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sezione lavoro; sentenza 16 ottobre 2003, n. 15516; Pres. Mileo, Est. Picone, P.M. Finocchi Ghersi...

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sezione lavoro; sentenza 16 ottobre 2003, n. 15516; Pres. Mileo, Est. Picone, P.M. Finocchi Ghersi (concl. conf.); Simeoni (Avv. Garlatti) c. Inps (Avv. De Angelis, Di Lullo, Valente). Cassa App. Milano 16 novembre 2000 e decide nel merito Source: Il Foro Italiano, Vol. 126, No. 12 (DICEMBRE 2003), pp. 3277/3278-3289/3290 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23199706 . Accessed: 28/06/2014 17:15 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.238.114.151 on Sat, 28 Jun 2014 17:15:32 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione lavoro; sentenza 16 ottobre 2003, n. 15516; Pres. Mileo, Est. Picone, P.M. FinocchiGhersi (concl. conf.); Simeoni (Avv. Garlatti) c. Inps (Avv. De Angelis, Di Lullo, Valente). CassaApp. Milano 16 novembre 2000 e decide nel meritoSource: Il Foro Italiano, Vol. 126, No. 12 (DICEMBRE 2003), pp. 3277/3278-3289/3290Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23199706 .

Accessed: 28/06/2014 17:15

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

secondo grado i documenti solo ove (attraverso la stessa logica dell'art. 420, 5° e 7° comma, c.p.c.) la produzione sia giustifi cata dal tempo della formazione dei documenti stessi o dallo

sviluppo assunto dal processo, e sia dal collegio ritenuta indi

spensabile per la decisione».

10. - Nel caso in esame, il tribunale è giunto alla decisione

sulla base d'una documentazione preesistente al giudizio, e pro dotta solo con l'appello, ed ha giustificato la decisione ritenen

do che «l'art. 437, 2° comma, c.p.c. si applichi esclusivamente

alle prove costituende», e che sia «ben ammissibile la prova già costituita come quella documentale, prova che nella specie si

appalesa tanto più necessaria in quanto la decisione del pretore, sfavorevole all'appellante, è stata appunto motivata sulla man

canza di prova». E l'inammissibilità della produzione dei documenti era stata

tempestivamente eccepita dal ricorrente, come la stessa sentenza

segnala. Con l'accoglimento del primo motivo del ricorso (in cui resta

assorbita la necessità dell'esame del secondo), la sentenza deve

essere cassata, e la causa deve essere rinviata a contiguo giudice di merito, il quale deciderà applicando il predetto principio.

I

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 16 otto

bre 2003, n. 15516; Pres. Mileo, Est. Picone, P.M. Finocchi

Ghersi (conci, conf.); Simeoni (Avv. Garlatti) c. Inps (Avv. De Angelis, Di Lullo, Valente). Cassa App. Milano 16 no

vembre 2000 e decide nel merito.

Previdenza e assistenza sociale — Pensione di reversibilità — Coniuge separato con addebito —

Spettanza (Cost., art.

3, 38; cod. civ., art. 151; 1. 30 aprile 1969 n. 153, revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurez

za sociale, art. 22, 24).

Il coniuge superstite al quale sia stata addebitata la separazio ne, come già il coniuge separato per colpa nella previgente

disciplina della separazione coniugale, ha diritto alla pensio ne di reversibilità, indipendentemente dalla circostanza che

versi o meno in stato di bisogno e senza che rilevi l'attribu

zione di un assegno di mantenimento o altra provvidenza di

tipo alimentare. (1)

II

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 10 otto

'bre 2003, n. 15148; Pres. De Musis, Est. Di Palma, P.M. DE

CI) L'illegittimità costituzionale dell'art. 24 1. 30 aprile 1969 n. 153, nella parte in cui esclude dall'erogazione della pensione di reversibilità il coniuge separato per colpa con sentenza passata in giudicato, è stata dichiarata da Corte cost. 28 luglio 1987, n. 286, Foro it., 1988,1, 3516, con nota di E. Quadri.

Corte cost. 3 novembre 1988, n. 1009, id., 1989, I, 357, per Io stesso

profilo, ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 20, 1° comma, lett. a), 1. 2 febbraio 1973 n. 12, relativo al trattamento pensionistico degli agenti e

rappresentanti di commercio. Mentre l'illegittimità dell'art. 81, 4°

comma, d.p.r. 29 dicembre 1973 n. 1092, dettato per i dipendenti stata

li, è stata dichiarata da Corte cost. 30 luglio 1997, n. 284, id., 1999, I, 1762, con nota di richiami.

L'impossibilità di sospendere cautelativamente la pensione di rever sibilità al coniuge superstite accusato di uxoricidio, è stata affermata da

App. Ancona 17 marzo 2003, id., 2003,1, 1869, con nota di richiami. Su aspetti processuali della separazione con addebito, cfr. Cass., sez.

un., 4 dicembre 2001, n. 15279, e 3 dicembre 2001, n. 15248, id., 2002, I, 383, con nota di F. Cipriani.

Il Foro Italiano — 2003.

stro (conci, parz. diff.); Massetti (Avv. Amodeo) c. Ambrosi

Sacconi e altro; Ambrosi Sacconi (Avv. Dominici) c. Massetti

e altro. Cassa App. Ancona, decr. 29 giugno 2000.

Matrimonio — Divorzio — Pensione di reversibilità — Con

corso fra ex coniuge e coniuge superstite — Criteri di ri

parto (L. 1° dicembre 1970 n. 898, disciplina dei casi di scio

glimento del matrimonio, art. 5, 9; 1. 6 marzo 1987 n. 74, nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento di ma

trimonio, art. 13).

Il giudice del merito, nel ripartire le quote di pensione di rever

sibilità rispettivamente spettanti al coniuge superstite e al co

niuge divorziato titolare di assegno divorzile, deve applicare,

quale criterio preponderante e potenzialmente decisivo,

quello della durata legale dei relativi rapporti matrimoniali, ma qualora tale criterio conduca ad esiti iniqui rispetto alle

particolari circostanze della concreta fattispecie, deve appli care criteri correttivi idonei a ricondurre la situazione ad

equità avendo riguardo all'esigenza di tutelare, tra le due

posizioni confliggenti, quella del soggetto economicamente

più debole e più bisognoso. (2)

III

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 18 luglio 2002, n. 10458; Pres. ed est. Dell'Anno, Rei. Simoneschi, P.M. Velardi (conci, conf.); Pittaluga (Avv. Manzi, Glendi) c. Procida (Avv. Levanti), Inps (Avv. Tonelli Conti). Con

ferma App. Genova 30 giugno 1999.

Matrimonio — Divorzio — Pensione di reversibilità — As

segno divorzile liquidato «una tantum» — Diritto dell'ex

coniuge — Esclusione (L. 1° dicembre 1970 n. 898, art. 5, 9; 1. 6 marzo 1987 n. 74, art. 13).

Il coniuge divorziato che abbia ottenuto l'assegno divorzile

mediante corresponsione di un capitale una tantum, soprav venuto il decesso dell'ex coniuge, non vanta alcun diritto alla

pensione di reversibilità. (3)

(2) In senso conforme, v. Cass. 19 agosto 2003, n. 12158, Foro it., Mass., 1160; 19 febbraio 2003, n. 2471, ibid., 221; 10 gennaio 2001, n.

282, id., Rep. 2001, voce Matrimonio, n. 172, che hanno individuato nella convivenza more uxorio uno degli elementi da considerare nei criteri correttivi utilizzabili dal giudice del merito. Mentre Cass. 29

gennaio 2002, n. 1057, id., Rep. 2002, voce cit., n. 137; 2 marzo 2001, n. 3037, id., Rep. 2001, voce cit., n. 169; 19 settembre 2000, n. 12389, ibid., n. 175; 14 giugno 2000, n. 8113, id., Rep. 2000, voce cit., n. 207; 14 marzo 2000, n. 2920, ibid., n. 205, si sono per lo più riferite ai crite ri prefigurati dall'art. 5, 5° comma, 1. n. 898 del 1970, ai fini del rico noscimento e della determinazione dell'assegno di divorzio.

Invece, nel senso che in caso di concorso fra coniuge superstite e co

niuge divorziato, l'unico criterio utilizzabile per il riparto della pensio ne di reversibilità è quello della durata legale dei rispettivi matrimoni, v. Cass. 12 gennaio 1998, n. 159, id., 1998, I, 392, con nota di V. Fer

rari, pronunciata dalle sezioni unite per comporre un risalente contra sto.

Il revirement nella giurisprudenza della Suprema corte si è verificato a seguito dell'interpretazione adeguatrice operata da Corte cost. 4 no vembre 1999, n. 419, id., 2000, I, 1770, con nota di E. Quadri, ribadita da ord. 14 novembre 2000, n. 491, id., Rep. 2001, voce cit., n. 168.

Sulla convivenza more uxorio, cfr. Cass. 2 maggio 1994, n. 4204, id., 1995, I, 1935, con nota di richiami, che ha ritenuto manifestamente in fondata la questione di costituzionalità dell'art. 230 bis c.c., nella parte in cui non estende alla famiglia di fatto la disciplina dell'impresa fami liare. E, per più ampi riferimenti sulla famiglia di fatto. Cons. Stato, sez. Ili, 9 gennaio 2001, n. 1915/00, id., 200Ì, III, 526, con nota di ri chiami.

Sui criteri di determinazione dell'assegno di divorzio, cfr. Cass. 16

giugno 2000, n. 8233, ibid., I, 1315, con nota di richiami.

(3) Sulla necessità, al fine di ottenere in tutto o in parte la pensione di reversibilità, che l'ex coniuge sia titolare di assegno di divorzio al

momento della morte dell'altro ex coniuge, v. App. Venezia 9 febbraio

1997, Foro it., 1998,1, 1302, con osservazioni di F. Cipriani.

Cass. 8 gennaio 1997, n. 75, id., 1997. I, 793, con nota di richiami, afferma che la titolarità dell'assegno di divorzio deve essere effettiva, non essendo sufficiente la sola maturazione dei presupposti per conse

guirlo. Nel senso che la corresponsione in un'unica soluzione dell'assegno

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3279 PARTE PRIMA 3280

I

Svolgimento del processo. — La Corte d'appello di Milano

ha giudicato infondato l'appello di Liliana Simeoni e confer

mato la sentenza del tribunale della stessa sede, che aveva ri

gettato la domanda proposta contro l'Inps per il pagamento della pensione di reversibilità dal mese successivo alla morte

del coniuge legalmente separato, avvenuta il 25 aprile 1997.

La separazione legale era stata pronunciata con addebito ad

entrambi i coniugi e non era stato stabilito assegno di manteni

mento o altra provvidenza di tipo alimentare, nel presupposto della sufficienza dei mezzi economici a disposizione della Si

meoni.

La corte d'appello ha ritenuto decisivo l'elemento dell'inesi

stenza di una situazione di bisogno accertata per negare il diritto

rivendicato, aggiungendo che, comunque, non era stata fornita

la prova che il coniuge avesse in vita provveduto in via fissa e

continuativa alla corresponsione di somme finalizzate a sopperi re alle ordinarie esigenze di vita della Simeoni.

La cassazione della sentenza è domandata da Liliana Simeoni

con ricorso per un unico motivo, al quale resiste l'Inps con

controricorso.

Motivi della decisione. — L'unico motivo di ricorso denuncia

violazione di norme di diritto e vizio della motivazione perché, a seguito della decisione della Corte costituzionale n. 286 del

1987 (Foro it., 1988,1, 3516), la pensione di reversibilità spetta anche al coniuge separato per colpa o con addebito, senza che

sia richiesta la sussistenza del diritto al mantenimento; in ogni caso, era stata fornita la prova dello stato di bisogno.

La corte giudica il ricorso fondato quanto al primo profilo di

censura, restando assorbito l'altro profilo. Con la sentenza n. 14 del 1980 (id., 1980, I, 566), la Corte

costituzionale giudicò non fondata — in riferimento agli art. 3 e

38, 1° e 2° comma, Cost. — la questione di legittimità costitu

zionale dell'art. 24 1. 30 aprile 1969 n. 153, il quale dispone, con riguardo al trattamento di reversibilità, che non ha diritto

alla pensione il coniuge quando sia passata in giudicato la sen

tenza di separazione per sua colpa. Gli argomenti a sostegno dell'incompatibilità costituzionale

della disposizione erano i seguenti: negandosi il diritto alla pen sione al coniuge separato per sua colpa, anche se inabile al lavo

ro ed indigente, si nega il diritto di ogni cittadino che versi in

tali circostanze all'assistenza, garantito dall'art. 38, 1° comma; in violazione dell'art. 38, 2° comma, Cost., l'assistenza garan tita al lavoratore, ed estesa ai componenti del nucleo familiare, viene a gravare sulla famiglia; ingiustificatamente il regime

previdenziale sarebbe differenziato a seconda che il coniuge su

perstite sia separato o meno per propria colpa, e venuta meno, con la riforma del diritto di famiglia, la separazione per colpa, il

coniuge cui la separazione è addebitabile avrebbe diritto alla

pensione solo in relazione alla data di pronuncia della sentenza

posteriore all'entrata in vigore della nuova disciplina. Osservò a confutazione dei detti argomenti il giudice delle

leggi: che la pensione di reversibilità ha carattere e contenuto

diverso dai mezzi assistenziali e previdenziali previsti nell'art.

38 Cost., il quale non impone al legislatore di attribuire siffatto

trattamento pensionistico anche in quelle ipotesi di inabilità al lavoro e di indigenza per le quali, con altri appositi mezzi, è ga rantita l'assistenza del cittadino; e poiché titolare del diritto as

di divorzio preclude la possibilità di richiedere, successivamente alla

percezione della somma una tantum convenuta ed interamente versata, un assegno periodico, v. Cass. 5 gennaio 2001, n. 126, id.. Rep. 2001, voce Matrimonio, n. 148, e 27 luglio 1998, n. 7365, id.. Rep. 1999, vo ce cit., n. 136.

App. Torino 15 gennaio 1998, id., Rep. 2001, voce cit., n. 150, preci sa che, stante la natura di transazione novativa dell'accordo con cui

l'assegno mensile viene sostituito dalla corresponsione di una somma

complessiva anche se rateizzata, è preclusa la possibilità di un adegua mento successivo dei ratei non ancora pagati. Ma secondo Trib. Verona 30 giugno 2000, ibid., n. 147, la corresponsione dell'assegno in unica somma non può avvenire frazionando la stessa in molteplici rate men sili di esiguo importo.

Per riferimenti, sugli accordi economici tra coniugi in sede di divor zio e specificamente sulla possibilità di definire transattivamente i loro

rapporti patrimoniali, cfr. Cass. 14 giugno 2000. n. 8109. id., 2001. I. 1318, con note di E. Russo e G. Ceccherini.

Il Foro Italiano — 2003.

sistenziale è esclusivamente il lavoratore, la tutela del nucleo

familiare resta affidata alla legge ordinaria; la situazione del co

niuge superstite, nel sistema della legge, è quella meglio pro tetta in seno al nucleo familiare del pensionato; l'esclusione del

coniuge separato per sua colpa si spiega poiché vi è un più pro nunciato allentamento del vincolo matrimoniale, con disaffezio

ne ed estraneità alla vita ed all'attività lavorativa del coniuge deceduto; e del resto, la separazione per colpa rileva, secondo il

codice civile, nella sfera dei rapporti patrimoniali, privando il

coniuge colpevole del diritto al mantenimento; né è esatto che il

coniuge, cui la separazione viene addebitata ai sensi del nuovo

testo dell'art. 151 c.c., e che perde il diritto al mantenimento, abbia diritto alla pensione di reversibilità, mentre la differenza

di trattamento che fa capo all'addebitabilità trova la stessa ra

gionevole giustificazione riconosciuta per la colpa. Concluse la corte che i principi costituzionali invocati non

esigevano che il coniuge separato per sua colpa ricevesse la

stessa tutela pensionistica del coniuge incolpevole. E tuttavia

avvertì che spettava al legislatore stabilire come al coniuge col

pevole potessero essere corrisposti un assegno o una pensione alimentare (condizionata cioè allo stato di bisogno), così come è

previsto in tema di trattamento di quiescenza dei dipendenti dello Stato dagli art. 81,4° comma, e 88, 4° e 5° comma, d.p.r. 29 dicembre 1973 n. 1092.

Investita nuovamente della medesima questione, con la sen

tenza n. 286 del 1987, cit., la Corte costituzionale osservò, da

una parte, che il legislatore non aveva affatto accolto l'invito,

rivoltogli con la decisione n. 14 del 1980, di provvedere con ap

posita norma a soddisfare l'esigenza, anche allora considerata

giusta, di attribuire al coniuge del lavoratore privato, separato

per colpa, e poi con addebito della separazione, una pensione o

una quota di pensione di reversibilità condizionata allo stato di

bisogno, e ciò specialmente quando vi sia il riconoscimento in

suo favore del diritto agli alimenti, tenuto conto del fatto che il

settore pubblico, già prima della riforma del diritto di famiglia,

prevedeva, a favore dello stesso coniuge separato per colpa, l'attribuzione di una quota della pensione di reversibilità; dal

l'altra, rilevò l'evoluzione dell'istituto della pensione di rever

sibilità e la più incisiva generalizzazione del principio di solida rietà (art. 3 e 38 Cost.), secondo le considerazioni già svolte

nella decisione n. 169 del 1986 (id., 1986,1, 2097), l'espansione della linea di tendenza all'unificazione o, quanto meno, al

l'equiparazione dei regimi pensionistici dei lavoratori pubblici e

privati, e soprattutto l'evoluzione della disciplina legislativa dei

rapporti tra i coniugi in caso di scioglimento del matrimonio.

Sulla base di queste considerazioni, la Corte costituzionale

decise di «dichiarare l'illegittimità costituzionale delle norme

censurate nella parte in cui escludono dall'erogazione della pen sione di reversibilità il coniuge separato per colpa con sentenza

passata in giudicato», e la pronuncia è stata così espressa nel di

spositivo: «dichiara l'illegittimità costituzionale: a) dell'art. 1

d.leg.lgt. 18 gennaio 1945 n. 39 (disciplina del trattamento di

reversibilità delle pensioni dell'assicurazione obbligatoria per l'invalidità e la vecchiaia) nel testo sostituito dall'art. 7 1. 12

agosto 1962 n. 1338 (disposizioni per il miglioramento dei trat

tamenti di pensione dell'assicurazione obbligatoria per l'invali

dità, la vecchiaia e i superstiti) e riprodotto nell'art. 24 1. 30

aprile 1969 n. 153 (revisione degli ordinamenti pensionistici e

norme in materia di sicurezza sociale); b) dell'art. 23, 4° com

ma, 1. 18 agosto 1962 n. 1357 (riordinamento dell'ente nazio

nale di previdenza ed assistenza dei veterinari); nella parte in

cui escludono dall'erogazione della pensione di reversibilità il

coniuge separato per colpa con sentenza passata in giudicato». Successivamente, è stata anche pronunciata l'illegittimità co

stituzionale, sempre per violazione degli art. 38 e 3 Cost., del

l'art. 20, 1° comma, lett. a), 1. 2 febbraio 1973 n. 12, relativo al

trattamento pensionistico corrisposto dall'ente nazionale assi

stenza agenti e rappresentanti di commercio, nella parte in cui

esclude dal diritto a pensione di reversibilità il coniuge super stite, quando sia stata pronunziata la sentenza di separazione le

gale per colpa dello stesso (Corte cost. n. 1009 del 1988, id.,

1989,1, 357). E certo che, nelle due menzionate decisioni, nucleo essenziale

della motivazione è che non è più giustificabile, dopo la riforma

dell'istituto della separazione personale introdotta dal novellato art. 151, ii diniego al coniuge, cui è stata addebitata la separa zione, di una tutela che assicuri la continuità dei mezzi di so

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

stentamente che il defunto coniuge sarebbe stato tenuto a for

nirgli, ed inoltre che sussiste disparità di trattamento rispetto al

coniuge del divorziato al quale la pensione di reversibilità è cor

risposta quando sia titolare dell'assegno di divorzio, oltre che

rispetto al regime della reversibilità operante per il coniuge del

dipendente statale separato per colpa. E tuttavia, il dispositivo delle decisioni, conforme, del resto,

all'enunciato della motivazione, presenta un significato letterale

univoco, quanto alla determinazione dell'effetto caducatorio

delle norme che sanciscono l'esclusione del coniuge separato

per colpa dal beneficio della pensione di reversibilità.

Non si è in presenza, quindi, di quelle ipotesi in cui si devono

enucleare dai contenuti della motivazione i criteri necessari per il riscontro dell'oggetto della decisione e delle disposizioni con

essa caducate (cfr. Cass. 15 marzo 2001, n. 3756, id., Rep. 2001, voce Corte costituzionale, n. 50), siccome nella fattispe cie esiste perfetta coerenza tra la lettera del dispositivo, che non

richiama in alcun modo la motivazione al fine di precisare la

portata dell'innovazione normativa, e gli stessi contenuti della

motivazione, dal momento che la sentenza non assume alcuna

posizione in ordine all'applicabilità al coniuge separato per col

pa, o al quale la separazione è addebitata, di uno dei regimi giu ridici della pensione di reversibilità considerati come parametri di legittimità costituzionale: quello del coniuge divorziato, ov

vero quello vigente per le pensioni statali.

Le considerazioni contenute nella motivazione, invece, se

conducono con sicurezza ad equiparare la separazione per colpa a quello con addebito (e ciò anche in base alla decisione n. 14

del 1980), non autorizzano minimamente l'interprete a ritenere

che sia residuata una differenza di trattamento per il coniuge su

perstite separato in ragione del titolo della separazione. Se con

tenuti precettivi ulteriori è possibile individuare, essi riguardano esclusivamente il legislatore, indubbiamente autorizzato a di

sporre che il coniuge separato per colpa o con addebito abbia di

ritto alla reversibilità, ovvero ad una quota, solo nella sussisten

za di specifiche condizioni.

Né l'attuale assetto normativo, come determinato dall'inter

vento della Corte costituzionale, può essere sospettato di contra

sto con l'art. 3 Cost., atteso che la condizione del coniuge sepa rato non è comparabile con quella del divorziato, mentre il di

verso trattamento riservato ai dipendenti statali, potrebbe indur

re semmai a dubitare della legittimità di questo, e non certo del

trattamento più favorevole del settore privato. In conclusione, caducata l'esclusione disposta dalle norme

dichiarate incostituzionali, il coniuge separato per colpa, o al

quale la separazione sia stata addebitata, è equiparato in tutto e

per tutto al coniuge superstite (separato o non) ai fini della pen sione di reversibilità, che gli spetta a norma dell'art. 13 r.d.l. 14

aprile 1939 n. 636, nel testo sostituito dall'art. 22 1. 21 luglio 1965 n. 903.

Pertanto, la sentenza impugnata è incorsa in violazione di

norme di diritto nel rigettare la domanda di Liliana Simeoni

perché la sentenza di separazione con addebito non aveva posto a carico del coniuge obblighi di mantenimento o alimentari e

non era comprovato lo stato di bisogno, atteso che, a seguito della sentenza costituzionale n. 286 del 1987, anche per il co

niuge separato per colpa, o con addebito della separazione ope ra, ai fini del diritto alla pensione di reversibilità, la presunzione

legale di vivenza a carico del lavoratore al momento della mor

te.

La cassazione della sentenza per violazione di norme di di

ritto consente, non essendo necessari ulteriori accertamenti di

fatto, la decisione della causa nel merito, con l'accoglimento della domanda proposta da Liliana Simeoni nei confronti del

l'Inps.

Il

Motivi della decisione. — 2.1. - I ricorsi nn. 21342 (princi

pale) e 23037 (incidentale) del 2000, in quanto proposti contro

lo stesso provvedimento, debbono essere riuniti ai sensi dell'art.

335 c.p.c. 2.2. - Con il primo motivo (con cui deduce: «violazione e fal

sa applicazione dell'art. 5 e dell'art. 9 1. 1° dicembre 1970 n.

898, come modificato dalla 1. 1° agosto 1978 n. 436 e dall'art.

13 1. 6 marzo 1987 n. 74. Carenza assoluta e/o apparente di mo

li. Foro Italiano — 2003.

tivazione del provvedimento impugnato»), la ricorrente critica il

decreto impugnato (cfr., supra, n. 1.2, lett. A), anche sotto il

profilo della sua motivazione, sostenendo che i giudici d'ap

pello si sarebbero limitati ad un mero controllo formale circa la

titolarità, in capo alla Ambrosi, dell'assegno divorzile quale condizione per l'attribuzione della quota di pensione di reversi

bilità, senza, in particolare, tener conto che: a) l'art. 9 1. n. 898

del 1970, come novellato dall'art. 13 1. n. 74 del 1987, avrebbe

introdotto, in materia, sostanziali innovazioni, che avrebbero

mutato radicalmente la fattispecie costitutiva del diritto dell'ex

coniuge all'attribuzione di quota della pensione di reversibilità;

b) dall'affermazione della circostanza, secondo cui le condizio

ni economiche della Ambrosi al momento del divorzio erano del

tutto simili a quelle del marito, si sarebbe arguita, contradditto

riamente, la natura assistenziale dell'assegno divorzile; c) la

Ambrosi avrebbe rinunciato alla quota di assegno divorzile alla

stessa spettante. Con il secondo motivo (con cui deduce: «violazione e falsa

applicazione dell'art. 5 1. 898/70 e successive modifiche. Omes

sa e/o contraddittoria motivazione. Contrasto con gli art. 3 e 29

Cost.»), la ricorrente critica, per altro verso, il decreto impu

gnato (cfr., supra, n. 1.2, lett. B), anche sotto il profilo della sua

motivazione, lamentando che i giudici a quibus non abbiano

dato rilevanza, per quanto attiene alla durata del rapporto, alla

convivenza more uxorio, protrattasi tra la stessa ed il Pagani dal

1985 al 1998 (data del matrimonio civile); ed eccependo l'ille

gittimità costituzionale dell'art. 9, 3° comma, 1. n. 898 del 1970,

per assunta violazione degli art. 3 e 29 Cost., ove interpretato, come nella specie, nel senso di escludere dal criterio della du

rata del rapporto il computo della convivenza more uxorio del

coniuge deceduto con quello superstite, e di non escludere, in

vece, il periodo di separazione trascorso tra lo stesso coniuge deceduto e l'ex coniuge.

Infine, con il terzo motivo (con cui deduce: «violazione e fal

sa applicazione dell'art. 9, 3° comma, e dell'art. 5 1. 898/70 e

successive modifiche. Omessa e/o contraddittoria motivazione.

Contrasto con la sentenza della Corte costituzionale n. 419 del

1999», Foro it., 2000, I, 1770), la ricorrente critica, ancora, il

provvedimento impugnato (cfr., supra, n. 1.2, lett. C), anche

sotto il profilo della sua motivazione, per quanto attiene ai crite

ri di ripartizione della pensione di reversibilità in concreto ap

plicati, sostenendo che la corte marchigiana, da un lato — pur

riconoscendo che le condizioni economiche della Masetti erano

deteriori rispetto a quelle della Ambrosi — avrebbe, conraddit

toriamente, attribuito a quest'ultima una quota di pensione supe riore a quella riconosciutale; e, dall'altro, avrebbe completa mente omesso di tener conto del punto

— certamente decisivo — dell'entità irrisoria dell'assegno divorzile di spettanza del

l'ex coniuge. 2.3. - Con l'unico motivo, la ricorrente incidentale critica, a

sua volta, il decreto impugnato «limitatamente alla parte in cui

la corte d'appello riconosce alla sig. Ambrosi ... una quota di

pensione di reversibilità pari a 2/3 anziché in misura superiore e

comunque almeno pari a 4/5, in conformità a quanto statuito nel

decreto del Tribunale di Ascoli Piceno, nonché nella parte in cui

fa decorrere la corresponsione della quota dalla data del depo sito del ricorso anziché dalla data della morte dell'obbligato», sostenendo che i giudici d'appello non avrebbero dato esclusivo

o, comunque, prevalente rilievo al criterio della durata del ma

trimonio e, in ogni caso, avrebbero illegittimamente fatto ricor

so ad altri criteri al di là della loro utilizzabilità e delle loro fi

nalità.

2.4. - Il primo motivo del ricorso principale deve essere re

spinto. L'art. 9, 3° comma, primo periodo, 1. n. 898 del 1970 (nel te

sto sostituito dall'art. 13 1. n. 74 del 1987) pone, tra le altre con

dizioni per il riconoscimento, in favore dell'ex coniuge, del di

ritto ad una quota della pensione di reversibilità, quella che il

coniuge divorziato «sia titolare dell'assegno di cui all'art. 5»:

sia titolare, cioè, di assegno divorzile.

È noto che, nella disciplina previgente alla novella del 1987, l'art. 8 1. n. 898 del 1970, sia nel testo originario, sia in quello modificato dalla 1. n. 436 del 1978 (testi, poi, entrambi sostitui

ti, appunto, dall'art. 13 1. n. 74 del 1987) non attribuiva al co

niuge divorziato un diritto alla pensione di reversibilità in caso

di morte dell'ex coniuge, né prefigurava una ripartizione tra

soggetti variamente titolari del diritto in questione, ma prevede

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3283 PARTE PRIMA 3284

va una prestazione patrimoniale che partecipava della natura

propria dell'assegno di divorzio, la cui quantificazione era affi

data alla valutazione discrezionale del giudice, chiamato a con

siderare le particolari situazioni venute a determinarsi dopo la

morte dell'ex coniuge, obbligato alla corresponsione dell'asse

gno, per effetto dell'estinzione di tale obbligo (cfr., e pluribus, Cass. n. 2329 del 1993, id., Rep. 1993, voce Matrimonio, n.

187; n. 10557 del 1996, id., Rep. 1996, voce cit., n. 189; v. an

che Cass., sez. un., n. 12540 del 1998, id., Rep. 1999, voce cit., n. 160; nonché Cass. n. 4925 del 2001, id.. Rep. 2001, voce cit., n. 177).

È anche noto che questa corte — a partire dalla sentenza n.

5939 del 1991 (id., 1992, I, 1513), pronunciata a sezioni unite, seguita in modo assolutamente prevalente dalle pronunce delle

sezioni semplici (cfr., ex pluribus, sent. n. 12682 del 1992, id.,

Rep. 1992, voce cit., n. 190; n. 412 del 1996, id.. Rep. 1996, vo

ce cit., n. 186; n. 14111 del 1999, id., Rep. 1999, voce Previ

denza sociale, n. 647; n. 12389 del 2000, id., Rep. 2001, voce

Matrimonio, n. 175, e n. 4925 del 2001, cit.) — ha sempre af

fermato che l'art. 13 1. n. 74 del 1987 regola in modo radical

mente innovativo il trattamento economico del coniuge divor

ziato in caso di morte dell'ex coniuge, in concorso o meno con

il coniuge superstite di questi, attribuendogli, se non passato a

nuove nozze, la pensione di reversibilità o una quota di essa —

non, quindi, la mera possibilità di conseguire, con pronuncia co

stitutiva, un assegno assimilabile a quello pensionistico — e fis

sando, altresì, come condizione di tale attribuzione, la titolarità

di assegno di divorzio giudizialmente riconosciuta (cfr. anche

Corte cost. n. 777 del 1988, id., 1988, I, 3515, e n. 87 del 1995,

id., Rep. 1995, voce cit., n. 212); e che detto articolo integra una

disposizione di natura sostanziale, incidente sui fatti generatori delle posizioni soggettive del divorziato e non semplicemente sui loro effetti, sicché, in difetto di previsione di retroattività, esso non può trovare applicazione se non nelle controversie

aventi ad oggetto diritti del coniuge divorziato, ricollegabili a

decesso dell'ex coniuge avvenuto dopo l'entrata in vigore della

norma medesima.

Da siffatti principi, integralmente condivisi dal collegio, di

scende che, nel caso in cui — quale quello di specie (cfr., supra,

n. 1.1) — il divorzio sia stato pronunciato e l'assegno di divor

zio giudizialmente stabilito durante la vigenza della disciplina anteriore alla novella del 1987 e, tuttavia, il decesso del coniu

ge, della cui pensione di reversibilità si tratta, sia avvenuto dopo l'entrata in vigore della 1. n. 74 del 1987, la disciplina applica bile è quella dettata da quest'ultima legge; con la conseguenza che, unitamente al possesso degli altri requisiti di legge, è suffi

ciente, al fine di poter aspirare alla pensione di reversibilità o ad

una quota di essa, che il coniuge divorziato sia titolare di asse

gno divorzile giudizialmente stabilito.

In tale prospettiva, perdono ogni rilievo, al fine predetto, sia

la natura prevalente dell'assegno (in quanto riconosciuto nella

vigenza della precedente disciplina), sia la sua entità, sia le con

crete, successive vicende ad esso relative (nella specie, modesta

entità dell'assegno ed acquiescenza del coniuge divorziato al

l'omesso suo versamento da parte del coniuge obbligato): e ciò,

per la decisiva ragione che la legge — art. 9, 1° comma, 1. n.

898 del 1970 (come sostituito dall'art. 13 1. n. 74 del 1987) —

prevede uno specifico procedimento giurisdizionale anche per «la revisione delle disposizioni ... relative alla misura e alle

modalità dei contributi da corrispondere ai sensi degli art. 5 e

6»; procedimento, che costituisce l'unico mezzo idoneo a de

terminare l'eventuale perdita della titolarità dell'assegno divor

zile da parte del coniuge divorziato e, quindi, la mancanza del

relativo requisito per poter aspirare alla pensione di reversibili

tà.

2.5. - Il secondo motivo merita, invece, accoglimento. Come emerge chiaramente dalla motivazione della sentenza

impugnata (cfr., supra, n. 1.2, lett. B), i giudici del reclamo

hanno escluso, in linea di principio, che, per la determinazione

della quota della pensione di reversibilità attribuibile al coniuge

superstite (odierna ricorrente), possa tenersi conto, nell'ambito

del criterio legislativo della «durata del rapporto», quale ele

mento temporale per il suo computo, della convivenza more

uxorio fra il coniuge superstite stesso e il coniuge deceduto.

Dal momento che, nel motivo (cfr., supra, n. 2.2), viene, tra

l'altro, eccepita l'illegittimità costituzionale dell'art. 9, 3°

comma, 1. n. 898 del 1970 (nel testo sostituito dall'art. 13 1. n.

Il Foro Italiano — 2003.

74 del 1987), (anche) nella parte in cui esclude dalla «durata del

rapporto» il computo della convivenza more uxorio del coniuge deceduto con quello superstite, appare opportuno ripercorrere le

tappe giurisprudenziali più significative della vicenda interpre tativa di tale disposizione.

È noto che le sezioni unite di questa corte (sent. n. 159 del

1998, id., 1998, I, 392) hanno affermato i principi, secondo cui,

nel caso di concorso fra coniuge divorziato e coniuge superstite, aventi entrambi i requisiti per pretendere la pensione di reversi

bilità dell'ex coniuge deceduto, ai fini della ripartizione fra i

due del relativo trattamento ai sensi dell'art. 9, 3° comma, 1. n.

898 del 1970 (nel testo sostituito dall'art. 13 1. n. 74 del 1987), non possono essere utilizzati criteri diversi da quello della «du

rata del rapporto» matrimoniale, ossia del semplice dato nume

rico rappresentato dalla proporzione fra le estensioni temporali dei rispettivi rapporti matrimoniali; secondo cui tale durata non

può essere intesa che come coincidente con la durata legale del

rapporto matrimoniale, senza che possano assumere rilevanza,

in pregiudizio del «coniuge divorziato», l'eventuale cessazione

della convivenza matrimoniale ancor prima della pronuncia di

divorzio, o, in favore del «coniuge superstite», l'eventuale pe riodo di convivenza more uxorio con l'ex coniuge deceduto, che

abbia preceduto il nuovo matrimonio; e, secondo cui, conse

guentemente, la quota della pensione di reversibilità, spettante a

ciascuno dei coniugi, non può che risultare dal rapporto tra la

durata legale del suo matrimonio con l'ex coniuge e la misura

costituita dalla somma dei due periodi matrimoniali, rimanendo

preclusa l'adozione di qualsiasi altro criterio di valutazione, an

che se in funzione di mera emenda o di mera correzione del ri

sultato conseguito. Tale rigorosa interpretazione del predetto criterio legislativo

— seguita dalle sezioni semplici di questa corte: cfr., ex pluri

bus, sent. n. 5662 del 1998, id., Rep. 1998, voce cit., n. 172, e n.

5926 del 1998, id., Rep. 1999, voce cit., n. 158; n. 7329 del 1999, id.. Rep. 2000, voce cit., n. 206 — è stata, però, com'è

altrettanto noto, significativamente intaccata dalla sentenza

«interpretativa di rigetto» della Corte costituzionale n. 419 del

1999, cit. La corte, infatti, nel dichiarare non fondata, nei sensi di cui in

motivazione, con riferimento agli art. 3 e 38 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 9, 3° comma, 1. n. 898 del

1970 (nel testo sostituito dall'art. 13 1. n. 74 del 1987) — lad

dove (secondo la prospettazione del giudice rimettente la que stione), prevedendo che la ripartizione dell'ammontare della

pensione tra il coniuge superstite e quello divorziato, se entram

bi vi abbiano diritto, avvenga «tenendo conto» della durata del

rapporto, imporrebbe di effettuare tale ripartizione esclusiva

mente secondo il criterio matematico della proporzione tra l'e

stensione temporale dei rispettivi rapporti matrimoniali senza

che il giudice, chiamato a determinare le quote di ripartizione della pensione, possa utilizzare alcun altro criterio o correttivo,

neppure quelli previsti per la determinazione della misura del

l'assegno di divorzio, e senza che possa comparare le situazioni

di bisogno delle persone che concorrono alla ripartizione della

pensione — ha premesso che «in questo caso la pensione di re

versibilità realizza la sua funzione solidaristica in una duplice direzione. Anzitutto nei confronti del coniuge superstite, come

forma di ultrattività della solidarietà coniugale, consentendo la

prosecuzione del sostentamento prima assicurato dal reddito del

coniuge deceduto (sent. n. 70 del 1999, id., Rep. 1999, voce

Pensione, n. 329, e n. 18 del 1998, id., 1998,1, 659). In secondo

luogo nei confronti dell'ex coniuge, il quale, avendo diritto a ri

cevere dal titolare diretto della pensione mezzi necessari per il

proprio adeguato sostentamento, vede riconosciuta, per un ver

so, la continuità di questo sostegno e, per altro verso, la conser

vazione di un diritto, quello alla reversibilità di un trattamento

pensionistico, geneticamente collegato al periodo in cui sussi

steva il rapporto coniugale. Si tratta, dunque, di un diritto alla

pensione di reversibilità, che non è inerente alla semplice qua lità di ex coniuge, ma che ha uno dei suoi necessari elementi

genetici nella titolarità attuale dell'assegno, la cui attribuzione

ha trovato fondamento nell'esigenza di assicurare allo stesso ex

coniuge mezzi adeguati». Tanto premesso, la corte ha sottolineato che la mancata con

siderazione di qualsiasi correttivo nell'applicazione del criterio

matematico di ripartizione della pensione di reversibilità tra il

coniuge superstite e quello divorziato potrebbe condurre ad un

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

«esito paradossale»: «il coniuge superstite potrebbe conseguire una quota di pensione del tutto inadeguata alle più elementari

esigenze di vita, mentre l'ex coniuge potrebbe conseguire una

quota di pensione del tutto sproporzionata all'assegno in prece denza goduto, senza che il tribunale possa tener conto di altri

criteri per ricondurre ad equità la situazione».

Sicché — ha concluso la corte — la ripartizione della pensio ne di reversibilità tra coniuge superstite e coniuge divorziato

«non può avvenire escludendo che si possa tenere conto, quale

possibile correttivo, delle finalità e dei particolari requisiti che, in questo caso, sono alla base del diritto alla reversibilità» e

«deve essere disposta 'tenendo conto' della durata dei rispettivi

rapporti matrimoniali»: nel senso che «il giudice deve 'tenere

conto' dell'elemento temporale, la cui valutazione non può in

nessun caso mancare» e che «a tale elemento può essere ricono

sciuto valore preponderante e il più delle volte decisivo, ma non

sino a divenire esclusivo nell'apprezzamento del giudice, la cui

valutazione non si riduce ad un mero calcolo aritmetico» (cfr. nn. 2.1 e 2.2 del 'considerato in diritto').

Dall'analisi di tale pronuncia emerge chiaramente che l'inter

pretazione «adeguatrice» a Costituzione, operata dalla Corte co

stituzionale, è idonea ad incidere, come già rilevato, in modo

ampio e significativo sulla «esclusività» del parametro legislati vo temporale e, quindi, sulla «rigidità» dell'applicazione del

mero criterio matematico ai fini della ripartizione della pensione di reversibilità tra coniuge superstite e coniuge divorziato. In

tale prospettiva, pertanto, i risultati raggiunti con la sola consi

derazione dell'elemento temporale — al quale, peraltro, «può

essere riconosciuto valore preponderante e il più delle volte de

cisivo» — debbono essere corretti dal giudice in ogni caso in

cui dai risultati stessi emerga con immediata evidenza la neces

sità di «ricondurre ad equità la situazione». E tale «correzione» — che, seguendo l'interpretazione della corte, integra esercizio

di un vero e proprio potere discrezionale del giudice — deve es

sere operata da quest'ultimo, in primo luogo, «tenendo conto»

«delle finalità e dei particolari requisiti che, in questo caso, sono

alla base del diritto alla reversibilità»; in secondo luogo, «della

duplice finalità solidaristica propria di tale trattamento pensioni stico e delle ragioni di esso»: ed infine, del «significato relativo

dell'espressione 'tenendo conto'» nel sistema della legge sul

divorzio, «che altre volte usa la medesima espressione per rife

rirsi a circostanze da considerare quali elementi rimessi alla

ponderazione del giudice ... proprio per definire i rapporti pa trimoniali derivanti dalla pronuncia di divorzio (cfr. art. 5, 6°

comma, 1. n. 898 del 1970)».

Questa corte (cfr., ex pluribus, sent. n. 2920 del 2000, id.,

Rep. 2000, voce Matrimonio, n. 205; n. 8113 del 2000, ibid., n.

207; n. 12389 del 2000, cit; n. 3037 del 2001, id., Rep. 2001, voce cit., n. 169, e n. 1057 del 2002, id., Rep. 2002, voce cit., n.

137) ha aderito alla predetta interpretazione «adeguatrice», in

dividuando, ove necessario, conformemente alla specifica indi

cazione del giudice delle leggi, criteri correttivi dell'applicazio ne del mero criterio temporale in quelli prefigurati dall'art. 5, 6°

comma, 1. n. 898 del 1970 ai fini del riconoscimento e della de

terminazione dell'assegno di divorzio.

Della convivenza more uxorio tra coniuge superstite e coniu

ge deceduto — quale elemento temporale autonomo, ovvero

eventualmente correttivo del criterio legislativo della «durata

del rapporto» (inteso dalle sezioni unite di questa corte, nella

sent. n. 159 del 1998 cit., come «durata legale del rapporto ma

trimoniale») — la Corte costituzionale si è specificamente oc

cupata in una sola occasione: e cioè, nell'ordinanza n. 491 del

2000 (id., Rep. 2001, voce cit., n. 168). È opportuno, però, prima rammentare che, in altra precedente

occasione, la Corte costituzionale (sent. n. 461 del 2000, ibid., voce Previdenza sociale, n. 617) — nel dichiarare non fondata,

con riferimento agli art. 2 e 3 Cost., la questione di legittimità costituzionale degli art. 13 r.d.l. 14 aprile 1939 n. 636, conver

tito, con modificazioni, nella 1. 6 luglio 1939 n. 1272, e 9, 2° e

3° comma, 1. n. 898 del 1970 (come sostituito dall'art. 13 1. n.

74 del 1987), nella parte in cui non includono il convivente mo

re uxorio fra i soggetti beneficiari del trattamento pensionistico di reversibilità -— ha osservato, con riferimento all'art. 3 Cost., che «diversamente dal rapporto coniugale, la convivenza more

uxorio è fondata unicamente sulla affectio quotidiana — libera

mente e in ogni istante revocabile — di ciascuna delle parti e si

caratterizza per l'inesistenza di quei diritti e doveri reciproci,

Il Foro Italiano — 2003.

sia personali che patrimoniali, che nascono dal matrimonio»; \

con riferimento al principio della tutela dei diritti inviolab" i

dell'uomo nelle «formazioni sociali» in cui questo svolge la

personalità, riconosciuti e garantiti dall'art. 2 Cost., ne ha esc li

so la violazione, «in quanto la riferibilità dell'art. 2 'anche alle

convivenze di fatto, purché caratterizzate da un grado accertato

di stabilità' (sent. n. 310 del 1989, id., 1991,1, 446, e n. 237 del 1986, id., 1987, I, 2353) non comporta un necessario riconosci

mento, al convivente, del trattamento pensionistico di reversibi

lità che non appartiene certo ai diritti inviolabili dell'uomo pre sidiati dall'art. 2 Cost.», osservando, altresì, che «le esigenze solidaristiche evidenziate ... possono trovare la sede idonea alla

loro realizzazione nell'attività del legislatore e non già nel giu dizio di legittimità costituzionale».

Nella specifica occasione dianzi ricordata (ord. n. 491 del

2000) la Corte costituzionale ha, tra l'altro, dichiarato manife

stamente infondata, con riferimento all'art. 3 Cost., anche la

questione di legittimità costituzionale dell'art. 9, 3° comma, 1.

n. 898 del 1970, nel testo risultante dalla novella del 1987, nella

parte in cui non include il periodo di convivenza more uxorio

precedente la celebrazione del matrimonio tra coniuge superstite e coniuge deceduto: in tale occasione, la corte —

dopo aver af

fermato che «la diversità tra famiglia di fatto e famiglia fondata

sul matrimonio rappresenta ... un punto fermo di tutta la giuris

prudenza costituzionale in materia ed è basata sull'ovvia con

statazione che la prima è un rapporto di fatto, privo dei caratteri

di stabilità e certezza e della reciprocità e corrispettività dei di

ritti e dei doveri che nascono soltanto dal matrimonio e sono

propri della seconda» — ha aggiunto che «è appena il caso di

rilevare come gli eventuali riflessi negativi del criterio della du

rata del matrimonio possano e debbano essere superati mediante

l'applicazione di altri e differenti criteri concorrenti, ed in pri mis di quello relativo allo stato di bisogno degli aventi titolo

alla pensione di reversibilità, realizzandosi in tal modo la giusta

esigenza ... di tutelare tra le due posizioni confliggenti quella del soggetto economicamente più debole (sent. n. 419 del

1999)». Con quest'ultima pronuncia, dunque, il giudice delle leggi

dopo aver escluso che l'omessa previsione legislativa del perio do di convivenza more uxorio tra coniuge superstite e coniuge deceduto, quale ulteriore elemento temporale da computare nel

l'ambito del criterio della durata legale del matrimonio, collida

con l'art. 3 Cost. — ha chiarito significato e portata dalla prece dente sentenza n. 419 del 1999: ha, infatti, specificato, innanzi

tutto, che i risultati derivanti dall'applicazione del criterio della

durata del matrimonio, ove «iniqui», possono e debbono essere

«corretti» mediante l'applicazione «di altri e differenti [rispetto alla convivenza more uxorio] criteri concorrenti [con quello della durata legale del matrimonio]», i quali, pertanto, si pongo no «accanto» al criterio legislativo con la medesima forza re

golatrice della singola fattispecie e, in quanto genericamente in

dicati dalla corte, possono essere tratti dalle specifiche peculia rità della fattispecie stessa; in secondo luogo, che il criterio

prioritario per operare equamente la ripartizione della pensione di reversibilità tra coniuge superstite e coniuge divorziato è

«quello relativo allo stato di bisogno degli aventi titolo»; ed in

fine, che il senso della «duplice funzione solidaristica» cui mira, in questo caso, la pensione di reversibilità, sta proprio nell'ap

plicazione dei predetti criteri in modo preordinato alla realizza

zione, da parte del giudice, dello scopo ultimo dell'opera di ri

partizione della pensione stessa: e cioè, quello «di tutelare tra le

due posizioni confliggenti quella del soggetto economicamente

più debole».

Questa corte — dopo avere, in un primo momento, escluso, in

conformità all'orientamento espresso dalle sezioni unite (sent, n. 159 del 1998, cit.), la rilevanza giuridica, in favore del coniu

ge superstite, dell'eventuale periodo di convivenza more uxorio

di quest'ultimo con il coniuge deceduto (cfr. sent. n. 7329 del

1999, cit., e n. 13460 del 2000, id., Rep. 2000, voce Matrimo

nio, n. 218) — ha, recentemente (cfr. sent. n. 282 del 2001, id..

Rep. 2001, voce cit., n. 172), proprio sulla base della richiamata

interpretazione «adeguatrice» dell'art. 9, 3° comma, 1. n. 898

del 1970, affermato che «il criterio della durata dei rispettivi

rapporti matrimoniali può essere corretto da altri criteri, in rela

zione alle particolarità del caso concreto, ma solo nella misura

in cui sia necessario per evitare, per quanto possibile, che l'ex

coniuge sia privato dei mezzi necessari a mantenere il tenore di

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3287 PARTE PRIMA 3288

vita che gli avrebbe dovuto assicurare (o contribuito ad assicu

rare) nel tempo l'assegno di divorzio, ed il secondo coniuge del

tenore di vita che il de cuius gli assicurava (o contribuiva ad as

sicurargli) in vita»; e, tuttavia, che «in tale ottica l'esistenza di

un periodo di convivenza prematrimoniale del secondo coniuge

può anche essere assunta dal giudice come elemento della sua

valutazione complessiva, ma solo in relazione al su detto fine

perequativo, e non quale indice di per sé giustificativo del com

puto del relativo periodo ai fini della ripartizione della pensio ne».

E siffatto orientamento è stato integralmente e testualmente

ribadito dalla sentenza n. 2471 del 2003, id., Mass., 222.

Alla luce della ora riassunta, complessa elaborazione giuris

prudenziale sull'art. 9, 3° comma, primo periodo, 1. n. 898 del

1970, nel testo novellato dall'art. 13 1. n. 74 del 1987, il collegio ritiene che le conclusioni finora raggiunte

— segnatamente dalle

sue ricordate sentenze n. 282 del 2001, cit., e n. 2471 del 2003, cit. — debbano essere, anche in questo caso, confermate.

In tale prospettiva, deve sottolinearsi che, nella sentenza n. 8

del 1996 (id., 1997, I, 2716), il giudice delle leggi — ribadendo il proprio costante orientamento circa l'inassimilabilità, sul pia no costituzionale, della famiglia di fatto alla famiglia legittima — ha elaborato, al riguardo, importanti precisazioni di principio e di metodo: «Questa corte, nella sentenza n. 237 del 1986 ..., riconosciuta la rilevanza costituzionale del 'consolidato rap

porto' di convivenza, ancorché rapporto di fatto, lo ha tuttavia

distinto dal rapporto coniugale, secondo quanto impongono il

dettato costituzionale e gli orientamenti emergenti dai lavori

preparatori. Conseguentemente, ha ricondotto il primo nell'am

bito della protezione, offerta dall'art. 2 dei diritti inviolabili

dell'uomo nelle formazioni sociali e il secondo a quella dell'art.

29 Cost. Tenendo distinta l'una dall'altra forma di vita comune

tra uomo e donna, si rende possibile riconoscere a entrambe la

loro propria specifica dignità; si evita di configurare la convi

venza come forma minore del rapporto coniugale, riprovata o

appena tollerata, e non si innesca alcuna impropria 'rincorsa'

verso la disciplina del matrimonio da parte di coloro che abbia

no scelto di liberamente convivere. Soprattutto si pongono le

premesse per una considerazione giuridica dei rapporti personali e patrimoniali di coppia nelle due diverse situazioni, considera zione la quale

— fermi in ogni caso i doveri e i diritti che ne de

rivano verso i figli e i terzi — tenga presente e quindi rispetti il

maggior spazio da riconoscersi, nella convivenza, alla soggetti vità individuale dei conviventi; e viceversa dia, nel rapporto di

coniugio, maggior rilievo alle esigenze obiettive della famiglia come tale, cioè come stabile' istituzione sovraindividuale. Que sta valutazione costituzionale del rapporto di convivenza ri

spetto al vincolo coniugale non può essere contraddetta da op

poste visioni dell'interprete. I punti di vista di principio assunti

dalla Costituzione valgono innanzitutto come criteri vincolanti di comprensione e di classificazione, e quindi di assimilazione o differenziazione dei fatti sociali giuridicamente rilevanti ... La distinta considerazione costituzionale della convivenza e del

rapporto coniugale, come tali, non esclude affatto, tuttavia, la

comparabilità delle discipline riguardanti aspetti particolari del l'una e dell'altro che possano presentare analogie, ai fini del controllo di ragionevolezza a norma dell'art. 3 Cost.: un con

trollo, già in passato esercitato numerose volte dalla Corte co

stituzionale, il quale, senza intaccare l'essenziale diversità delle due situazioni, ha tuttavia condotto talora a censurare l'ingiusti ficata disparità di trattamento (a danno ora della famiglia di

fatto, ora della famiglia legittima) delle analoghe condizioni di vita che derivano dalla convivenza e dal coniugio (sent. n. 559 del 1989, id., 1990, I, 1465; n. 404 del 1988, id., 1988,1, 2515, e n. 179 del 1976, id., 1976,1, 2035)» (nn. 2 e 3 del 'considerato in diritto').

Ed è proprio in tale prospettiva che si giustifica, appunto, la

considerazione, da parte del giudice chiamato a ripartire la pen sione di reversibilità tra coniuge superstite e coniuge divorziato, della convivenza more uxorio quale elemento «correttivo» o, se si vuole, «perequativo» dei risultati raggiunti unicamente alla luce del criterio temporale della durata legale dei rispettivi rap porti matrimoniali.

Ma l'ulteriore passo — di riconoscere, cioè, nell'ambito del

criterio legislativo della «durata del rapporto» (inteso come du rata legale del matrimonio), alla convivenza more uxorio non

soltanto, al pari di altri possibili e diversi criteri, una valenza

Il Foro Italiano — 2003.

«correttiva» dei risultati derivanti dall'applicazione del criterio

temporale, ma anche un distinto ed autonomo rilievo giuridico — condurrebbe, in definitiva, ad un'equiparazione tout court di

tale tipo di convivenza al rapporto coniugale: operazione, que sta, non consentita all'interprete

— in assenza di idonei supporti costituzionali e legislativi

— dallo stesso disegno costituzionale

in materia.

Alla luce delle considerazioni che precedono, l'eccezione di

illegittimità costituzionale dell'art. 9, 3° comma, 1. n. 898 del

1970 (nel testo sostituito dall'art. 13 1. n. 74 del 1987), (anche) nella parte in cui esclude dalla «durata del rapporto» il computo della convivenza more uxorio del coniuge deceduto con quello

superstite, deve essere pertanto dichiarata manifestamente in

fondata, anche perché non vengono proposti argomenti nuovi od

ulteriori rispetto a quelli già esaminati dalla Corte costituzionale

nella succitata ord. n. 491 del 2000.

In conclusione, il giudice, chiamato a decidere la ripartizione della pensione di reversibilità fra coniuge superstite e coniuge divorziato nell'ipotesi prefigurata dall'art. 9, 3° comma, primo

periodo, 1. n. 898 del 1970, nel testo sostituito dall'art. 13 1. n.

74 del 1987: a) deve applicare, quale criterio preponderante e

potenzialmente decisivo al predetto fine, quello della durata le

gale dei rispettivi rapporti matrimoniali (Cass., sez. un., n. 159

del 1998 e Corte cost. n. 419 del 1999, cit.); b) ove l'applica zione di tale criterio conduca ad esiti iniqui rispetto alle parti colari circostanze della concreta fattispecie, dedotte e dimostrate

dalle parti, deve applicare criteri «correttivi» dei risultati stessi:

quali, ad esempio, quelli dettati, per il riconoscimento e la de

terminazione dell'assegno di divorzio, dall'art. 5, 6° comma. 1.

n. 898 del 1970 (nel testo introdotto dall'art. 10 1. n. 74 del

1987); quello derivante dalla dedotta e dimostrata convivenza

more uxorio con il coniuge deceduto; e, comunque, ogni altro

criterio idoneo a ricondurre la situazione ad equità conforme

mente alle circostanze stesse, avendo sempre riguardo, come

criteri di «orientamento» e di «chiusura», alla «duplice» funzio

ne solidaristica realizzata in questo caso dalla pensione di rever

sibilità ed all'esigenza di tutelare, tra le due posizioni conflig genti, quella del soggetto economicamente più debole e più bi

sognoso (Corte cost. n. 419 del 1999 e n. 491 del 2000, cit.;

nonché, da ultimo, Cass. n. 282 del 2001 e n. 2471 del 2003,

cit.). Dal momento che il provvedimento impugnato, come già ri

levato, ha escluso, tout court ed in linea di principio, la rilevan

za, nel giudizio di ripartizione della pensione di reversibilità fra

coniuge superstite e coniuge divorziato, del periodo di convi

venza more uxorio — che l'odierna ricorrente, nella specie, ha

detto essere esistito tra lei ed il Pagani per lungo tempo ed ha

fatto valere nella presente controversia — il provvedimento stesso deve essere annullato, con la conseguenza che la relativa causa deve essere rinviata ad altro giudice, che si ritiene di indi

viduare nella Corte d'appello di Bologna, la quale, oltre ad uni

formarsi ai principi di diritto dianzi ribaditi, provvederà anche a

regolare le spese del giudizio di legittimità. 2.6. -

L'accoglimento del secondo motivo del ricorso princi pale

— che comporta necessariamente un nuovo giudizio di ri

partizione della pensione di reversibilità — determina, ovvia

mente, l'assorbimento del terzo motivo formulato nel ricorso

stesso, nonché del ricorso incidentale, nella parte in cui critica, a sua volta, il giudizio di ripartizione operato dal decreto impu gnato.

Per quanto riguarda, invece, la critica formulata dal ricorrente incidentale al provvedimento impugnato, laddove «fa decorrere la corresponsione della quota [di pensione di reversibilità] dalla data del deposito del ricorso anziché dalla data della morte del

l'obbligato», essa deve essere dichiarata inammissibile, perché definitivamente preclusa: infatti —

posto che il Tribunale di

Ascoli Piceno, con il decreto del l°-20 marzo 2000, aveva attri buito alla Ambrosi una quota della pensione di reversibilità pari a 4/5 della stessa con decorrenza dalla data del deposito del ri corso introduttivo del giudizio; e che la Ambrosi stessa non ha

proposto reclamo avverso tale specifica statuizione, limitandosi soltanto a resistere al reclamo della controparte

— è del tutto evidente che, a prescindere dalla concreta ripartizione della pen sione di reversibilità che il giudice di rinvio dovrà effettuare, la decorrenza della relativa quota eventualmente attribuita all'o dierna ricorrente incidentale non potrà che coincidere con la

proposizione della domanda (deposito del ricorso introduttivo del presente giudizio).

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Ill

Svolgimento del processo. — Con la sentenza indicata in epi

grafe, la Corte d'appello di Genova ha rigettato l'impugnazione

proposta da Pittaluga Carmelina avverso quella del locale tribu

nale con la quale era stata respinta la domanda di riconosci

mento del proprio diritto, quale moglie divorziata di Cìambarino

Eugenio, all'ottenimento di una quota della pensione di reversi

bilità spettante a Procida Carla, vedova dello stesso Gambarino.

Il giudice di secondo grado ha rilevato che, avendo la Pittaluga richiesto e ottenuto di percepire l'assegno divorzile in unica

soluzione ai sensi dell'8° comma dell'art. 5 1. n. 898 del 1970, non sussisteva il requisito della titolarità in atto dell'assegno di

divorzio voluto dal combinato disposto del 2° e 3° comma del

l'art. 9 stessa legge. La Pittaluga chiede la cassazione della decisione con ricorso

sostenuto da tre motivi e illustrato con memoria. La Procida re

siste con controricorso, anche esso illustrato con memoria. L'I

stituto nazionale di previdenza per i dirigenti di aziende indu

striali si è costituito con controricorso. L'ente previdenziale per i farmacisti non si è invece costituito.

Motivi della decisione. — Con il primo motivo — denun

ciando violazione e falsa applicazione degli art. 9, 3° comma, 1.

n. 898 del 1970, e 132, n. 4, c.p.c., nonché omessa o insuffi

ciente motivazione — la ricorrente deduce che erroneamente il

giudice di merito ha escluso il proprio diritto alla percezione di

una quota della pensione di reversibilità a seguito della morte

dell'ex coniuge a ragione dell'avere lei conseguito in unica so

luzione l'assegno divorzile. E invero, la circostanza che l'asse

gno sia stato corrisposto non in via periodica ma una tantum

non fa venire meno la titolarità dell'assegno stesso incidendo

esclusivamente sulle modalità della sua erogazione e non modi

ficandone la natura di assegno di mantenimento.

Con il secondo motivo — denunciando violazione e falsa ap

plicazione degli art. 9 e 5, 6° comma, 1. n. 898 del 1970 e vizi

della motivazione — la ricorrente sostiene che la corte d'ap

pello, nel fare leva sul disposto dell'8° comma del citato art. 5

secondo il quale se la corresponsione dell'assegno avviene in

unica soluzione è inibita una qualsiasi successiva domanda di

contenuto economico, ha mostrato di confondere la disciplina relativa all'attribuzione dell'assegno di mantenimento con

quella sul diritto alla pensione di reversibilità, ignorando i prin

cipi affermati dalle sezioni unite di questa corte con la sentenza

n. 159 del 1998 (Foro it., 1998, I, 392), sorgendo quest'ultimo in via autonoma e automatica nel momento della morte del pen sionato in forza di un'aspettativa maturata nel corso della vita

matrimoniale, non costituendo il relativo trattamento una prose cuzione dell'assegno di mantenimento e trattandosi di un auto

nomo diritto di natura squisitamente previdenziale collegato automaticamente alla fattispecie legale, che va fatto valere, nel

l'ipotesi di coniuge superstite, non nei confronti di questo ma

dell'ente previdenziale. Del resto, è evidente che la previsione circa l'inammissibilità di proposizione di successive domande

di contenuto economico riguarda esclusivamente i rapporti tra i

coniugi divorziati e non quelli con terzi.

Con il terzo motivo, la ricorrente espone che la corte d'ap

pello ha totalmente omesso di pronunciarsi sulla questione di

legittimità costituzionale, che si ripropone a questa corte, delle

disposizioni di cui al 3° comma dell'art. 9 ed al 6° comma del

l'art. 5 1. n. 898 del 1970 — qualora interpretati difformemente

alla tesi propugnata, per contrasto con l'art. 3 Cost.

Le censure — delle quali appare opportuno un esame con

giunto a ragione della loro connessione — sono infondate.

Ai sensi del 2° comma dell'art. 9 1. 1° dicembre 1970 n. 898,

il coniuge rispetto al quale sia stata pronunciata la sentenza di

scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio e

che non sia passato a nuove nozze, può vantare il diritto, in caso

di morte dell'ex coniuge, all'attribuzione della pensione di re

versibilità o di una quota di questa, secondo quanto dettato dal

successivo 3° comma per l'ipotesi che esista un coniuge super stite avente i requisiti per goderne e con il quale debba concor

rere, subordinatamente alla presenza della condizione — espres

samente posta dalla norma — che sia «titolare» dell'assegno di

cui all'art. 5 stessa legge, e cioè dell'assegno la cui sommini

strazione fosse stata disposta, con la sentenza che pronunciò il

divorzio, ricorrendo il presupposto della mancanza di mezzi (di

mantenimento) adeguati o dell'impossibilità di procurarseli per

Il Foro Italiano — 2003.

ragioni oggettive. Chiamato a dirimere dubbi di legittimità co

stituzionale della disposizione normativa, il giudice delle leggi ha rilevato (sentenza n. 777 del 1988, id., 1988, I, 3515) che il

nuovo testo dell'art. 9 (come modificato dalla 1. n. 74 del 1987) ha trasformato l'assegno di mantenimento all'ex coniuge super stite in un vero e proprio diritto alla pensione di reversibilità, dilatando l'ultrattività, sul piano dei rapporti patrimoniali, del

matrimonio sciolto per divorzio. Ciò comporta che la relativa

attribuzione, se non è più subordinata alla condizione di uno

stato di bisogno effettivo, è però assoggettata alla condizione

della pregressa fruizione indiretta, mediante l'assegno di divor

zio, della pensione di cui l'ex coniuge defunto era titolare, ve

nendo quindi a configurarsi il trattamento di reversibilità come

la prosecuzione della funzione di sostentamento del superstite in

precedenza adempiuta dalla pensione goduta dal dante causa.

Questi principi sono stati successivamente riaffermati (sentenza n. 87 del 1995, id., Rep. 1995, voce Matrimonio, n. 212), ve

nendo osservato che il diritto in questione non rappresenta la

continuazione del diritto all'assegno di divorzio (nello stesso

senso, sez. un. 12 gennaio 1998, n. 159, cit.), ma è un diritto

nuovo di natura previdenziale, collegato a una fattispecie legale i cui elementi sono la titolarità di pensione diretta da parte del

coniuge defunto in virtù di un rapporto anteriore alla sentenza di

divorzio e la titolarità da parte del coniuge superstite di assegno divorzile disposto dal giudice. Infine, e proprio con riferimento

all'ipotesi prevista dal 3° comma dell'art. 9, sempre la Corte

costituzionale (sentenza n. 419 del 1999, id., 2000, I, 1770) —

dopo avere ribadito che il legislatore, nel disciplinare i rapporti

patrimoniali tra coniugi in caso di scioglimento o cessazione

degli effetti del matrimonio, ha inteso assicurare all'ex coniuge, al quale sia stato attribuito l'assegno di divorzio, la continuità

del sostegno economico, correlato al permanere di un effetto

della solidarietà familiare, mediante la reversibilità della pen sione o di una sua quota qualora esista un coniuge superstite avente anche esso diritto alla reversibilità — ha precisato che, in

questo caso, la pensione di reversibilità, oltre che consentire al

l'ex coniuge la prosecuzione del sostentamento prima assicurato

dal reddito del coniuge deceduto, riconosce allo stesso un diritto

che «non è inerente alla semplice qualità di ex coniuge, ma che

ha uno dei suoi necessari elementi genetici nella titolarità at

tuale dell'assegno, la cui attribuzione ha trovato fondamento

nell'esigenza di assicurare allo stesso ex coniuge mezzi ade

guati (art. 5, 6° comma, 1. n. 898 del 1970)», conseguendo da

una tale affermazione che il relativo diritto compete soltanto nel

caso in cui, in sede di regolamentazione dei rapporti economici

al momento del divorzio, le parti abbiano convenuto di non re

golarli mediante corresponsione di un capitale una tantum

(Cass. 14 giugno 2000, n. 8113, id., Rep. 2000, voce cit., n.

207). E la ratio di una tale conclusione appare evidente, sol che

si consideri che, nel momento in cui il tribunale — nel pronun ciare la sentenza di divorzio, ritenga «equa» la corresponsione, in un'unica soluzione, della somma concordemente proposta, in

luogo dell'assegno periodico, a titolo di trasferimento patrimo niale al «più debole» che ne abbia diritto, del suo equivalente

«capitalizzato» — emette un giudizio di definitiva composizio

ne della questione, atteso l'accertato presupposto che la solu

zione prescelta sia idonea ad assicurare, anche per il futuro, la

provvista, in favore del beneficiario del trasferimento del capi tale, dei mezzi adeguati al suo sostentamento. In questo senso, del resto, milita il disposto dell'art. 9 bis della legge, a termini

del quale l'assegno periodico a carico dell'eredità «non spetta se gli obblighi patrimoniali previsti dall'art. 5 sono stati soddi

sfatti in unica soluzione».

Evidentemente, così interpretata, la previsione normativa re

sta esente dai dubbi d'incostituzionalità che sono stati prospet

tati, in maniera, peraltro, assolutamente immotivata.

Del ricorso si impone quindi il rigetto.

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