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sezione lavoro; sentenza 16 maggio 2002, n. 7136; Pres. Trezza, Est. Amoroso, P.M. Cinque (concl....

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sezione lavoro; sentenza 16 maggio 2002, n. 7136; Pres. Trezza, Est. Amoroso, P.M. Cinque (concl. diff.); Consorzio trasporti pubblici di Napoli (Avv. Litterio) c. Merlo e altri (Avv. Ferrara, Di Gasparro). Conferma Trib. Santa Maria Capua Vetere 2 novembre 1998 Source: Il Foro Italiano, Vol. 125, No. 10 (OTTOBRE 2002), pp. 2687/2688-2693/2694 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23196840 . Accessed: 25/06/2014 04:42 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 62.122.79.69 on Wed, 25 Jun 2014 04:42:10 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione lavoro; sentenza 16 maggio 2002, n. 7136; Pres. Trezza, Est. Amoroso, P.M. Cinque(concl. diff.); Consorzio trasporti pubblici di Napoli (Avv. Litterio) c. Merlo e altri (Avv.Ferrara, Di Gasparro). Conferma Trib. Santa Maria Capua Vetere 2 novembre 1998Source: Il Foro Italiano, Vol. 125, No. 10 (OTTOBRE 2002), pp. 2687/2688-2693/2694Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23196840 .

Accessed: 25/06/2014 04:42

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2687 PARTE PRIMA 2688

Quindi al 2° comma vieta l'istituzione di giudici speciali e straordinari.

E noto, provenendo dalla più accreditata dottrina cui il colle

gio aderisce, che non si istituisce un giudice speciale solo con la

attribuzione ad organo pubblico di un procedimento speciale. È

noto anche, ed il collegio condivide anche questa impostazione, che si considera giudice quel soggetto pubblico che esercitando

quel tipico procedimento che è il processo giudiziario dà luogo ad una decisione su diritti suscettibile di assurgere alla definiti

vità del giudicato, al di fuori di qualunque altro controllo da

parte di altro e diverso organo o potere dello Stato.

Non è dunque decisiva la considerazione dell'oggetto del de

cidere, giacché anche alle pubbliche amministrazioni è dato di

provvedere su diritti in forme che la dottrina definisce giustizia li, e parimenti non è decisiva la considerazione dell'interesse

pubblico costituente il riferimento fondamentale del giudice,

perché in via di principio la pubblica amministrazione provvede

per l'appunto in considerazione di un interesse pubblico gene rale, la cui forza talvolta attenua la stessa protezione della posi zione soggettiva, che degrada ad interesse legittimo.

Quanto alla struttura particolare del procedimento seguito

dall'organo va osservato che a partire dalla 1. n. 241 del 1990

l'ordinamento giuridico ha impresso all'attività della pubblica amministrazione una svolta decisiva, attenuando progressiva mente la storica caratterizzazione autoritativa del procedimento che sfocia in un provvedimento, per favorire il più ampio grado di partecipazione del soggetto interessato alla formazione del

medesimo. Ciò talvolta a mezzo di un vero e proprio contrad

dittorio, analogo per forza di cose a quello giudiziario che ne

costituisce il modello, in coerenza con una lettura oramai domi

nante dell'art. 97 Cost, e dunque delle finalità di buon anda

mento e di imparzialità dell'amministrazione.

E noto infatti, come afferma la migliore dottrina, che tra le

funzioni del procedimento amministrativo vi è quella di far

emergere con chiarezza il punto di contrasto tra il privato e la

pubblica amministrazione, cosicché anche il controllo giudizia rio eventuale possa risultare perspicuo.

In tale ottica pertanto la diffusa tendenza alla introduzione nel

procedimento amministrativo di momenti di partecipazione ef

fettiva da parte degli interessati al suo esito che consentono alla

pubblica amministrazione di apprezzare tutti gli interessi in gio co, fa sì che l'uso di tali tecniche non significhi abbandono del

procedimento in favore del processo. Ma piuttosto che l'obbligo di imparzialità, il quale richiede nell'applicazione della legge la

consapevolezza di tutte le posizioni tutelate, ancorché spettanti al soggetto sottoposto all'autoritarietà del provvedimento da

emanare, viene realizzato anzitutto con l'articolazione del pro cedimento. In questo senso dire che la pubblica amministrazio

ne, ovvero una particolare pubblica amministrazione, è terza, vuol dire che essa ancorché provveda a soddisfare l'interesse

pubblico di cui è esponente, qualificando con gli effetti dell'atto

amministrativo posizioni di parti anche contrapposte e da essa considerate in contraddittorio, fa uso del principio di imparzia lità.

Risulta pertanto decisivo, in adesione alla dominante dottrina, ad escludere la natura giurisdizionale, o paragiurisdizionale, se

con tale termine si intende richiamare la predetta fonte giudizia ria del provvedimento, la sottoposizione della decisione dell'or

gano pubblico, comunque adottata, al vaglio di un giudice nei

termini della domanda introduttiva del giudizio di controllo.

Giacché essa fa desumere che il potere di attuare la legge a tali

organi affidato non è comunque definitivo.

2.d. - Quanto all'autorità in questione risulta altresì decisiva, e confermativa delle espresse conclusioni, la deduzione esegeti ca che si trae dall'art. 29, 7° comma, 1. n. 675 del 1996, laddove

si prevede che il tribunale adito in opposizione alla delibera del

garante provvede «anche in deroga al divieto di cui all'art. 4 1.

n. 2248 del 1865, ali. E». È infatti evidente che la deroga non

avrebbe senso, nella mens legis, se non sul presupposto della

natura amministrativa dell'organo e del suo procedimento, al

quale la legge, proprio in considerazione della fragilità dei di

ritti della persona, toglie la protezione dall'intrusione dell'a.g.o. nell'attività amministrativa, altrimenti spettante.

I.e. - Da tutto ciò deriva a parere del collegio che il ricorso al

giudice ordinario in opposizione al provvedimento del garante non può essere inteso che come primo rimedio giurisdizionale a

disposizione del soggetto che si pretende leso dall'atto del ga

II Foro Italiano — 2002.

rante. Il garante partecipa al giudizio di impugnativa di un suo

atto quale sia stato il procedimento che lo ha preceduto per far

valere davanti al giudice lo stesso interesse pubblico in funzione

del quale esso è predisposto, ed in tale attività resta legato al

l'obbligo di imparzialità proprio perché l'interesse pubblico suddetto non gli è estraneo.

Il motivo è fondato.

3. - Da tale fondamento discende che la sentenza impugnata, che ha pronunciato senza dar luogo al dovuto contraddittorio,

deve, accogliendosi il ricorso principale, essere cassata con rin

vio ad altro giudice del merito per l'esame, in contraddittorio

con l'autorità garante del trattamento dei dati, della questione

riguardante la sottoponibilità della perizia medica di cui è causa

al regime previsto dalla 1. n. 675 del 1996, che resta pertanto as

sorbita. Parimenti assorbito risulta il ricorso incidentale di As

sitalia che presuppone il rigetto del predetto motivo.

I

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 16 mag

gio 2002, n. 7136; Pres. Trezza, Est. Amoroso, P.M. Cinque

(conci, diff.); Consorzio trasporti pubblici di Napoli (Avv. Litterio) c. Merlo e altri (Avv. Ferrara, Di Gasparro).

Conferma Trìb. Santa Maria Capua Vetere 2 novembre 1998.

II

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 17 mar

zo 2001, n. 3894; Pres. Grieco, Est. Roselli, P.M. Frazzini

(conci, diff.); Consorzio trasporti pubblici di Napoli (Avv. Litterio) c. Pieretti (Avv. Di Gasparro, Guida). Conferma Trib. Santa Maria Capua Vetere 1° luglio 1997.

Cosa giudicata civile — Limiti oggettivi — Fattispecie in tema di trattamento di fine rapporto (Cod. civ., art. 2120,

2909).

L 'accertamento giudiziale, ottenuto nel corso del rapporto di

lavoro, dell 'inclusione di una o più voci nella base di calcolo

del trattamento di fine rapporto non preclude una successiva

domanda di condanna alla corresponsione del trattamento

definitivo, proposta dopo la cessazione del rapporto di lavoro

sul presupposto della computabilità anche di un'altra voce

retributiva. (1)

(1) Nello stesso senso, Cass. 12 giugno 2001, n. 7941, Foro it., Rep. 2001, voce Cosa giudicata civile, n. 57. In senso contrario, Cass. 2 set tembre 2000, n. 11520, ibid., n. 44, citata nella motivazione della prima sentenza in epigrafe.

Al di là delle differenti formulazioni e del diverso iter argomentati vo, le due sentenze, emanate nei confronti di uno stesso datore di lavo

ro, hanno una comune ratio decidendi, che ha suggerito l'estrapolazio ne di una sola massima valevole per entrambe. La sentenza meno re cente si lascia preferire per la ricostruzione del quadro giurispruden ziale, alla quale ci si può riferire.

Il lavoratore può agire nel corso del rapporto per chiedere un'antici

pazione del trattamento di fine rapporto (art. 2120, 6° comma ss., c.c.), per far accertare l'ammontare del trattamento già maturato o per far ac certare l'inclusione di una o più voci retributive nella base di calcolo del trattamento di fine rapporto. Nelle fattispecie sottese alle pronunce in epigrafe si era verificata questa terza ipotesi.

La soluzione adottata è condivisibile: se si ammette l'azione di mero accertamento dell'esistenza e del modo di essere del diritto al tratta mento di fine rapporto quando ancora quest'ultimo è in corso (su que

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

I

Svolgimento del processo. — 1. - Con ricorso al Pretore di

Santa Maria Capua Vetere, sezione distaccata di Piedimonte

Matese, del 28 settembre 1994, Setola Antonio conveniva in

giudizio il Consorzio trasporti pubblici di Napoli (C.T.P.), in persona del legale rappresentante pro tempore, esponendo: a) di aver lavorato alle dipendenze del C.T.P. con qualifica di agente movimento; b) che, all'atto della cessazione del rapporto di la

voro, avvenuta il 10 ottobre 1993, erroneamente il C.T.P. non

aveva computato nel trattamento di fine rapporto al 31 maggio 1982 il compenso per lo straordinario eventuale.

Chiedeva, quindi, la condanna del consorzio al pagamento della somma complessiva di lire 36.899.917 per la causale indi

cata, oltre svalutazione monetaria ed interessi, con vittoria di

spese. Il consorzio, costituendosi in giudizio, eccepiva preliminar

mente l'inammissibilità della domanda per violazione del prin cipio d'infrazionabilità della stessa in giudizi diversi, in quanto con precedente sentenza passata in giudicato, era stato ricono

sciuto il diritto del lavoratore a vedersi computato nell'indennità di anzianità utile ai fini della successiva liquidazione del t.f.r.

alcune indennità previste da un accordo aziendale del 21 maggio 1981. Chiedeva poi il rigetto della domanda perché infondata in

fatto e diritto.

Acquisita la documentazione richiesta, all'udienza del 6 no

vembre 1996 il pretore decideva la causa rigettando il ricorso e

compensando interamente tra le parti le spese di lite.

2. - Con ricorso depositato in data 29 maggio 1997, il soc

combente proponeva appello avverso detta decisione e, ripropo nendo le argomentazioni già svolte in primo grado, chiedeva la

riforma dell'impugnata sentenza e l'accoglimento della doman

da con vittoria di spese. Il C.T.P., ritualmente costituitosi, chiedeva a sua volta la con

ferma dell'impugnata decisione, con condanna dell'appellante al pagamento delle spese di lite.

In corso di causa, con memoria depositata in data 5 giugno 1998, Merlo Giuseppina, Setola Filomena, Setola Salvatore e

Setola Antonietta si sono costituiti in giudizio nella qualità di

eredi di Setola Antonio, nel frattempo defunto.

Il tribunale, con sentenza del 23 ottobre - 2 novembre 1998, in riforma della sentenza del pretore, disattendendo l'eccezione

di precedente giudicato, accoglieva la domanda degli eredi del

Setola e condannava l'azienda al pagamento nei confronti dei

ricorrenti della somma richiesta in ricorso.

In particolare, il tribunale riteneva che la domanda proposta dal ricorrente non poteva ritenersi coperta dal giudicato in

quanto la precedente sentenza richiamata dal pretore risultava

intervenuta nel corso del rapporto di lavoro, cioè prima della

maturazione del diritto al t.f.r. ed al solo fine di accertare l'utile

computo di alcune indennità nella determinazione del t.f.r., il

cui interesse sorgeva proprio a seguito della riforma dell'istituto

in riferimento all'accantonamento di legge.

Quindi, prima della cessazione del rapporto di lavoro, che se

gna il momento iniziale di decorrenza del diritto in parola, nes

suna preclusione processuale del tipo indicato dal pretore poteva ritualmente maturare.

3. - Avverso tale pronuncia ricorre per cassazione il consorzio

con un solo motivo di ricorso.

sto aspetto, colto nel quadro più ampio dell'interesse ad agire in mero

accertamento, v. E. Fabiani, Interesse ad agire, mero accertamento e limiti oggettivi del giudicato, in Riv. dir. proc., 1998, 545 ss.), si deve ammettere una successiva azione di condanna al momento della cessa zione del rapporto: altrimenti come sarebbe possibile fronteggiare un eventuale inadempimento del datore di lavoro successivo al primo pro cesso? La cessazione del rapporto di lavoro e la conseguente completa maturazione del diritto costituiscono fatti nuovi che legittimano la pro posizione di una nuova domanda diretta al definitivo accertamento (sui

rapporti tra giudicato e sopravvenienza di nuovi fatti rilevanti, cfr. Ca

poni, L'efficacia del giudicato civile nel tempo, Milano, 1991). Coe rentemente la giurisprudenza ritiene che, se il diritto al trattamento di fine rapporto forma oggetto di un'azione proposta dopo la cessazione del rapporto di lavoro, il giudicato preclude una nuova domanda sullo stesso oggetto, ancorché fondata sull'inclusione di ulteriori voci retri butive: cfr. Cass., sez. un., 5 marzo 1993, n. 2708, Foro it., Rep. 1993, voce Lavoro (rapporto), n. 1703. [R. Caponi]

Il Foro Italiano — 2002.

Resistono con controricorso gli intimati.

Motivi della decisione. — 1. - Con il primo ed unico motivo di ricorso il consorzio, riproponendo la tesi già svolta nei giudi zi di merito, ha lamentato che il tribunale avrebbe erroneamente dichiarato l'ammissibilità dell'originaria domanda, la quale era invece inammissibile per il precedente giudicato implicito for matosi tra le parti.

Infatti, con sentenza del Pretore di Napoli resa tra le stesse

parti, confermata in appello e divenuta definitiva, era stato già riconosciuto il diritto del lavoratore al computo di alcune inden nità nell'indennità di anzianità utile ai fini del t.f.r.: pertanto la formazione del giudicato su una domanda rivolta al consegui mento di una maggiore liquidazione dell'indennità di fine rap porto precludeva la possibilità di avanzare altra e successiva

domanda di ricalcolo della predetta indennità, ancorché fondata su ragioni diverse, trattandosi di elementi costitutivi del com

plessivo trattamento di fine rapporto. 2. - Il ricorso è infondato.

2.1. - In generale deve considerarsi che è vero che questa corte ha affermato — e qui ribadisce — il principio secondo cui il giudicato copre il dedotto ed il deducibile (Cass. 6 agosto 1997, n. 7275, Foro it., Rep. 1998, voce Cosa giudicata civile, n. 34; 2 settembre 2000, n. 11520, id., Rep. 2001, voce cit., n.

44; 19 gennaio 2001, n. 728, non massimata). Si è quindi rite nuto (Cass. 5 aprile 1991, n. 3591, id., Rep. 1991, voce cit., n.

24) che, in forza di tale principio, l'autorità del giudicato inve

ste non soltanto quanto espressamente dedotto, ma anche quanto sarebbe stato deducibile in relazione al medesimo oggetto; ciò

comporta in particolare — ha precisato questa corte nella citata

decisione — che la formazione del giudicato sulla domanda del

lavoratore, diretta a conseguire la liquidazione dell'indennità

premio di servizio con il computo dell'indennità integrativa

speciale, preclude la proponibilità di una successiva domanda

volta a conseguire una maggiore liquidazione della medesima

indennità premio di servizio per effetto dell'abrogazione ex lege n. 297 del 1982 del c.d. blocco della contingenza, nel caso in cui

tale questione avrebbe potuto essere fatta valere nel primo giu dizio per essere detta legge già in vigore all'epoca della propo sizione della relativa domanda.

Ma tale principio opera solo entro i limiti della controversia,

segnati dal petitum, dalla causa petendi e dal decisum (Cass. 11

giugno 1981, n. 3802, id., Rep. 1982, voce Lavoro (rapporto), n.

2064); pertanto si è ritenuto, ad es., che il giudicato di rigetto, formatosi sulla domanda tendente ad ottenere la declaratoria

d'inefficacia di un licenziamento, ai sensi dell'art. 7, 7° comma, 1. 20 maggio 1970 n. 300, non preclude la successiva impugna zione del medesimo, al fine di ottenerne l'annullamento per di

fetto di giusta causa, anche se il datore di lavoro abbia, nel pre cedente giudizio, eccepito la sussistenza di tale giustificazione, ma non ne abbia provocato il positivo accertamento a mezzo di

specifica domanda riconvenzionale.

Nella specie manca questa identità di res iudicanda, atteso

che nel primo giudizio è stata dal lavoratore esercitata (nel cor

so del rapporto) un'azione di mero accertamento (non già del

l'ammontare dell'indennità di anzianità maturata fino al pas

saggio al regime del t.f.r., bensì) della computabilità di un de

terminato emolumento che era quello in ordine al quale sussi steva la res dubia e si radicava l'interesse ad agire, e solo un'a

zione di mero accertamento era possibile, secondo quanto rico

nosciuto dalla giurisprudenza di questa (Cass. 24 giugno 1991, n. 7081, id., Rep. 1992, voce cit., n. 1875), atteso che il credito

avente ad oggetto l'indennità di anzianità, poi confluita nel

t.f.r., è destinato a maturare solo alla cessazione del rapporto. Invece nel secondo giudizio (questo sì instaurato dopo la cessa

zione del rapporto) il lavoratore ha promosso un'azione di con

danna (al pagamento del t.f.r. comprensivo dell'indennità di an

zianità), non certo sovrapponibile a quella esercitata in prece denza stante l'evidente diversità di petitum. D'altra parte, se co

sì non fosse, si perverrebbe alla radicale, quanto paradossale,

conseguenza che il datore di lavoro, soccombente nel primo

giudizio in cui si era accertato con sentenza passata in giudicato che un determinato emolumento doveva essere calcolato nel

l'indennità di anzianità, avrebbe potuto liquidare tale indennità

(unitamente al t.f.r. successivamente maturato) escludendo ad

libitum qualsiasi emolumento diverso da quello oggetto del pre cedente accertamento coperto da giudicato.

Pertanto — non potendo condividersi il precedente specifico di questa corte (Cass. 2 settembre 2000, n. 11520; cfr. anche

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PARTE PRIMA 2692

Cass. 19 gennaio 2001, n. 728, cit.), che, nella stessa fattispecie relativa ad altro dipendente dello stesso consorzio, ha invece

ritenuto sussistere la preclusione del giudicato — deve affer

marsi il principio secondo cui, ove il lavoratore nel corso del

rapporto abbia chiesto ed ottenuto il mero accertamento con

sentenza passata in giudicato della computabilità di un determi

nato emolumento nel calcolo dell'indennità di anzianità, a lui

spettante fino alla data di applicabilità del regime del tratta

mento di fine rapporto, non è preclusa da tale giudicato la suc

cessiva azione del lavoratore medesimo che, dopo la cessazione

del rapporto, domandi la condanna del datore di lavoro al paga mento del trattamento di fine rapporto, comprensivo dell'inden

nità di anzianità maturata in precedenza, sul presupposto della

rivendicata computabilità di altro e diverso emolumento nella

medesima indennità di anzianità.

2.2. - Nella fattispecie in esame vi è appunto questa diversità

di petilum e causa petendi nei due giudizi succedutisi nel tempo

(quello conclusosi con sentenza del medesimo tribunale n. 256

del 1992, ormai definitiva, e quello di cui alla sentenza impu

gnata). Nel primo giudizio si chiedeva il mero accertamento

della computabilità di determinate indennità (quelle di cui ai

punti 3, 4 e 5 dell'accordo nazionale del 21 maggio 1981) nel

l'indennità di anzianità spettante alla data di entrata in vigore della 1. n. 297 del 1982 e poi confluita nel trattamento di fine

rapporto. Nel secondo giudizio si è chiesta la condanna al pa

gamento del t.f.r., corrisposto dal consorzio in misura inferiore

al dovuto per non aver computato nell'indennità di anzianità la

c.d. indennità di lavoro straordinario che invece andava com

putata. Solo in questo giudizio, in cui il lavoratore ha chiesto accer

tarsi l'esatto ammontare del t.f.r. (e quindi anche dell'indennità

di anzianità che in esso era confluita) e conseguentemente con

dannarsi il consorzio datore di lavoro al pagamento della diffe

renza tra tale importo dovuto e quanto effettivamente percepito, il lavoratore era onerato di indicare tutte le ragioni a fonda

mento della sua pretesa di vedersi liquidato il t.f.r. nell'importo rivendicato e quindi di allegare tutte le voci che eventualmente

concorrevano all'esatta liquidazione dello stesso. Talché solo in

questo caso il giudicato è destinato a formarsi sul quantum de

beatur a titolo di t.f.r., in modo da coprire ogni voce in ipotesi non conteggiata dal datore di lavoro, sia espressamente dedotta

dal lavoratore ricorrente, sia non dedotta (parlandosi in questa seconda evenienza di giudicato implicito).

Invece il thema decidendum del primo giudizio, avendo ad

oggetto un'azione di mero accertamento relativo ad un singolo e

distinto emolumento, era necessariamente limitato dalla doman

da. Il giudice non ha accertato l'ammontare dell'indennità di

anzianità maturata al momento del transito nel nuovo regime del

trattamento di fine rapporto (31 maggio 1982); bensì ha accer

tato che, quale che fosse il quantum debeatur a tale titolo, il la

voratore aveva diritto a vedersi computare nell'indennità di an

zianità anche alcune specifiche voci (quelle di cui ai punti 3, 4 e

5 dell'accordo nazionale del 21 maggio 1981, che, prevedendo invece la non computabilità a tale fine, aveva fatto insorgere tra

le parti la res dubia e quindi la lite).

Questa corte — come già notato — ha infatti ammesso una

tale azione di mero accertamento prima che, con la cessazione

del rapporto di lavoro, insorga il diritto del lavoratore alla per cezione del t.f.r. Infatti, Cass. 24 giugno 1991, n. 7081, cit., ha

affermato che l'azione di (mero) accertamento del lavoratore, intesa ad ottenere il superamento di un oggettivo stato d'incer

tezza circa la computabilità, o meno, di un determinato emolu

mento (come il compenso per lavoro straordinario continuativo) nella base di calcolo del trattamento di fine rapporto ex art.

2120 c.c., nel testo sostituito dall'art. 1 1. n. 297 del 1982, è

ammissibile, ai sensi dell'art. 100 c.p.c., anche nel corso del

rapporto di lavoro, tenuto conto, in particolare, che le quote di

retribuzione accantonate ai sensi di tale norma sono configura bili come oggetto di un diritto autonomo rispetto al trattamento

di fine rapporto, che — come l'indennità di anzianità di cui al

vecchio testo dell'art. 2120 c.c. — si perfeziona solo con la ces

sazione del rapporto. Ma questa possibilità di agire per il mero accertamento sud

detto non comporta che il lavoratore, il quale, nel passaggio dal

regime dell'indennità di anzianità a quello del trattamento di fi

ne rapporto, avesse ritenuto contestata o dubbia la computabilità nell'indennità di anzianità di un determinato elemento retributi

Ii Foro Italiano — 2002.

vo, fosse onerato di estendere la sua domanda ad ogni qualsivo

glia altra indennità; sicché l'accertamento in positivo della

computabilità dell'emolumento allegato non poteva mai com

portare anche l'implicito accertamento in negativo della non

computabilità di tutti gli altri emolumenti non espressamente dedotti.

3. - Il ricorso deve quindi essere respinto.

II

Svolgimento del processo. — Con ricorso al Pretore di Capua,

Olindo Pieretti chiedeva accertarsi nei confronti del datore di

lavoro Consorzio dei trasporti pubblici di Napoli l'ammontare

del trattamento di fine rapporto ed emettersi la conseguente condanna al pagamento della differenza tra quanto effettiva

mente corrisposto a tale titolo e quanto dovuto. Precisamente

egli chiedeva che nella base di calcolo del trattamento fossero

incluse alcune voci di cui all'accordo n. 6 del 1981, ossia le in

dennità di presenza e di lire trentamila mensili (nn. 3, 4, 5 del

l'accordo) nonché quella di lavoro straordinario.

Costituitosi il convenuto, il pretore rigettava la domanda, ma

la decisione veniva riformata parzialmente con sentenza del 1°

luglio 1997 dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, il quale osservava che sulle indennità di cui ai nn. 3, 4, 5 dell'accordo

era cessata la materia del contendere giacché la pretesa del lavo

ratore era stata soddisfatta, mentre l'indennità per lavoro straor

dinario, prestato in modo continuativo, faceva parte della retri

buzione, onde doveva essere inclusa nella base di calcolo del

trattamento di fine rapporto. Quanto ad una precedente senten

za, emessa fra le stesse parti nel corso del rapporto di lavoro,

avente ad oggetto il mero accertamento della necessaria inclu

sione nella detta base di calcolo di alcune voci retributive diver

se da quella attualmente controversa, e passata in giudicato, essa

non poteva spiegare alcuna efficacia preclusiva nel processo

attuale, stante la diversità delle situazioni soggettive dedotte nei

due processi e la conseguente insussistenza della preclusione da

regiudicata nel secondo processo. Contro questa sentenza ricorre per cassazione il Consorzio

dei trasporti pubblici di Napoli. Resiste con controricoso il Pie

retti.

Motivi della decisione. — Con l'unico motivo il ricorrente

lamenta la violazione degli art. 2909, 2120 c.c. e 324 c.p.c., no

tando che con sentenza del Pretore di Capua 121/89, confermata

definitivamente dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere con

sentenza 2323/90, l'attuale controricorrente aveva ottenuto l'ac

certamento della base di calcolo del trattamento che gli sarebbe

spettato alla cessazione del rapporto di lavoro. L'accertamento

era fondato sulle disposizioni di un accordo collettivo del 21

maggio 1981 ed aveva incluso nella detta base di calcolo alcune

indennità, ivi previste nei nn. 3, 4 e 5.

Il passaggio in giudicato di detta sentenza, nota ancora il ri

corrente in contrasto con la sentenza di merito qui impugnata, avrebbe dovuto fare stato nel presente processo, con conse

guente necessaria dichiarazione di inammissibilità della doman

da. Né questo effetto poteva essere impedito dal fatto che la

domanda attualmente proposta tendeva ad includere nella base

di calcolo, quale elemento della retribuzione, l'indennità per la

voro straordinario, non considerata nel precedente processo, stante che entrambe le controversie erano fondate sullo stesso

accordo collettivo del 1981.

Il motivo non è fondato.

Qualora il trattamento di fine rapporto di cui all'art. 2120 c.c.

formi oggetto di un'azione giudiziaria di condanna proposta dal

lavoratore contro il datore di lavoro dopo la cessazione del rap

porto, è giurisprudenza costante di questa corte che la sentenza

passata in giudicato preclude una nuova domanda di riliquida zione dello stesso trattamento, ancorché fondata su ragioni non

dedotte — ma tuttavia deducibili — nel precedente processo, e

ciò in base al principio secondo cui la cosa giudicata copre non

solo il dedotto ma anche il deducibile (Cass. 23 novembre 1987, n. 8656, Foro it., Rep. 1987, voce Cosa giudicata civile, n. 16). E così, una volta determinata la base di calcolo del trattamento, vale a dire la retribuzione annua, con l'inclusione di una o più voci retributive (ad es., il compenso per lavoro straordinario), non può successivamente chiedersi la rideterminazione della

stessa base di calcolo con l'inclusione di un'altra voce e la con

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Page 5: sezione lavoro; sentenza 16 maggio 2002, n. 7136; Pres. Trezza, Est. Amoroso, P.M. Cinque (concl. diff.); Consorzio trasporti pubblici di Napoli (Avv. Litterio) c. Merlo e altri (Avv.

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

seguente nuova condanna del datore a pagare la differenza di

ammontare del trattamento (Cass. 18 maggio 1988, n. 3451, id..

Rep. 1988, voce Lavoro (rapporto), n. 2309; sez. un. 21 aprile

1989, n. 1892, id., Rep. 1989, voce Cosa giudicata civile, n. 12; 5 marzo 1993, n. 2708, id., Rep. 1993, voce Lavoro (rapporto), n. 1703).

Diverse si presentano, per contro, le ipotesi quando il tratta

mento di fine rapporto formi oggetto di un'azione giudiziaria

proposta dal prestatore nel corso del rapporto di lavoro. Le ini

ziali incertezze della giurisprudenza circa la ravvisabilità del

l'interesse ad agire (art. 100 c.p.c.) sono state superate in senso

positivo ed in relazione ai seguenti, possibili contenuti della

domanda:

A) Il lavoratore può chiedere una sentenza di condanna del

datore di lavoro a corrispondere un'anticipazione del tratta

mento ai sensi del 6° comma ss. dell'art. 2120 cit. In tal caso

non può esser dubbio l'interesse all'azione (Cass. 19 dicembre

1989, n. 5723, id. Rep. 1990, voce cit., n. 1946). Quanto all'estensione oggettiva della regiudicata, essa pre

clude, nelle successive eventuali azioni di condanna o di mero

accertamento, aventi ad oggetto la parte di trattamento maturata

in seguito, la deduzione di causae petendi, e, per quanto qui in

teressa, di voci retributive da includere nella base di calcolo ve

nute in essere prima della sentenza passata in giudicato, ossia

deducibili nel relativo processo.

B) Il lavoratore può chiedere una sentenza di mero accerta

mento fondata sull'interesse a determinare, anno per anno, l'ammontare del trattamento già maturato ed a controllare

l'esattezza degli accantonamenti dovuti dal datore di lavoro,

quando quest'ultimo opponga contestazioni in proposito (Cass., sez. un., 15 dicembre 1990, n. 11945, id., 1991,1, 1498; 14 ago sto 1991, n. 8861, id., Rep. 1991, voce cit., n. 1791; 11 novem

bre 1996, n. 9819, id., Rep. 1996, voce cit., n. 1615). Qui og getto dell'accertamento non sono soli fatti, ciò che renderebbe

inammissibile l'azione di mero accertamento, bensì una situa

zione giuridica soggettiva di aspettativa, ossia un effetto preli minare della fattispecie che insieme ad altre situazioni costitui

rà, al momento della fine del rapporto, il diritto al trattamento.

Quanto all'estensione soggettiva della regiudicata, vale

quanto detto sopra, sub A.

C) È, infine, possibile che il lavoratore chieda, prescindendo dall'ammontare della base di calcolo del trattamento ovvero

dalla sua anticipazione, l'accertamento della necessità di inclu

dere una o più voci nella detta base di calcolo, quando il datore

contesti tale necessità. La contestazione fonda l'interesse ad

agire e la limitazione del petitum si riflette sulla limitata esten

sione della regiudicata, la quale non preclude una successiva

domanda, di corresponsione dell'anticipazione oppure del trat

tamento definitivo, che si riferisca ad altre voci retributive.

All'obiezione che detta limitazione del petitum, e dei confini

oggettivi del giudicato, può risolversi in una moltiplicazione di

controversie ed in un aggravio di spese e di attività giudiziaria

per il datore di lavoro, vale a dire in una violazione delle norme

(art. 1175 e 1375 c.c.) di buona fede e di correttezza, che im

pongono al creditore di non aggravare inutilmente la posizione del debitore, può rispondersi che il datore può evitare tali effetti

sfavorevoli chiedendo a sua volta un accertamento dell'intera

base di calcolo ossia dell'ammontare del trattamento già matu

rato (in tal senso ed in fattispecie analoga, v. Cass., sez. un., 10

aprile 2000, n. 108/SU, id.. Rep. 2000, voce Obbligazioni in ge

nere, n. 16). Nella fattispecie in esame si è verificata quest'ultima ipotesi

poiché, come risulta dalla sentenza impugnata e dallo stesso ri

corso per cassazione, il lavoratore aveva chiesto, in un prece dente processo definito con «giudicato», che nella base di cal

colo fossero inclusi anche i punti 3, 4, 5 dell'accordo nazionale

21 maggio 1981, mentre con successiva domanda per cui ora è

causa egli chiese anche l'inclusione dello «straordinario even

tuale». Il precedente giudicato, in altre parole, non riguardò l'intero trattamento già maturato ma solo l'inclusione di alcune

voci.

Esattamente il tribunale, ravvisando una diversità di oggetto delle due controversie, ha escluso la preclusione da «giudicato».

Poiché, come s'è detto, prima della negazione da parte del

debitore non sorge l'interesse del creditore (art. 100 c.p.c.) al

l'azione di mero accertamento del credito, non si potrebbe, sen

za contraddizione, imporre al creditore medesimo l'onere di

Il Foro Italiano — 2002.

esercitare, «quando non gli sia stato ancora opposto alcunché

dalla controparte», un 'actio nondiim nata al fine dì evitare la

preclusione da regiudicata; questa si formerebbe su questione non ancora deducibile e la contraddizione si risolverebbe in una

lesione del diritto di difesa in giudizio, garantito dall'art. 24, 2°

comma. Cost.

CORTE DJ CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 13

maggio 2002, n. 6808; Pres. Giustiniani, Est. Segreto, P.M.

Maccarone (conci, parz. diff.); Soc. coop. La Cattolica assi

curazioni (Avv. Cascino, Scofone) c. Soc. Sigma e altri; Soc.

Sigma e altro (Avv. Selvaggi, Muschietti) c. Soc. coop. La

Cattolica assicurazioni e altri. Cassa App. Venezia 16 novem

bre 1998.

Fideiussione e mandato di credito — Confideiussione —

Approbazione — Fideiussione al fideiussore —

Fattispecie

(Cod. civ., art. 1936, 1940).

Costituisce fideiussione a garanzia del diritto di regresso (o fi deiussione ai fideiussore), e non approbazione né confideius sione, l'obbligazione assunta dal fideiussore nei confronti di

altro fideiussore, per garantire a quest 'ultimo il rimborso di

quanto versato al creditore garantito in ragione della garan zia prestata. ( 1 )

(1) La sentenza in epigrafe si segnala per aver sottolineato le diffe

renze che connotano, da un lato, la fideiussione in senso stretto dalla

confideiussione e, dall'altro, la fideiussione del fideiussore (c.d. appro bazione o fideiussio fideiussionis) nei confronti della fideiussione alla

fideiussione (o fideiussione al fideiussore o, ancora, fideiussione di re

gresso). Il taglio didascalico della motivazione soccorre, peraltro, in

tutte le ipotesi in cui in un solo contratto plurilaterale sia rinvenibile la

fonte di più rapporti fideiussori di diversa natura, con conseguente, contestuale sorgere di obbligazioni a carico non solo del fideiussore

principale, del creditore e del debitore garantito, ma anche di terzi ulte

riori fideiussori. Nel caso di specie, la Suprema corte accerta, nel con

testo della decisione sull'eccezione di difetto di legittimazione passiva, la reale natura di due fideiussioni stipulate in occasione di un contratto

preliminare di compravendita. In particolare: una compagnia di assicu

razioni aveva prestato fideiussione in favore di un terzo per le obbliga zioni assunte nei suoi confronti da una società, in forza di un contratto

preliminare di compravendita. Con appendici allegate alla polizza fi

deiussoria, poi, altra società si costituiva a sua volta garante del primo debitore garantito, prestando ulteriore garanzia per te obbligazioni re

stitutorie maturate nei confronti della compagnia di assicurazioni, con

conseguente impegno a tenere indenne la compagnia stessa per te

somme versate in adempimento delle obbligazioni assunte con la poliz za fideiussoria.

La Suprema corte esclude innanzitutto, una possibile qualificazione della seconda garanzia in termini di confideiussione. Questa, infatti, ri

sulta caratterizzata da un collegamento necessario tra le obbligazioni assunte dai singoli fideiussori, che non solo devono riguardare lo stesso

debito e lo stesso debitore (v. Cass. 7 aprile 1998, n. 3575, Foro it.,

Rep. 1999, voce Fideiussione e mandato di credito, n. 26, con nota di

Picardi, Osservazioni sulla distinzione tra cofideiussione e pluralità di

fideiussioni autonome, in Banca, borsa, ecc., 1999, II, 536; 18 luglio 1997, n. 6635, Foro it., Rep. 1997, voce cit., n. 42), ma devono, altresì,

esprimere un comune intento ed un comune interesse, pur nell'assenza

della contestualità nell'assunzione della garanzia stessa (Cass. 22 mag

gio 1990, n. 4594, id.. Rep. 1990, voce cit., n. 45). Non può, perciò, dirsi sussistente una confideiussione, bensì pluralità di fideiussioni, nel

caso in cui un garante ignori l'assunzione di altra fideiussione avente

medesimi requisiti, non rilevando in tal senso nemmeno la conoscenza

acquisitane successivamente (v. Cass. 18 marzo 1999, n. 2459, id.,

1999, 1, 2253; Trib. Milano 11 settembre 1997, id., Rep. 1999, voce

cit., n. 28). Il requisito del collegamento non è, invece, riscontrabile nella fide

iussio fideiussionis, che si connota per la diversità dell'oggetto dell'ob

bligazione. La fideiussione del fideiussore ha, infatti, come obiettivo

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