area residuale della libera recedibilità, conserva la

sua autonomia rispetto al licenziamento disciplinare e continua ad

essere soggetto a principi di diritto già enunciati dalla giurisprudenza pregressa, quali: a) la convertibilità del licenziamento per « giusta causa» in licenziamento ad nutum (sulla quale, v. Cass. 29 aprile 1981,

n. 2637, Foro it., 1981, I, 1557); b) principio della libertà di forma del

licenziamento, esteso al mandato a licenziare (sul quale v. Cass. 12 feb

braio 1978, n. 681, cit.); c) nullità del licenziamento (anche) ad nutum

La dichiarazione di incostituzionalità dei primi tre comma del

l'art. 7 /. 20 maggio 1970 n. 300 — quale è stata adottata con

sentenza 30 novembre 1982, n. 204 della Corte costituzionale —

ha efficacia retroattiva e, come tale, si applica anche in

relazione a situazioni giuridiche pregresse non ancora esaurite

(nella specie, licenziamento disciplinare, intimato anteriormen

te alla pubblicazione della sentenza della Corte costitu

zionale, contro il quale sia ancora pendente il giudizio per l'accertamento della legittimità). <8)

V

PRETURA DI ROMA; sentenza 4 aprile 1984; Giod. Tatarelli;

Puggi (Avv. Ozzo) c. Confederazione italiana della proprietà edilizia (Avv. Bardanzellu).

Lavoro (rapporto) — Licenziamento disciplinare — Dichiarazione

di incostituzionalità — Conseguenze (L. 20 maggio 1970 n.

300, art. 7). Lavoro (rapporto) — Licenziamento disciplinare — Garanzie

procedurali — Inosservanza — Conseguenze — Fattispe cie (Cod. civ., art. 1324, 1418, 2118; 1. 15 luglio 1966

n. 604, art. 11; 1. 20 maggio 1970 n. 300, art. 35).

A seguito della sentenza n. 204 del 30 novembre 1982 — con la

quale la Corte costituzionale ha dichiarato l'incostituzionalità dei

primi tre comma dell'art. 7 /. 20 maggio 1970 n. 300, interpre tato nel senso che siano inapplicabili ai licenziamenti discipli

nari, per i quali detti comma non siano espressamente richia

mati dalla normativa legislativa, collettiva o validamente posta dal datore di lavoro — le garanzie procedurali, previste dai

menzionati tre comma, devono essere applicate ad ogni ipotesi di licenziamento per mancanza, a prescindere da altre clas

sificazioni e condizioni. (9) L'art. 7 l. 20 maggio 1970 n. 300 non rientra tra le disposizioni

per le quali è previsto un campo d'applicazione limitato, e quindi — a seguito della sentenza 30 novembre 1982, n. 204

della Corte costituzionale — la inosservanza delle garan zie procedurali, stabilite dai primi tre comma della dispo sizione medesima, nella irrogazione di licenziamento disciplina re — intimato dal datore di lavoro non imprenditore (nella

fattispecie, la Confederazione italiana della proprietà edilizia) che occupi meno di trentacinque dipendenti — dà luogo, soltanto, alla nullità del licenziamento ed al conseguente ripristi no del rapporto di lavoro. ( 10)

per illiceità dei motivi (sul punto, vedi Cass. 9 luglio 1979, n. 3930, id., 1979, I, 2333; 29 giugno 1981, n. 4241, cit.; Cessari, op. cit.; Agne

si, op. cit.). — La riportata Bret. Roma, che, con riferimento a licenzia

mento disoiplinare intimato da datore di lavoro non imprenditore che

occupi non più di trentacinque dipendenti, ha escluso l'applicabilità sia dell'art. 18 dello statuto, che dell'art. 8 1. n. 604/66, ma, dalla

nullità del licenziamento, ha fatto discendere il ripristino del rapporto di lavoro.

Resta, pertanto, isolata — a quanto consta — Pret. Roma 4 marzo 1983 {Giust. civ., 1983, I, 2787, con nota di C. Zoli, Licenziamento

disciplinare di un dirigente della S.i.a.e.), che ha ordinato la reintegra zione nel posto di lavoro ed il risarcimento dei danni (in applicazione, appunto, dell'art. 18 dello statuto) nel caso di licenziamento disciplina

re, intimato a dirigente in violazione dei primi tre comma dell'art. 7. In ordine ai problemi di coordinamento dell'art. 7 con l'art. 18 dello

statuto — che dipendono essenzialmente dal rinvio di quest'ultima disposizione alla 1. n. 604/66 — va segnalata la riportata Pret.

Reggio Emilia, che ritiene inapplicabile la decadenza (prevista dall'art. 6 1. n. 604/66) all'impugnazione di licenziamento nullo per violazione dei primi tre comma dell'art. 7 dello statuto.

In senso contrario, vedi Pret. Napoli Barra 9 marzo 1983, Lavoro

SO, 1983, 509. VI. - Sulla retroattività di Corte cost. n. 204/82, cfr. Cass.

n. 5393/83; 25 gennaio 1984, in. 615, Foro it., Mass., 130. Sul problema, connesso con l'efficacia retroattiva di Corte cost. n.

204/82, del divieto di ius novorum in appello nel rito del lavoro (art. 437, 2° comma, c.px.), la riportata Cass. n. 596/84 — pur senza fare espresso riferimento alla menzionata sentenza della Corte costitu zionale — si pone in contrasto con precedenti specifici (Cass. n.

4719/83, cit.; Cass. 7 maggio 1983, n. 3130, in motivazione, id.,

1983, I, 2147, con osservazioni di G. Silvestri), che affermano

apodittioamerate la rilevabilità d'ufficio in ogni fase e grado del

giudizio della nullità del licenziamento disoiplinare per violazione dei

primi -tre comma dell'art. 7 dello statuto, ma risulta in linea con l'orientamento della giurisprudenza, che si è formato sul problema specifico, anteriormente all'intervento della Corte costituzionale (cfr. Cass. 12 febbraio 1982, n. 886 e 12 luglio 1980, n. 4466), nonché sul pro blema in generale (vedi, per tutte, Cass. 27 maggio 1982, n. 3277, id., 1982, I, 2482; C. Cecchella, Il punto sulla giurisprudenza intorno al

l'art. 434, 2" comma, c.p.c., in Giust. civ., 1984, I, 1504). VII. - In dottrina, oltre i riferimenti di cui alla nota di De Luca,

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2199 PARTE PRIMA 2200

VI

PRETURA DI REGGIO EMILIA; sentenza 28 febbraio 1984; Giud. Strozzi; Del Regno <Aw. Pezzarossi) c. Soc. Sarda

<Aw. Sutich, Agostini).

Lavoro (rapporto) — Licenziamento disciplinare — Nullità per omessa affissione del codice disciplinare — Termine di deca

denza per l'impugnazione — Inapplicabilità (L. 15 luglio 1966

n. 604, art. 6; 1. 20 maggio 1970 n. 300, art. 7). Lavoro (rapporto) — Licenziamento disciplinare — Omessa

affissione del codice disciplinare — Conseguenze (L. 20 maggio 1970 n. 300, art. 7).

A seguito della sentenza n. 204 del 30 novembre 1982 — con la

quale la Corte costituzionale ha dichiarato l'incostituzionalità

dei primi tre comma dell'art. 7 /. 20 maggio 1970 n. 300,

interpretati nel senso che siano inapplicabili ai licenziamenti

disciplinari, per i quali detti comma non siano espressamente richiamati dalla normativa legislativa, collettiva o validamente data dal datore di lavoro — la nullità del licenziamento discipli nare, per omessa affissione del codice disciplinare, non è riconducibile ad alcuna delle ipotesi di licenziamento illegitti mo, per la cui impugnazione è fissato un termine di decaden za. (11)

L'omessa affissione del codice disciplinare impedisce il sorgere del diritto all'esercizio del potere disciplinare in capo al datore di lavoro e — a seguito della sentenza 30 novembre 1982, n. 204 della Corte costituzionale — dà luogo alla inefficacia -

inesistenza del licenziamento disciplinare, rendendolo inidoneo a risolvere il rapporto di lavoro. ( 12)

I

Motivi della decisione. — (Omissis). Con il terzo motivo la

ricorrente, deducendo violazione dell'art. 7 1. 20 maggio 1970 n.

300, lamenta che il tribunale non abbia rilevato la nullità del

provvedimento disciplinare per mancata specifica contestazione dei fatti con invito a discolparsi, e per mancato rispetto della necessaria immediatezza delle contestazioni protrattesi nel tempo per ben sette mesi.

Anche questo motivo è infondato. Malgrado la perspicuità della censura, può agevolmente indursi dal richiamo al lungo protrarsi delle contestazioni nel tempo che la deduzione della nullità del

provvedimento disciplinare è riferita non alla sanzione della

sospensione in ordine alla quale — costituendo un punto contro verso — si è pronunciato il tribunale, ma al licenziamento che la ricorrente assume di natura disciplinare. Tale deduzione, pertanto, concerne una questione che non risulta esaminata nei pregressi gradi di merito e, in quanto nuova, non può essere esaminata in

questa sede (v. Cass. 24 gennaio 1984, n. 596, Foro it., 1984, I, 2196).

Né può rilevare al riguardo l'astratta censura di violazione dell'art. 7 sollevata sia in appello sia in questa sede, diversa risultando appunto nei due gradi la natura del provvedimento costituente oggetto della controversa nullità.

In ogni caso può rilevarsi che, ritenuto operante dal tribunale, per effetto della dichiarata conversione, un recesso per giustificato motivo soggettivo, il licenziamento sostanzialmente intimato alla Guarino non può considerarsi incluso dalla disciplina collettiva tra le sanzioni disciplinari, ivi essendo previsto soltanto il licen ziamento per giusta causa (v. art. 34, parte operai, del c.c.n.l. 24

maggio 1957 per i lavoratori addetti alle aziende fabbricanti

maglierie e calzetterie, reso efficace erga omnes con d.p.r. 28

agosto 1960 n. 1325 su G.U. 17 novembre 1960, n. 281). La procedura dettata dall'art. 7 dello statuto dei lavoratori,

pertanto, non sarebbe stata applicabile neppure alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 204 del 20 novembre 1982

(Foro it., 1982, I, 2981). Invero, la portata di quest'ultima, quale si

oit., vedi: S. Magrini, Veri e falsi problemi in tema di licenziamento disciplinare, in Mass. giur. lav., 1983, 379; C. Piria, Una proposta di lettura della sentenza della Corte costituzionale in tema di licenziamen ti disciplinari, in Riv. it. dir. lav., 1983, II, 725; G. Mannacio, Licenziamento, licenziamento disciplinare e lavoro dirigenziale, in Orient, giur. lav., 1983, 954; M. Cerreta, Licenziamento per giusta causa e licenziamento disciplinare, in Dir. lav., 1983, II, 353; Simi, Alcune osservazioni in ordine alla sentenza della Corte costituzionale sui provvedimenti disciplinari in materia di rapporto di lavoro, ibid., I, 413; M. De Luca, Il licenziamento disciplinare dopo l'intervento della Corte costituzionale, ibid., 426; M. Papaleoni, Ancora in tema di licenziamento disciplinare, ibid., 433; M. Buoncristiano, Il campo d'applicazione della sentenza n. 204/82 della Corte costituzionale, ibid., 441; F. Miani Canevari, La struttura del codice disciplinare, ibid., 449; M. Papaleoni, Interrogativi sul campo d'applicazione della sentenza 30 novembre 1982, n. 204 della Corte costituzionale, in Giust. civ., 1984, I, 314.

evince, in applicazione del canone ermeneutico della totalità, tenendo conto non solo della lettera del dispositivo, ma altresì della relativa motivazione, nonché del carattere limitatamente innovativo di tale decisione, va precisata con la limitazione del riferimento ai soli licenziamenti disciplinari e non con la esten sione a tutti i licenziamenti per mancanze, non inclusi però dai contratti collettivi tra le sanzioni disciplinari, posto che non è individuabile nella stessa 1. n. 300/70 la fonte normativa del licenziamento per inadempimento e non può quindi considerarsi

superata la funzione mediatrice della contrattazione collettiva in

questa materia. (Omissis)

II

Motivi delia decisione. — Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli art. 437, 414 e 416 c.p.c. per avere il giudice di appello pronunciato sulla nullità del licenziamento per inosservanza della procedura prevista dal l'art. 7 1. 20 maggio 1970 n. 300, domanda proposta per la prima volta in secondo grado e sostanzialmente nuova e diversa da

quella formulata in primo grado (illegittimità del licenziamento

per inesistenza della giusta causa o del giustificato motivo). Il motivo è fondato. In primo luogo non si può come ha fatto

il tribunale, invocare nel rito del lavoro l'indirizzo giurispruden ziale affermatosi nel giudizio ordinario secondo il quale è ammis sibile in appello quel mutamento di causa petendi, che non

involga una trasformazione obiettiva del contenuto intrinseco della domanda proposta in primo grado né introduca nel processo un nuovo tema di indagine e di decisione. È noto, infatti, che è

proprio in relazione alla disciplina della facoltà e degli oneri delle

parti in relazione al processo che il rito ordinario e quello del lavoro divergono maggiormente, avendo quest'ultimo imposto, per impedire l'eccessiva lunghezza della causa, una chiara e precisa esposizione di tutti gli argomenti della controversia fin dalla costituzione delle parti nel primo giudizio. È vero che anche nel

processo del lavoro è consentito alla parte di modificare all'u dienza di discussione le domande, eccezioni e conclusioni, ma tale potere è subordinato all'autorizzazione del giudice che valu ti preventivamente la ricorrenza dei gravi motivi previsti dalla

legge (art. 420 c.p.c.). Ne consegue che sarebbe del tutto contraddittorio prevedere

tutte queste cautele per Yemendatio libelli di primo grado, se poi fosse liberamente consentito alla stessa parte di modificare do manda, eccezioni e conclusioni in appello, saltando un grado di giudizio e mettendo maggiormente in difficoltà la controparte. Contrariamente a quel che avviene nel processo ordinario, deve ritenersi quindi preclusa nel rito del lavoro la facoltà delle parti di modificare in appello la domanda (tranne che nella sua entità), anche se tale modificazione non sia di tale ampiezza da determi nare una mutatio libelli.

Va poi rilevato che erroneamente il tribunale ha ritenuto che nella specie vi fosse una semplice modifica della domanda proposta in primo grado, non essendosi avveduto che non solo veniva introdotta in appello una causa petendi nuova '(nullità del licenziamento per violazione delle norme procedurali) non in sostituzione ma in aggiunta a quella proposta in primo grado (inesistenza di giusta causa e di giustificato motivo del recesso), ma tale nuova prospettazione introduceva nel processo un nuovo tema di indagine e di decisione (l'accertamento cioè dell'avvenuto rispetto delle norme procedurali come la comunicazione dell'ad debito, la concessione del termine a difesa, la notifica del licenziamento, ecc., mentre in primo grado si era indagato sulla sussistenza o meno della giusta causa e del giustificato motivo). Del resto più volte questa corte ha ritenuto ohe costituisca domanda nuova la proposizione in appello della questione di nullità del licenziamento per violazione delle disposizioni dell'art. 7 dello statuto dei lavoratori, quando in primo grado sia stata proposta la questione dell'illegittimità del recesso per difetto di giusta causa o di giustificato motivo (v. Cass. 12 febbraio 1982, n. 866, Foro it., Rep. 1982, voce Appello civ., n. 54; 12 luglio 1980, n. 4466, id., Rep. 1980, voce cit., n. 58). Né maggior fondamento ha l'altra argomentazione, a cui si è affidato il tribunale per ritenere proponibile la nuova domanda proposta dal Sapienza, e cioè che essa denunciava la violazione di norme imperative, che compor tava la nullità del licenziamento, nullità rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio.

La norma dell'art. 1421 c.c., per quel che concerne l'attribuzio ne al giudice del potere di dichiarare d'ufficio la nullità, deve essere infatti coordinata con i principi fondamentali del processo e principalmente con il principio della domanda fissato dagli art. 99 e 112 c.p.c.

Ne consegue che, se nel giudizio si discute dell'applicazione o dell'esecuzione di un atto, per cui la validità di esso è elemento

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

costitutivo della domanda, il giudice, dovendo accertare d'ufficio

la fondatezza o meno della richiesta dell'attore, è tenuto a

rilevare, in qualsiasi stato e grado del giudizio e indipendente mente dall'attività assertiva delle parti, la nullità dell'atto, per

negare ad esso qualsiasi efficacia.

Ma se, nel giudizio si discute, come nella specie, non dell'ap

plicazione o dell'esecuzione dell'atto, ma della sua illegittimità, costituisce violazione del principio dispositivo, e quindi ultrapeti zione, la dichiarazione di ufficio della nullità dell'atto per causa

diversa da quella dedotta dalla parte (v. in questo senso Cass. 8

ottobre 1981, n. 5294, id., Rep. 1981, voce Contratto in genere, n.

259; 16 novembre 1978, n. 5295, id., Rep. 1978, voce cit., n. 222; 28 maggio 1966, n. 1390, id., Rep. 1966, voce Appello civ., n.

106) e domanda nuova la proposizione per la prima volta in

appello della richiesta di declaratoria di nullità per un titolo

diverso da quello dedotto in primo grado (Cass. 10 marzo 1972, n. 684, id., Rep. 1972, voce cit., n. 83; 16 ottobre 1974, n. 2881,

id., Rep. 1974, voce cit., n. 66).

L'accoglimento di questo motivo rende superfluo l'esame degli altri che, in via subordinata, nel caso di ritenuta proponibilità della domanda di nullità del licenziamento, censuravano la sen

tenza nel capo relativo alla sussistenza delle violazioni delle

norme procedurali denunciate dal lavoratore.

In ordine al motivo accolto la sentenza impugnata va cassata e

la causa rinviata per nuovo esame al Tribunale di Palermo. (O

missis)

III

Motivi della decisione. — Col primo motivo, denunciandosi

violazione e falsa applicazione degli art. 1324, 1362, 1371, 1418,

1375, 2106, 2118, 2149 c.c., art. 43, 83, 103, 104 c.c.n.l. dipendenti commercio 1976, art. 4 1. 604/66, art. 7, 1°, 2°, 5°, 8°, 15" e 18°

comma, 1. 300/80, nonché omessa, insufficiente e contraddittoria

motivazione, in relazione all'art. 360 c.p.c., si lamenta che il tribunale dopo di aver riconosciuto l'illegittimità del licenziamen to in tronco, sotto il profilo del recesso per « giusta causa » ne

abbia riconosciuto, invece, la legittimità come dichiarazione di recesso ad nutum, ed abbia negato l'applicabilità delle 1. n.

604/66 e n. 300/70 {compreso l'art. 7 relativo alla procedura di

contestazione) che avrebbero invece comportato l'inefficacia radi

cale dell'atto ex tunc, col conseguente ordine di reintegrazione della Covelli nel posto di lavoro.

Col secondo motivo, denunciandosi violazione e falsa applica zione degli art. 1322, 1389, 1392, 1393, 1399, 1375 c.c., art. ,11 c.c.n.l. dipendenti commercio 31 luglio 1970, art. 5, 83, 84, 104

c.c.n.l. dipendenti commercio 25 settembre 1976, nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, in relazione all'art.

360, nn. 3 e 5, c.p.c., si lamenta che sia stata ritenuta valida la

intimazione del licenziamento sottoscritta dal rag. Cortellini, non

titolare dell'azienda, sfornito di specifica procura scritta, adeguata all'atto (scritto) di licenziamento posto in essere, senza, peraltro, che sia stata data ragione, con sufficiente motivazione, della prete sa ratifica dell'atto di licenziamento stesso da parte del titolare

Gutterer.

Col quinto motivo, denunciandosi violazione e falsa applicazio ne degli art. 184, 345, 359, 414, 416, 420, 5°, 6°, 7° comma, 424, 1°

comma, 437 c.p.c., nonché omessa, insufficiente e contraddittoria

motivazione, in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c., si lamenta che erroneamente sia stata ritenuta inammissibile la prova docu mentale per tardività del deposito e per irrilevanza dei documenti

esibiti, irrilevanza determinata dall'erroneo inquadramento (sud detto) dell'intimato licenziamento; si lamenta, altresì, la mancata ammissione del giuramento suppletorio deferito al Gutterer.

I tre motivi palesemente connessi possono essere esaminati

congiuntamente. Essi non sono fondati.

Ed invero, il tribunale, dopo di aver accertato da una parte che la lettera di licenziamento non conteneva nessun motivo

giustificativo del recesso del datore e dall'altra l'inapplicabilità delle 1. n. 604/66 e n. 300/70, relativa alla disciplina restrittiva dei licenziamenti individuali, non ricorrendone le condizioni, avendo l'impresa del Gutter impiegato (come riconosce la Covel

li) non più di 4 dipendenti, procedeva alla più esatta qualifica zione dell'atto, quale recesso ad nutum del datore ex art. 2118 c.c.

(mentre il pretore aveva ritenuto il licenziamento per giusta causa

ex art. 2119 c.c.), condannando conseguenzialmente il Gutterer al

pagamento dell'indennità sostitutiva del mancato preavviso. Orbene codesta conversione è legittima, avendo il tribunale

accertato (a parte la modalità di licenziamento in tronco ex art.

2119 c.c. seguita dall'intimante per non aver dato o pagato il

preavviso) che il datore di lavoro non aveva manifestato altra

volontà che quella di recedere comunque dal contratto, senza

necessità di nessuna giustificazione, come era nel suo diritto (v. Cass. 29 aprile 1981, n. 2637, Foro it., 1981, I, 1557).

Riteneva, inoltre, legittima la dichiarazione di recesso sottoscrit

ta dal rag. Cortellini, ma in nome e per conto del Gutterer, titolare dell'impresa, che, comunque, aveva reiteratamente ratifica

to l'opera del suo collaboratore. E tale giudizio si sottrae alla

censura della ricorrente circa la illegittimità della procura per difetto di atto scritto, adeguato all'atto (scritto) delegato.

All'uopo basta osservare che « qualora non debbano applicarsi le 1. n. 604/66 e n. 300/70, il licenziamento del lavoratore

subordinato è un atto a forma libera, salvo il caso che una forma

determinata scritta sia imposta dalla contrattazione collettiva od

individuale. In quest'ultimo caso, però, la procura rilasciata al

suo mandatario per manifestare la volontà di licenziare un

dipendente non deve essere conferita con la forma scritta, pre scritta dal contratto collettivo per il licenziamento, poiché l'art.

1392 c.c., secondo cui la procura va conferita con le stesse forme

del negozio che il rappresentante deve concludere, si riferisce solo

all'ipotesi in cui sia la legge e non la volontà dei privati a

prescrivere una determinata forma negoziale i(v. Cass. n. 681/78,

id., Rep. 1,978, voce Lavoro (rapporto), n. 1325) « ed a maggior

ragione ove la forma scritta sia stata, come nella specie, di sua

iniziativa scelta dall'intimante il licenziamento ».

E sotto tali presupposti, se non può disconoscersi che la ricor

rente avesse diritto a far valere eventuali cause illecite, giuridi camente rilevanti, in quanto contrarie a norme di diritto positivo, anche diverse da quelle nominate discriminatorie ex art. 4 1. n.

604/66 di ordine generale (v. Cass. n. 5211/78, id., Rep. 1978, voce cit., nn. 1152, 1172), pur nella legittimità del licenziamento

ad nutum, deve rilevarsi, che, nella specie, il pretore ritenne che

l'ampia documentazione, che avrebbe dovuto contenere la prova (soltanto) di « malanimo » (non di causa illecita giuridicamente rile

vante) verso la Covelli, era stata tardivamente prodotta ed il tribu nale ha considerato, inoltre, che la stessa generica documentazione, ampliata in appello (41 documenti) non era utilizzabile, in quanto versata alla rinfusa senza che l'appellante avesse indicato quali documenti, tra quelli prodotti, avrebbero provato le peraltro imprecisate cause di illiceità del licenziamento. Né, si deve aggiungere, attualmente, nel contesto del ricorso la ricorrente ha indicato (come era suo onere) specifici documenti sufficienti a far ritenere una qualsiasi causa illecita del licenziamento.

Perciò sotto nessun profilo la censura coglie nel segno. Quanto infine alla censura relativa alla disapplicazione della

procedura di contestazione del licenziamento, di cui all'art. 7, 1°, 2° e 3° comma, 1. n. 300/70, deve rilevarsi soltanto che la

disciplina riguarda esclusivamente i licenziamenti qualificati come

disciplinari, mentre nella specie si è trattato, come si è visto, di recesso ad nutum del datore ex art. 2118 c.c., nel quale il lavoratore non solo non è fatto segno di addebito di natura

disciplinare, ma di nessun addebito. E ciò anche dopo la sentenza della Corte costituzionale n.

204/82 (id., 1982, I, 2981), che dichiarando la illegittimità dei comma 1°, 2° e 3° dell'art. 7 1. 20 maggio 1970 n. 300, ove

interpretati nel senso che siano inapplicabili ai licenziamenti

disciplinari, per i quali detti comma non siano espressamente richiamati dalla normativa legislativa, collettiva o validamente

posta dal datore di lavoro, ha mantenuto ferma la distinzione tra licenziamento disciplinare radicato alla disciplina contenuta nel l'art. 2119 c.c. e nella 1. 15 luglio 1966 n. 604 e licenziamento ad nutum retto dalla residuale disciplina ex art. 2118 c.c. {Omissis)

IV

Motivi della decisione. — Con il primo motivo le ricorrenti denunciano la violazione dell'art. 7 1. 20 maggio 1970 n. 300 in relazione all'art. 18 della stessa legge e degli art. 1 e 2 1. 15 luglio 1966 n. 604 nonché dell'art. 2106 c.c. rilevando che, se anche la normativa collettiva di categoria — pur includendo il licenziamento tra le sanzioni disciplinari — non fà espresso riferimento alle procedure di cui al predetto art. 7 dello statuto dei lavoratori, tuttavia nel caso in esame il datore di lavoro, con

espressioni inequivoche, aveva inteso, oltre che configurare il licenziamento come sanzione disciplinare, applicare tutte le ga ranzie ad esso relative e tra queste, quantomeno, quella di cui al 1° comma della stessa disposizione di legge, concernente la

pubblicità del cosiddetto codice disciplinare. Invocare, in sostanza, come motivo di licenziamento, l'applica

zione di una norma disciplinare del contratto collettivo, significa va accettare impresoindibilmente l'onere di cui al 1° comma dell'art. 7 dello statuto dei lavoratori e quindi a questo rinviare.

Nel corso del giudizio la Corte costituzionale, con sentenza n. 204 del 30 novembre 1982 (Foro it., 1982, I, 2981), ha dichiarato

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2203 PARTE PRIMA 2204

illegittimo, per violazione dell'art. 3 Cost., il 1° comma (pubblici tà del codice disciplinare) dell'art. 7 1. n. 300/70, interpretato nel

senso che sia inapplicabile ai licenziamenti disciplinari, per i

quali detto comma non sia espressamente richiamato dalla norma

tiva legislativa, collettiva o validamente posta dal datore di

lavoro.

Per le medesime ragioni la corte ha dichiarato incostituzionali

anche i comma 2° e 3° dello stesso art. 7.

Siffatta decisione interpretativa di accoglimento, che contrasta

con l'opposto indirizzo di questo Supremo collegio che nella

decisione n. 1781 del 28 marzo 1981 (id., 1981, I, 1283) delle

sezioni unite aveva dato consistenza ad un accettato orientamen

to giurisprudenziale e dottrinale circa i limiti di applicabilità delle garanzie dell'art. 7 dello statuto dei lavoratori ai licenzia

menti disciplinari, comporta l'accoglimento del motivo del ricorso,

sia pure per le diverse considerazioni svolte dalla Corte costitu

zionale.

Oppone, però, in memoria, il Centro medico l'inapplicabilità dell'anzidetta decisione della Corte costituzionale e comunque la

sua irretroattività.

Si sostiene che la Corte costituzionale avrebbe, in contrasto con

il sistema delineato dall'art. 136 Cost., introdotto nell'ordinamento

una nuova norma.

Invero non sussisteva una previsione normativa atta a ricon

durre il licenziamento c.d. disciplinare nell'ambito dell'art. 7

dello statuto dei lavoratori, con la conseguenza che l'intervento della Corte costituzionale si è tradotto nella creazione di una

previsione normativa di contenuto positivo non contemplata dal

legislatore e contraddiente l'originaria formulazione dell'articolo.

Il fatto poi che l'operatività dei requisiti imposti dai comma 1°, 2° e 3° dell'art. 7 sia condizionata dalla previa equiparazione del

licenziamento alle altre sanzioni disciplinari da parte dell'autono

mia contrattuale, comporterebbe la creazione di una nuova fatti

specie di incostituzionalità, giacché l'oggetto della pronuncia n.

204 del 1982 chiaramente non è una norma di legge, ma un atto

dell'autonomia privata, il cui controllo è riservato al giudice ordinario.

Ove, poi, a giudizio del resistente, non si volesse ritenere

l'inapplicabilità della decisione della Corte costituzionale, bisogne rebbe dedurre che essa abbia voluto invalidare integralmente i

primi tre comma dell'art. 7 per non conformità con il principio di eguaglianza, una volta riconosciuto che spetta alla Corte di

cassazione il potere di interpretare le leggi. In via subordinata il

centro ritiene che la sentenza interpretativa di accoglimento non

possa avere efficacia retroattiva neppure per i giudizi tut

tora pendenti, retroattività erroneamente desunta dal pen ult. comma dell'art. 30 1. 11 marzo 1953 n. 87 che stabilisce che

le norme dichiarate incostituzionali « non possono avere applica zione » che dal giorno successivo alla pubblicazione della decisio

ne, in contrasto con l'art. 136 Cost, che, disponendo, viceversa, che la legge « cessa di avere efficacia » dal giorno successivo alla

sentenza di accoglimento, conferma la sua inidoneità a produrre effetti giuridici ulteriori a partire dalla data della sentenza stessa, escludendo qualsiasi effetto retroattivo.

Seguendo certe affermazioni giurisprudenziali il resistente e

sclude che comunque sia possibile un'ammissione generalizzata del principio della efficacia retroattiva della sentenza di acco

glimento. E con riferimento al licenziamento disciplinare rileva che,

essendosi l'intervento della Corte costituzionale indirizzato contro

la regola consolidata della non necessità dei requisiti voluti

dall'art. 7 dello statuto dei lavoratori, la sentenza stessa ha

introdotto, non potendo il giudice costituzionale sostituirsi a

quello di legittimità, una nuova disposizione normativa, sostituti

va della precedente. È evidente, perciò, che siffatta statuizione costituzionale non

può invalidare gli atti compiuti anteriormente alla sua pubblica zione per il principio tempus regit actum.

'L'adozione di un licenziamento disciplinare nel rispetto della

situazione preesistente non potrebbe essere, in definitiva, vanifica

to ex post da un nuovo precetto normativo elaborato dalla Corte

costituzionale. I rilievi acutamente mossi dalla difesa della parte

resistente, e sopra sommariamente riassunti, non possono però condividersi.

Non sembra, invero, possa disconoscersi la legittimità del

potere della Corte costituzionale di sindacare la legittimità costi

tuzionale di una legge o di un atto avente forza di legge non con

riferimento al testo legislativo bensì al suo contenuto normativo

risultante dalla interpretazione che al testo medesimo è stata data.

L'adeguamento delle norme giuridiche al sistema costituzionale

deve necessariamente essere realizzato, infatti, non soltanto elimi

nando le disposizioni legislative che sotto l'aspetto puramente

formale appaiono incompatibili con l'ordinamento costituzionale, ma privando altresì di ogni effetto quei testi legislativi per i quali il contrasto costituzionale si appalesi nel momento dinamico

dell'applicazione concreta della disposizione, per effetto della

interpretazione che ne ha preceduto la fase attuativa.

In realtà lo stesso accertamento della costituzionalità delle leggi è la risultante di un procedimento ermeneutico che ha come

termine di riferimento e di valore la norma costituzionale; e per il carattere preminente di siffatta interpretazione, affidata alla

Corte costituzionale, ogni altra interpretazione giurisdizionale difforme non ha una ragione d'essere e perde la sua forza

applicativa.

Orbene, allorquando la declaratoria di illegittimità costituziona

le conserva il testo legislativo nella sua formulazione esteriore ma

attraverso la interpretazione adegua alla Costituzione il contenuto

normativo, detta interpretazione costituzionale opera sulla norma, e se la sentenza è di accoglimento la norma di legge o l'atto

avente forza di legge perdono la loro efficacia dal giorno succes

sivo alla pubblicazione della sentenza della corte stessa (art. 136

Cost.). In tale attività interpretativa della Corte costituzionale non

sembra possa ravvisarsi una invadenza, nelle funzioni e nelle

prerogative degli organi giurisdizionali, se si considera che tale

interpretazione della corte rientra nella finalità primaria ed essen

ziale del controllo della legalità costituzionale delle leggi.

Siffatto procedimento comporta spesso una integrazione del

testo normativo e, nel caso concreto, si sostiene che la corte

abbia inserito nel novero delle sanzioni disciplinari il licenzia

mento, non previsto dall'art. 7 1. n. 300/70. Orbene detta questione investe l'essenza delle sentenze di

accoglimento integrative in generale, ma non incide sul piano pratico sulla efficacia vincolante di esse.

A differenza delle pronunce interpretative di rigetto, nelle quali la corte si limita a fornire la corretta interpretazione della norma

sotto il profilo costituzionale, nelle sentenze intepretative di

accoglimento la interpretazione si traduce in un atto di volontà

dell'organo giudicante costituzionale, consacrato nel dispositivo.

E poiché gli organi giurisdizionali devono fare esclusiva appli cazione delle leggi, il loro compito non può che esaurirsi

nell'esame del dispositivo stesso per stabilire la portata e l'ambito

dell'effetto modificativo che sull'ordinamento ha operato la deci

sione della Corte costituzionale; non è consentito viceversa alcun

sindacato, circa una pretesa eccedenza di poteri della corte

rispetto al potere legislativo onde disapplicare la pronunoia mede

sima.

Quanto alla pretesa non retroattività della decisione della corte

relativamente ai rapporti non esauriti, sembra corretto ritenere

che l'accertamento di illegittimità costituzionale si risolve in un

giudizio di non conformità di una norma di grado inferiore

rispetto ad una norma di grado superiore e tale difformità non

può sussistere che ab initio; la norma ordinaria è, cioè, invalida, dal giorno in cui è venuta ad esistenza. Solo motivi di certezza

di diritto hanno consigliato il legislatore a dettare la disposizione dell'art. 136 Cost, che ha fatto decorrere dalla data della pubbli cazione della sentenza gli effetti di questa. Ma laddove i rapporti siano tuttora pendenti non sussiste ragione perché trovi ancora

applicazione una norma invalida.

Né si dica che la sentenza interpretativa di accoglimento in

esame avendo creato una nuova fattispecie legale, non potrebbe invalidare gli effetti degli atti anteriormente compiuti.

Volendo attribuire alla sentenza infatti l'effetto proprio di una

norma sopravvenuta il problema si porrebbe negli stessi termini

del problema della retroattività di nuove norme giuridiche rispet to a situazioni giuridiche insorte sotto il regime di norme private di efficacia.

In tal caso è fuori dubbio che la normativa sopravvenuta non

è applicabile ai rapporti cessati anteriormente ad essa o che

abbiano già esaurito i loro effetti sotto il regime giuridico

pre vigente. Orbene nel caso di specie non sembra possa affermarsi che

l'atto compiuto dal centro avesse realizzato, anteriormente alla decisione della Corte costituzionale, l'effetto suo proprio, che era

quello di determinare l'estinzione del rapporto di lavoro.

Al contrario all'intimazione di licenziamento per mancanza si

riteneva inapplicabile la norma dell'art. 7 1. n. 300/70. Non si vede, allora, come possa dirsi che nel caso debba

applicarsi il principio tempus regit actum, se la legge che si

afferma regolasse l'atto medesimo, era inapplicabile in concreto, essendo stato in tal senso interpretato il testo legislativo.

La situazione giuridica non può, quindi, dirsi esaurita e il

regime ad essa applicabile non può che essere quello della

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

normativa intesa nel senso voluto dalla decisione della Corte

costituzionale.

Alla stregua delle considerazioni svolte, in conseguenza dell'ac

coglimento del primo motivo del ricorso, la sentenza impugnata deve essere annullata e la causa rinviata ad altro tribunale che si

designa in quello di Prato, il quale provvederà ad esaminare la

legittimità del licenziamento alla stregua dei principi enunciati nella sentenza della Corte costituzionale n. 204 del 1982. (Omis sis)

V

Motivi della decisione. — Come risulta dalla parte espositiva, la ricorrente è stata licenziata, con preavviso di tre mesi, in

quanto il 22 novembre 1983 si era allontanata dal posto di

lavoro, non rispondendo al centralino telefonico per trentacdnque minuti, omettendo per giunta di farsi sostituire, ed in tal modo coronando una serie di negligenze, prove di scarsa responsabilità e di palese incapacità professionale; e proprio per la provata scarsa capacità era stata esonerata dal servizio durante il periodo di preavviso.

Sostenendo la natura disciplinare del licenziamento, la ricorren te ne inferisce la nullità per contrasto con l'art. 7 dello statuto, in

quanto irrogato, tra l'altro, senza l'osservanza delle garanzie di cui ai comma 2° e 3°, secondo la pronuncia n. 204/82 della Corte costituzionale <(Foro it., 1982, I, 2981). Afferma invece la confe derazione resistente che detta pronuncia è estranea al caso di

specie, in cui è stato esercitato il recesso ad nutum dal rapporto ex art. 2118 c.c., con regolare preavviso.

Ciò posto, occorre in primo luogo accertare quale sia il campo di applicazione dell'art. 7 dello statuto, cioè stabilire se detta norma sia applicabile a tutti i datori di lavoro, o subisca invece

qualche eccezione. A riguardo, non può dubitarsi che le conclu sioni espresse dalla Corte costituzionale nella sentenza 8 luglio 1875, n. 189 (id., 1975, I, 1578), con la quale è stata dichiarata

legittima l'esclusione dell'applicabilità, ai datori di lavoro non

imprenditori, tra cui pacificamente rientra la Confeddlizia, dell'art.

18 e del titolo III dello statuto, non sono estensibili alla materia del titolo I e dell'art. 7 in particolare, essendo l'esclusione stessa

testualmente ed inequivocabilmente ben delimitata nel suo ogget to, alla stessa stregua della pronuncia della corte: l'art. 7, quindi, è norma che riguarda tutti i datori di lavoro, senza le eccezioni

qualitative e quantitative indicate dall'art. 35.

Il secondo necessario accertamento riguarda la configurabilità di condizioni e limiti compatibili con il licenziamento ad nutum,

quando esercitatole per le dimensioni aziendali, e la conseguente sua soggezione ad essi. La giurisprudenza più recente (cfr. Cass. 29 giugno 1981, n. 4241, id., Rep. 1981, voce Lavoro (rapporto), n.

1485; 9 luglio 1979, n. 3930, id., 1979, I, 2333), facendo proprio l'insegnamento della migliore dottrina, che da tempo ha eviden ziato come il negozio di licenziamento non sia astratto, ma

causale, ed escluso che dalla presunta irrilevanza dei motivi possa derivare l'astrattezza della fattispecie, riconosce ormai che dalla

pur limitata causalità dell'atto di recesso deriva, per l'estensione della disciplina dei contratti agli atti unilaterali disposta dall'art. 1324 c.c., l'applicabilità anche al licenziamento ad nutum dei limiti previsti dal codice civile per gli atti di autonomia privata, in particolare degli art. 1322, 1343, 1344 e 1345 c.c.

Pertanto, anche il licenziamento di cui si discute è nullo non solo

quando è determinato da motivi illeciti, ma anche quando è a causa illecita, cioè viola norme imperative, l'ordine pubblico, il buon costume, o costituisce il mezzo per elevare una norma

cogente, o più in generale quando è esercitato in contrasto con i

principi generali dell'ordinamento giuridico, o viene utilizzato dal

datore di lavoro con una alterazione del fattore causale, cioè per realizzare interessi estranei a quelle finalità sociali ed economiche in vista delle quali è stato riconosciuto dall'ordinamento, in tal

modo configurandosi un eccesso di potere nell'ambito dell'auto

nomia privata, l'abuso del diritto. Poiché nessuno dubita che l'art.

7 sia una norma imperativa, ne consegue che anche il licenzia

mento ad nutum deve soggiacere alla sua osservanza, ove esistano

gli estremi che consentano l'applicazione della norma, cioè ove

detto licenziamento sia adottato per motivi disciplinari, cioè per

colpa, in senso generico del lavoratore. Con la decisione n.

204/82, infatti, la Corte costituzionale ha esteso la tutela garanti stica ad ogni ipotesi di licenziamento per mancanza, a prescinde re da ogni altra classificazione o condizione. Detta interpretazione discende da tre ordini di ragioni.

Innanzitutto, le ordinanze di remissione consideravano come

disciplinare il licenziamento motivato da colpa del lavoratore,

indipendentemente dalla espressa qualificazione, che in quei casi

mancava, di fonte legislativa, contrattuale o unilaterale: poiché anche nei giudizi di costituzionalità vige il principio della corri

spondenza del chiesto al pronunciato (art. 27 1. 11 marzo 1953

n. 87: la corte dichiara, nei limiti dell'impugnazione, quali sono le disposizioni legislative illegittime), necessariamente la

corte ha accolto la nozione di licenziamento disoiplinare proposta dalle ordinanze di remissione, e quindi ha inteso estendere la

tutela garantistica ed ogni ipotesi di licenziamento per mancanza, a prescindere dalla configurazione datane dalle citate fonti:

diversamente, dovrebbe ritenersi che mentre per i giudici che hanno sollevato la questione di costituzionalità, siccome vincolati alla pronuncia di accoglimento della corte, il licenziamento, ai

fini della soggezione ai primi tre comma dell'art. 7 dello statuto, va considerato disciplinare in quanto collegato alla colpa, in

senso generico, del lavoratore, per tutti gli altri la sentenza

avrebbe un ben più limitato e diverso ambito oggettivo, non

essendo sufficiente, per l'applicabilità dell'art. 7, l'evidenziato

collegamento, ma altresì necessaria la considerazione delle fonti

già richiamate. In secondo luogo, alla interpretazione propugnata conduce una lettura attenta della decisione, che, anziché esaltare

la suggestione del dato testuale, mini a coglierne la portata attraverso la valutazione delle ragioni che hanno suggerito un

pronunciamento opposto a quello ritenuto dalle sezioni unite: lesione del principio di eguaglianza per la diversità di trattamento tra uguali posizioni; valorizzazione del principio del contradditto

rio, quale « indefettibile regola di formazione delle misure disci

plinari », il cui rispetto « tanto più dovuto per quanto competente ad irrogare la sanzione è (non già, come avviene nel processo giurisdizionale, il giudice, per tradizione e per legge super partes, ma) una pars »; irrilevanza ed inidoneità della tradizione legisla tiva e collettiva a giustificare un diverso trattamento, in ordine alla osservanza del principio del contraddittorio, tra licenziamento disciplinare e sanzioni conservative. In terzo luogo, perché, ove una disposizione si presta a più interpretazioni, va privilegiata quella che risulta conforme alla Costituzione.

Pertanto, poiché nel caso in decisione è palese la natura disciplinare del licenziamento, manifestazione del potere sanziona torio del datore di lavoro, esercitato in via di autotutela come effetto dell'inadempimento del prestatore di lavoro dei propri obblighi contrattuali, ne consegue che esso doveva essere assog gettato alla procedura di cui all'art. 7, per cui va dichiarato nullo per violazione della citata norma. Alla dichiarazione di nullità del licenziamento non può tuttavia accompagnarsi l'ordine di reinte

grare la ricorrente nel posto di lavoro ex art. 18 dello statuto, per l'assorbente considerazione già evidenziata. Né sussistono i

presupposti numerici fissati dall'art. 11 1. 604/66 per farsi appli cazione del più debole regime previsto dall'art. 8 stessa legge, cui

soggiacciono, viceversa, anche i datori di lavoro non imprenditori. Le conseguenze, allora, dell'accertata nullità del licenziamento non possono che essere quelle che scaturiscono dalla disciplina generale di cui agli art. 1418 s. c.c., per cui il rapporto deve ritenersi giuridicamente in vita, e va ripristinato. Sotto questo profilo, è utile richiamare quanto leggesi in Cass. 5 febbraio 1980, n. 827, (id., Rep. 1980, voce cit., n. 1381): «in conformità del

principio generale vigente nell'ordinamento giuridico, secondo cui un atto nullo non può produrre alcun effetto, dovendosi ritenere l'atto stesso come mai esistito nell'ordine generico, il tribunale dall'accertata nullità dell'atto di licenziamento ha tratto la conse

guenza che il rapporto di lavoro doveva considerarsi come mai

interrotto, donde il diritto della dipendente a veder ripristinata la sua posizione lavorativa, della quale in questi termini e sensi il tribunale ha ritenuto di dover disporre la reintegrazione. Non essendosi quindi fatta applicazione dell'art. 18 1. 20 mag gio 1970 n. 300, la censura in esame, che ne deduce la vio lazione in relazione all'art. 35 stessa legge, deve essere disattesa ».

Consegue altresì l'obbligo a carico del datore di lavoro, di risarcire alla ricorrente il danno, che, sotto il profilo del lucro

cessante, non può che essere rapportato alle retribuzioni che la stessa avrebbe percepito sino ad oggi ove non fosse stata illegit timamente licenziata, oltre rivalutazione monetaria ed interessi

legali dalle date imensili di scadenza. (Omissis)

VI

Motivi della decisione. — Ritiene il giudicante che le risultanze processuali comportino sia l'inesistenza di una valida

impugnativa di licenziamento ai sensi dell'art. 6 1. n. 604/66, sia l'esistenza di un licenziamento, da qualificarsi disciplinare essen do stato adottato, se non totalmente, almeno prevalentemente nell'esercizio del potere disoiplinare, operato in assenza di una

condizione (la preventiva affissione del cosiddetto codice discipli nare in luogo accessibile ai lavoratori) necessaria per la sua validità ed efficacia.

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2207 PARTE PRIMA 2208

Per quanto concerne la prima conclusione, vanno infatti con

divise le argomentazioni della società convenuta che l'impugnativa,

quando non provenga direttamente dal lavoratore o dal sindacato

cui questo notoriamentè aderisca avendo autorizzato il datore alla

trattenuta dei contributi sindacali in suo favore, deve, onde

assicurare la provenienza dall'organizzazione sindacale di appar

tenza, necessariamente essere completata dal mandato scritto del

lavoratore in favore del sindacato, apparendo innegabile che l'atto

unilaterale impugnativo del licenziamento abbia un preciso conte

nuto patrimoniale, se non in via immediata, quale condizione per un'azione giudiziaria intesa sempre a conseguire un risarcimento

del danno.

Va altresì soggiunto che, trattandosi di condizione di ammissi

bilità dell'azione, la prova dell'anticipato conferimento del man

dato rispetto all'invio dell'impugnativa deve essere fornita od

offerta già nel ricorso introduttivo del giudizio — e ciò motiva

l'ordinanza pretorile di rigetto delle prove offerte dal ricorrente

solo a seguito dell'eccezione di parte contenuta — la conclusio

ne esposta appare irrinunciabile —- diversa soluzione potrebbe sostenersi per l'impugnativa esercitata da un legale — quando

l'impugnativa del licenziamento provenga da un'organizzazione sindacale cui il lavoratore non aderisce già nel corso del rapporto di lavoro, ad evitare anche il mero sospetto che il sindacato,

vuoi per le finalità sue proprie di tutela degli interessi della

classe lavoratrice, vuoi per finalità di proselitismo, si sostituisca

nell'esercizio di quelli che sono interessi personali del singolo

lavoratore.

Per quanto concerne la seconda conclusione, premesso che

tanto la lettera 20 luglio 1983 quanto quella confermativa del 27

luglio inviate dalla società fanno espresso riferimento ad un

licenziamento ai sensi dell'art. 25 del c.c.n.l. di settore (come, del

resto, è confermato dall'adottata sospensione cautelare, possibile

ex art. 26 del detto c.c.n.l. solo in ipotesi di recesso in tronco),

va osservato che il licenziamento per mancanze contemplato dal

menzionato art. 25 è espressamente ricompreso tra i provvedimen ti disciplinari individuati dal precedente art. 23; ne consegue che

il licenziamento in esame non può sfuggire alla qualifica di

licenziamento disciplinare e che, pertanto, la sua validità è

subordinata all'osservanza dei primi tre comma dell'art. 7 1. n.

300/70 anche nell'ipotesi — è questa la portata sostanziale della

decisione costituzionale più sopra richiamata — che gli stessi non

siano stati espressamente affermati applicabili dalla normativa

collettiva disciplinante l'esercizio del potere disciplinare; ne

consegue ulteriormente, non essendo nella specie contestato dalla

società convenuta l'assunto del ricorrente di una mancata affissio

ne del codice disciplinare, che il licenziamento in questione va

dichiarato invalido in ragione della suddetta inosservanza, pro

priamente relativa al 1° comma della 1. n. 300/70. Trattasi, a

questo punto, di valutare se l'invalidità discendente dalla viola

zione dell'art. 7 possa o non possa ritenersi ricompresa nelle

diverse categorie di illegittimità del licenziamento previste dalla 1.

n. 604/66 (e meramente ribadite dall'art. 18 1. n. 300/70, innova

tivo soltanto per quanto concerne le conseguenze derivanti dall'ac

certamento dell'illegittimità del recesso), in quanto, nell'ipotesi di

risposta positiva al quesito, dovrebbe necessariamente affermarsi

l'applicabilità dell'art. 6 1. n. 604 e, quindi, l'inammissibilità

dell'azione del ricorrente per essere intervenuta la decadenza

prevista appunto dall'art. 6, in quanto per converso, nell'ipotesi di risposta negativa al quesito, dovrà affrontarsi il problema di

quali conseguenze derivino dall'accertata invalidità del licenzia

mento, posto che le conseguenze dettate dall'art. 8 1. n. 604 e

dall'art. 18 1. n. 300 non possono ritenersi automaticamente

applicabili a cause di illegittimità estranee a quel contesto norma

tivo.

Per la soluzione del problema, deve osservarsi che la 1. n.

604 distingue le cause di invalidità individuando un licenziamento

inefficace (quello orale o quello cui non abbia fatto seguito la

richiesta comunicazione di motivi — cfr. art. 2 —; al riguardo, occorre osservare — cfr. art. 6, cpv. — che per il licenziamento

orale non è prevista impugnativa nei 60 giorni a pena di

decadenza, il che spiega come il Supremo collegio — cfr.

decisione citata dal ricorrente a pag. 5 delle note autorizzate —

sia pervenuto, per tale ipotesi, a ritenere ammissibile l'azione

giudiziaria di impugnativa del licenziamento nell'ordinario termi

ne prescrizionale), un licenziamento nullo (quello determinato da

ragioni di credo politico o fede religiosa, dalla appartenenza ad

un sindacato e dalla partecipazione ad attività sindacali — cfr.

art. 4) e un licenziamento annullabile (quello per cui sia accertato

che non ricorrono gli estremi della giusta causa o giustificato motivo invocati — cfr. art. 8), con ciò enucleando un sistema

completo di cause di invalidità attinenti la forma, la causa ed il

merito di quell'atto unilaterale in cui consiste appunto il licen ziamento.

Passando ad esaminare la posteriore (ma il dato non assume

rilievo) causa di invalidità introdotta dall'art. 7 1. n. 300/70 appare agevole osservare che essa attiene gli aspetti formali

procedurali — si che a prima vista potrebbe apparire assimilabile

ad un licenziamento inefficace per impiego della forma orale o

per mancata comunicazione dei richiesti motivi — non già però dell'atto di licenziamento, bensì richiesti per il sorgere in capo al

datore di lavoro del diritto all'esercizio del potere disciplinare,

presupposto necessario per la liceità di un licenziamento discipli nare.

Non riguardando, dunque, la violazione in esame né la forma, né la causa, né il merito del licenziamento (e l'affermazione, che

il giudicante ritiene valida per ciascuna delle violazioni previste dai primi tre comma dell'art. 7, con qualche dubbio peraltro per i comma 2° e 3°, appare indiscutibile con riferimento alla

violazione prevista dal 1° comma costituente oggetto specifico del presente giudizio), deve concludersi per la sua riconducibilità

nel sistema enucleato dalla 1. n. 604: al che consegue che

l'impugnativa del licenziamento, adducendo una tal violazione, non può dirsi assogettata al termine di decadenza fissato dal più volte richiamato art. 6.

L'esposta conclusione introduce — come si accennava — il

problema di individuare le conseguenze discendenti dall'afferma

zione della sussistenza di una causa di invalidità del licenziamen to non riconducibile nel sistema disciplinato — anche con riferi

mento alle conseguenze — dalla 1. n. 604, poi, per quest'aspetto, modificata dalla 1. n. 300/70.

Ritiene il giudicante che la soluzione più corretta — disde

gnando criteri in sé dubbi quali il ricorso all'analogia e all'equità — sia suggerita proprio dal rilievo dianzi svolto che la violazione in esame non colpisce — se non in via mediata e conseguenziale — l'atto di licenziamento vero e proprio, ma incide sul presup posto necessario per un licenziamento disciplinare che è costituito

dal legittimo sorgere del diritto ad esercitare il potere disciplinare; eliminato il detto presupposto, l'atto di licenziamento va definito

inefficace-inesistente e, in altri termini, inidoneo a troncare il

rapporto di lavoro, che rimane in vita nelle sue fondamentali

obbligazioni di prestazione lavorativa e di corrispettiva retribu

zione, delle quali ovviamente la prima in stato di sospensione in

forza del concludente comportamento datoriale di rifiuto di

accettare la prestazione cui il lavoratore è disposto.

Consegue all'esposta conclusione la condanna della società

convenuta all'immediato (ex art. 431 c.p.c.) pagamento in favore del ricorrente della normale retribuzione contrattuale — maggio rata, ex art. 429 c.p.c., con decorrenza dallo scadere dei singoli

periodi di paga, degli interessi legali e della rivalutazione moneta

ria, da conteggiarsi con riferimento agli indici ISTAT — a far

tempo dalla data dell'avvenuto illegittimo accertamento. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; Sezioni unite civili; sentenza 15 mag

gio 1984, n. 2954; Pres. F. Greco, Est. Menichino, P. M. Fabi

(conci, difl.); Carraturo (Avv. L. Esposito) c. I.n.p.s. (Avv. Bel

inomi, Boer). Conferma Trib. Napoli 26 febbraio 1979.

Lavoro e previdenza (controversie in materia di) — Azio

ne giudiziaria — Previo procedimento amministrativo —

Disciplina — Inapplicabilità al termine per esperire l'azione

giudiziaria (Cod. civ., art. 2964, 2969; cod. proc. civ., art. 443;

disp. att. cod. proc. civ., art. 148; 1. 28 luglio 1961 n. 830,

disposizioni in materia di previdenza per gli addetti ai pubblici servizi di trasporto in concessione e miglioramento per alcune

categorie di pensionati del fondo istituito con l'art. 8 r.d.l. 19

ottobre 1923 n. 2311, art. 37; 1. 11 agosto 1973 n. 533,

disciplina delle controversie individuali di lavoro e delle con

troversie in materia di previdenza ed assistenza obbligatorie, art. 8).

Deve intendersi non più esperibile l'azione giudiziaria da parte di

dipendente addetto a pubblico servizio di trasporto, con la quale era stato richiesto ali I.n.p.s. di includere nella base pensionabile l'indennità di ricchezza mobile e l'indennità fissa per straordi

nario, dopo il superamento del termine di decadenza quin

quennale, decorrente dal compimento della preventiva procedu ra amministrativa (complessivamente ISO giorni dalla comunica

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