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Sezione lavoro; sentenza 17 gennaio 1983, n. 374; Pres. A. Caleca, Est. Afeltra, P. M. Catelani...

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Sezione lavoro; sentenza 17 gennaio 1983, n. 374; Pres. A. Caleca, Est. Afeltra, P. M. Catelani (concl. conf.); Caputo (Avv. Di Mattia) c. Verde (Avv. Gismondi). Conferma Trib. Foggia 10 dicembre 1977 Source: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 6 (GIUGNO 1983), pp. 1627/1628-1629/1630 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23177098 . Accessed: 25/06/2014 00:11 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.229.229.210 on Wed, 25 Jun 2014 00:11:33 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Sezione lavoro; sentenza 17 gennaio 1983, n. 374; Pres. A. Caleca, Est. Afeltra, P. M. Catelani(concl. conf.); Caputo (Avv. Di Mattia) c. Verde (Avv. Gismondi). Conferma Trib. Foggia 10dicembre 1977Source: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 6 (GIUGNO 1983), pp. 1627/1628-1629/1630Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23177098 .

Accessed: 25/06/2014 00:11

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1627 PARTE PRIMA 1628

Queste prime due censure — che vanno esaminate congiunta mente — non hanno pregio.

Per accertare se una condotta umana sia o meno causa, in sen

so giuridico, di un determinato evento occorre — come questa

Suprema corte ha avuto occasione di affermare (Cass. 27 novem bre 1973, n. 3243, Foro it., Rep. 1973, voce Responsabilità civile, n. 56; 3 giugno 1980, n. 3622, id., Rep. 1980, voce cit., n. 53) —

stabilire un confronto tra le conseguenze che, secondo un giudi zio di probabilità ex ante, essa era idonea a provocare e le conse

guenze in realtà verificatesi, che ove non prevedibili ed evitabili, escludono il rapporto eziologico tra il comportamento umano e

l'evento. Insomma, perché emerga la riconducibilità dell'evento ad un determinato comportamento, non è sufficiente che tra l'an

tecedente ed il dato conseguenziale sussista un rapporto di se

quenza, occorrendo invece che tale rapporto integri gli estremi

di una sequenza costante, secondo un calcolo di regolarità stati

stica, sicché l'evento appaia come una conseguenza normale del

l'antecedente. La ricostruzione delle modalità di svolgimento del

meccanismo causale — e, quindi, l'accertamento se un evento sia 0 meno attribuibile ad un determinato comportamento umano —

involgono valutazioni di fatto che sfuggono al sindacato di le

gittimità qualora siano immuni da vizi logici o di diritto.

Nel caso di specie, il giudice dell'appello ha dato ampia e con

grua motivazione del proprio convincimento: dopo avere pre messo che la prevedibilità di un evento va rapportata al caso

concreto, ha accertato che, nel giorno precedente, non esistevano

segni premonitori della «rivolta». Invero — si legge nell'impu gnata sentenza — la sera precedente vi erano state proteste per la mancanza di acqua e queste si erano poi placate, ma nelle

prime ore del mattino il personale di custodia aveva provveduto a rinchiudere nelle celle di isolamento dodici detenuti che si era no mostrati tra i più accesi nel corso della manifestazione della sera precedente. Tale provvedimento aveva provocato una mag giore tensione negli altri ed accadeva che parte dei detenuti dello stesso padiglione si era rifiutata di rientrare nelle celle, al termine della passeggiata delle ore nove, chiedendo che fossero rilasciati

1 compagni delle celle di isolamento. Nonostante l'intervento mo deratore del direttore del carcere, la dimostrazione assumeva ben

presto toni sempre più accesi, sicché il direttore ed il personale di custodia erano costretti a ritirarsi sotto l'incalzare della massa dei dimostranti, divenuta sempre più aggressiva e minacciosa e che andava ingrandendosi sempre più, in quanto molti detenuti, muniti di bastoni, spranghe di ferro ed altri arnesi, forzavano la

porta delle celle, scardinavano i cancelli e dilagavano nei cortili, sopraffacendo il personale di custodia. Nessun segno premonitore, dunque, la sera prima e un fatto improvviso il mattino seguente, causato da un provvedimento legittimo di isolamento dei dete nuti più turbolenti. Non era certamente prevedibile che alla

protesta della sera precedente, peraltro terminata, seguisse il

giorno dopo una rivolta così violenta e generalizzata. Neppure è

imputabile all'amministrazione un ritardo nel domare la rivolta, perché, diversamente, sarebbe necessaria per ogni carcere di

quella portata (1800 detenuti) la presenza di un numero di agenti di custodia molto superiore.

Di fronte a questo accertamento, congruo e conseguenziale, la società ricorrente, all'opposto, non indica alcuno specifico fatto

che, se esaminato, avrebbe portato ad un diverso giudizio circa la prevedibilità e prevenibilità dell'evento, limitandosi ad osser vare che, a suo parere, era rimasto (a seguito dei fatti del giorno precedente) uno stato di tensione e ad affermare apoditticamente che le risultanze del processo penale dimostrano inequivocabil mente come i fatti del giorno precedente abbiano costituito ini zio della rivolta più che segni premonitori e come l'evolversi del fatto nel giorno successivo abbia determinato un obbligo di

preveggenza e quindi di azione non solo per la normale diligenza in relazione al principio del neminem laedere ma anche per le

prescrizioni del regolamento carcerario.

Giova, invece, ribadire — per quanto detto — che la decisione della corte napoletana appare conseguente nel suo iter logico, laddove analizzando lo svolgimento dell'accadimento — dalle

prime manifestazioni al suo momento finale — ha escluso una incidenza causale, nei termini sopra delineati, del comportamen to del personale di custodia, stante l'improvviso sorgere ed evol versi del fenomeno. Né ha pregio richiamare una serie di dispo sizioni del regolamento penitenziario del 1931 che regolano il nor

male svolgimento della vita nel carcere (orario della sveglia, svol

gimento della vita in comune, modalità della passeggiata, com

portamento dei detenuti, ecc.): proprio perché, nel caso di spe

cie, si è improvvisamente e — per quanto accertato — imprevedi bilmente rotta la normalità della vita carceraria, appare incongruo il richiamo a quelle disposizioni; mentre, sott'altro aspetto, non

è né censurabile né idoneo a costituire causa efficiente del suc

cessivo fenomeno il tentativo del direttore di convincere i dete

nuti a desistere dalla manifestazione.

Consegue da ciò che i primi due motivi del ricorso devono

essere rigettati. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; Sezione lavoro; sentenza 17 gen naio 1983, n. 374; Pres. A. Caleca, Est. Afeltra, P. M. Cate

lani (conci, conf.); Caputo (Avv. Di Mattia) c. Verde (Avv.

Gismondi). Conferma Trib. Foggia 10 dicembre 1977.

Lavoro e previdenza (controversie in materia di) — Appello inci

dentale tardivo — Limiti di ammissibilità — Fattispecie (Cod.

proc. civ., art. 325, 333, 334, 436).

Anche nel rito del lavoro l'appello incidentale tardivo è ammis

sibile solo se diretto ad impugnare gli stessi capi di sentenza,

ovvero capi connessi o dipendenti, già investiti dall'appello

principale, ancorché la connessione vada valutata non astratta

mente ma con riferimento alla interazione degli interessi a tu

tela dei quali venne proposta la causa (in applicazione di tali

principi è stato ritenuto ammissibile nel caso di specie l'appel lo incidentale tardivo ed è stata corretta la motivazione della

sentenza del giudice d'appello che aveva ritenuto di poter pre scindere dalla distinzione fra appello incidentale tardivo con

tro capi censurati con l'appello principale ed appello inciden

tale tardivo contro capi autonomi). (1)

Motivi della decisione. — Col primo mezzo il ricorrente lamen

ta violazione e falsa applicazione degli art. 325, 373, 418 e 436

c.p.c. e difetto di motivazione per avere il Tribunale di Foggia ri

ti) Nello stesso senso, con specifico riferimento al rito del lavoro, v., richiamate in motivazione, Cass. 18 marzo 1977, n. 1080 (nella mo

tivazione), Foro it., 1977, I, 1108; 29 ottobre 1979, n. 5633, id., Rep.

1979, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 438; 8 giugno 1981, n. 3698 (id., 1981, I, 2174, con ampia nota di richiami), cui si deve la precisazione secondo la quale la connessione va valutata non astratta mente ma « con riferimento alla natura ed all'integrazione degli inte ressi a tutela dei quali venne proposta la causa, nonché all'assetto

complessivo dato ad essi dalla sentenza impugnata». L'orientamento della giurisprudenza in tema di limiti di ammissi

bilità dell'impugnazione incidentale tardiva è stato da ultimo ribadito

da Cass. 11 agosto 1982, n. 4545, id., 1983, I, 85, e Cass. 21 luglio 1981, n. 4690, id., 1982, I, 126, entrambe con ulteriori note di richiami.

Con specifico riferimento all'appello incidentale tardivo nel pro cesso del lavoro, in dottrina v. per tutti C. M. Barone (A. 'Proto 'Pi

sani, G. Pezzano, Andrioli), Le controversie in materia di lavoro, Bologna-Roma, 1974, 420; Guarnieri, In tema di appello incidentale nel processo del lavoro, in Mass. giur. lav., 1978, 574; Tarzia, Ma nuale del processo del lavoro2, Milano, 1980, 215.

Nel caso di specie, proposta dal lavoratore domanda con cui chie deva la condanna del datore di lavoro ad una somma di denaro per vari titoli (indennità di contingenza non corrisposta, tredicesima men silità non corrisposta per alcuni anni ed indennità di anzianità), contro la sentenza di primo grado il datore di lavoro aveva proposto appello principale contestando l'ammontare dell'adeguamento della tredice sima mensilità e della rivalutazione dell'indennità di anzianità, men tre il lavoratore aveva proposto appello incidentale tardivo dolendosi del mancato riconoscimento dell'indennità di contingenza, della man cata applicazione del contratto collettivo del settore, dell'ammontare della rivalutazione delle somme liquidate per differenze retributive, della condanna al pagamento dell'indennità sostitutiva e della riparti zione delle spese processuali. Il giudice d'appello aveva ritenuto am missibile l'appello incidentale tardivo in quanto aveva negato che al rito del lavoro fosse applicabile la distinzione giurisprudenziale fra

appello incidentale proposto contro lo stesso capo (o capi connessi o dipendenti) e appello incidentale c.d. autonomo proposto contro

capi diversi da quelli impugnati in via principale. La Cassazione pur riaffermando il suo precedente orientamento, ha ritenuto che nella

specie l'appello incidentale dovesse ritenersi ammissibile in applica zione della specificazione di cui a Cass. 3698/81 cit., e ha conseguen temente rigettato il ricorso correggendo la motivazione in diritto (è da notare che nel caso di specie l'art. 384, 2° comma, c.p.c. è stato applicato ad un ricorso per cassazione con cui erano state denunciate violazioni di legge tipicamente di natura processuale: sulla distinzione tra errores in iudicando ed errores in procedendo e sulla sua rilevanza ai fini della individuazione dei poteri della Corte di cassazione, anche in tema di applicazione del cpv. dell'art. 384, v. per tutti Fazzalari, Il giudizio civile di cassazione, Milano, 1960, 142 ss.; Andrioli, Di ritto processuale civile, Napoli, 1979, I, 858 ss., 898 ss.; nonché per un ampio riesame e per ulteriori indicazioni, Cerino Canova, Le im pugnazioni civili, Padova, 1973, 358 ss., 491 ss., nota 165).

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

tenuto ammissibile l'appello incidentale autonomo proposto dal

Verde nelle forme dell'appello incidentale tardivo e sostiene che

detto appello incidentale autonomo avrebbe dovuto essere pro

posto nel termine di trenta giorni dalla notifica della sentenza di

primo grado. Va in proposito osservato che il tribunale ha rigettato l'ecce

zione dell'attuale ricorrente di inammissibilità dell'appello inci

dentale proposto dal Verde ritenendo di non poter condividere

l'orientamento prevalente della giurisprudenza di questa Suprema corte sulla distinzione — rilevante ai fini del termine d'impugna zione — tra appello incidentale tardivo contro capi censurati nel

l'impugnazione principale e appello incidentale autonomo, cioè

riguardante capi diversi da quelli oggetto dell'impugnazione prin

cipale e a questi non collegati né da questi dipendenti. Il dis

senso del tribunale poggia, in sintesi, sulle seguenti considerazio

ni: a) incompatibilità della distinzione tra appello incidentale

tardivo e appello incidentale autonomo con la disciplina proces

suale fissata dalla 1. 533/73; b) che con la previsione dell'art.

436 c.p.c. il legislatore non aveva voluto riferirsi all'appello inci

dentale di cui all'art. 334 stesso codice ma soltanto stabilire le

modalità di proposizione dell'appello incidentale in grado di ap

pello; c) che il mantenere ferma la distinzione tra appello inci

dentale tardivo e appello incidentale autonomo avrebbe come

conseguenza che in quest'ultimo caso dovrebbe essere depositato

in cancelleria, da parte dell'appellante incidentale autonomo, un

separato ricorso con conseguente fissazione di altra udienza di

discussione ed instaurazione di un diverso procedimento. Osserva questo Supremo collegio che, prima di procedere al

l'esegesi della norma in questione (art. 436, 3° comma, c.p.c. nuo

vo testo), è bene ricordare che essa è così formulata: « l'appello

incidentale deve essere proposto, a pena di decadenza, nella me

moria di costituzione, da notificarsi, a cura dell'appellato, alla

controparte almeno dieci giorni prima dell'udienza fissata a nor

ma dell'articolo precedente ».

Non vi è dubbio, quindi, che l'istituto dell'appello incidentale

è nel cennato articolo del codice di rito disciplinato senza alcuna

specificazione in ordine all'impugnazione incidentale tardiva, ma

non si rinvengono, nella stessa formulazione della norma, motivi

per dubitare che il riferimento all'impugnazione incidentale tar

diva non sia implicito. Cosi come, mutatis mutandis, appare al

trettanto certo che il suddetto 3° comma non possa assolutamente

riferirsi all'appello incidentale autonomo quanto ai termini per

l'impugnazione, come si verifica per le impugnazioni incidentali

in genere secondo la norma di cui all'art. 334 c.p.c.

Questo Supremo collegio, con la decisione 1080/77 (Foro it.,

1977, I, 1108), richiamata dal ricorrente, ha stabilito il principio

che l'appello incidentale previsto dall'art. 436 è di regola quello

tardivo, e, come tale, deve riguardare gli stessi capi di sentenza

(ovvero, capi connessi o dipendenti) toccati dall'appello princi

pale, il che giustifica, in mancanza di un ampliamento dell'og

getto del giudizio, il termine di dieci giorni per la preparazione di una difesa orale.

La dottrina ha lamentato la genericità dell'accezione « di rego

la», ma essa, intesa in tutto il contesto della motivazione, appare

più che congrua perché ha voluto sottolineare che, nella gene ralità dei casi, si verte nell'ipotesi dell'appello incidentale tardivo

(cioè quella nella quale l'interesse a proporlo nasca dall'impugna zione principale e costituisca, quindi, una controimpugnazione), tardivo (cioè dopo decorsi i termini per impugnare in via princi

pale ed è giustificato dal fatto che l'impulso processuale dato

dalla impugnazione principale ne fa risorgere l'interesse). E que sta Suprema corte, esaminando più specificamente la questione ha affermato il principio secondo cui l'appello incidentale auto

nomo deve essere proposto nei termini di decadenza di cui agli art. 326 e 327 c.p.c. e si applica anche in tema di controversie

individuali del lavoro appunto perché l'art. 436 dello stesso co

dice, nel disciplinare la forma dell'appello incidentale e nel san

cire l'obbligo della sua notificazione all'appellante principale

(almeno dieci giorni prima dell'udienza fissata per la discussione

dinanzi al collegio come disposto dall'art. 435) si applica solo al

l'appello incidentale tardivo e non innova al regime generale dei

termini per le impugnazioni incidentali autonome (Cass. 5633/79,

id., Rep. 1979, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 438).

Cosi' rifermato il principio che l'appello incidentale autonomo

deve essere proposto nei termini ordinari, deve ricordarsi che

le impugnazioni incidentali proposte per un interesse autonomo

dell'impugnante (cioè le cosiddette impugnazioni incidentali au

tonome) sono caratterizzate o da] fatto di essere dirette contro

parti diverse da quella che abbia proposto l'impugnazione prin

cipale o altra precedente impugnazione incidentale oppure dal

fatto di investire un capo di pronuncia che sia diverso da quello

che ha formato oggetto dell'impugnazione principale o della pre

cedente impugnazione incidentale e che con esso non sia nep pure in rapporto di dipendenza o di connessione.

A questo punto non può non tenersi conto che assai di recente

(Cass. 3698/81, id., 1981, I, 2174) questa Suprema corte, dopo avere affermato che l'art. 334 c.p.c., nel consentire l'impugna zione incidentale tardiva, presuppone che essa abbia ad oggetto capi di sentenza che siano in rapporto di dipendenza o di con nessione con quelli impugnati dall'altra parte, precisa che « sif fatto rapporto va valutato non astrattamente, bensì con riferi mento alla natura ed all'integrazione degli interessi a tutela dei

quali venne proposta la causa, nonché all'assetto complessivo dato ad essi dalla sentenza impugnata». Pertanto in materia di controversie di lavoro, allorché le contrapposte pretese — fatte valere rispettivamente con l'impugnazione principale e con quel la incidentale — attengano tutte alla determinazione del com

plessivo trattamento economico e giuridico dovuto al lavoratore, è da riconoscere la sussistenza del menzionato rapporto fra tali

impugnazioni, nonostante che ciascuna di esse muova da propri e specifici presupposti di fatto o involga questioni diverse.

Orbene, nel caso di specie, il Caputo con l'appello principale impugnò: a) la concessione dell'adeguamento della gratifica na talizia ex art. 36 Cost.; b) la rivalutazione dell'indennità di anzia nità nella misura del 20% 'anziché de! 17,41%; a sua volta il Verde si era appellato: A) contro il mancato riconoscimento del l'indennità di contingenza; B) contro la ritenuta inapplicabilità del contratto collettivo per le industrie grafiche alle imprese ar

tigiane del settore; C) contro il computo in misura del 20 % della rivalutazione delle somme liquidate per differenze retribu

tive; D) contro la condanna al pagamento dell'indennità sostitu tiva del preavviso; E) contro la ripartizione delle spese proces suali.

Pertanto, questo Supremo collegio, dopo aver ribadito che l'art. 436 c.p.c. disciplina soltanto le impugnazioni incidentali tardive nel significato innanzi chiarito e che l'appello inciden tale autonomo, ricorrente nelle ipotesi già prospettate, soggiace ai termini di cui agli art. 325 e 327 c.p.c. perché, come molto op portunamente si specifica in Cass. 5633/79 già citata, il cennato art. 436 « non intende in alcun modo innovare al regime dei ter mini per le impugnazioni incidentali autonome, che resta, per tanto, invariato»; dopo aver ribadito tutto ciò, deve affermarsi che il motivo in esame deve essere rigettato. Infatti il tribunale, sia pure su un presupposto erroneo (negazione dell'ipotesi del ricorso incidentale autonomo nelle controversie di lavoro) ha in sostanza ritenuto che nella specie sussisteva connessione tra le

contrapposte pretese di cui ai capi della sentenza di primo grado rispettivamente impugnati in via principale ed incidentale. Ha

ritenuto, cioè, in concreto, la sussistenza dell'ipotesi dell'appello incidentale tardivo che ha giustamente preso in esame e deciso in ogni sua parte.

Appare, pertanto, evidente che, essendo il dispositivo della sentenza impugnata conforme a diritto in ordine al punto in esa me ed essendo, invece, erronea la motivazione, debba trovare

applicazione nel caso in esame l'art. 384 c.p.c. perché la corre

zione, e cioè la sostituzione delle considerazioni giuridiche errate fatte dal giudice di merito con quelle nuove ed esatte di questo Supremo collegio, non muta la portata del decisimi della sen tenza impugnata. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; Sezioni unite civili; sentenza 6 di cembre 1982, n. 6651; Pres. ed est. Tamburrino, Rei. Ruper

to, P. M. Miccio (conci, conf.); D'Angiò (Avv. Campanile) c. Gentile (Avv. Lipari). Cassa App. Bari 8 maggio 1978.

Danni in materia civile — Morte del minore — Risarcimento de!

danno patrimoniale ai congiunti — Criteri (Cod. civ., art. 2043). Danni in materia civile — Danno non patrimoniale — Reato com

messo da soggetto non imputabile — Risarcimento — Ammissi

bilità (Cod. civ., art. 2059; cod. pen., art. 185).

Al fine del risarcimento del danno patrimoniale spettante ai con

giunti nel caso di morte del minore, il verosimile contributo

della vittima con i propri guadagni a favore dei parenti va ri

ferito ai presumibili guadagni e bisogni futuri di costoro e

non già alle condizioni economiche al momento del sinistro. (1)

(1) Nella giurisprudenza relativa al risarcimento del danno da morte

del congiunto, su cui v. Cass. 25 giugno 1981, n. 4137, Foro it.,

1981, I, 2951, con nota di Jannarelli, l'ipotesi della morte del mi

nore può dirsi paradigmatica delle difficoltà connesse all'individua

zione e quantificazione di un danno futuro. In particolare, in que

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