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sezione lavoro; sentenza 16 luglio 1998, n. 6988; Pres. De Tommaso, Est. Evangelista, P.M. Carnevali...

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sezione lavoro; sentenza 16 luglio 1998, n. 6988; Pres. De Tommaso, Est. Evangelista, P.M. Carnevali (concl. conf.); Soc. Emmepi telematica sicurezza (Avv. Mannino, D'Inzillo) c. Manfucci; Manfucci (Avv. Russo) c. Soc. Emmepi telematica sicurezza. Conferma Trib. Velletri 22 gennaio 1996 Source: Il Foro Italiano, Vol. 121, No. 10 (OTTOBRE 1998), pp. 2771/2772-2775/2776 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23192916 . Accessed: 25/06/2014 02:53 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 62.122.73.34 on Wed, 25 Jun 2014 02:53:33 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione lavoro; sentenza 16 luglio 1998, n. 6988; Pres. De Tommaso, Est. Evangelista, P.M.Carnevali (concl. conf.); Soc. Emmepi telematica sicurezza (Avv. Mannino, D'Inzillo) c. Manfucci;Manfucci (Avv. Russo) c. Soc. Emmepi telematica sicurezza. Conferma Trib. Velletri 22 gennaio1996Source: Il Foro Italiano, Vol. 121, No. 10 (OTTOBRE 1998), pp. 2771/2772-2775/2776Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23192916 .

Accessed: 25/06/2014 02:53

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2771 PARTE PRIMA 2772

Rilevava il tribunale che ex art. 2 1. 576/80 la pensione di

vecchiaia spetta al compimento dei sessantacinque anni di età

dopo almeno trent'anni di effettiva iscrizione e contribuzione

alla cassa e che detta norma deve essere collegata al disposto dell'art. 22 della stessa legge, il quale prevede che il comitato

dei delegati della cassa ha il compito di determinare gli iscrivibi li alla cassa stessa, tenendo presente l'entità e comunque il ca

rattere prevalente del lavoro professionale; che era risultato da

gli atti che l'attività svolta dall'appellante non era conforme

ai criteri determinati per i rispettivi anni di riferimento, sia quanto all'ammontare del reddito dichiarato ai fini Irpef, sia relativa

mente al numero dei procedimenti trattati. Avverso detta sen tenza propone ricorso l'aw. Cornacchione. Resiste la cassa con

controricorso.

Motivi della decisione. — Con il primo motivo si censura

la sentenza per violazione e falsa applicazione dell'art. 2, 1°

comma, 1. n. 576 del 1980 in relazione, tra gli altri, agli art.

2697 e 2720 c.c.

Premesso che era stata ritenuta l'insussistenza del requisito dei trenta anni di iscrizione alla cassa, per essere stato accertato

che egli aveva denunciato ai fini Irpef per gli anni dal 1976

al 1980 e per il 1982 un reddito inferiore a quello minimo previ sto e che si era rifiutato di produrre, in alternativa, i certificati

attestanti la trattazione di almeno venti cause in ciascuno di

quegli anni, il ricorrente sottolinea come il comportamento del

la cassa — che pur conoscendo quei dati aveva comunque anno

dopo anno accettato i contributi da lui versati — aveva ingene rato la convinzione della regolarità del rapporto previdenziale

intrattenuto, per cui il successivo ripensamento all'atto della ma

turazione della pensione sarebbe inopportuno e pretestuoso; in

ogni caso le verifiche annuali compiute dal comitato dei delega

ti, la determinazione dei contributi dovuti e la loro riscossione

sarebbero la prova inequivocabile della sussistenza dei requisiti

prescritti dalla legge, e tale prova renderebbe vana ogni diversa

presunzione e vieterebbe l'inversione dell'onere della prova. Con il secondo motivo si censura la sentenza per omessa,

insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto deci

sivo della controversia, o quanto meno per violazione o falsa

applicazione di norme di diritto, assumendo che il tribunale aveva

omesso di affrontare la questione di fondo da lui posta sulla

validità dell'iscrizione anche per gli anni in cui questa non sa

rebbe valida, ossia sul suo diritto nascente dalla comune inten zione negoziale delle parti ravvisabile nei comportamenti posti in essere.

Entrambi i motivi di ricorso, data la connessione vanno trat

tati congiuntamente e non sono meritevoli di accoglimento. Il ricorrente non contesta che per alcuni anni i redditi Irpef

dichiarati ai fini dei contributi da versare alla cassa, fossero inferiori a quelli annualmente stabiliti dal comitato dei delegati della cassa ai sensi dell'art. 2 1. 22 luglio 1975 n. 319, e non

contesta neppure di non essere stato in grado di dimostrare di

aver trattato in detti anni il numero minimo di cause stabilito, ma reclama il riconoscimento del suo diritto per il fatto che

la cassa, nonostante fosse stata a conoscenza anno per anno

dell'irregolarità delle dichiarazioni dei redditi e quindi dell'in sufficienza dei contributi versati, aveva comunque accettato detti contributi senza sollevare rilievi, e ciò sarebbe sufficiente a for nire la prova dei requisiti richiesti dalla legge.

L'argomentazione non è condivisibile in quanto l'irregolare versamento dei contributi non può considerarsi sanato dalla iner zia della cassa e quindi da questa non può farsi discendere la

regolarità del rapporto assicurativo con conseguente maturazio ne del diritto alle prestazioni.

Si tratta invero di diritti di cui la cassa non può disporre, non essendo abilitata a corrispondere trattamenti pensionistici in assenza di regolare rapporto assicurativo, onde non può as sumere alcuna rilevanza l'atteggiamento tenuto dalla cassa nel corso del rapporto ed è, quindi, fuori luogo invocarlo come manifestazione di volontà negoziale.

La legge peraltro non pone alcun obbligo alla cassa di effet tuare tempestivi rilievi avverso le dichiarazioni ed i versamenti annuali che non siano conformi alla legge, lo fa palese l'ultimo comma dell'art. 22 1. n. 576 del 1980, laddove, modificando l'art. 3 della precedente 1. n. 319 del 1975, dispone che la giunta esecutiva della cassa può provvedere periodicamente alla revi

II Foro Italiano — 1998.

sione degli iscritti con riferimento alla continuità dell'esercizio

professionale nel quinquennio, rendendo inefficaci agli effetti

dell'anzianità di iscrizione i periodi per i quali, entro il medesi mo termine, tale continuità non risulti dimostrata, e prevede altresì il rimborso, a richiesta, dei contributi degli anni di iscri

zione dichiarati inefficaci. Viene cioè conferito non un obbligo, ma solo una facoltà

di procedere alla revisione degli iscritti, e dal mancato esercizio

di tale facoltà non può discendere alcun effetto, meno che mai

quello di sanatoria della irregolare contribuzione come prospet ta il ricorrente.

Il ricorso va quindi respinto.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 16 luglio

1998, n. 6988; Pres. De Tommaso, Est. Evangelista, P.M.

Carnevali (conci, conf.); Soc. Emmepi telematica sicurezza

(Aw. Mannino, D'Inzillo) c. Manfucci; Manfucci (Aw. Rus

so) c. Soc. Emmepi telematica sicurezza. Conferma Trib. Vel

letri 22 gennaio 1996.

Lavoro (rapporto di) — Licenziamento disciplinare — Immuta

bilità della contestazione — Fattispecie (Cod. civ., art. 2119; 1. 20 maggio 1970 n. 300, norme sulla tutela della libertà e

dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sin

dacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento, art. 7).

Il principio di immutabilità della contestazione preclude al da

tore di lavoro di far valere, a sostegno delle sue determinazio ni disciplinari (nella specie, licenziamento), circostanze nuove

di natura tale da implicare una valutazione di maggiore gravi tà in quanto il loro concorso determini l'applicabilità di una

diversa norma di previsione dell'illecito disciplinare nel senso

che esse stesse si configurino quali elementi integrativi della

fattispecie astratta rispetto alla quale sarebbero insufficienti i fatti originariamente contestati, così essendo incompatibili con le garanzie del diritto di difesa che il procedimento disci

plinare mira ad assicurare (nella specie, è stato rigettato l'ap

pello avverso sentenza che ha ritenuto preclusa la successiva

contestazione da parte del datore di lavoro, che abbia origi nariamente addebitato al dipendente l'utilizzazione di un com

puter aziendale per la redazione di documenti estranei all'a

zienda, della destinazione dei documenti stessi ad azienda con

corrente della quale il dipendente medesimo sarebbe stato

vice-presidente ed azionista di maggioranza). (1)

(1) La sentenza in epigrafe puntualizza, nei termini descritti in massi ma, il consolidato principio di immutabilità della contestazione discipli nare, ponendone in luce, nel rigettare il motivo di ricorso facente leva sull'alternativa tra elementi di fatto e qualificazioni giuridiche (su cui, ad es., cfr. Cass. 29 luglio 1994, n. 7105, Foro it., Rep. 1994, voce Lavoro (rapporto), n. 811, per la quale il principio d'immutabilità ri

guarda i fatti, e non la qualificazione giuridica in relazione all'indica zione delle norme violate), il duplice profilo applicativo, l'uno, «di tipo ontologico», l'altro, correlato al primo, «di tipo funzionale». In tema di immodificabilità della contestazione, cfr., più di recente, Cass. 23

gennaio 1998, n. 624, Foro it., Mass., 67, per esteso in Notiziario giuris prudenza lav., 1998, 168, secondo cui il principio d'immutabilità non esclude che i fatti non contestati possano essere presi in considerazione con quelli contestati, anche nell'eventuale nesso di continuità, per valu tare la gravità della mancanza e la proporzionalità della sanzione; 17

gennaio 1998, n. 414, Foro it., Mass., 45, per esteso in Notiziario giuris prudenza lav., 1998, 188, per la quale l'immodificabilità dei motivi di recesso enunciati nell'intimazione del licenziamento riguarda le circo stanze di fatto essenziali, potendo essere specificati nel corso del giudi zio sull'impugnazione del licenziamento, gli elementi di fatto contenuti nella motivazione del recesso, e non potendo essere fatta valere una fattispecie giustificativa diversa da quella prospettata; più rigidamente, Cass. 7 febbraio 1997, n. 1152, Notiziario giurisprudenza lav., 1997, 656, che ha precisato che l'immutabilità riguarda sia il procedimento pregiudiziale, sia quello giudiziale, essendo al datore di lavoro consenti to solo di dedurre circostanze confermative dell'addebito contestato.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

(Omissis). — La società ricorrente denuncia violazione degli art. 7, 1° e 2° comma, 1. 20 maggio 1970 n. 300, 2119 c.c., 3 e 24 Cost.

Pur riconoscendo che l'addebito originario non faceva men

zione della preordinazione dell'attività contestata all'utilità di

un'impresa concorrente, cui il lavoratore partecipava in qualità di socio di maggioranza, osserva che la relativa circostanza at

tiene non al momento identificativo dei fatti costituenti l'illecito

disciplinare in sé, ma a quello della qualificazione giuridica dei medesimi, che il datore di lavoro non è in alcun modo tenuto

ad enunciare, essendo essa opera del giudice nell'eventuale giu dizio di accertamento della legittimità della sanzione.

Per circostanze nuove, che immutano, cioè, la tipologia del

l'illecito, devono intendersi solo quelle che si sostanziano in un

fatto storico nuovo esso stesso, in quanto mai contestato, non

anche quelle, che, fermo il fatto contestato, ne consentano la

valutazione quanto al disvalore ed all'incidenza sul piano dello

svolgimento del rapporto: ciò anche al fine di evitare sperequa zioni nel trattamento delle parti e di consentire loro un adegua to esercizio dei rispettivi diritti, in quanto, mentre il lavoratore, ottenuta la contestazione del fatto storicamente identificato è

in grado di conoscerne immediatamente, quale autore, tutti gli

aspetti che possono connotarlo di maggiore o minore gravità, il datore di lavoro ha bisogno di un adeguato spatium delibe

randi, per provvedere ad accertamenti che gli consentano analo

ghi apprezzamenti, da compiersi necessariamente ex post, al fi

ne di evitare che in sede di contestazione si riversi ogni possibile

congettura al riguardo. La censura non ha fondamento perché, commisurata alle ra

gioni che sorreggono la sentenza impugnata, disvela un'eviden te astrattezza e risulta, quindi, inidonea a scalfire l'impianto

logico-giuridico delle determinazioni cui sono pervenuti i giudi ci del merito.

Questi, in effetti, non hanno affatto negato che la questione dell'osservanza del principio dell'immutabilità della contestazione

debba essere risolta, come assume la ricorrente, verificando se

le nuove deduzioni del datore di lavoro conservino l'identità

del fatto contestato, inteso nella sua essenza ed a prescindere da ogni valutazione della sua gravità.

Hanno, invece, affermato, proprio in quest'ordine di idee, che la contestata utilizzazione di strumenti aziendali per utilità

personali o di terzi si concretava in un comportamento caratte

rizzato, appunto, da un'essenza non coincidente con quella rav

visabile nel compimento di atti di concorrenza sleale, al cui ad

debito sostanzialmente tendeva la tardiva deduzione della preor dinazione di codesta utilizzazione all'utilità di un terzo la cui

posizione non era indifferente rispetto alla società datrice di

lavoro, trattandosi di impresa concorrente alla cui gestione il

dipendente aveva, in quanto socio di maggioranza, un rilevante

interesse personale. Si tratta di una valutazione giuridicamente corretta, oltre che

sorretta da puntuale e coerente motivazione.

Il codice disciplinare apprestato dalla contrattazione colletti

Per una posizione più marcatamente «funzionalista» (stando alla termi

nologia di Cass. 6988/98, in epigrafe), cfr. Cass. 25 agosto 1993, n.

8956, Foro it., Rep. 1994, voce cit., n. 1400, per esteso Riv. it. dir.

lav., 1994, II, 213, con nota di P. Tullini, Ritualità e formalismo nel

procedimento disciplinare, per la quale non viene violato il principio di immutabilità della contestazione in ragione della mera divergenza dei fatti, senza che sia stata accertata, in concreto, una violazione del

diritto di difesa. Per Cass. 12 dicembre 1996, n. 11118, Foro it., Rep. 1996, voce cit.,

n. 1495, e 27 luglio 1996, n. 6787, id., 1996, I, 3368, con nota di richia

mi, l'immutabilità della contestazione preclude al datore di lavoro di

licenziare per altri motivi, ma non al lavoratore di difendersi in altro

modo rispetto a quanto fatto in un primo momento.

Sembra involgere il diverso principio di immutabilità della causale

del recesso, Cass. 6 ottobre 1997, n. 9713, id., Rep. 1997, voce cit., n. 1640, per esteso Riv. it. dir. lav., 1998, II, 337, con nota di P.

Ichino, Assenteismo abusivo e formalismo dei giudici, secondo cui nel

caso di lavoratore licenziato per scarso rendimento (nella specie, settan

tacinque per cento di assenze per malattia), il licenziamento non può essere giustificato in sede giudiziaria con la simulazione della malattia, in precedenza non formalmente ed esplicitamente contestata. In dottri

na, sul principio in questione, cfr., di recente, M. Papaleoni, Il proce dimento disciplinare nei confronti del lavoratore, Jovene, Napoli, 1996, 273 ss., ed ivi, in nota, riferimenti bibliografici e giurisprudenziali.

Il Foro Italiano — 1998.

va applicabile al rapporto di lavoro e del quale la ricorrente

ha inteso fare applicazione ai fini dell'intimazione del licenzia

mento, configura come sanzionabile la condotta del lavoratore

che, per utilità propria o di terzi, utilizzi senza autorizzazione

beni aziendali. Questa condotta è stata contestata al lavoratore e solo di essa

è consentito apprezzare il disvalore ai fini disciplinari, sia pure alla stregua di elementi che, sebbene nuovi rispetto alla conte

stazione, non ne alterino, tuttavia, la sostanza desumibile dai

fatti allora individuati, e semplicemente consentano una più pun tuale verifica degli aspetti concreti dell'episodio, con riguardo alla natura e qualità del singolo rapporto, alla posizione delle

parti, al grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansio

ni del dipendente nonché alla portata soggettiva del fatto stes

so, ossia alle circostanze del suo verificarsi, ai motivi ed alla

intensità dell'elemento intenzionale e di quello colposo. Più in particolare, il criterio attraverso il quale è dato stabili

re se le nuove deduzioni del datore di lavoro a sostegno delle sue determinazioni nell'esercizio del potere disciplinare siano pre cluse dall'operatività del principio di immutabilità della conte

stazione si snoda in un duplice profilo applicativo, l'uno di tipo

ontologico, l'altro di tipo funzionale.

Sotto il primo aspetto, la corte osserva che una modificazio

ne sostanziale appare ravvisabile quante volte le circostanze nuove siano di natura tale da implicare bensì una valutazione di mag

gior gravità, ma solo perché il loro concorso determina l'appli cabilità di una diversa norma di previsione dell'illecito discipli

nare, nel senso che esse stesse si configurano quali elementi in

tegrativi della fattispecie astratta ivi delineata, rispetto alla quale

sarebbero, invece, insufficienti i fatti originariamente contesta

ti, sicché ne risulta realizzata una sorta di «progressione» nel

l'illecito stesso, con necessario assorbimento della diversa e me

no grave fattispecie cui tali fatti risultino autonomamente ri

conducibili. Il che implica la rilevanza del secondo, ma correlato, aspetto,

perché una tardiva deduzione, se attiene a circostanze prive di

valore identificativo della fattispecie, non preclude all'autore della

condotta illecita di addurre a propria discolpa tutti gli elementi

e le ragioni che, rispetto alla medesima fattispecie, gli appaiono — per la conoscenza diretta ed immediata della situazione, che

proprio l'anzidetta sua qualità gli permette — idonei a consen

tire nei termini suesposti un concreto apprezzamento dell'effet

tiva gravità dello specifico episodio; mentre, se si risolve in una

immutazione del titolo dell'illecito, diviene incompatibile con

le garanzie del diritto di difesa che il procedimento disciplinare mira ad assicurare al lavoratore incolpato, in quanto, dopo aver

ne orientato l'esercizio nel senso suggerito dalla primitiva con

testazione, affida la giustificazione del provvedimento discipli nare ad elementi che sono stati, in realtà, sottratti ad un effetti

vo contraddittorio.

In quest'ordine di idee, Cass. 25 febbraio 1993, n. 2287, Fo

ro it., Rep. 1993, voce Lavoro (rapporto), n. 1391, dopo avere

ribadito che l'immutabilità — volta a garantire la possibilità di difesa del dipendente — della causa di licenziamento conte

stata preclude (ai fini della verifica della legittimità dello stesso

licenziamento) l'attribuibilità al lavoratore di nuovi fatti, salvo

che questi configurino circostanze confermative dell'addebito già

contestato, ha confermato la sentenza impugnata con la quale i giudici del merito avevano ritenuto preclusi — in relazione

al licenziamento di una cassiera fondato sulla mancata registra zione di cassa di due vendite e sul mancato rilascio del relativo

scontrino fiscale — la deduzione e l'accertamento dell'ulteriore

e diverso fatto costituito dall'incasso e dall'appropriazione delle

somme non registrate, anche qui, evidentemente, come nel caso

oggetto della presente controversia, per il rilievo assorbente che

rispetto alla minore infrazione contestata avrebbe avuto la «pro

gressione» verso altra fattispecie di illecito, alla cui realizzazio

ne l'infrazione stessa era diretta.

Ed in effetti, anche nel caso di specie, il sopra descritto sup

plemento di contestazione che si pretende dalla ricorrente con

sentito ad colorandum, mostra, invece, la sua attitudine sostan

zialmente innovativa, in quanto, come esattamente sottolineato

dal tribunale, arricchisce la fattispecie disciplinare, originariamente fatta valere nei limiti della previsione contrattuale al riguardo, di elementi costitutivi che ne comportano l'assorbimento per pro

gressione in altra di diversa natura, oggetto di una particolare

previsione normativa, come quella di cui all'art. 2105 c.c.

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2775 PARTE PRIMA 2776

Questi principi — che si improntano ad equo contempera mento delle contrapposte esigenze delle parti del rapporto di

lavoro ed a valori di effettività del diritto di difesa in materia disciplinare, che la Corte costituzionale ha più volte riconosciu

to (v., fra le altre, le sentenze 30 novembre 1982, n. 204, id.,

1982, I, 2981; 25 luglio 1989, n. 427, id., 1989, I, 2685; 23 luglio 1991, n. 364, id., 1991, I, 2609) inalienabile acquisizione del patrimonio civile del lavoratore, nei cui confronti è esercita

to il potere della controparte, sì da sottrarre le relative norme

ordinarie di previsione a qualsiasi dubbio di dissonanza dal mo

dello prefigurabile in base al combinato disposto degli art. 3

e 24 Cost. — ispirano anche la sentenza impugnata, che, per tanto, resiste alle censure formulate dalla ricorrente.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, restandone da

un lato, assorbito, alla stregua di quanto dianzi osservato, il

ricorso incidentale condizionato, e, dall'altro, conseguendone la condanna della ricorrente principale, in ragione della sua soc

combenza, al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, oltre ai relativi onorari liquidati in lire 3.000.000 (tremilioni).

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 14 luglio

1998, n. 6894; Pres. De Tommaso, Est. G. Prestipino, P.M.

Fedeli (conci, conf.); Min. int. (Avv. dello Stato Sabelli) c. Malquori. Cassa Trib. Firenze 12 marzo 1997 e decide nel

merito.

Invalidi civili e di guerra — Invalidità civile — Tutela giurisdi zionale — Legittimazione passiva (L. 24 dicembre 1993 n.

537, interventi correttivi di finanza pubblica, art. 11; d.p.r. 21 settembre 1994 n. 698, regolamento recante norme sul rior

dinamento dei procedimenti in materia di riconoscimento del

le minorazioni civili e sulla concessione dei benefici economi

ci, art. 3, 6).

In materia di invalidità civile, in seguito al d.p.r. 21 settembre

1994 n. 698, la domanda giudiziale contro l'accertamento sa

nitario che esclude l'invalidità va proposta nei confronti del

ministero del tesoro, mentre va proposto nei confronti del

ministero dell'interno il ricorso contro il provvedimento che

concede o nega i benefici economici. (1)

(1) La Corte di cassazione interviene per la prima volta sulla riforma dei procedimenti in materia di invalidità civile realizzata con d.p.r. 21 settembre 1994 n. 698, in attuazione della delega contenuta nell'art. 11 1. 24 dicembre 1993 n. 537. La corte ha stabilito che la legittimazio ne passiva, nel giudizio promosso a seguito di un accertamento sanita rio negativo, spetti al ministero del tesoro e non al ministero dell'inter no. Di contrario avviso, in precedenza, Pret. Pisa 25 febbraio 1997, Foro it., Rep. 1997, voce Invalidi civili e di guerra, nn. 30, 31 (secondo la quale la legittimazione passiva spetta in via concorrente al ministero del tesoro e al ministero dell'interno); Pret. Firenze 29 aprile 1997, ibid., n. 29, e Pret. Napoli 16 aprile 1996, id., 1998, I, 942, con nota di richiami e osservazioni di B. Tonoletti (secondo le quali la legittima zione passiva spetta in ogni caso ed in via esclusiva al ministero dell'in

terno). Per comprendere i termini del contrasto che in tal modo si va delineando in giurisprudenza sull'interpretazione del d.p.r. n. 698 del

1994, è necessario confrontare la nuova disciplina con la normativa

precedente, anche nell'applicazione fattane dalla giurisprudenza. La legge delega n. 537 del 1993 ha posto come criterio direttivo la

separazione tra procedimento di accertamento sanitario e procedimento di erogazione della prestazione. Tale criterio è stato attuato dal regola mento (art. 1 e 4), che ha, però, fatto corrispondere alla separazione dei procedimenti anche una diversa legittimazione passiva nelle contro versie giurisdizionali: della regione e del ministero del tesoro, «a secon da che l'atto impugnato sia stato emanato dalle commissioni mediche

operanti presso le unità sanitarie locali o dalle commissioni periferiche per le pensioni di guerra e di invalidità civile», per le controversie rela tive all'accertamento dello stato di minorazione (art. 3, 5° comma);

Il Foro Italiano — 1998.

Svolgimento del processo. — Con ricorso del 21 dicembre

1995 Gina Malquori conveniva davanti al Pretore del lavoro

di Firenze il ministero dell'interno e chiedeva che fosse dichia

rato, contrariamente a quanto era stato affermato dalla com

missione medica periferica, che essa si trovava nella situazione

di invalidità richiesta dalla legge per conseguire l'indennità di accompagnamento e che, per conseguenza, il convenuto fosse

condannato ad erogarle il beneficio.

Costituitosi in giudizio, il ministero deduceva che la contro versia riguardava l'accertamento dell'esistenza, o meno, dei re

dei ministero dell'interno per le controversie concernenti il diritto all'e

rogazione della prestazione (art. 6, 4° comma). L'art. 3, 5° comma, è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo, nella parte in cui attri buisce alla regione la legittimazione passiva, da Corte cost. 20 maggio 1996, n. 156, id., Rep. 1996, voce cit., nn. 6, 7. Quindi, a seguito della decisione della corte, sono rimaste soltanto la legittimazione passi va del ministero del tesoro e del ministero dell'interno. Se si confronta il d.p.r. n. 698 del 1994 con la disciplina previgente, risulta che la vera novità è rappresentata proprio dalle norme sulla legittimazione passiva del ministero del tesoro e del ministero dell'interno. Infatti, la distinzio

ne dei procedimenti era già prevista nella 1. 30 marzo 1971 n. 118 e la loro separazione funzionale era già stata realizzata dalla 1. 15 ottobre 1990 n. 295, con l'attribuzione del procedimento di accertamento sani tario alla competenza dell'amministrazione del tesoro e del procedimen to di erogazione delle prestazioni alla competenza dell'amministrazione dell'interno.

Tale separazione, però, non aveva avuto alcuna incidenza sul regime della tutela giurisdizionale. La giurisprudenza, infatti, aveva ritenuto che la conclusione di entrambi i procedimenti amministrativi costituisse condizione di procedibilità dell'azione giudiziaria, ma che la procedibi lità si realizzasse già con la conclusione del primo procedimento quan do l'accertamento sanitario avesse dato esito negativo per l'interessato, «tenuto conto che il secondo procedimento ha carattere meramente even tuale, per il caso di accertamento positivo dei requisiti di minorazione, e che, peraltro, la tutela giurisdizionale si pone su un piano autonomo, non configurando mera impugnazione della decisione amministrativa»

(così, da ultimo, Cass. 18 febbraio 1991, n. 1700, id., Rep. 1991, voce

cit., n. 23; cfr., per ulteriori richiami, la nota a Pret. Napoli 16 aprile 1996, cit.). In tal modo, la giurisprudenza, considerando il diritto alle

prestazioni di invalidità civile come una situazione soggettiva unitaria, non frazionabile in un diritto al riconoscimento della condizione di in valido ed in un diritto all'erogazione della prestazione, aveva negato che la separazione dei procedimenti amministrativi potesse ripercuotersi sulle modalità della tutela giurisdizionale. In altri termini, secondo la

giurisprudenza, la previsione di due procedimenti amministrativi sepa rati non poteva avere la conseguenza di costringere l'interessato a pro muovere due successivi giudizi, uno per il riconoscimento dell'invalidità e l'altro per la condanna dell'amministrazione all'erogazione della pre stazione.

Sulla base di queste premesse, la giurisprudenza aveva anche ritenuto che la legittimazione passiva nei giudizi in materia spettasse sempre e unicamente al ministero dell'interno, in quanto soggetto obbligato all'e

rogazione della prestazione, considerando «in proposito irrilevante che l'accertamento in sede amministrativa sui requisiti di minorazione sia affidato a commissioni inserite nell'organizzazione delle regioni» (Cass. 19 febbraio 1988, n. 1757, id., Rep. 1988, voce cit., n. 17; 28 agosto 1987, n. 7107, id., Rep. 1987, voce cit., n. 18; 24 ottobre 1985, n.

5251, id., 1986, I, 711). La stessa considerazione poteva essere agevol mente estesa anche al caso in cui l'accertamento sanitario fosse di com

petenza delle commissioni mediche inserite nell'organizzazione del mi nistero del tesoro (cfr. art. 1, 7° comma, 1. 15 ottobre 1990 n. 295), dal momento che, nella logica di questa giurisprudenza, l'elemento che determina la legittimazione passiva nei processi in materia non è l'attri buzione della competenza ad una certa struttura amministrativa, ma

l'impugnazione dell'obbligazione finale relativa alla concreta erogazio ne della prestazione.

È contro questa logica che le norme del d.p.r. n. 698 del 1994 hanno stabilito espressamente una legittimazione processuale passiva separata in relazione al procedimento di accertamento sanitario e al procedimen to di erogazione della prestazione. Secondo Pret. Napoli 16 aprile 1996, cit., si deve ravvisare in ciò il tentativo di spezzare in due la tutela

giurisdizionale in materia, in modo che, ottenuta una sentenza favore vole sul riconoscimento della minorazione, l'interessato debba ancora richiedere la prestazione alla prefettura e, in caso di diniego, ricorrere nuovamente al giudice per ottenere finalmente la condanna all'eroga zione della prestazione. Interpretate in tal modo, sempre secondo la sentenza ora citata, le norme del regolamento sono illegittime, oltre che per eccesso di delega, per violazione dell'art. 24 Cost., poiché, fra zionando il processo per il riconoscimento di un unico diritto, rende rebbero eccessivamente onerosa la tutela giurisdizionale. Ne consegue che, disapplicata la norma relativa alla legittimazione passiva del mini stero del tesoro, l'unico legittimato rimane il ministero dell'interno. Al le medesime conclusioni è giunta anche Pret. Firenze 29 aprile 1997,

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