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sezione lavoro; sentenza 16 luglio 1998, n. 6988; Pres. De Tommaso, Est. Evangelista, P.M.Carnevali (concl. conf.); Soc. Emmepi telematica sicurezza (Avv. Mannino, D'Inzillo) c. Manfucci;Manfucci (Avv. Russo) c. Soc. Emmepi telematica sicurezza. Conferma Trib. Velletri 22 gennaio1996Source: Il Foro Italiano, Vol. 121, No. 10 (OTTOBRE 1998), pp. 2771/2772-2775/2776Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23192916 .
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2771 PARTE PRIMA 2772
Rilevava il tribunale che ex art. 2 1. 576/80 la pensione di
vecchiaia spetta al compimento dei sessantacinque anni di età
dopo almeno trent'anni di effettiva iscrizione e contribuzione
alla cassa e che detta norma deve essere collegata al disposto dell'art. 22 della stessa legge, il quale prevede che il comitato
dei delegati della cassa ha il compito di determinare gli iscrivibi li alla cassa stessa, tenendo presente l'entità e comunque il ca
rattere prevalente del lavoro professionale; che era risultato da
gli atti che l'attività svolta dall'appellante non era conforme
ai criteri determinati per i rispettivi anni di riferimento, sia quanto all'ammontare del reddito dichiarato ai fini Irpef, sia relativa
mente al numero dei procedimenti trattati. Avverso detta sen tenza propone ricorso l'aw. Cornacchione. Resiste la cassa con
controricorso.
Motivi della decisione. — Con il primo motivo si censura
la sentenza per violazione e falsa applicazione dell'art. 2, 1°
comma, 1. n. 576 del 1980 in relazione, tra gli altri, agli art.
2697 e 2720 c.c.
Premesso che era stata ritenuta l'insussistenza del requisito dei trenta anni di iscrizione alla cassa, per essere stato accertato
che egli aveva denunciato ai fini Irpef per gli anni dal 1976
al 1980 e per il 1982 un reddito inferiore a quello minimo previ sto e che si era rifiutato di produrre, in alternativa, i certificati
attestanti la trattazione di almeno venti cause in ciascuno di
quegli anni, il ricorrente sottolinea come il comportamento del
la cassa — che pur conoscendo quei dati aveva comunque anno
dopo anno accettato i contributi da lui versati — aveva ingene rato la convinzione della regolarità del rapporto previdenziale
intrattenuto, per cui il successivo ripensamento all'atto della ma
turazione della pensione sarebbe inopportuno e pretestuoso; in
ogni caso le verifiche annuali compiute dal comitato dei delega
ti, la determinazione dei contributi dovuti e la loro riscossione
sarebbero la prova inequivocabile della sussistenza dei requisiti
prescritti dalla legge, e tale prova renderebbe vana ogni diversa
presunzione e vieterebbe l'inversione dell'onere della prova. Con il secondo motivo si censura la sentenza per omessa,
insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto deci
sivo della controversia, o quanto meno per violazione o falsa
applicazione di norme di diritto, assumendo che il tribunale aveva
omesso di affrontare la questione di fondo da lui posta sulla
validità dell'iscrizione anche per gli anni in cui questa non sa
rebbe valida, ossia sul suo diritto nascente dalla comune inten zione negoziale delle parti ravvisabile nei comportamenti posti in essere.
Entrambi i motivi di ricorso, data la connessione vanno trat
tati congiuntamente e non sono meritevoli di accoglimento. Il ricorrente non contesta che per alcuni anni i redditi Irpef
dichiarati ai fini dei contributi da versare alla cassa, fossero inferiori a quelli annualmente stabiliti dal comitato dei delegati della cassa ai sensi dell'art. 2 1. 22 luglio 1975 n. 319, e non
contesta neppure di non essere stato in grado di dimostrare di
aver trattato in detti anni il numero minimo di cause stabilito, ma reclama il riconoscimento del suo diritto per il fatto che
la cassa, nonostante fosse stata a conoscenza anno per anno
dell'irregolarità delle dichiarazioni dei redditi e quindi dell'in sufficienza dei contributi versati, aveva comunque accettato detti contributi senza sollevare rilievi, e ciò sarebbe sufficiente a for nire la prova dei requisiti richiesti dalla legge.
L'argomentazione non è condivisibile in quanto l'irregolare versamento dei contributi non può considerarsi sanato dalla iner zia della cassa e quindi da questa non può farsi discendere la
regolarità del rapporto assicurativo con conseguente maturazio ne del diritto alle prestazioni.
Si tratta invero di diritti di cui la cassa non può disporre, non essendo abilitata a corrispondere trattamenti pensionistici in assenza di regolare rapporto assicurativo, onde non può as sumere alcuna rilevanza l'atteggiamento tenuto dalla cassa nel corso del rapporto ed è, quindi, fuori luogo invocarlo come manifestazione di volontà negoziale.
La legge peraltro non pone alcun obbligo alla cassa di effet tuare tempestivi rilievi avverso le dichiarazioni ed i versamenti annuali che non siano conformi alla legge, lo fa palese l'ultimo comma dell'art. 22 1. n. 576 del 1980, laddove, modificando l'art. 3 della precedente 1. n. 319 del 1975, dispone che la giunta esecutiva della cassa può provvedere periodicamente alla revi
II Foro Italiano — 1998.
sione degli iscritti con riferimento alla continuità dell'esercizio
professionale nel quinquennio, rendendo inefficaci agli effetti
dell'anzianità di iscrizione i periodi per i quali, entro il medesi mo termine, tale continuità non risulti dimostrata, e prevede altresì il rimborso, a richiesta, dei contributi degli anni di iscri
zione dichiarati inefficaci. Viene cioè conferito non un obbligo, ma solo una facoltà
di procedere alla revisione degli iscritti, e dal mancato esercizio
di tale facoltà non può discendere alcun effetto, meno che mai
quello di sanatoria della irregolare contribuzione come prospet ta il ricorrente.
Il ricorso va quindi respinto.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 16 luglio
1998, n. 6988; Pres. De Tommaso, Est. Evangelista, P.M.
Carnevali (conci, conf.); Soc. Emmepi telematica sicurezza
(Aw. Mannino, D'Inzillo) c. Manfucci; Manfucci (Aw. Rus
so) c. Soc. Emmepi telematica sicurezza. Conferma Trib. Vel
letri 22 gennaio 1996.
Lavoro (rapporto di) — Licenziamento disciplinare — Immuta
bilità della contestazione — Fattispecie (Cod. civ., art. 2119; 1. 20 maggio 1970 n. 300, norme sulla tutela della libertà e
dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sin
dacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento, art. 7).
Il principio di immutabilità della contestazione preclude al da
tore di lavoro di far valere, a sostegno delle sue determinazio ni disciplinari (nella specie, licenziamento), circostanze nuove
di natura tale da implicare una valutazione di maggiore gravi tà in quanto il loro concorso determini l'applicabilità di una
diversa norma di previsione dell'illecito disciplinare nel senso
che esse stesse si configurino quali elementi integrativi della
fattispecie astratta rispetto alla quale sarebbero insufficienti i fatti originariamente contestati, così essendo incompatibili con le garanzie del diritto di difesa che il procedimento disci
plinare mira ad assicurare (nella specie, è stato rigettato l'ap
pello avverso sentenza che ha ritenuto preclusa la successiva
contestazione da parte del datore di lavoro, che abbia origi nariamente addebitato al dipendente l'utilizzazione di un com
puter aziendale per la redazione di documenti estranei all'a
zienda, della destinazione dei documenti stessi ad azienda con
corrente della quale il dipendente medesimo sarebbe stato
vice-presidente ed azionista di maggioranza). (1)
(1) La sentenza in epigrafe puntualizza, nei termini descritti in massi ma, il consolidato principio di immutabilità della contestazione discipli nare, ponendone in luce, nel rigettare il motivo di ricorso facente leva sull'alternativa tra elementi di fatto e qualificazioni giuridiche (su cui, ad es., cfr. Cass. 29 luglio 1994, n. 7105, Foro it., Rep. 1994, voce Lavoro (rapporto), n. 811, per la quale il principio d'immutabilità ri
guarda i fatti, e non la qualificazione giuridica in relazione all'indica zione delle norme violate), il duplice profilo applicativo, l'uno, «di tipo ontologico», l'altro, correlato al primo, «di tipo funzionale». In tema di immodificabilità della contestazione, cfr., più di recente, Cass. 23
gennaio 1998, n. 624, Foro it., Mass., 67, per esteso in Notiziario giuris prudenza lav., 1998, 168, secondo cui il principio d'immutabilità non esclude che i fatti non contestati possano essere presi in considerazione con quelli contestati, anche nell'eventuale nesso di continuità, per valu tare la gravità della mancanza e la proporzionalità della sanzione; 17
gennaio 1998, n. 414, Foro it., Mass., 45, per esteso in Notiziario giuris prudenza lav., 1998, 188, per la quale l'immodificabilità dei motivi di recesso enunciati nell'intimazione del licenziamento riguarda le circo stanze di fatto essenziali, potendo essere specificati nel corso del giudi zio sull'impugnazione del licenziamento, gli elementi di fatto contenuti nella motivazione del recesso, e non potendo essere fatta valere una fattispecie giustificativa diversa da quella prospettata; più rigidamente, Cass. 7 febbraio 1997, n. 1152, Notiziario giurisprudenza lav., 1997, 656, che ha precisato che l'immutabilità riguarda sia il procedimento pregiudiziale, sia quello giudiziale, essendo al datore di lavoro consenti to solo di dedurre circostanze confermative dell'addebito contestato.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
(Omissis). — La società ricorrente denuncia violazione degli art. 7, 1° e 2° comma, 1. 20 maggio 1970 n. 300, 2119 c.c., 3 e 24 Cost.
Pur riconoscendo che l'addebito originario non faceva men
zione della preordinazione dell'attività contestata all'utilità di
un'impresa concorrente, cui il lavoratore partecipava in qualità di socio di maggioranza, osserva che la relativa circostanza at
tiene non al momento identificativo dei fatti costituenti l'illecito
disciplinare in sé, ma a quello della qualificazione giuridica dei medesimi, che il datore di lavoro non è in alcun modo tenuto
ad enunciare, essendo essa opera del giudice nell'eventuale giu dizio di accertamento della legittimità della sanzione.
Per circostanze nuove, che immutano, cioè, la tipologia del
l'illecito, devono intendersi solo quelle che si sostanziano in un
fatto storico nuovo esso stesso, in quanto mai contestato, non
anche quelle, che, fermo il fatto contestato, ne consentano la
valutazione quanto al disvalore ed all'incidenza sul piano dello
svolgimento del rapporto: ciò anche al fine di evitare sperequa zioni nel trattamento delle parti e di consentire loro un adegua to esercizio dei rispettivi diritti, in quanto, mentre il lavoratore, ottenuta la contestazione del fatto storicamente identificato è
in grado di conoscerne immediatamente, quale autore, tutti gli
aspetti che possono connotarlo di maggiore o minore gravità, il datore di lavoro ha bisogno di un adeguato spatium delibe
randi, per provvedere ad accertamenti che gli consentano analo
ghi apprezzamenti, da compiersi necessariamente ex post, al fi
ne di evitare che in sede di contestazione si riversi ogni possibile
congettura al riguardo. La censura non ha fondamento perché, commisurata alle ra
gioni che sorreggono la sentenza impugnata, disvela un'eviden te astrattezza e risulta, quindi, inidonea a scalfire l'impianto
logico-giuridico delle determinazioni cui sono pervenuti i giudi ci del merito.
Questi, in effetti, non hanno affatto negato che la questione dell'osservanza del principio dell'immutabilità della contestazione
debba essere risolta, come assume la ricorrente, verificando se
le nuove deduzioni del datore di lavoro conservino l'identità
del fatto contestato, inteso nella sua essenza ed a prescindere da ogni valutazione della sua gravità.
Hanno, invece, affermato, proprio in quest'ordine di idee, che la contestata utilizzazione di strumenti aziendali per utilità
personali o di terzi si concretava in un comportamento caratte
rizzato, appunto, da un'essenza non coincidente con quella rav
visabile nel compimento di atti di concorrenza sleale, al cui ad
debito sostanzialmente tendeva la tardiva deduzione della preor dinazione di codesta utilizzazione all'utilità di un terzo la cui
posizione non era indifferente rispetto alla società datrice di
lavoro, trattandosi di impresa concorrente alla cui gestione il
dipendente aveva, in quanto socio di maggioranza, un rilevante
interesse personale. Si tratta di una valutazione giuridicamente corretta, oltre che
sorretta da puntuale e coerente motivazione.
Il codice disciplinare apprestato dalla contrattazione colletti
Per una posizione più marcatamente «funzionalista» (stando alla termi
nologia di Cass. 6988/98, in epigrafe), cfr. Cass. 25 agosto 1993, n.
8956, Foro it., Rep. 1994, voce cit., n. 1400, per esteso Riv. it. dir.
lav., 1994, II, 213, con nota di P. Tullini, Ritualità e formalismo nel
procedimento disciplinare, per la quale non viene violato il principio di immutabilità della contestazione in ragione della mera divergenza dei fatti, senza che sia stata accertata, in concreto, una violazione del
diritto di difesa. Per Cass. 12 dicembre 1996, n. 11118, Foro it., Rep. 1996, voce cit.,
n. 1495, e 27 luglio 1996, n. 6787, id., 1996, I, 3368, con nota di richia
mi, l'immutabilità della contestazione preclude al datore di lavoro di
licenziare per altri motivi, ma non al lavoratore di difendersi in altro
modo rispetto a quanto fatto in un primo momento.
Sembra involgere il diverso principio di immutabilità della causale
del recesso, Cass. 6 ottobre 1997, n. 9713, id., Rep. 1997, voce cit., n. 1640, per esteso Riv. it. dir. lav., 1998, II, 337, con nota di P.
Ichino, Assenteismo abusivo e formalismo dei giudici, secondo cui nel
caso di lavoratore licenziato per scarso rendimento (nella specie, settan
tacinque per cento di assenze per malattia), il licenziamento non può essere giustificato in sede giudiziaria con la simulazione della malattia, in precedenza non formalmente ed esplicitamente contestata. In dottri
na, sul principio in questione, cfr., di recente, M. Papaleoni, Il proce dimento disciplinare nei confronti del lavoratore, Jovene, Napoli, 1996, 273 ss., ed ivi, in nota, riferimenti bibliografici e giurisprudenziali.
Il Foro Italiano — 1998.
va applicabile al rapporto di lavoro e del quale la ricorrente
ha inteso fare applicazione ai fini dell'intimazione del licenzia
mento, configura come sanzionabile la condotta del lavoratore
che, per utilità propria o di terzi, utilizzi senza autorizzazione
beni aziendali. Questa condotta è stata contestata al lavoratore e solo di essa
è consentito apprezzare il disvalore ai fini disciplinari, sia pure alla stregua di elementi che, sebbene nuovi rispetto alla conte
stazione, non ne alterino, tuttavia, la sostanza desumibile dai
fatti allora individuati, e semplicemente consentano una più pun tuale verifica degli aspetti concreti dell'episodio, con riguardo alla natura e qualità del singolo rapporto, alla posizione delle
parti, al grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansio
ni del dipendente nonché alla portata soggettiva del fatto stes
so, ossia alle circostanze del suo verificarsi, ai motivi ed alla
intensità dell'elemento intenzionale e di quello colposo. Più in particolare, il criterio attraverso il quale è dato stabili
re se le nuove deduzioni del datore di lavoro a sostegno delle sue determinazioni nell'esercizio del potere disciplinare siano pre cluse dall'operatività del principio di immutabilità della conte
stazione si snoda in un duplice profilo applicativo, l'uno di tipo
ontologico, l'altro di tipo funzionale.
Sotto il primo aspetto, la corte osserva che una modificazio
ne sostanziale appare ravvisabile quante volte le circostanze nuove siano di natura tale da implicare bensì una valutazione di mag
gior gravità, ma solo perché il loro concorso determina l'appli cabilità di una diversa norma di previsione dell'illecito discipli
nare, nel senso che esse stesse si configurano quali elementi in
tegrativi della fattispecie astratta ivi delineata, rispetto alla quale
sarebbero, invece, insufficienti i fatti originariamente contesta
ti, sicché ne risulta realizzata una sorta di «progressione» nel
l'illecito stesso, con necessario assorbimento della diversa e me
no grave fattispecie cui tali fatti risultino autonomamente ri
conducibili. Il che implica la rilevanza del secondo, ma correlato, aspetto,
perché una tardiva deduzione, se attiene a circostanze prive di
valore identificativo della fattispecie, non preclude all'autore della
condotta illecita di addurre a propria discolpa tutti gli elementi
e le ragioni che, rispetto alla medesima fattispecie, gli appaiono — per la conoscenza diretta ed immediata della situazione, che
proprio l'anzidetta sua qualità gli permette — idonei a consen
tire nei termini suesposti un concreto apprezzamento dell'effet
tiva gravità dello specifico episodio; mentre, se si risolve in una
immutazione del titolo dell'illecito, diviene incompatibile con
le garanzie del diritto di difesa che il procedimento disciplinare mira ad assicurare al lavoratore incolpato, in quanto, dopo aver
ne orientato l'esercizio nel senso suggerito dalla primitiva con
testazione, affida la giustificazione del provvedimento discipli nare ad elementi che sono stati, in realtà, sottratti ad un effetti
vo contraddittorio.
In quest'ordine di idee, Cass. 25 febbraio 1993, n. 2287, Fo
ro it., Rep. 1993, voce Lavoro (rapporto), n. 1391, dopo avere
ribadito che l'immutabilità — volta a garantire la possibilità di difesa del dipendente — della causa di licenziamento conte
stata preclude (ai fini della verifica della legittimità dello stesso
licenziamento) l'attribuibilità al lavoratore di nuovi fatti, salvo
che questi configurino circostanze confermative dell'addebito già
contestato, ha confermato la sentenza impugnata con la quale i giudici del merito avevano ritenuto preclusi — in relazione
al licenziamento di una cassiera fondato sulla mancata registra zione di cassa di due vendite e sul mancato rilascio del relativo
scontrino fiscale — la deduzione e l'accertamento dell'ulteriore
e diverso fatto costituito dall'incasso e dall'appropriazione delle
somme non registrate, anche qui, evidentemente, come nel caso
oggetto della presente controversia, per il rilievo assorbente che
rispetto alla minore infrazione contestata avrebbe avuto la «pro
gressione» verso altra fattispecie di illecito, alla cui realizzazio
ne l'infrazione stessa era diretta.
Ed in effetti, anche nel caso di specie, il sopra descritto sup
plemento di contestazione che si pretende dalla ricorrente con
sentito ad colorandum, mostra, invece, la sua attitudine sostan
zialmente innovativa, in quanto, come esattamente sottolineato
dal tribunale, arricchisce la fattispecie disciplinare, originariamente fatta valere nei limiti della previsione contrattuale al riguardo, di elementi costitutivi che ne comportano l'assorbimento per pro
gressione in altra di diversa natura, oggetto di una particolare
previsione normativa, come quella di cui all'art. 2105 c.c.
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2775 PARTE PRIMA 2776
Questi principi — che si improntano ad equo contempera mento delle contrapposte esigenze delle parti del rapporto di
lavoro ed a valori di effettività del diritto di difesa in materia disciplinare, che la Corte costituzionale ha più volte riconosciu
to (v., fra le altre, le sentenze 30 novembre 1982, n. 204, id.,
1982, I, 2981; 25 luglio 1989, n. 427, id., 1989, I, 2685; 23 luglio 1991, n. 364, id., 1991, I, 2609) inalienabile acquisizione del patrimonio civile del lavoratore, nei cui confronti è esercita
to il potere della controparte, sì da sottrarre le relative norme
ordinarie di previsione a qualsiasi dubbio di dissonanza dal mo
dello prefigurabile in base al combinato disposto degli art. 3
e 24 Cost. — ispirano anche la sentenza impugnata, che, per tanto, resiste alle censure formulate dalla ricorrente.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, restandone da
un lato, assorbito, alla stregua di quanto dianzi osservato, il
ricorso incidentale condizionato, e, dall'altro, conseguendone la condanna della ricorrente principale, in ragione della sua soc
combenza, al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, oltre ai relativi onorari liquidati in lire 3.000.000 (tremilioni).
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 14 luglio
1998, n. 6894; Pres. De Tommaso, Est. G. Prestipino, P.M.
Fedeli (conci, conf.); Min. int. (Avv. dello Stato Sabelli) c. Malquori. Cassa Trib. Firenze 12 marzo 1997 e decide nel
merito.
Invalidi civili e di guerra — Invalidità civile — Tutela giurisdi zionale — Legittimazione passiva (L. 24 dicembre 1993 n.
537, interventi correttivi di finanza pubblica, art. 11; d.p.r. 21 settembre 1994 n. 698, regolamento recante norme sul rior
dinamento dei procedimenti in materia di riconoscimento del
le minorazioni civili e sulla concessione dei benefici economi
ci, art. 3, 6).
In materia di invalidità civile, in seguito al d.p.r. 21 settembre
1994 n. 698, la domanda giudiziale contro l'accertamento sa
nitario che esclude l'invalidità va proposta nei confronti del
ministero del tesoro, mentre va proposto nei confronti del
ministero dell'interno il ricorso contro il provvedimento che
concede o nega i benefici economici. (1)
(1) La Corte di cassazione interviene per la prima volta sulla riforma dei procedimenti in materia di invalidità civile realizzata con d.p.r. 21 settembre 1994 n. 698, in attuazione della delega contenuta nell'art. 11 1. 24 dicembre 1993 n. 537. La corte ha stabilito che la legittimazio ne passiva, nel giudizio promosso a seguito di un accertamento sanita rio negativo, spetti al ministero del tesoro e non al ministero dell'inter no. Di contrario avviso, in precedenza, Pret. Pisa 25 febbraio 1997, Foro it., Rep. 1997, voce Invalidi civili e di guerra, nn. 30, 31 (secondo la quale la legittimazione passiva spetta in via concorrente al ministero del tesoro e al ministero dell'interno); Pret. Firenze 29 aprile 1997, ibid., n. 29, e Pret. Napoli 16 aprile 1996, id., 1998, I, 942, con nota di richiami e osservazioni di B. Tonoletti (secondo le quali la legittima zione passiva spetta in ogni caso ed in via esclusiva al ministero dell'in
terno). Per comprendere i termini del contrasto che in tal modo si va delineando in giurisprudenza sull'interpretazione del d.p.r. n. 698 del
1994, è necessario confrontare la nuova disciplina con la normativa
precedente, anche nell'applicazione fattane dalla giurisprudenza. La legge delega n. 537 del 1993 ha posto come criterio direttivo la
separazione tra procedimento di accertamento sanitario e procedimento di erogazione della prestazione. Tale criterio è stato attuato dal regola mento (art. 1 e 4), che ha, però, fatto corrispondere alla separazione dei procedimenti anche una diversa legittimazione passiva nelle contro versie giurisdizionali: della regione e del ministero del tesoro, «a secon da che l'atto impugnato sia stato emanato dalle commissioni mediche
operanti presso le unità sanitarie locali o dalle commissioni periferiche per le pensioni di guerra e di invalidità civile», per le controversie rela tive all'accertamento dello stato di minorazione (art. 3, 5° comma);
Il Foro Italiano — 1998.
Svolgimento del processo. — Con ricorso del 21 dicembre
1995 Gina Malquori conveniva davanti al Pretore del lavoro
di Firenze il ministero dell'interno e chiedeva che fosse dichia
rato, contrariamente a quanto era stato affermato dalla com
missione medica periferica, che essa si trovava nella situazione
di invalidità richiesta dalla legge per conseguire l'indennità di accompagnamento e che, per conseguenza, il convenuto fosse
condannato ad erogarle il beneficio.
Costituitosi in giudizio, il ministero deduceva che la contro versia riguardava l'accertamento dell'esistenza, o meno, dei re
dei ministero dell'interno per le controversie concernenti il diritto all'e
rogazione della prestazione (art. 6, 4° comma). L'art. 3, 5° comma, è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo, nella parte in cui attri buisce alla regione la legittimazione passiva, da Corte cost. 20 maggio 1996, n. 156, id., Rep. 1996, voce cit., nn. 6, 7. Quindi, a seguito della decisione della corte, sono rimaste soltanto la legittimazione passi va del ministero del tesoro e del ministero dell'interno. Se si confronta il d.p.r. n. 698 del 1994 con la disciplina previgente, risulta che la vera novità è rappresentata proprio dalle norme sulla legittimazione passiva del ministero del tesoro e del ministero dell'interno. Infatti, la distinzio
ne dei procedimenti era già prevista nella 1. 30 marzo 1971 n. 118 e la loro separazione funzionale era già stata realizzata dalla 1. 15 ottobre 1990 n. 295, con l'attribuzione del procedimento di accertamento sani tario alla competenza dell'amministrazione del tesoro e del procedimen to di erogazione delle prestazioni alla competenza dell'amministrazione dell'interno.
Tale separazione, però, non aveva avuto alcuna incidenza sul regime della tutela giurisdizionale. La giurisprudenza, infatti, aveva ritenuto che la conclusione di entrambi i procedimenti amministrativi costituisse condizione di procedibilità dell'azione giudiziaria, ma che la procedibi lità si realizzasse già con la conclusione del primo procedimento quan do l'accertamento sanitario avesse dato esito negativo per l'interessato, «tenuto conto che il secondo procedimento ha carattere meramente even tuale, per il caso di accertamento positivo dei requisiti di minorazione, e che, peraltro, la tutela giurisdizionale si pone su un piano autonomo, non configurando mera impugnazione della decisione amministrativa»
(così, da ultimo, Cass. 18 febbraio 1991, n. 1700, id., Rep. 1991, voce
cit., n. 23; cfr., per ulteriori richiami, la nota a Pret. Napoli 16 aprile 1996, cit.). In tal modo, la giurisprudenza, considerando il diritto alle
prestazioni di invalidità civile come una situazione soggettiva unitaria, non frazionabile in un diritto al riconoscimento della condizione di in valido ed in un diritto all'erogazione della prestazione, aveva negato che la separazione dei procedimenti amministrativi potesse ripercuotersi sulle modalità della tutela giurisdizionale. In altri termini, secondo la
giurisprudenza, la previsione di due procedimenti amministrativi sepa rati non poteva avere la conseguenza di costringere l'interessato a pro muovere due successivi giudizi, uno per il riconoscimento dell'invalidità e l'altro per la condanna dell'amministrazione all'erogazione della pre stazione.
Sulla base di queste premesse, la giurisprudenza aveva anche ritenuto che la legittimazione passiva nei giudizi in materia spettasse sempre e unicamente al ministero dell'interno, in quanto soggetto obbligato all'e
rogazione della prestazione, considerando «in proposito irrilevante che l'accertamento in sede amministrativa sui requisiti di minorazione sia affidato a commissioni inserite nell'organizzazione delle regioni» (Cass. 19 febbraio 1988, n. 1757, id., Rep. 1988, voce cit., n. 17; 28 agosto 1987, n. 7107, id., Rep. 1987, voce cit., n. 18; 24 ottobre 1985, n.
5251, id., 1986, I, 711). La stessa considerazione poteva essere agevol mente estesa anche al caso in cui l'accertamento sanitario fosse di com
petenza delle commissioni mediche inserite nell'organizzazione del mi nistero del tesoro (cfr. art. 1, 7° comma, 1. 15 ottobre 1990 n. 295), dal momento che, nella logica di questa giurisprudenza, l'elemento che determina la legittimazione passiva nei processi in materia non è l'attri buzione della competenza ad una certa struttura amministrativa, ma
l'impugnazione dell'obbligazione finale relativa alla concreta erogazio ne della prestazione.
È contro questa logica che le norme del d.p.r. n. 698 del 1994 hanno stabilito espressamente una legittimazione processuale passiva separata in relazione al procedimento di accertamento sanitario e al procedimen to di erogazione della prestazione. Secondo Pret. Napoli 16 aprile 1996, cit., si deve ravvisare in ciò il tentativo di spezzare in due la tutela
giurisdizionale in materia, in modo che, ottenuta una sentenza favore vole sul riconoscimento della minorazione, l'interessato debba ancora richiedere la prestazione alla prefettura e, in caso di diniego, ricorrere nuovamente al giudice per ottenere finalmente la condanna all'eroga zione della prestazione. Interpretate in tal modo, sempre secondo la sentenza ora citata, le norme del regolamento sono illegittime, oltre che per eccesso di delega, per violazione dell'art. 24 Cost., poiché, fra zionando il processo per il riconoscimento di un unico diritto, rende rebbero eccessivamente onerosa la tutela giurisdizionale. Ne consegue che, disapplicata la norma relativa alla legittimazione passiva del mini stero del tesoro, l'unico legittimato rimane il ministero dell'interno. Al le medesime conclusioni è giunta anche Pret. Firenze 29 aprile 1997,
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