sezione lavoro; sentenza 16 ottobre 1998, n. 10283; Pres. Buccarelli, Est. Celentano, P.M. DelliPriscoli (concl. conf.); Senes (Avv. Isetta, Morgana) c. Soc. Orizzonti gestioni (Avv. Cappucci,Savi, Tamburrini). Cassa Trib. Milano 16 dicembre 1994Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 1 (GENNAIO 1999), pp. 121/122-123/124Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23193027 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
cessione dei beni e poiché operava, nel momento come sopra
individuato, un liquidatore giudiziale), che Agrifactoring era stata
ammessa al concordato; che, conseguentemente, il commissario
all'uopo nominato aveva redatto l'inventario e depositato la re
lazione ex art. 172 1. fall.; che il concordato era stato approvato dai creditori e successivamente omologato dal tribunale, sulla
scorta, fra l'altro, della prescritta relazione del commissario giu diziale ex art. 180, 3° comma, 1. fall.
Tutti questi atti e queste scansioni della procedura sono nella
disponibilità della difesa attrice, che non ha ritenuto produrli. Orbene è da escludere che il rilevantissimo credito di Agrifac
toring verso Federconsorzi non sia stato preso in esame ed ac
curatamente analizzato dal commissario in ogni suo aspetto giu ridico ed economico (riferito, quest'ultimo, alla presumibile per centuale di realizzo), e che tale esame non sia stato esteso alla
sussistenza, o meno, della prelazione oggi pretesa da parte attri
ce, fondata sui due contratti inter partes. Se tale clamorosa omissione fosse rilevabile dalle relazioni del
commissario giudiziale è da credere che la difesa attrice l'avreb
be evidenziata, producendo le relazioni.
È allora da ritenere che il commissario giudiziale fosse appro dato alla conclusione che l'intero credito fosse chirografario, come pare confermato dal suo citato parere del 23 gennaio 1992
(là ove si parla di percentuale di recupero del quaranta per cen
to per i crediti verso Federconsorzi, che era già in concordato
preventivo, stimata dal decreto di ammissione di Agrifactoring alla procedura); e ciò sulla base di valutazioni che il giudicante
ignora, ma che alla luce delle considerazioni e dell 'excursus giu
risprudenziale innanzi svolti potrebbero, in ipotesi, considerarsi
opinabili: non certo clamorosamente e patentemente erronee ed
infondate. Valutazioni, comunque, delle quali il giudice delega to alla procedura ed il tribunale, chiamati al giudizio di omolo
gazione, ebbero piena cognizione. Si deve allora concludere che l'errore (come prospettato ed
ossessivamente ribadito dalla difesa attrice) del liquidatore che
non si accorse della causa di prelazione, e perciò non ne parlò nell'istanza al giudice delegato, del commissario che si dimenti
cò della causa di prelazione (che non poteva non conoscere);
del giudice delegato che incorse in ignoranza indotta, non solo
non è affatto provato, ma è smentito dalle risultanze fattuali
sopra evidenziate e dalle argomentazioni logico-giuridiche sopra svolte.
La natura chirografaria dell'intero credito era stata afferma
ta e stabilita nelle fasi precedenti della procedura ed il liquida tore giudiziale non fece che prenderne atto, operando di conse
guenza.
Escluso, dunque, l'errore, crolla il presupposto della doman
da attrice. La prelazione, ammessane e non concessane l'esi
stenza, è stata elisa per effetto del voto adesivo al concordato
Federconsorzi.
Vanno perciò respinte le domande di Agrifactoring.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 16 otto
bre 1998, n. 10283; Pres. Buccarelli, Est. Celentano, P.M.
Delli Priscoli (conci, conf.); Senes (Aw. Isetta, Morgana)
c. Soc. Orizzonti gestioni (Aw. Cappucci, Savi, Tamburi
ni). Cassa Trib. Milano 16 dicembre 1994.
Lavoro (rapporto di) — Licenziamento illegittimo — Indennità
sostitutiva della reintegrazione — Presupposti (L. 20 maggio
1970 n. 300, norme sulla tutela della libertà e dignità dei la
voratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luo
ghi di lavoro e norme sul collocamento, art. 18; 1. 11 maggio
1990 n. 108, disciplina dei licenziamenti individuali, art. 1).
Al lavoratore illegittimamente licenziato compete il diritto di
ottenere, in luogo della reintegrazione nel posto di lavoro,
Il Foro Italiano — 1999.
l'indennità sostitutiva prevista dall'art. 18, 5° comma, l. 20
maggio 1970 n. 300, nel testo introdotto con la l. 11 maggio 1990 n. 108, pur in mancanza dell'ordine di reintegrazione. (1)
Motivi della decisione. — Con il primo motivo il ricorrente
denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 18 1. 20 mag
gio 1970 n. 300.
Premesso che la sentenza del Tribunale di Sassari, posta dai
giudici milanesi a base della loro decisione, si era limitata a
negare la reintegrazione per il semplice fatto che il Senes, a
seguito della revoca del licenziamento (già da lui impugnato), aveva rifiutato di riprendere lavoro e aveva dichiarato di optare
per le quindici mensilità di indennità sostitutiva, il ricorrente
contesta che il lavoratore sia tenuto a chiedere l'ordine di rein
tegrazione per poter poi esercitare l'opzione. Sostiene che è fa
coltà del lavoratore chiedere fin dal ricorso introduttivo del giu
dizio, in luogo della reintegrazione, l'indennità prevista dalla
legge; che tanto il diritto alla reintegra che quello alternativo
alla indennità derivano, come effetto immediato e diretto, dalla
illegittimità del licenziamento, a nulla rilevando che la norma
preveda, come termine ultimo per l'esercizio dell'opzione, il de
corso di trenta giorni dal ricevimento dell'invito del datore di
lavoro a riprendere servizio 0 dalla comunicazione del deposito della sentenza. (Omissis)
Passando all'esame del ricorso, i due motivi di impugnazio
ne, che vengono trattati congiuntamente per la loro evidente
connessione, sono fondati nei limiti di seguito precisati. La sentenza qui impugnata ha ritenuto: a) che la mancanza
di un ordine di reintegrazione impedisce l'esercizio del diritto
di optare per l'indennità, essendo l'ordine presupposto necessa
rio per l'insorgenza del diritto di opzione; b) che l'insussistenza
del diritto del Senes alla reintegrazione era stata ormai accerta
ta dalla sentenza del Tribunale di Sassari n. 370 del 3 agosto 1994.
La prima affermazione incorre nel vizio di violazione di legge. La seconda, alla luce di quanto si dirà in ordine al primo
motivo, nel vizio di insufficiente motivazione su un punto deci
sivo della controversia, costituito dalla citata sentenza del Tri
bunale di Sassari.
Il 5° comma dell'art. 18 1. 20 maggio 1970 n. 300, nel testo
introdotto con l'art. 1 1. 11 maggio 1990 n. 108, dispone: «Fermo restando il diritto al risarcimento del danno così co
me previsto al 4° comma, al prestatore di lavoro è data la fa
coltà di richiedere al datore di lavoro in sostituzione della rein
tegrazione nel posto di lavoro, un'indennità pari a quindici men
silità di retribuzione globale di fatto. Qualora il lavoratore entro
trenta giorni dal ricevimento dell'invito del datore di lavoro non
abbia ripreso servizio, né abbia richiesto entro trenta giorni dal
la comunicazione del deposito della sentenza il pagamento del
l'indennità di cui al presente comma, il rapporto di lavoro si
intende risolto allo spirare dei termini predetti». Rileva la corte come sia opinione ormai prevalente, condivisa
anche dalla Corte costituzionale (sent. 81/92, Foro it., 1992,
I, 2044; ord. n. 160 del 1992, ibid.; n. 77 del 1996, id., Rep. 1997, voce Lavoro (rapporto), n. 1801, e n. 291 del 1996, id.,
Rep. 1996, voce cit., n. 1569), che il comma citato configuri
un'obbligazione con facoltà alternativa dal lato del creditore
dipendente, abilitato a richiedere in luogo della prestazione do
vuta in via principale una prestazione diversa, di natura pecu
(1) Con la sentenza in epigrafe la Corte di cassazione prosegue nella
teorizzazione dell'autonomia dei regimi sanzionatori connessi alla ille
gittimità del licenziamento di cui all'art. 18 1. 20 maggio 1970 n. 300,
quale modificato dalla 1. 11 maggio 1990 n. 108, confermando l'indiriz
zo preso da Cass. 5 dicembre 1997, n. 12366, Foro it., 1998, I, 1173, con nota di richiami. Rispetto a tale pronuncia, la sentenza in epigrafe
pone però in esplicita evidenza il contrasto con Corte cost., ord. 22
luglio 1996, n. 291, id., Rep. 1997, voce Lavoro (rapporto), n. 1569, consistente nel ravvisare quest'ultima — e non la Corte di cassazione — nell'ordine di reintegrazione il presupposto d'esercizio della facoltà
d'opzione a favore dell'indennità. Anche nella odierna decisione, come in Cass. 12366/97, è precisato
che non è consentito esercitare l'opzione in caso di ripristino di fatto
del rapporto. Su quest'ultimo aspetto vi è però contrasto, nella giuri
sprudenza di legittimità, con riguardo al ripristino attuato a seguito di provvedimento ex art. 700 c.p.c.: nel senso della possibilità d'eserci
zio, cfr. Cass. 16 giugno 1998, n. 6005, id., 1998, I, 2380, con nota
di richiami anche alla contraria Cass. 7581/97, id., 1997, I, 2799.
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PARTE PRIMA
niaria, il cui pagamento determina il duplice effetto di estingue re sia il rapporto di lavoro, sia l'obbligo di reintegrazione.
Sui rapporti tra reintegrazione e indennità sostitutiva — o
meglio su quale sia in effetti la prestazione principale — le opi nioni peraltro divergono.
Da una parte si ritiene che dalla illegittimità del licenziamen
to, ove sussistano ovviamente le condizioni per la c.d. tutela
reale, derivano sia il diritto del lavoratore di ottenere la reinte
grazione che la coeva facoltà di optare per l'indennità.
Dall'altra si sostiene che il diritto all'opzione non sussiste quan do non sia stato emesso l'ordine giudiziale di reintegrazione.
La prima teoria configura una obbligazione con facoltà alter
nativa dal lato del creditore nella quale la prestazione principale è costituita dall'obbligo di reintegrare, obbligo (a fronte del quale vi è il corrispondente diritto del lavoratore ad essere reintegra
to) che sorge direttamente dal licenziamento illegittimo. La seconda teoria costruisce, invece, l'obbligazione nascente
dal licenziamento illegittimo come una obbligazione inizialmen
te semplice, nella quale il diritto-dovere correlato alla illegitti mità del recesso consiste unicamente nella reintegrazione; solo
dopo l'ordine giudiziale di reintegrazione sorgerebbe la facoltà
del creditore-lavoratore di ottenere, in luogo della reintegrazio ne contenuta nel comando giudiziale, la prestazione alternativa
della indennità pari a quindici mensilità di retribuzione.
La prestazione principale, vista dal lato del debitore, non è, in questa seconda ricostruzione, «l'obbligo di reintegrare», ma
«l'obbligo di reintegrare su ordine del giudice». Ritiene il collegio, condividendo la soluzione già accolta da
questa corte con la decisione presa all'udienza del 2 giugno 1997
(sent. 5 dicembre 1997, n. 12366, id., 1998, I, 1173), in corso
di pubblicazione — e pur consapevole che l'opposta interpreta zione è stata invece accolta dalla Corte costituzionale nella or
dinanza di rigetto n. 291 dell'11-22 luglio 1996, cit. — che l'e
sercizio del diritto di opzione non è temporalmente limitato,
quanto al termine iniziale, dall'emissione dell'ordine di reinte
grazione da parte del giudice. La formulazione dell'art. 18 non contiene elementi che auto
rizzano l'opposta soluzione.
Non si possono ricavare elementi dal rilievo che la norma, sia nel 1° comma che nel 4°, anziché sancire direttamente il
diritto del lavoratore illegittimamente licenziato ad ottenere la
reintegrazione e il risarcimento del danno (e i corrispondenti
obblighi del datore di lavoro), si rivolge al giudice, che «con la sentenza . . . ordina al datore di lavoro ... di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro» e «condanna il datore di lavo
ro al risarcimento del danno subito dal lavoratore . . .».
Si tratta di una tecnica legislativa, peraltro seguita anche in
altri casi (cfr. la formulazione dell'art. 429, 3° comma, c.p.c., come modificato con la 1. 11 agosto 1973 n. 533), con la quale il legislatore, anziché statuire direttamente l'insorgenza di diritti
e corrispondenti obblighi in presenza di determinati fatti giuri dici, si rivolge al giudice. La sostanza di tale modo di formulare le norme peraltro non cambia; le norme, al di là della loro
formulazione «processuale», hanno comunque un contenuto so stanziale (cfr., in riferimento all'art. 429, 3° comma, c.p.c., sez. un. 16 febbraio 1984, n. 1147, id., Rep. 1984, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 270).
Né conforta la tesi dell'obbligazione con facoltà alternativa «differita» o «ad insorgenza ritardata» il testo del 5° comma dell'art. 18 citato, laddove esso, dopo aver sancito il diritto di
opzione in favore del lavoratore, stabilisce che, qualora questi entro trenta giorni dal ricevimento dell'invito del datore di la
voro non abbia ripreso servizio, né abbia richiesto entro trenta
giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza il paga mento dell'indennità, il rapporto di lavoro si intende risolto al
lo spirare dei termini predetti. È infatti evidente che la norma si limita a fissare il termine
finale per l'esercizio della facoltà di opzione (nell'ovvia esigen za di contenere in tempi ragionevoli la situazione di incertezza
conseguente ad una pronunzia di accoglimento), ma non stabili sce affatto un termine iniziale per l'attivazione di quel potere, essendo già stato tale termine fissato nella prima parte del
comma.
Una lettura piana e lineare dell'art. 18 evidenzia, secondo la corte, che al prestatore di lavoro è data facoltà di chiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione nel po sto di lavoro, una indennità pari a quindici mensilità di retribu
ii. Foro Italiano — 1999.
zione globale di fatto; e come il diritto-dovere alla reintegrazio ne sorge con l'illegittimo licenziamento, così anche la facoltà
di optare per l'indennità alternativa nasce, coevamente al dirit
to alla prestazione principale, con il ricordato licenziamento.
Del resto, come è stato osservato in dottrina, con le modifi
che apportate all'art. 18 con l'art. 1 1. 108/90 il legislatore ha
inteso innegabilmente attribuire all'elemento fiduciario, che con
nota il rapporto di lavoro, una valenza bidirezionale, nel senso
che la rottura di quel vincolo può essere posta a fondamento,
per un verso, del licenziamento e, per altro verso, del diritto
del lavoratore — in luogo del ripristino del rapporto che sia
da questi valutato negativamente (per la perdita della reciproca
stima, per ostilità ambientale, ecc.) — all'attribuzione dell'in
dennità sostitutiva in conseguenza di un recesso di cui sostenga
l'illegittimità. Ovviamente, in caso di contestazione, sarà il giudice a deci
dere se il licenziamento sia stato o meno legittimo; e, in caso
di illegittimità, ad attribuire al lavoratore la prestazione richiesta.
Le conseguenze della soluzione accolta sono evidenti nel caso
in cui al licenziamento segue la revoca spontanea da parte del
datore di lavoro, non importa se prima o dopo che il lavoratore
abbia adito il giudice. È chiaro che la revoca del licenziamento — la quale si con
creta in una proposta contrattuale avente ad oggetto la ricostru
zione del rapporto di lavoro — non può impedire al lavoratore, ove il rapporto stesso non sia stato di fatto ripristinato, di ri
chiedere, in luogo della reintegrazione, l'indennità sostitutiva.
Ad opposta soluzione si dovrebbe pervenire adottando l'altra
interpretazione. Senonché la Corte costituzionale — espressamente preoccu
pata del fatto che la facoltà insindacabile del lavoratore di «mo
netizzare» il diritto alla reintegrazione in una prestazione pecu niaria possa essere vanificata arbitrariamente dal datore di la
voro attraverso la revoca del licenziamento, allo scopo di impedire la pronuncia dell'ordine di reintegrazione, considerato presup
posto di esercizio della facoltà medesima — ha ritenuto, con
la ricordata ordinanza 291/96, che «la revoca dell'atto di licen
ziamento e l'invito a riprendere il lavoro impediscono la pro nuncia dell'ordine giudiziale di reintegrazione e conseguentemente la scelta dell'indennità sostitutiva solo se accettate dal lavorato
re, espressamente o tacitamente col ritorno in servizio»; affer
mando, in sostanza, che il lavoratore debba comunque richiede
re, quale mezzo al fine, la condanna del datore di lavoro ad
una reintegrazione cui egli abbia già deciso di rinunciare, e che
entrambe le parti siano tenute, inoltre, ad attendere la conclu
sione dell'/te/- giudiziario, nonché del successivo «procedimen to» previsto dall'art. 18 (l'invito del datore a riprendere servi
zio, ecc.). Osserva la corte che si tratta di una soluzione che appare
non condivisibile sul piano del diritto, dato che da essa deriva la regola secondo cui un soggetto, interessato alla prestazione B, sarebbe comunque costretto a chiedere la prestazione A per poter in un secondo momento ottenere il «bene della vita» che
effettivamente gli interessa.
L'interpretazione qui accolta, invece, ha il pregio di delineare fin dall'inizio l'effettivo oggetto della controversia, con la con
seguente facoltà, da parte del datore di lavoro, di liberarsi da tutte (o da parte delle) obbligazioni a suo carico, riconoscendo
l'illegittimità del licenziamento da lui intimato, e così contenen do l'ammontare del risarcimento e non venendo costretto a pa gare, a tale titolo, tutte le retribuzioni maturate durante il corso
del giudizio, fino alla emanazione dell'ordine di reintegrazione.
(Omissis)
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