sezione lavoro; sentenza 16 agosto 2001, n. 11140; Pres. Ianniruberto, Est. Roselli, P.M.Napoletano (concl. conf.); Filipponi (Avv. Cester, Cossu) c. Cassa nazionale di previdenza eassistenza per i dottori commercialisti (Avv. Fossà). Conferma Trib. Udine 2 giugno 1998Source: Il Foro Italiano, Vol. 124, No. 12 (DICEMBRE 2001), pp. 3603/3604-3607/3608Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23196773 .
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3603 PARTE PRIMA 3604
rilevanza giuridica nei rapporti fra privati, da ritenersi regolati unicamente dalla legge nazionale, sia pure emanata in attuazio
ne della direttiva.
D'altra parte, dall'art. 8 della direttiva si desume che le varie
previsioni in essa contenute costituiscono il livello minimo di
protezione assicurato al consumatore, consentendosi così impli citamente agli Stati membri di adottare disposizioni più severe
per elevarne la tutela ad un livello maggiore. In armonia con tale specifica previsione deve ritenersi quindi
perfettamente legittima una interpretazione che, in base ai prin
cipi del nostro ordinamento ed in assenza di un'espressa deroga, consenta l'immediata applicazione della disposizione sulla
competenza, contenuta nella legge di attuazione, ai procedi menti promossi successivamente alla sua entrata in vigore, seb
bene relativi a contratti sorti anteriormente.
Rimane in tal modo superato, sotto il limitato profilo in esa
me ed in relazione alla specifica previsione del richiamato art. 5
c.p.c., ogni ulteriore considerazione basata sull'art. 11 disp. sulla legge in generale e sulla distinzione elaborata dalla giuri
sprudenza fra fatto generatore ed effetti non ancora esauriti ma
ontologicamente autonomi.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione
delle stesse norme sulla competenza, osservando che anche nel
l'ipotesi di inefficacia della clausola derogativa della competen za il Giudice di pace di Torino sarebbe ugualmente competente in virtù dell'art. 20 c.p.c., potendo i premi essere corrisposti, ai
sensi dell'art. 2 delle condizioni generali di contratto, sia presso
l'agenzia di Asti che presso la sede di Torino e non potendo considerarsi derogata anche tale norma processuale se si consi
deri che non sono vessatorie le clausole che riproducono dispo sizioni di legge (art. 1469 ter, 3° comma, c.c.).
Anche tale censura è infondata.
L'art. 1469 bis, 3° comma, n. 19, c.c., presumendo nei rap
porti fra professionista e consumatore la vessatorietà della clau
sola contrattuale che stabilisca «come sede del foro competente sulle controversie località diversa da quella di residenza o do
micilio elettivo del consumatore», ha in sostanza introdotto, un
foro esclusivo, anche se derogabile a seguito di trattativa indivi
duale (art. 1469 ter, 4° comma, c.c.), che esclude in quanto tale,
sia sotto il profilo dell'incompatibilità che per il principio della
successione delle leggi nel tempo, ogni altro ed in particolare anche quelli di cui agli art. 18 e 20 c.p.c., indipendentemente dalla posizione processuale assunta dal consumatore, ponendosi
rispetto alla normativa codicistica come foro speciale. Se così non fosse del resto, se cioè non si ritenesse che si sia
in presenza nella materia in esame della previsione di un nuovo
foro esclusivo rispetto ad ogni altro, verrebbero frustrate le fi
nalità di tutela processuale del consumatore perseguite con tale
norma, svuotandola di significato nell'eventualità che la clau
sola vessatoria sia riproduttiva di una norma di legge, come nel
l'ipotesi, prospettata nel caso in esame dalla ricorrente, in cui il
foro destinatae solutionis, cui fa alternativamente riferimento
l'art. 20 c.p.c., coincida con la residenza del «professionista». In
tal caso infatti, in virtù dell'art. 1469 ter, 3° comma, c.c., la
clausola, in quanto riproduttiva di una disposizione di legge, non potrebbe essere considerata vessatoria in base ad un'inter
pretazione letterale di tale ultima disposizione. Ma nonostante la non felice formulazione della norma, una
tale interpretazione non può ritenersi obbligata, ben potendose ne privilegiare altra suggerita dalla dottrina ed in linea con la fi
nalità della norma, di tutela del consumatore, in base alla quale le clausole riproduttive di una disposizione di legge non posso no considerarsi vessatorie solo se riguardino previsioni di ca
rattere generale che incidano sull'equilibrio delle parti e non già se si pongano in contrasto con le specifiche disposizioni di cui
ai nn. da 1 a 20 della stessa legge ed in particolare, per quanto
riguarda la competenza, con la disposizione di cui al n. 19 e non
escludano quindi surrettiziamente il foro esclusivo del consu
matore, a meno che la deroga non sia frutto di una trattativa in
dividuale. Diversamente, ripetesi, sarebbe da considerare inutile la stes
sa disposizione in quanto facilmente aggirabile in presenza dei
vari fori alternativi che le norme sulla competenza prevedono e
che legittimerebbe una competenza diversa da quella del foro
del consumatore, nonostante la particolare rilevanza attribuita
dal legislatore a quest'ultimo foro con la previsione, addirittura, della rilevabilità d'ufficio della clausola vessatoria (art. 1469
Il Foro Italiano — 2001.
quinquies, 3° comma, c.c.), perfettamente in linea con l'inter
pretazione data alla direttiva da Corte giust. 27 giugno 2000,
cause riunite da C-240/98 a C-244/98 (id., 2000, IV, 413). Così integrata nei suoi profili giuridici, merita conferma per
tanto l'impugnata sentenza che ha dichiarato la competenza del
foro del consumatore (Asti), accogliendo l'eccezione di incom
petenza proposta sul presupposto del carattere vessatorio della
clausola che aveva fissato la competenza nel luogo in cui la so
cietà di assicurazione ha la propria sede (Torino).
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 16 ago sto 2001, n. 11140; Pres. Ianniruberto, Est. Roselli, P.M.
Napoletano (conci, conf.); Filìpponi (Avv. Cester, Cossu) c.
Cassa nazionale di previdenza e assistenza per i dottori com
mercialisti (Avv. FOSSÀ). Conferma Trib. Udine 2 giugno 1998.
Professioni intellettuali — Previdenza — Contributi — Pre
scrizione — Disciplina (Cod. civ., art. 2934, 2935, 2937; r.d.l. 4 ottobre 1935 n. 1827, perfezionamento e coordina
mento legislativo della previdenza sociale, art. 55; 1. 3 feb
braio 1963 n. 100, istituzione della cassa nazionale di previ denza ed assistenza a favore dei dottori commercialisti, art.
18; 1. 29 gennaio 1986 n. 21, riforma della cassa nazionale di
previdenza e assistenza a favore dei dottori commercialisti,
art. 19; 1. 8 agosto 1995 n. 335, riforma del sistema pensioni stico obbligatorio e complementare, art. 3).
Previdenza e assistenza sociale — Versamento di contributi
prescritti — Esclusione (Cod. civ., art. 2939; 1. 29 gennaio
1986 n. 21, art. 19; 1. 8 agosto 1995 n. 335, art. 3).
La nuova disciplina in materia di prescrizione dei contributi
previdenziali, di cui all'art. 3 l. n. 335 del 1995, si applica anche alla contribuzione dovuta alle casse privatizzate dei li
beri professionisti. (1) Si deve escludere, in linea generale, un diritto soggettivo del
l'assicurato a versare contributi previdenziali prescritti, poi ché, nella materia previdenziale a differenza che in quella ci
vile, il regime della prescrizione già maturata è sottratto alla
disponibilità delle parti dall'art. 3, 9° comma, l. n. 335 del
1995, che vale per ogni forma di assicurazione obbligatoria e
che, inforza del 10° comma, si applica anche per i contributi
prescritti prima dell'entrata in vigore della legge. (2)
(1-2) La riportata decisione è la prima pronuncia dei giudici di le
gittimità in ordine all'applicabilità o meno della nuova disciplina della
prescrizione di cui all'art. 3 1. n. 335 del 1995 alle contribuzioni dovute
alle casse di previdenza privatizzate (ai sensi dei d.leg. 509/94 e
103/96) dei liberi professionisti. Stante la rilevanza della questione affrontata — ed esaminata dalla
riportata sentenza in poche righe: «l'art. 3, 9° comma, non distingue e
si riferisce a tutte le assicurazioni obbligatorie, comprendendo anche
quelle diverse dall'invalidità, vecchiaia e superstiti. Ed è canone erme
neutico comunemente accettato che dove la legge non distingue neppu re all'interprete è dato distinguere» — non resta che attendere la pros sima sentenza della Suprema corte in materia.
Sul tema affrontato da Cass. 11140/01, v. App. Milano 30 maggio 2000 e Trib. Roma 30 settembre 1999, Foro it., 2000,1, 3607, con nota di riferimenti di giurisprudenza e di dottrina (e prassi amministrativa). In dottrina, di recente, conf. alla riportata decisione, G. Sicchiero, La
prescrizione dei contributi previdenziali degli avvocati, in Contratto e
impr.. 2001, 912. [L. Carbone]
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Svolgimento del processo. — Con ricorso del 12 giugno 1995
al Pretore di Udine, Giuseppe Filipponi, iscritto alla cassa di
previdenza dei dottori commercialisti dal 1° gennaio 1971,
esponeva di aver chiesto, il 30 gennaio precedente, la retrodata zione dell'iscrizione, con conseguente possibilità di versare i
contributi previdenziali arretrati, al 2 marzo 1967, data in cui si
era iscritto nell'albo professionale ed aveva effettivamente ini
ziato ad esercitare la professione.
Respinta la domanda dalla cassa per prescrizione dei contri
buti, egli la reiterava davanti al pretore, che però, nel contrad
dittorio della convenuta, la respingeva anch'egli, quanto al ver
samento dei contributi prescritti, con decisione del 18 settembre
1996, confermata con sentenza 2 giugno 1998 dal tribunale (Fo ro itRep. 1999, voce Professioni intellettuali, n. 263), il quale
distingueva tra diritto soggettivo dell'assicurato alla pensione,
imprescrittibile una volta acquisito (prescrittibili rimanendo pe raltro i singoli ratei), e diritto dell'ente previdenziale ai contri
buti, la cui prescrizione era soggetta al regime d'indisponibilità dell'art. 3, 9° e 10° comma, 1. 8 agosto 1995 n. 335, con conse
guente divieto, imposto all'ente creditore, di accettare il versa
mento di contributi già prescritti. Contro questa sentenza ricorre per cassazione il Filipponi.
Resiste con controricorso la cassa di previdenza e assistenza dei
dottori commercialisti. Memoria del ricorrente.
Motivi della decisione. — Col primo motivo il ricorrente la
menta la violazione degli art. 2934 c.c. e 2 1. 3 febbraio 1963 n. 100, sostenendo che, come è imprescrittibile il diritto alla
pensione, garantito dall'art. 38 Cost., così deve ritenersi non as
soggettato a prescrizione — contrariamente a quanto affermato
dal tribunale nella sentenza qui impugnata — il «diritto all'i
scrizione e copertura contributiva», che dal primo è inscindibile.
Col secondo motivo, denunciando la violazione degli art. 55
r.d.l. 4 ottobre 1935 n. 1827, 3, 9° comma, 1. 8 agosto 1995 n.
335, 2935 e 2937 c.c. ed affermando la disponibilità della pre scrizione del credito spettante alla cassa di previdenza controri
corrente ed avente ad oggetto i contributi previdenziali, osserva
che:
a) l'indisponibilità della prescrizione, stabilita dalle leggi speciali ora citate per i crediti dell'Inps e comunque per gli enti
previdenziali pubblici, non varrebbe per le casse private, stante che quelle disposizioni eccezionali non sarebbero applicabili in
via analogica;
b) la perdita dei benefici previdenziali, conseguente all'im
possibilità di versare i contributi prescritti, è compensata nel re
gime assicurativo dell'Inps dalla costituzione, in favore dell'as
sicurato, della rendita vitalizia prevista nell'art. 13 1. 12 agosto 1962 n. 1338. La mancanza di tale compensazione nel regime delle casse private spiegherebbe l'impossibilità di estendere ad
esse l'indisponibilità della prescrizione in questione; c) in subordine, il regime di indisponibilità stabilito nell'art.
3, 9° e 10° comma, 1. n. 335 del 1995 opererebbe solo pro futu ro, vale a dire soltanto per i contributi non ancora prescritti al
momento dell'entrata in vigore di quella legge. Con il terzo motivo il ricorrente deduce la violazione degli
art. 2937, 2939 c.c. e 38 Cost, e sostiene che il lavoratore assi curato potrebbe far valere il proprio interesse a pagare i contri buti prescritti anche se l'ente creditore non li esiga ed anzi li ri fiuti.
I tre motivi, da esaminare insieme perché connessi, non sono
fondati.
Tesi di fondo del ricorrente è che, nel rapporto che lega il
professionista assicurato e la cassa previdenziale ed in cui al
l'obbligo, gravante sul primo, di pagare i contributi si contrap
pone quello, gravante sulla seconda, di corrispondere le presta zioni assicurative, sia altresì identificabile un diritto soggettivo del professionista «alla copertura assicurativa» ossia a versare i
contributi al fine di costituire, o eventualmente di migliorare nel
contenuto, il detto diritto alle prestazioni, come ad esempio alla
pensione di anzianità: ad avviso del ricorrente la garanzia co
stituzionale (art. 38 Cost.), che sottostà a questo diritto e che
pacificamente ne comporta l'imprescrittibilità, si estende al di
ritto alla copertura assicurativa rendendolo altresì imprescritti bile.
Ma la tesi è errata sia nel suo presupposto sia nelle conse
guenze che il ricorrente pretende di trarne.
Già in sede di teoria generale è disputato se la posizione del
debitore, rispetto alla liberazione dall'obbligazione (nel caso qui
Il Foro Italiano — 2001.
in esame, dall'obbligo di pagare i contributi), sia configurabile come diritto soggettivo e la posizione del creditore, rispetto alla
cooperazione nell'adempimento, come obbligo giuridico. A prescindere dagli strumenti apprestati dal codice civile (art.
1206-1217) per consentire al debitore di evitare gli effetti nega tivi del ritardo nell'adempimento, ed eventualmente di trasferirli
sul creditore, la dottrina è solita proporre diversi esempi di spe cifico interesse del debitore all'esatto adempimento; gli esempi
più di frequente addotti sono quelli della non accettazione della
remissione del debito (art. 1236) oppure del rapporto obbligato rio a prestazioni corrispettive, nel quale il debitore ha interesse
ad adempiere onde evitare la risoluzione e così assicurarsi il
conseguimento della controprestazione. Gli strumenti, anche
codicistici, di manutenzione del rapporto indicano la sussistenza
di un interesse giuridicamente rilevante del debitore ma non so
no sufficienti a fondare una pretesa di adempiere, contrapposta ad un obbligo del creditore di rendere comunque possibile la
prestazione e di accettarla, salvi i casi in cui ciò risulti dalla
legge o dal titolo costitutivo del rapporto obbligatorio. Se queste conclusioni teoriche generalmente accettate vengo
no ora riferite alla fattispecie qui in esame, l'esclusione di un
diritto soggettivo a versare i contributi — ammesso che sia con
figurabile — non può essere certo considerato come coperto da
una garanzia costituzionale tale da escluderne i limiti posti dalla
legge ordinaria.
Tra questi limiti il principale è dato dalla prescrizione estinti
va, che nell'obbligazione contributiva previdenziale si atteggia in modo diverso dalla prescrizione regolata nel codice civile
(art. 2934 ss.). Nel codice l'istituto è dominato dal principio di disponibilità,
in base al quale, ferma la disciplina legale di base (art. 2936), il
titolare passivo del rapporto (nelle obbligazioni, il debitore) può rinunziare alla prescrizione già maturata se si versi in materia
disponibile (art. 2937), la prescrizione non opera se non su ec cezione di parte (art. 2938) ed il debitore, se vuole, può pagare il debito prescritto senza poter poi agire in ripetizione (art.
2940). La più recente dottrina nega così che la prescrizione
estingua il diritto soggettivo e preferisce parlare di «efficacia
preclusiva», vale a dire di idoneità dell'eccezione di prescrizio ne ad escludere ogni ulteriore controversia sul diritto prescritto, ma non necessariamente estinto (in ipotesi, neppure mai nato).
Diversa è la disciplina della prescrizione nella contribuzione
previdenziale. Già l'art. 55, 2° comma, r.d.l. 4 ottobre 1935 n. 1827 stabili
va, in materia di contributi dovuti all'Inps, che non fosse «am
messa la possibilità di effettuare versamenti, a regolarizzazione di contributi arretrati, dopo che, rispetto ai contributi stessi, sia
intervenuta la prescrizione». Attualmente l'art. 3, 9° comma, dispone: «Le contribuzioni di
previdenza e di assistenza sociale obbligatoria si prescrivono e
non possono essere versate con il decorso dei termini di seguito indicati».
In tale regime, una volta esaurito il termine, la prescrizione ha una sicura efficacia estintiva, e non semplicemente preclusiva,
poiché l'ente previdenziale creditore non può rinunziarvi; essa
opera di diritto e deve perciò essere rilevata d'ufficio dal giudi ce, mentre il pagamento dopo la prescrizione costituisce paga mento d'indebito e dà diritto alla restituzione.
Il fondamento di questa disciplina è ragionevole, ciò che esclude ogni suo contrasto con gli art. 3 e 38 Cost. Esso corri
sponde ad un'esigenza di equilibrio finanziario degli enti previ denziali, che impedisce agli assicurati di costituirsi benefici at
traverso una contribuzione concentrata nel tempo e ritardata e che trova espressione anche nell'indisponibilità negoziale della
materia, sancita dall'art. 2115, 3° comma, c.c. (Cass. 19 gennaio 1968, n. 131, id., 1968, I, 366, e 5 ottobre 1998, n. 9865, id., Rep. 1998, voce Previdenza sociale, n. 708). Tale indisponibi lità giustifica anche la sottrazione dell'operatività della prescri zione estintiva all'autonomia dell'ente creditore.
La legislazione previdenziale concede talvolta la possibilità di
un tardivo versamento di contributi a fine di miglioramento della singola posizione assicurativa, come ad esempio nei casi
in cui l'assicurato sia ammesso al «riscatto» di determinati pe riodi, per lo più utilizzati per la preparazione professionale at
traverso corsi di studio, e non per il lavoro, col conseguente di
fetto di contribuzione. L'interesse pubblico alla migliore prepa razione professionale dei lavoratori induce il legislatore a con
cedere la contribuzione tardiva sulla base di specifici presuppo
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3607 PARTE PRIMA 3608
sti e comunque con previsioni non applicabili per analogia (le
numerose, ingiustificate disparità di trattamento in materia han
no dovuto infatti essere corrette in sede di giustizia costituzio
nale: tra le più recenti, Corte cost. 5 febbraio 1996, n. 20, id.,
1996, I, 385, e numerose altre ivi citate). Questi casi, pertanto, nulla tolgono al fondamento giustificativo delle norme sulla
prescrizione contenute negli art. 55, 2° comma, r.d.l. n. 1827 del
1935 e 3, 9° comma, 1. n. 335 del 1995.
Tutto ciò posto, non è dubbio che il citato art. 3, 9° comma, 1.
n. 335 del 1995 si applichi non soltanto all'Inps ma a qualsiasi forma di previdenza obbligatoria. La legge «ridefinisce il siste
ma previdenziale allo scopo di garantire la tutela prevista dal
l'art. 38 Cost.» (art. 1, 1° comma) ed ha perciò portata generale. E vero che al suo interno vengono talvolta indicati gli ambiti di
applicabilità delle singole disposizioni: alcune sono riferite alla sola «assicurazione generale obbligatoria», altre alle «forme so
stitutive ed esclusive» (art. 1, 6°, 10°, 25°, 28° comma), altre ai
«lavoratori autonomi iscritti all'Inps» (art. 1, 10° e 18° comma) o ai soli «enti privatizzati» (art. 3, 12° comma). Ma l'art. 3, 9°
comma, non distingue e si riferisce a tutte le assicurazioni ob
bligatorie, comprendendo anche quelle diverse dall'invalidità, vecchiaia e superstiti. Ed è canone ermeneutico comunemente
accettato che dove la legge non distingue neppure all'interprete è dato di distinguere.
Né vale in contrario il rilievo, svolto dal ricorrente nel secon
do motivo (supra, sub b), secondo cui la perdita della contribu
zione a causa di prescrizione genererebbe un'ingiustificata di
sparità di trattamento tra gli assicurati Inps e gli altri, privi della
possibilità di costituire una rendita vitalizia ex art. 13 1. n. 1338
del 1962. Il sopra illustrato fondamento ragionevole della sottrazione
alla disponibilità del debitore della disciplina della prescrizione estintiva in materia di contribuzione previdenziale ha una vali
dità generale onde non permette di discernere tra le diverse for
me assicurative. Che poi solamente per i lavoratori dipendenti la
legge preveda meccanismi riparatori, come la detta rendita vita
lizia oppure il diritto al risarcimento del danno, da esercitare
contro il datore di lavoro ai sensi dell'art. 2116 c.c., è circostan
za che non lede il principio d'uguaglianza sancito dall'art. 3
Cost.
Più volte la Corte costituzionale ha notato l'impossibilità di
parificare in tutto le diverse gestioni previdenziali, in relazione
alla provenienza dei soggetti assicurati da diverse esperienze la
vorative e contributive, alle differenti entità della contribuzione, ai livelli delle prestazioni, al regime della restituzione dei con
tributi non utilizzabili (da ultimo, sent. 5 marzo 1999, n. 61, id.,
1999,1, 1097). Per quanto riguarda specificamente la differenza qui lamen
tata, sarebbe irragionevole, ossia contrastante col principio di
eguaglianza (art. 3, 2° comma, Cost.), parificare la situazione
del lavoratore dipendente, che perde benefici previdenziali a
causa delle omissioni contributive del datore di lavoro e perciò
può costituirsi la rendita o chiedere il risarcimento del danno, e
la situazione del professionista, che per un periodo della sua vita
professionale omette di contribuire e più tardi vuole recuperare i
benefici perduti trasferendo sull'assicuratore, almeno in parte, il
costo dell'operazione. Priva di fondamento, infine, è la subordinata tesi del ricor
rente, secondo cui l'irretroattività della 1. n. 335 del 1995 (art. 11 preleggi) imporrebbe di applicarne l'art. 3, 9° comma, cit., solo nel caso di contributi non ancora prescritti nel momento
della sua entrata in vigore. La disposizione ora citata vieta l'uti
lizzazione di contributi prescritti in qualsiasi momento, ossia
impedisce di conseguire benefici previdenziali sulla base di quei contributi, ed il divieto non opera che per il futuro, restando così
esclusa qualsiasi efficacia retroattiva.
Questo è il significato da attribuire al 10° comma dello stesso
art. 3, che stabilisce l'applicabilità della nuova disciplina «an
che alle contribuzioni relative a periodi precedenti l'entrata in
vigore della presente legge». In conclusione si deve escludere, in linea generale, un diritto
soggettivo dell'assicurato a versare contributi previdenziali pre scritti poiché, nella materia previdenziale a differenza che in
quella civile, il regime della prescrizione già maturata è sottratto
alla disponibilità delle parti dall'art. 3, 9° comma, 1. n. 335 del
1995, che vale per ogni forma di assicurazione obbligatoria e
che, in forza del 10° comma, si applica anche per i contributi
prescritti prima dell'entrata in vigore della legge.
Il Foro Italiano — 2001.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 7 ago sto 2001, n. 10898; Pres. Lupo, Est. Varrone, P.M. Apice
(conci, diff.); Roberti (Avv. Iacobelli) c. Collegio dei geo metri della provincia di Benevento (Avv. Belperio), Proc.
rep. Trib. Benevento. Cassa senza rinvio Cons. naz. geometri 28 settembre 1998 e decide nel merito.
Professioni intellettuali — Geometra — Albo — Cancella
zione — Avvio del procedimento — Comunicazione all'in
teressato (R.d. 11 febbraio 1929 n. 274, regolamento per la
professione di geometra, art. 7; 1. 7 agosto 1990 n. 241, nuove
norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto
di accesso ai documenti amministrativi, art. 7).
L'avvio del procedimento di cancellazione di un geometra dal
l'albo professionale per incompatibilità deve essere comuni
cato all'interessato. (1)
Motivi della decisione. — Rispetto ai primi due motivi, che
investono il merito della pronuncia, assume valore prioritario il
terzo — e va pertanto esaminato con precedenza — il quale
contesta la rituale instaurazione del procedimento. Con esso, in
fatti, il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell'art. 7 1. 7 agosto 1990 n. 241, lamentando che non gli sia
stata data comunicazione dell'avvio del procedimento di can
cellazione, con derivata nullità della procedura e delle conse
guenti deliberazioni.
La censura deve ritenersi fondata. Al riguardo questa corte ha
già statuito che nel procedimento, di natura amministrativa, da
vanti al collegio locale dei geometri, diretto alla cancellazione
dall'albo del professionista che si trovi in situazione d'incom
patibilità, non sono applicabili le disposizioni dell'art. 12 r.d. n. 274 del 1929, in tema di convocazione ed ascoltazione dell'inte
ressato, le quali riguardano il diverso caso dei processi discipli
nari, né è invocabile la tutela del diritto di difesa ex art. 24
(1) Conf. Cass. 25 settembre 1997, n. 9432, Foro it., Rep. 1998, vo
ce Professioni intellettuali, n. 205, citata in motivazione, con cui si è bensì escluso che l'avvio del procedimento di cancellazione dall'albo
professionale di un geometra, in seguito alla dichiarazione del suo fal
limento, debba essere comunicato all'interessato, ma soltanto in quanto le varie incapacità, anche di diritto pubblico, derivanti dalla sottoposi zione alla procedura concorsuale, comportano quelle «particolari esi
genze di celerità», in presenza delle quali l'art. 7 1. 7 agosto 1990 n. 241 esonera l'amministrazione dall'osservanza dell'obbligo in questio ne.
Non constano ulteriori precedenti, neppure relativamente ad altre
professioni intellettuali. La decisione risulta però perfettamente in linea con la giurisprudenza amministrativa, la quale si è stabilmente orientata nel senso che si tratta di un requisito indefettibile di validità (v., da ul
timo, Cons. Stato, sez. IV, 3 ottobre 2000, n. 5235, id., Rep. 2000, voce
Regione, n. 278; 7 settembre 2000, n. 4707, ibid., voce Sanità pubblica, n. 834; 13 luglio 2000, n. 3920, ibid., n. 290; 15 maggio 2000, n. 2705, ibid., voce Opere pubbliche, n. 220; sez. VI 20 aprile 2000, n. 2443, ibid., voce Atto amministrativo, n. 269; sez. IV 17 aprile 2000, n. 2283, ibid., voce Edilizia e urbanistica, n. 179; 6 aprile 2000, n. 1965, ibid., voce Atto amministrativo, n. 221; sez. I 5 aprile 2000, n. 286/00, ibid., n. 228; sez. IV 15 marzo 2000, n. 1408, ibid., n. 222; sez. V 23 febbraio
2000, n. 948, ibid., voce Edilizia e urbanistica, n. 574; ad. plen. 24
gennaio 2000, n. 2, ibid., voce Atto amministrativo, n. 265; sez. VI 20
gennaio 2000, n. 276, ibid., n. 213; sez. IV 19 gennaio 2000, n. 248, id., 2000, III, 1; ad. plen. 15 settembre 1999, n. 14, id., 1999, III, 529 e
2000, III, 26, con nota di Ferrara), sicché non se ne può prescindere — salvo il già menzionato caso di sussistenza di speciali ragioni di ur
genza e quello, espressamente previsto dall'art. 13 della legge, di pro cedimenti diretti all'emanazione di atti normativi, amministrativi gene rali, di pianificazione e di programmazione — se non quando lo scopo della norma può ritenersi ugualmente raggiunto, come nelle ipotesi in cui disposizioni particolari prescrivano forme analoghe di preventiva comunicazione (Cons. Stato, sez. VI. 18 ottobre 2000, n. 5589, id..
Rep. 2000, voce Agricoltura, n. 100) o l'interessato abbia avuto co
munque piena cognizione dell'inizio del procedimento, avendolo egli stesso promosso (Cons. Stato, sez. IV, 5 luglio 2000, n. 3709, ibid., vo ce Atto amministrativo, n. 234) o avendone avuto aliunde esauriente notizia (Cons. Stato, sez. IV, 15 marzo 2000, n. 1398, ibid., n. 206) o essendo stato a conoscenza dei presupposti di fatto che necessariamente ne imponevano l'apertura (Cons. Stato, sez. IV, 15 marzo 2000, n.
1398, cit.) o essendo stato destinatario di atti equipollenti alla comuni cazione di avvio (Cons. Stato, sez. VI, 24 ottobre 2000, n. 5693. ibid., n. 223).
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