Sezione lavoro; sentenza 16 giugno 1982, n. 3663; Pres. F. Greco, Est. De Tommaso, P. M.Ferraiuolo (concl. conf.); Antonicelli ed altri (Avv. Ventura, Nappi, Pellegrini, Filomeno) c. Soc.S.i.p.; Soc. S.i.p. (Avv. Marazza, Cessari, Miletto) c. Antonicelli ed altri. Cassa Trib. Bari 20febbraio 1980Source: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 4 (APRILE 1983), pp. 1047/1048-1051/1052Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23175788 .
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1047 PARTE PRIMA 1048
Aggiungasi ancora, sempre in tema di riferimenti giurispru denziali, che già con la sentenza citata del 1957 n. 2695 que sta Suprema corte ha ritenuto pienamente ammissibile in giudizio separato la domanda di risarcimento danni basata sulla illegit timità di una trascrizione di una domanda giudiziale, rilevando che era cosi rispettato il principio di cui all'art. 96 c.p.c. circa l'inscindibilità della pronuncia sui danni dell'accertamento del l'inesistenza del diritto e che non era opponibile il fatto che la
pretesa di danni fosse stata avanzata in giudizio diverso da
quello in ordine al quale la domanda era stata illegittimamente trascritta; inoltre con la già citata recente sentenza n. 6182 del 26 novembre 1979 questa Suprema corte ha riconosciuto il diritto del curatore di fallimento e di altri soggetti a far dichiarare, in
giudizio separato da quello fallimentare, l'illegittimità della tra scrizione della opposizione del fallito alla dichiarazione di fal limento. Vero è che, in occasione di tale ultima decisione, nessuna delle parti aveva mosso la questione circa l'ammissibilità della domanda autonoma di cancellazione, ma è vero che, essendo
l'incompetenza funzionale rilevabile di ufficio anche in sede di
legittimità, il mancato rilievo di tale incompetenza dimostra per implicito che non è insorto alcun dubbio in ordine alla propo nibilità della domanda di cancellazione della trascrizione in un
giudizio autonomo.
Aggiungasi, d'altra parte, che non è vero affatto che l'esame della trascrivibilità o meno di una domanda comporti l'indagine su questioni di fatto o di diritto riservate al giudice della do manda trascritta: ciò ha affermato la corte di merito ma è ine satto in quanto l'esame di cui sopra comporta solo un'indagine circa la rispondenza della domanda trascritta alle fattispecie in cui è prevista la trascrizione (art. 2652 e 2653 c.c.) e quindi una
indagine assolutamente diversa e distinta da quella commessa al giudice della domanda trascritta, al quale spetta di accertare invece se sia fondata o meno la domanda di risoluzione, di re
scissione, di esecuzione specifica di preliminare e cosi via. Né d'altra parte si presenta, se non in via puramente ipo
tetica ed anomala, la possibilità di un contrasto di giudicati, nel senso che il giudice autonomamente investito della domanda di cancellazione ritenga illegittima una trascrizione che il giudice della domanda trascritta ritenga legittima e viceversa: invero, poi ché le ipotesi di trascrizione di domande giudiziali sono solo
quelle previste ed imposte dalla legge agli art. 2652 e 2653 c.c., è evidente che potrà essere in giudizio autonomo ordinata solo la cancellazione delle domande non legittimamente trascritte, mentre, per quelle per le quali la trascrizione risulti legittima, la cancellazione potrà avvenire solo a seguito di rigetto della do manda o estinzione del processo.
Con particolare riferimento,, infine, al caso di specie, appare del tutto fuori luogo il riferimento della corte di merito alla le
gittimità della trascrizione della domanda riconvenzionale di risoluzione proposta dalla Edilkroton ed alla possibilità che il Lagani agisca a sua volta per risoluzione: invero, nella fatti
specie è in gioco solo la domanda del Lagani intesa all'adem
pimento della transazione da parte della Edilkroton mercé il
pagamento di lire 108.000.000, per cui l'unica statuizione ri chiesta concerne la legittimità o meno della trascrizione di tale domanda e tale statuizione dovrà quindi essere resa dal giudice di rinvio, in applicazione del principio che ben può essere chie sta in giudizio autonomo la cancellazione della trascrizione di una domanda giudiziale assumendosi l'illegittimità di tale sta tuizione perché eseguita fuori delle ipotesi tassativamente pre viste dalla legge. <Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione lavoro; sentenza 16 giugno 1982, n. 3663; Pres. F. Greco, Est. De Tommaso, P. M. Fer raiuolo (conci, conf.); Antonicelli ed altri (Avv. Ventura, Nappi, Pellegrini, Filomeno) c. Soc. S.i.p.; Soc. S.i.p. (Avv. Marazza, Cessari, Miletto) c. Antonicelli ed altri. Cassa Trib. Bari 20 febbraio 1980.
Lavoro (rapporto) — Discriminazioni in danno dei minori —
Aumenti periodici di anzianità — Decorrenza dal compimento della maggiore età — Clausole contrattuali collettive — Ille gittimità (Cost., art. 3, 36, 37).
Lavoro (rapporto) — Discriminazioni in danno dei minori —
Previgente ordinamento — Nozione di minore — Conseguenze in relazione alla decorrenza del diritto agli aumenti periodici di anzianità (Cost., art. 3. 36, 37; cod. civ., art. 2).
Lavoro (rapporto) — Discriminazioni in danno dei minori —
Aumenti periodici di anzianità — Anzianità — Decorrenza
(Cost., art. 37).
Sono illegittime per violazione degli art. 3, 36 e 37 Cost, le clau
sole contrattuali collettive che fanno decorrere l'anzianità, ai
fini della maturazione del diritto agli aumenti periodici, dal
compimento della maggiore età anziché dall'assunzione. (1) Anteriormente alla l. 8 marzo 1975 in. 39, attributiva della mag
giore età ai diciottenni, per minore, ai sensi dell'art. 37 Cost., doveva intendersi il minore degli anni ventuno, discriminato
anch'esso, nel caso di specie, in virtù della esclusione dagli au
menti periodici di anzianità, pattuita in sede collettiva nei con
fronti dell'infraventunenne. (2) Ritenute illegittime le clausole contrattuali collettive che fissano
dal compimento della maggiore età la decorrenza degli scatti
periodici, l'anzianità rilevante a tal fine non può comunque decorrere da epoca antecedente all'entrata in vigore della Co
stituzione. (3)
Motivi della decisione. — I due ricorsi proposti contro la me
desima sentenza vanno riuniti ai sensi dell'art. 335 c.p.c. Col ricorso principale, denunciandosi violazione degli art. 1282
c.c. e 429, 3° comma, c.p.c., si censura la statuizione del tribu
nale circa la decorrenza degli interessi sul credito retributivo per
gli aumenti di anzianità riconosciuti, e si sostiene che data la
loro natura corrispettiva e non moratoria gli interessi suddetti
sono dovuti dalla scadenza del credito, come già ritenuto da que sta corte nella recente pronunzia n. 91 del 1979 (Foro it., Rep.
1979, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 263). Col ricorso incidentale si denuncia, in riferimento all'art. 360,
nn. 3 e 5, c.p.c., violazione e falsa applicazione degli art. 36, 37
e 136 Cost., 11 preleggi, 3, 1419 e 2948, n. 4, c.c., 7 carta sociale
europea anche in relazione alla 1. 17 ottobre 1977 n. 977 e al
d.p.r. 15 aprile 1977 n. 367, 429, 3° comma, e 112 c.p.c., nonché, sotto molteplici profili, il vizio di omessa o insufficiente motiva
zione su punto decisivo. E si articolano le seguenti censure: a) il tribunale ha errato nell'affermare la nullità, per contrasto con
l'art. 37, 3° comma, Cost., delle clausole dei contratti collettivi
che senza toccare i minimi salariali operano una differenziazione
di trattamento in ordine agli « scatti » d'anzianità tra minori e
maggiori di età; e tale errore ha radici sia nella mancata conside
razione dei principi più volte enunziati dalla Corte di cassazione
circa la natura e la funzione degli « scatti » di anzianità — prin
cipi disapplicati solo dalle più recenti sentenze n. 3060 (id., 1978,
I, 1630) e n. 4814 del 1978 (id., Rep. 1978, voce Lavoro (rap
porto), n. 835), e n. 2783 del 1979 (id., 1979, I, 1745) di questa stessa corte — sia nella mancata percezione della funzione del
cit. precetto costituzionale, che si esaurisce nell'assicurare al mi
norenne una retribuzione pari a quella che spetterebbe al lavo
ratore adulto, malgrado il differente rendimento, e che quindi non avrebbe modo di esplicarsi in relazione a trattamenti inte
grativi di carattere accessorio, quali appunto gli « scatti » di an
zianità; b) l'anzianità utile ai fini della maturazione degli « scat
ti » non poteva comunque decorrere da epoca precedente al 1°
giugno 1948, cioè da una data anteriore all'entrata in vigore della
Costituzione, pena la violazione del generale principio d'irretro
attività; c) prima della 1. 8 marzo 1975 n. 39, per « minore » do
veva intendersi il lavoratore d'età inferiore ai 18 anni; e, dovendo
leggersi in tal senso anche il riferimento contenuto nell'art. 37, 3°
comma, Cost., ogni differenziazione sancita dall'autonomia collet
tiva tra lavoratori di età superiore a tale limite avrebbe dovuto
giudicarsi lecita; d) poiché il diritto agli « scatti » di anzianità
(1-3) La Cassazione conferma una giurisprudenza ormai consolida
ta, dopo la decisiva affermazione in tal senso delle sezioni unite, con sentenze rese in data 22 ottobre 1980, n. 5678 e 16 ottobre 1980, n. 5541, Foro it., 1982, I, 243, con nota di richiami ed osserva zioni di O. Mazzotta. Tra le sentenze citate in motivazione non richiamate nella nota di cui sopra, cfr. Cass. 11 novembre 1976, n.
4177, id., Rep. 1976, voce Lavoro (rapporto), n. 429, e Cass. 11 no vembre 1976, n. 4178, ibid., n. 428, che, negando l'esistenza di un
generale principio di parità di trattamento nel nostro ordinamento, affermano la legittimità di un sistema differenziato di calcolo degli scatti biennali in misura fissa per il periodo antecedente all'accordo interconfederale 14 giugno 1952 per il trattamento economico e nor mativo dei dipendenti da imprese industriali, che ha previsto per il
periodo seguente l'applicazione degli scatti sui minimi tabellari di retribuzione base, aumentati dell'indennità di contingenza in vigore al momento di ogni singolo scatto.
Sulla nozione di minore nell'ambito del diritto del lavoro, prima della ricordata riforma del 1975, in senso conforme v., da ultimo, Cass. 1" dicembre 1982, nn. 6541 e 6528, id., Mass., 1278, 1277; 30 novembre 1982, n. 6509, ibid., 1272; 8 aprile 1981, n. 2031, id., Rep. 1981, voce cit., n. 1142.
In generale per l'esclusione del principio di parità di trattamento nel rapporto di lavoro, v. Cass. 27 marzo 1982, n. 1909, Riv. it. dir.
lav., 1983, II, 75, con nota di M. Sala Chiri; contra Pret. Cosenza 21 gennaio 1982, in questo fascicolo, I, 1171.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
riguarda un elemento accessorio della retribuzione, estraneo alla
disciplina dell'art. 36 Cost., rispetto ad esso non potevasi ritener
sospeso il corso della prescrizione in costanza del rapporto di la
voro; e) avrebbe dovuto escludersi la computabilità degli interessi sulla somma capitale rivalutata, perché dalla formulazione del
l'art. 429, 3° comma, c.p.c. risulta sia che la rivalutazione è un
elemento ulteriore rispetto agli interessi sia che essa si matura con la pronuncia della sentenza di condanna, cosi che per il pe riodo precedente gli interessi non possono tenerne conto; senza
dire che il calcolo degli interessi sul capitale rivalutato conduce, in pratica, a liquidare più volte, e ingiustamente, gli interessi
sulle medesimi somme; /) infine il tribunale è incorso in ultra
petizione, per aver ritenuto compresa nella richiesta di rivaluta
zione « anche degli interessi » ch'era stata formulata dai ricor
renti nelle conclusioni del ricorso al pretore, la domanda di inte
ressi sulla rivalutazione del capitale; quanto meno, è carente
la motivazione apodittica fornita in proposito dalla sentenza im
pugnata. Il ricorso incidentale dev'essere esaminato con precedenza, per
ragioni d'ordine logico. Il primo motivo di detto ricorso è infondato. L'indirizzo, sul
punto, da questa sezione manifestato con i tre arresti criticati dalla S.i.p. e ribadito con la pronunzia n. 2470 del 1980 (id., Rep. 1980, voce cit., n. 927) è stato difatti confermato dalle se zioni unite del Supremo collegio con la sentenza n. 5678 del 1980 (id., 1982, I, 243), che ha chiarito che l'art. 37, 3° comma, Cost., sancendo il diritto del lavoratore minore di età alla parità di retribuzione a parità di mansioni, opera con riferimento al l'intero trattamento retributivo, non soltanto a quello minimo ex art. 36, e, pertanto, osta a che la disciplina collettiva possa valida mente escludere il lavoro prestato dal minore medesimo ai fini dell'attribuzione degli scatti di anzianità, i quali integrano un aumento periodico del corrispettivo della prestazione lavorativa.
Alla motivazione della suddetta pronunzia delle sezioni unite
(che tra l'altro si è curata, di precisare i rapporti intercorrenti dal punto di vista sistematico tra gli art. 36 e 37 Cost, e gli art. 2 e 3 della Carta fondamentale) è perciò sufficiente qui fare rife rimento sia per i profili inerenti al contenuto oggettivo e sogget tivo della garanzia retributiva minimale sia per quelli concer nenti il preteso contrasto dell'ultimo indirizzo della sezione lavoro con quello, meno recente (sent. nn. 4177 e 4178 del 1976, id.,
Rep. 1976, voce cit., nn. 428, 429), espresso per sostenere la ne
gazione, nell'ambito del diritto positivo vigente, di un generale principio di parità di trattamento nei rapporti interprivati, ma non per giudicare legittimo il computo dell'anzianità per la con cessione degli scatti, a partire dal compimento della maggiore età
(cfr., del resto, in motivazione, già la sent. 2783 del 1979). In fatti la ricorrente per incidente non offre, al riguardo, argomenti nuovi o diversi da quelli che sono stati già confutati dalle sezioni
unite, o che possano indurre, anche per altra via, a discostarsi dalla via cosi autorevolmente segnata.
Anche il terzo ed il quarto motivo dello stesso ricorso, dei
quali conviene subito occuparsi per la loro connessione con quello appena esaminato, sono infondati. Sempre le sezioni unite di que sta corte, invero, nel confermare l'avviso espresso dalla sezione
lavoro con le richiamate decisioni nn. 3060 e 4814 del 1978 e n.
2783 del 1979, hanno respinto la tesi della S.i.p. secondo cui non sarebbero da considerare « minori » ex art. 37, 3° comma, Cost,
i lavoratori di età compresa tra i 18 ed i 21 anni. Leggesi infatti nella sentenza n. 5541 del 1980 (id., Rep. 1980, voce cit., n. 929) delle sezioni unite che i « minori » in favore dei quali l'art. 37
Cost, garantisce pari retribuzione per pari lavoro — e, quindi, comporta la nullità dei patti collettivi che neghino rilevanza al
servizio dai medesimi prestato ai fini della maturazione degli scatti di anzianità — sono coloro che non hanno raggiunto l'età
fissata per l'acquisto della piena capacità d'agire, e cioè, nel vi
gore della normativa anteriore alla 1. 8 marzo 1975 n. 39, gli anni
21; e non, pertanto, solo coloro che non hanno raggiunto i 18
anni previsti, per l'acquisto della capacità d'agire in materia di
lavoro, dal vecchio testo dell'art. 3 c.c.
E l'assunto che agli scatti d'anzianità non sarebbe applicabile la sospensione della prescrizione di cui alla nota sentenza n. 63
del 1966 (id., 1966, I, 985) della Corte costituzionale dev'essere di
satteso (in conformità, del resto, all'avviso già espresso da questa sezione: cfr., in motivazione, la sentenza n. 3090 del 1980 (id.,
1980, I, 1606) appunto in base ai rilievi svolti dalle sezioni unite
nella sentenza n. 5678 del 1980 (id., Rep. 1980, voce cit., n. 926) circa l'inclusione nell'intero trattamento retributivo degli scatti in
parola, attribuiti pur sempre in corrispettivo d'una prestazione di lavoro non discriminabile solo con riferimento all'età minore
o al sesso. Quindi non occorre — come suggeriscono nella memo
ria difensiva i resistenti incidentali — cercare la giustificazione
della variabile retributiva costituita dall'anzianità nella maggiore
esperienza e nel connesso miglior rendimento del lavoratore, cioè
nella più elevata « qualità » contemplata dall'art. 36 Cost, insie
me alla « quantità » del lavoro; ma è sufficiente rilevare l'accen
nato carattere di corrispettività degli aumenti periodici di an
zianità, secondo l'assetto convenzionale posto dalle parti che ne
vollero l'istituzione, per concludere che anch'essi godono della
tutela che ho operato, per effetto della sentenza del 10 giugno 1966,
n. 63, della Corte costituzionale, prima dell'entrata in vigore della
1. 20 maggio 1970 n. 300. Dopo tale data, che ha segnato il con
ferimento della c. d. « stabilità reale » (v., per tutte, Sez. un. n.
1268 del 1976, id., 1976, I, 915) ai rapporti di lavoro in que
stione, il decorso della prescrizione quinquennale dei crediti di
lavoro per il titolo di cui si tratta è stato poi validamente inter
rotto dai resistenti incidentali con atti ricevuti dalla S.i.p., come
è stato accertato dal giudice di merito. Né ha consistenza la pre tesa secondo cui l'esaurimento del quinquennio dovrebbe rica
varsi dal cumulo del periodo decorso dall'entrata in vigore dello
statuto dei lavoratori con il periodo maturato prima della pub blicazione della sentenza n. 63 del 1966 della Corte costituzio
nale, essendo pacifico il principio che la dichiarazione d'incosti
tuzionalità della norma che avrebbe dovuto rendere operante la
prescrizione fa venir meno ab origine lo strumento idoneo a
determinare l'estinzione del diritto (cfr., da ult., Cass. nn. 3060
e 4814 del 1978; nn. 4871 e 5998 del 1979; n. 3089 del 1980). È invece fondato il secondo motivo del ricorso incidentale,
proposto in via di subordine.
L'impugnata sentenza, dopo aver negato agli appellati il di
ritto agli scatti d'anzianità per il periodo antecedente all'entrata
in vigore della norma di legge inderogabile eliminatrice di ogni discriminazione retributiva dipendente solo dall'età, è pervenuta tuttavia ad un risultato sostanzialmente analogo avendo ritenuto
che dal 1° gennaio 1948, mediante il ricalcolo degli scatti, do
vesse considerarsi l'intera anzianità di servizio dei lavoratori, e
quindi anche quella parte di essa, già ritenuta non utile ai fini
suddetti dalla clausola del contratto collettivo stipulato nel di
cembre 1946, ch'era già maturata anteriormente alla data suin
dicata. Statuendo in tal modo a carico della S.i.p. un vero e
proprio obbligo di ricostruzione della carriera dei lavoratori, il
tribunale ha fatto malgoverno della volontà negoziale delle parti
stipulanti la clausola collettiva in discorso, ch'era in sé legitti ma ed efficace prima del sopravvenire dell'art. 37, 3° comma, Cost. Ha cioè supposto che il divieto di discriminazione ivi san
cito fosse operante, oltre che in combinazione con la contestuale
previsione negoziale dell'istituto degli scatti d'anzianità, pure re
trospettivamente in funzione sostitutiva dello stesso contenuto
del precetto dell'autonomia collettiva estrinsecatasi quando il di
vieto non sussisteva ancora; ed ha cosi trascurato che la tecnica
della sostituzione automatica della clausola negoziale difforme
(art. 1339 e 1419, 2° comma, c.c.), con cui si attua la prevalenza della norma sopraordinata, trova il suo limite invalicabile nella
realistica presa d'atto del momento in cui quest'ultima è intro
dotta nell'ordinamento, non essendo pensabile un intervento cor
rettivo-integrativo siffatto qualora manchi il suo essenziale ter
mine di riferimento, consistente appunto nel precetto legale in
derogabile. Detto altrimenti, se il contratto individuale di ciascun dipen
dente era stato validamente integrato dalla clausola del contratto
collettivo del 19 dicembre 1946 fino al 31 dicembre 1947, e se
successivamente a quest'ultima data la fonte della sua integra zione era da ricercare anche nell'art. 37, 3° comma, Cost., ciò
significa che al fine di determinare l'anzianità utile per la matu
razione del diritto agli scatti non bastava la mera espunzione, dal testo originario di quella clausola, dell'inciso « che hanno
compiuto il ventunesimo anno d'età » (riferito ai lavoratori),
ma doveva altresì' intendersi trasfusa implicitamente nella clau
sola cosi emendata la precisazione che il diritto alla maggiora zione era previsto, a prescindere dal compimento del ventunesi
mo anno, per ogni biennio di servizio prestato a partire dal 1°
gennaio 1948. Né può sostenersi che, emendata in tale duplice
senso, la clausola sancirebbe un'ultrattività della discriminazione
che sfuggirebbe alla sanzione della nullità; come si è detto, è
la qualificazione come discriminatoria della clausola che non può essere accettata prima dell'avvento della norma costituzionale.
E neppure è puntuale il richiamo alla motivazione dell'ordinan
za n. 128 del 25 marzo 1977 (id., 1977, I, 2086) con cui questa
sezione ha ritenuto non manifestamente infondata la questione
dell'illegittimità costituzionale dell'art. 6, 2° comma, r.d. 13 no
vembre 1924 n. 1825, in riferimento all'art. 52, 2° comma, Cost.,
investendo nel relativo esame la Corte costituzionale. Infatti tale
ordinanza concerne un caso di antinomia tra leggi dello Stato
aventi ad oggetto gli effetti del servizio militare sul contratto di
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1051 PARTE PRIMA 1052
lavoro (art. 6 r.d.l. 1825 cit.; art. 2111 c.c.; art. 1 d.l.c.p.s. 13 set
tembre 1946 n. 303; art. 52 Cost.) e su un istituto « legale »,
qual è l'indennità di anzianità (art. 2120 e 2121 c.c.); laddove
la questione qui esaminata riguarda un'ipotesi di conflitto tra
norma di legge ed autonomia collettiva in ordine ad un istituto
solo « contrattuale », quale è quello degli scatti d'anzianità;
conflitto alla cui soluzione serve, in relazione alla individuazio
ne del momento della sua reale insorgenza, un corretto procedi mento correttore-integratore della volontà negoziale delle parti
stipulanti la clausola collettiva istitutiva del diritto agli scatti
suddetti.
Nell'accoglimento, nel senso' cosi precisato, del secondo mezzo
del ricorso incidentale resta assorbito l'esame sia del quinto e del sesto motivo del medesimo ricorso sia dell'unico mezzo del
ricorso principale. La sentenza impugnata deve essere cassata
in relazione al motivo come sopra accolto, con il rinvio della
causa per nuovo esame al Tribunale di Trani (sez. lavoro), te
nuto ad uniformarsi ai principi su enunziati. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione li civile; sentenza 27 mag
gio 1982, n. 3232; Pres. De Biasi, Est. Sammartino, P. M.
Dettori (conci, conf.); D'Angelosante (Avv. Stella) c. Con
dominio via Tassoni 5, Pescara (Avv. Irti, De Dominicis,
Aloisio). Cassa App. L'Aquila 29 novembre 1979.
Comunione e condominio >— Condominio negli edifici — Deli
berazione assembleare — Nullità — Impugnazione da parte del socio presente e consenziente — Ammissibilità — Limiti
(Cod. civ., art. 1136, 1137, 1421).
Il condomino che abbia partecipato all'assemblea ed abbia espres so noto conforme alla deliberazione è legittimato a proporre
l'impugnazione per nullità della deliberazione (nella specie, do
vuta sia al mancato rispetto del quorum stabilito per le de
liberazioni che hanno per oggetto innovazioni delle cose co
muni, sia alla mancata convocazione di tutti i condomini) ove
dimostri di avervi interesse. (1)
(1) In senso conforme cfr. Cass. 15 novembre 1977, n. 4984, Foro
it., Rep. 1977, voce Comunione e condominio, n. 130, con riguardo al mancato avviso della convocazione assembleare, nonché Cass. 16
aprile 1973, n. 1079, id., 1973, I, 3082, in tema di partecipazione di
soggetti estranei al condominio alle deliberazioni e mancato rispetto dei quorum previsti dalla legge.
Contra, nella motivazione, Cass. 25 luglio 1978, n. 3725, id., 1978, I, 2450, a cui dire, pur essendo ammessa l'impugnazione — contro la delibera nulla da parte del condomino che si sia astenuto dal voto o abbia presentato scheda bianca —, « non sono legittimati ad im
pugnare tale deliberazione solo i condomini che hanno espresso voto favorevole ad essa, in quanto non hanno interesse a fare accertare la nullità della stessa avendovi dato causa ossia avendo contribuito alla formazione della volontà collettiva ».
In una posizione intermedia si collocano quelle pronunce (v., tra le più recenti, Cass. 8 novembre 1977, n. 4774, id., Rep. 1977, voce cit., n. 113; Trib. Napoli 21 febbraio 1974, id., Rep. 1975, voce cit., n. Ili) che distinguono, all'interno della generale categoria della
'nullità delle deliberazioni, tra nullità assoluta per mancanza dei
requisiti essenziali alla valida costituzione dell'assemblea (in altri ter mini, la fattispecie oggetto della sentenza in epigrafe) e nullità re lativa, ammettendo solo per la prima l'impugnabilità da parte di ogni condomino, mentre per la seconda il regime delle impugnazioni viene, di fatto, ricollegato al disposto dell'art. 1137 in tema di deli berazioni annullabili (e, al riguardo, torna chiarificatrice l'opinione espressa da Sacco, Il contratto, in Trattato, diretto da Vassalli, Torino, 1975, 875 ss., in merito alla nebulosa contrapposizione tra nullità ed annullabilità, quando afferma che « la giurisprudenza, forsfe, non è lontana dal sistema legale. La legge (art. 1421 c. c.) dice in fatti che « salve diverse disposizioni, la nullità può essere fatta valere da chiunque vi ha interesse, e può essere rilevata d'ufficio dal giu dice ». Su questa base, ben si spiega come talune figure d'invalidità ... siano presentate dalla legge come nullità, sebbene il numero dei le gittimati alla domanda sia ristretto. E parimenti si spiega come una parte della dottrina torni ad ammettere la figura della nullità relativa»).
La dottrina appare orientata nel tenere distinto il regime dell'im pugnativa ex art. 1137 c. c. (id est impugnativa delle delibere an nullabili) da quello dell'impugnativa per nullità: v., per questa posi zione, Branca, Comunione. Condominio negli edifici5, in Commentario, a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1972, sub art. 1109, 246 ss. e sub art. 1137, 650 ss.; Salis, Il condominio negli edifici, in Trattato, diretto da Vassalli, Torino, 1959, 360 ss.; Iudica, Comunione, « condominio » e legittimazione all'impugnativa di deli bere condominiali, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1970, 770 ed ivi ulteriori richiami. Per una diversa posizione cfr. Visco, Le case in condominio, Milano, 1976, 592 ss., a cui dire va criticata l'opinione dominante che fa dipendere le diverse modalità dell'impugnazione
Svolgimento del processo. — Con citazione 29 marzo 1969
Amalia D'Angelosante convenne in giudizio il condominio di
via Tassoni n. 5 in Pescara, di cui faceva parte, e chiese che
fosse dichiarata la nullità della delibera assembleare del 27 aprile
1968, avente ad oggetto l'installazione di una pompa per il sol
levamento dell'acqua, in quanto adottata con un numero di voti
che non rappresentava i due terzi del valore dell'edificio, come
prescrive l'art. 1136/5 c.c. per le innovazioni di cui all'art. 1120/1. Chiese inoltre che fosse annullata altra delibera del 22 febbraio
1969, comunicatale il 4 marzo, con cui era stata data attuazione
alla prima, per lo stesso motivo.
il condominio, costituitosi, rispose che la domanda era inam missibile e infondata. Il tribunale rigettò la domanda relativa alla delibera del 1968 perché l'installazione della pompa non co stituiva innovazione, in quanto non modificava la struttura o la destinazione dell'impianto, e la domanda relativa alla delibera del 1969 perché l'attrice aveva ritirato e non più depositato il pro prio fascicolo rendendo impossibile il suo esame.
Con l'atto di appello D'Angelosante reiterò le domande, dedu cendo inoltre che la delibera del 1968 era nulla perché non erano stati convocati due dei condomini, Roberto e Adriana De Nozza.
La corte de L'Aquila, premesso che l'appellante, pur doman dando anche l'annullamento della seconda delibera con le con clusioni dell'atto introduttivo, non ne aveva indicato le ragioni, rigettò l'appello, motivando che D'Angelosante, per avere mani festato la propria adesione alla delibera — ed anzi era stata tra i presenti che avevano chiesto l'installazione della pompa —
non aveva interesse ad impugnarla e, quanto alla mancata con
vocazione dei due condomini, che si trattava di una domanda
nuova, e quindi inammissibile in appello, perché imperniata su
di una causa petendi diversa da quella dedotta in primo grado, il cui esame postulava una nuova indagine di fatto e alterava gli
originari termini della lite.
Ricorre D'Angelosante con tre motivi:
1) Violazione degli art. 1136 e 1421 c.c., falsa applicazione del
l'art. 1137 c.c. e difetto di motivazione: la corte avrebbe do
vuto accogliere l'appello quanto alla prima delibera perché le
delibere nulle possono essere impugnate da chiunque vi abbia
interesse.
2) Falsa applicazione dell'art. 345 c.p.c., violazione dell'art.
1136/6 c.c. e difetto di motivazione: la corte avrebbe dovuto con
siderare che già nella citazione introduttiva di primo grado era
stata dedotta l'irregolarità della costituzione dell'assemblea per il motivo che vi aveva partecipato Domenico De Nozza, che non
era condomino, e non vi avevano partecipato i suoi figli, che lo
erano.
3) Violazione dell'art. 1135/5 c.c. e difetto di motivazione: la
corte avrebbe dovuto esaminare anche la domanda relativa alla delibera del 1969, perché i motivi dell'atto di appello, in stretta relazione con la motivazione di rigetto adottata dal tribunale, in
vestivano un punto di merito identico per entrambe le delibere
e quindi si riferivano anche a quella del 1969, essa pure nulla per ché adottata a maggioranza semplice. Il condominio si è costi
tuito e resiste.
Motivi della decisione. — A norma dell'art. 1137 c.c. le deli
berazioni dell'assemblea dei condomini possono essere impugnate con ricorso all'autorità giudiziaria da ogni condomino dissen
ziente. Per pacifica, consolidata giurisprudenza, detto articolo si
riferisce all'impugnazione delle deliberazioni annullabili, mentre
per quelle nulle provvede l'art. 1421 stesso codice — « Legittima zione all'azione di nullità » — per cui la nullità può essere fatta
valere da chiunque vi ha interesse, articolo che, dettato per i
contratti, è, anche qui pacificamente, ritenuto applicabile ad ogni
negozio giuridico.
Consegue che il condomino, il quale abbia partecipato all'as
semblea ed abbia espresso voto conforme alla deliberazione che
si assume nulla, non è escluso dal diritto di far valere la nullità, sol che alleghi e dimostri di avervi interesse, cioè che la delibe
razione, se non annullata, gli arrechi un qualche apprezzabile
pregiudizio. Non è pertanto condivisibile la tesi sostenuta da Cass., sez. II,
25 luglio 1978, n. 3725 (Foro it., 1978, I, 2450), secondo cui non sono legittimati ad impugnare la deliberazione nulla i condomini
(ex art. 1137 ovvero ex art. 1421) esclusivamente dalla qualificazione — dominata « da criteri astratti e generici » — delle delibere come annullabili o nulle (per un esempio di tale ' operazione
' classifica toria, cfr. l'ampia casistica riportata da Branca, cit., 651-52); mentre, in alternativa, si suggerisce una più proficua distinzione tra delibera zioni genericamente invalide e deliberazioni inesistenti in virtù di una rigida interpretazione del testo normativo dell'art. 1137 (cfr. spec. 596).
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