sezione lavoro; sentenza 17 gennaio 1998, n. 417; Pres. Buccarelli, Est. Mercurio, P.M. Mele(concl. conf.); Inps (Avv. Prosperi Valentini, Cantarini, Sarto) c. Amantini e Soc. Telecom Italia(Avv. Pessi, Boer). Dichiara inammissibile ricorso avverso Pret. Roma 4 luglio 1995Source: Il Foro Italiano, Vol. 121, No. 4 (APRILE 1998), pp. 1165/1166-1169/1170Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23193216 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
mula di associazione delle regioni alle politiche di competenza statale» (Corte cost. 27/96, id., 1997, I, 3522), pur sempre rife
ribile al parallelismo fra funzioni legislative e funzioni ammini
strative regionali, di cui agli art. 117 e 118 Cost.
In un tal quadro normativo, ridisegnato e puntualizzato dalla
giurisprudenza, i criteri di assegnazione stabiliti dalla 1. reg. Ve
neto n. 60 del 1984 si conformano, con specificazioni che non
contrastano con la ratio del provvedimento statale, ai criteri
stabiliti dal Cipe con delibera 19 novembre 1981, come già avu
to modo di affermare questa corte con la sentenza 8449/96 (id.,
Rep. 1996, voce Edilizia popolare, n. 73). Non può quindi essere posta in dubbio la competenza legisla
tiva regionale nella specificazione del «nucleo familiare», come
composto da consanguinei od anche da estranei, purché convi
venti con l'assegnatario, potendo una tal nozione variare in re
lazione alla densità di popolazione delle singole regioni, e alla
diversa conseguente esigenza di assegnare gli alloggi ai nuclei
effettivamente più bisognosi, con un criterio più dettagliato e
puntuale di quello stabilito a suo tempo dalla 1. n. 1035 del
1972, con riferimento ad un «nucleo familiare» composto sol
tanto dei familiari a carico dell'assegnatario. La Corte costituzionale ha ulteriormente osservato (sent.
1115/88, id., Rep. 1989, voce Regione, n. 375) che l'attribuzio
ne ai comuni, effettuata con il d.p.r. 616/77 (art. 95), del pote re di assegnazione degli alloggi e dei provvedimenti conseguen ziali (revoca e decadenza), non può comportare una riserva del
la relativa competenza legislativa allo Stato, non potendo la
materia delle assegnazioni e dei provvedimenti conseguenziali essere sottratta alla potestà legislativa regionale, cui va riferita
l'attività centrale del «servizio casa» per i meno abbienti, col
solo limite dei «criteri generali» di cui si è già detto. Il primo motivo di ricorso è dunque da rigettare, non poten
dosi ravvisare la violazione di principi fondamentali della legis lazione statale nella determinazione di specifiche caratteristiche
del «nucleo familiare» delineato dalla 1. reg. Veneto n. 60 del
1984, non contrastanti, anche se più restrittive, con i caratteri
del «nucleo familiare» definiti dall'art. 2 1. n. 1035 del 1972.
Deve essere altresì rigettato il secondo motivo di ricorso, poi
ché, essendo nella specie applicabili i criteri di cui alla citata
legge regionale, legittimamente è stato ritenuto che non perma nessero più in capo all'assegnataria i requisiti per continuare
a fruire dell'alloggio pubblico, dopo l'entrata in vigore della
1. reg. Veneto n. 60 del 1984.
Infatti, in materia di edilizia residenziale pubblica, anche la fase privatistica, espressa dal rapporto locativo conseguito al
l'assegnazione, è preordinata all'attuazione degli scopi sociali
e degli interessi pubblici, che costituiscono il fondamento e l'o
biettivo della normativa del settore, ed è quindi soggetta alle
disposizioni inderogabili di tale normativa (Cass. 12106/92, id., Rep. 1992, voce Edilizia popolare, n. 96). Pertanto, quando nel corso della locazione si verifichino modifiche delle condizio
ni originarie contrastanti con la normativa del settore, ancorché
sopravvenuta, viene a mancare la causa del rapporto, che ne
cessariamente deve venire a cessare, dovendo i requisiti di legge
persistere durante tutto il corso dell'assegnazione. Né può la ricorrente tardivamente invocare con la memoria
la sopravvenienza di altra normativa regionale (1. reg. Veneto
20 marzo 1990 n. 19) a lei più favorevole; non può infatti in
sede di legittimità dedursi una circostanza che poteva formare
oggetto di esame, nel contraddittorio delle parti, nelle preceden ti fasi del giudizio, ove la questione non risulta essere stata
trattata.
Consegue l'integrale rigetto del ricorso.
Il Foro Italiano — 1998.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 17 gen naio 1998, n. 417; Pres. Buccarelli, Est. Mercurio, P.M.
Mele (conci, conf.); Inps (Avv. Prosperi Vaientini, Cante
rini, Sarto) c. Amantini e Soc. Telecom Italia (Aw. Pessi,
Boer). Dichiara inammissibile ricorso avverso Pret. Roma 4
luglio 1995.
Cassazione civile — Ricorso «per saltum» — Sentenza del pre tore in funzione di giudice del lavoro — Esclusione (Cod.
proc. civ., art. 311, 360).
È inammissibile il ricorso per saltum in Cassazione avverso la
sentenza pronunciata dal pretore quale giudice del lavoro. (1)
(1) Non risultano precedenti sul tema specifico. Solo incidentalmente la questione è affrontata da Cass., sez. un., 11 dicembre 1976, n. 4587
(Foro it., Rep. 1977, voce Cassazione civile, n. 55, e Giur. it., 1977, I, 1, 230; Giust. civ., 1977, I, 1040), laddove afferma che «un'eccezione alla regola è data dalla possibilità riconosciuta dall'ultimo comma del l'articolo citato, secondo cui è dato impugnare per cassazione le senten ze appellabili del tribunale (non mai quelle di giudice inferiore) se le
parti sono d'accordo per omettere l'appello». Nel caso odierno, la soluzione accolta dalla Suprema corte è il risul
tato della seguente argomentazione: a) anzitutto è imposta dal dato nor
mativo, poiché l'art. 360, ultimo comma, c.p.c. consente il ricorso per saltum solo contro una «sentenza appellabile del tribunale» e non an che del pretore; b) la norma non può essere estesa alle sentenze pretorili in forza dell'art. 311 c.p.c., che rinvia alle norme relative al procedi mento davanti al tribunale per il solo «procedimento davanti al preto re» e non anche per la successiva fase di impugnazione della decisione
pretorile, che non costituisce più «procedimento davanti al pretore»; c) d'altra parte, la 1. 353/90, mentre ha modificato la prima parte del l'art. 360, non ha inciso sul 2° comma; d) a diversa soluzione non si può infine pervenire mediante l'interpretazione analogica, poiché il ricorso per saltum costituisce istituto eccezionale alla regola del doppio grado di giurisdizione.
L'istituto del ricorso in Cassazione per saltum, introdotto prevalente mente per ragioni di economia processuale nel codice di procedura su
proposta di Piero Calamandrei con riferimento alle cause consistenti in pure questioni di diritto — che come tali possono giustificare l'im mediato controllo da parte della Cassazione e rendere superfluo l'espe rimento dell'appello — costituisce una deroga al principio del doppio grado di giurisdizione, fondata sulla concorde volontà delle parti. Que ste, infatti, con accordo successivo alla pronuncia della sentenza di pri mo grado, ma necessariamente anteriore alla scadenza del termine per proporre appello, possono ai sensi dell'art. 360, 2° comma, c.p.c., de
cidere di escludere l'appello medesimo per rendere la sentenza di primo grado direttamente ricorribile in Cassazione.
L'istituto — previsto per la prima volta nel vigente codice ad imita zione della revisio per saltum del diritto tedesco e di cui si era avuto un primo esempio nel nostro ordinamento con l'art. 23 1. 7 gennaio 1929 n. 4 che attribuiva alla Suprema corte la funzione di pronunciarsi in via di interpretazione preventiva sulle questioni relative all'applicabi lità delle norme penali in materia tributaria — ha nella pratica trovato scarse applicazioni, sia per la difficoltà di rinvenire in concreto contro
versie strutturate come questioni di solo diritto, sia per la diffidenza delle parti che, piuttosto che rinunciare ad un grado di giurisdizione, preferiscono assoggettare anche controversie di tal genere all'esame di
due giudici di merito di diverso grado. Benché le pronunce giurisprudenziali sul tema siano perciò tutt'altro
che frequenti, l'opera della giurisprudenza è stata importante per col mare alcune lacune nella formulazione dell'art. 360, 2° comma, che non dice molto in ordine alla disciplina dell'istituto in esame, né, in
particolare, ai requisiti dell'accordo per l'omissione dell'appello. E cosi la Cassazione ha ritenuto che la pattuizione relativa all'omis
sione dell'appello (di cui all'art. 360, 2° comma, c.p.c.) possa valida
mente intervenire «soltanto dopo che sia stata pronunciata la sentenza di primo grado, quando le parti possono concretamente valutare se or
mai la contesa sia limitata alla risoluzione di questioni di diritto» con
conseguente inammissibilità del ricorso per cassazione per saltum fon
dato su un accordo intervenuto in momento anteriore (in tal senso,
v., da ultimo, Cass. 7 marzo 1997, n. 2021, Foro it., Mass., 189; 10
luglio 1986, n. 4480, id., 1986, I, 2748, e Giust. civ., 1986, I, 3121, con nota di Luiso).
In precedenza, poi, le sezioni unite — accogliendo proposte interpre tative avanzate in dottrina: v., per tutti, V. Andrioli, Diritto proces suale civile, Napoli, 1979, I, 842 ss. — hanno sentenziato che «l'ultima
parte dell'ultimo comma dell'art. 360 c.p.c., secondo cui il ricorso per cassazione conseguente all'accordo tra le parti inteso ad omettere l'ap
pello (accordo non sottoponibile a riserva o a condizione) può proporsi soltanto per violazione o disapplicazione di norme di diritto, non si
riferisce alla sola ipotesi del n. 3 dello stesso art. 360, ma anche a
quelle dei nn. 1, 2 e 4, che attengono ugualmente a violazione o a
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1167 PARTE PRIMA 1168
Svolgimento del processo. — Il Pretore di Roma, in funzione
di giudice del lavoro, ha pronunciato sentenza, in data 23
giugno-4 luglio 1995, con la quale ha accolto la domanda pro
posta, nei confronti dell'Inps, congiuntamente dalla sig. Danie
la Amantini e dalla Sip s.p.a. — della quale società la prima era dipendente, iscritta al fondo speciale telefonici gestito dal
l'Inps —, domanda diretta ad ottenere declaratoria dell'obbligo dell'istituto di esaminare e definire le domande di ricongiunzio ne dei periodi assicurativi presentate dagli iscritti al fondo tele
falsa applicazione di norme di diritto, pur avendo una diversa e specifi ca oggettività, e alle quali del resto si riferisce anche l'art. Ill Cost,
quando parla di violazione di legge» (Cass., sez. un., 11 dicembre 1976, cit.).
La giurisprudenza è inoltre attenta ad evitare che il ricorso per sal tum possa costituire un espediente per eludere la perentorietà dei termi ni di impugnazione: in tal senso è stato deciso che «quando una que stione processuale sia stata oggetto di specifica contestazione in con traddittorio fra le parti e il giudice l'abbia espressamente decisa a favore di una di esse, l'omessa impugnazione di tale decisione davanti al giudi ce di appello determina il passaggio in giudicato della decisione medesi ma sul punto controverso, sicché, se tale questione viene riproposta per saltum in Cassazione, essa deve essere dichiarata inammissibile»
(Cass. 10 luglio 1986, n. 4477, Foro it., Rep. 1986, voce Tributi in
genere, n. 1077). Sull'istituto in oggetto si ricorda inoltre: Cass. 24 maggio 1995, n.
5649 (id., Rep. 1995, voce Filiazione, n. 69) che ha dichiarato inammis sibile il ricorso in Cassazione per saltum ex art. 111 Cost, avverso il decreto del tribunale che decide sull'ammissibilità dell'azione di dichia razione giudiziale della paternità, essendo tale decreto impugnabile nel le forme e nei termini di cui all'art. 274, 2° comma, c.p.c., dinanzi alla corte di appello. Come in precedenza già chiarito da Cass. 6 marzo
1987, n. 2371 (id., Rep. 1987, voce cit., n. 76), avverso tale decreto «non è pertanto ammissibile il ricorso per saltum in Cassazione e nep pure esso è proponibile ai sensi dell'art. Ili, 2° comma, Cost., in quanto detto decreto non è definitivo, ma reclamabile e così modificabile».
Giurisprudenza costante (v., ex multis, Cass. 24 maggio 1990, nn.
4701, id., 1992, I, 919, con nota di richiami) per cui è inammissibile il ricorso per saltum in Cassazione, ai sensi dell'art. 360, 2° comma, c.p.c. ove la sentenza impugnata sia stata emessa nei confronti di un fallimento senza che il curatore, ancorché solo resistente, sia stato auto rizzato dal giudice delegato di concordare o aderire al ricorso, mancan do in tal caso un atto valido di disposizione processuale da parte del curatore e così il legittimo negozio processuale presupposto per l'am missibilità del ricorso.
Cass. 6 febbraio 1989, n. 722 (id., Rep. 1989, voce Cassazione civile, n. 15) e 5 aprile 1982, n. 2074 (id., Rep. 1982, voce cit., n. 52), che hanno ribadito che «il controllo di legittimità, eccettuata l'ipotesi della cosiddetta revisio per saltum, può avere ad oggetto soltanto la sentenza di appello e, pertanto, è inammissibile la censura, proposta dal ricor rente per cassazione, che investa non già la sentenza di appello bensì
quella di primo grado». Cass., sez. un., 27 aprile 1993, n. 4914 (id., 1994, I, 1534, con nota
di Vidiri), ha ritenuto «inammissibile la conversione del regolamento preventivo di giurisdizione in regolamento di competenza se difetti una
pronunzia sulla competenza, e del pari il ricorso ordinario per cassazio ne se, pur sussistendo una sentenza nel merito appellabile, non consti un accordo tra le parti volto ad impugnare omisso medio detta sentenza con ricorso per cassazione».
Cass. 6 maggio 1985, n. 2827 (id., Rep. 1985, voce Fallimento, n.
536, e Giur. it., 1986, I, 1, 95), ha ritenuto improponibile il ricorso diretto per cassazione contro il decreto del giudice delegato che approva il piano di riparto, a meno che il ricorso medesimo non debba ritenersi ammissibile come impugnazione per saltum ai sensi dell'art. 360, 2° comma, c.p.c., ed ha affermato che tale ipotesi si deve ritenere verifica ta quando il ricorso sia stato proposto soltanto per violazione o falsa
applicazione di legge e la parte legittimata a contraddirvi si sia limitata a svolgere nel controricorso difese di merito — mostrando in tal modo di accettare tale tipo di impugnazione — ed abbia sollevato soltanto in memoria eccezione di inammissibilità del ricorso.
In dottrina, v. P. Calamandrei-C. Furno, Cassazione civile, voce del Novissimo digesto, Torino, 1968, II, 1067; M. Berri, Questioni varie in tema di ricorso «per saltum» in Cassazione a norma dell'art.
360, ultimo comma, c.p.c., in Giur. it., 1977,1, 1, 230 ss.; F. P. Luiso, Considerazioni sul ricorso per cassazione «per saltum omisso medio»
(con qualche accenno ai c.d. negozi processuali innominati), in Giust. civ., 1986, I, 3124; C. Furno, Problemi attuali della Corte di cassazio ne, in Riv. dir. proc., 1958, 490; E. Fazzalari, Il giudizio civile di cassazione, Milano, 1960, 53; Andrioli, Diritto processuale civile, Na
poli, 1979, 811 ss., 842 ss.; A. Proto Pisani, Diritto processuale civile, Napoli, 1996, 531 ss., 559 ss., laddove l'autore evidenzia come l'inap pellabilità di alcune sentenze di primo grado contribuisca all'aumento dei ricorsi per cassazione e quindi alle difficoltà per quest'ultima di svolgere efficacemente la propria funzione di nomofilachia.
Il Foro Italiano — 1998.
fonici, ai sensi dell'art. 2 1. 7 febbraio 1979 n. 29, anteriormen
te al 20 febbraio 1992 e con effetto dalla data delle domande
stesse, e conseguente declaratoria che i rapporti giuridici sorti
sulla base della detta 1. 29/79 non rientravano nell'ambito di
applicazione dell'art. 5 della succesiva 1. 29 gennaio 1992 n.
58 (sulla riforma del settore delle comunicazioni) dovendosi fa
re esclusivo riferimento alla data di presentazione della doman
da di ricongiunzione all'Inps. Il pretore ha pertanto dichiarato — in accoglimento del ricor
so — che la domanda di ricongiunzione di periodi assicurativi
presentata all'Inps dalla ricorrente Amantini il 23 settembre 1988
era sottratta alla disciplina della sopravvenuta 1. n. 5 del 1992, essendo stata presentata nella vigenza dell'art. 2 1. n. 29 del 1979.
Avverso tale sentenza pretorile l'Inps propone, direttamente
a questa corte, ricorso per cassazione (affidato a tre motivi di
annullamento) facendo riferimento alla norma del 2° comma
dell'art. 360 c.p.c. — riguardante la c.d. revisio per saltum —
e depositando separato atto sottoscritto dalle parti (cioè dal pre sidente dell'istituto di previdenza, dall'amministrzione delegato della Telecom Italia s.p.a., già Sip s.p.a., e dalla sig. Amantini) contenente l'accordo delle stesse alla proposizione del ricorso
con omissione dell'appello. Entrambe le parti intimate resistono
con controricorso. Tutte le parti hanno depositato memoria, e l'Inps anche note d'udienza.
Motivi della decisione. — 1. - Dev'essere preliminarmente esa
minata la questione — rilevabile d'ufficio — concernente l'am
missibilità del ricorso, con riguardo alla disposizione dell'ulti
mo comma dell'art. 360 c.p.c. (secondo cui può «essere impu
gnata con ricorso per cassazione una sentenza appellabile del
tribunale, se le parti sono d'accordo per omettere l'appello», con limitazione dei motivi alla sola violazione o falsa applica zione di norme di diritto), in base alla quale è stata impugnata direttamente in Cassazione, con omissione dell'appello, una sen
tenza pronunciata dal pretore, quale giudice del lavoro, in con
troversia previdenziale. Tale ammissibilità è da escludere. Non ricorre, infatti, nella
specie l'ipotesi contemplata dalla invocata norma, la quale con
sente il ricorso per saltum in Cassazione, omisso medio, sola
mente avverso sentenza appellabile (quindi di primo grado) emes
sa dal «tribunale» — come chiaramente precisato nel testo —
e non già anche dal pretore. 2. - Non è, naturalmente, invocabile in proposito, per poter
ritenere la disposizione riferibile anche all'impugnazione delle
sentenze pretorili, la norma dell'art. 311 c.p.c. (contenente il
«rinvio alle norme relative al procedimento davanti al tribuna
le»). L'ambito d'applicazione di questa norma è invero limitato al «procedimento davanti al pretore», e riguarda tutte le situa
zioni o attività processuali che si verificano o sono compiute nel corso di svolgimento della fase pretorile (e non siano regola te dal titolo II del libro secondo del codice di rito, o da altre
espresse disposizioni). L'impugnazione della sentenza pretorile è, invece, attività processuale successiva alla conclusione del pro cedimento davanti al pretore; mentre la disposizione dell'ultimo comma dell'art. 360 c.p.c., siccome riguardante le impugnazio ni (titolo III del libro secondo), è — dal canto suo — norma
estranea al procedimento davanti al tribunale, al quale l'art. 311 fa rinvio.
3. - La univocità della testuale espressione dell'art. 360, ulti mo comma, nel fare esclusivo riferimento alla sentenza appella bile «del tribunale», rende l'interpretazione letterale della nor ma — stante il primato di tale interpretazione sugli altri canoni
interpretativi previsti dall'art. 12 disp. sulla legge in generale (cfr., tra le molte, Cass. 19 dicembre 1988, n. 6907, Foro it.,
Rep. 1989, voce Lavoro (rapporto), n. 1864) — criterio erme
neutico idoneo e sufficiente a far escludere la riferibilità della norma stessa a sentenze diverse da quella ivi esplicitamente in
dicata, e quindi anche alle sentenze pretorili (in tal senso Cass., sez. un., 11 dicembre 1976, n. 4587, id., Rep. 1977, voce Cassa
zione civile, n. 55, che, pur incidentalmente, riconosce come
direttamente impugnabili in Cassazione ai sensi della disposizio ne in esame «le sentenze appellabili del tribunale, non mai quel le di giudice inferiore»).
Vero è che, al momento dell'entrata in vigore del codice di rito (r.d. 28 ottobre 1940 n. 1443), la disciplina codicistica degli organi giudiziari e della loro competenza, anche per materia, era diversa da quella successivamente introdotta dalle interve nute novelle, e in particolare da quella sul processo sul lavoro
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
di cui alla 1. 11 agosto 1973 n. 533, che ha riservato alla compe tenza esclusiva del pretore, in funzione di giudice del lavoro, tutte le controversie in materia di lavoro e di assistenza e previ denza obbligatorie (art. 413 e 444 c.p.c., ex lege 533/73), am
pliando così notevolmente la competenza pretorile per materia
rispetto a quella, ben più limitata, originariamente stabilita dal
lo stesso codice (art. 8, 2° comma). Ciò nonostante, e pur dopo tali riforme, la disposizione in
esame (ultimo comma dell'art. 360 cit.) non è stata dal legisla tore correlativamente modificata rispetto alla formulazione d'o
rigine: e ciò anche se la ratio della norma, al momento della
sua promulgazione, era evidentemente quella di consentire il ri
corso per cassazione omisso medio avverso sentenze di primo
grado pronunziate (appunto dal tribunale) in controversie, ri
servate a giudice collegiale, di più elevato valore e di maggiore rilevanza che non quelle di competenza del pretore o del conci
liatore, e presupponeva dunque una situazione processuale non
più riscontrabile, relativamente alle cause di lavoro e previden
ziali, dopo la citata riforma di cui alla 1. n. 533 del 1973.
Ma va posto in rilievo come, con la riforma del processo civile introdotta dalla 1. 26 novembre 1990 n. 353, mentre è
stato modificato il testo del medesimo art. 360 nel suo 1° com
ma (là dove è stato eliminato l'inciso relativo alla non impugna bilità delle sentenze del conciliatore, in relazione alla nuova for
mulazione dell'art. 339, 3° comma, c.p.c. disposta dalla 1. 30
luglio 1984 n. 399 e dalla 1. 21 novembre 1991 n. 374, istitutiva
del giudice di pace), nessuna modifica il legislatore ha apporta
to, pur nella vigenza della nuova disciplina degli organi giudi canti e della loro competenza, al 2° comma dello stesso art.
360 riguardante il ricorso per saltum: il che denota l'univoca,
pur implicita, volontà obiettiva della legge di confermare, an
che dopo le cennate riforme, portata e contenuto di detta di
sposizione. Nel contempo, il chiaro significato testuale della norma in
esame e la indubbia interpretazione letterale della stessa preclu dono comunque — come già detto — la possibilità di estender
ne la sfera di applicabilità anche alla sentenza emessa dal preto re in controversia di lavoro e previdenza: dovendo pure ritener
si che la ricerca della ratio legis, se è perseguibile in presenza di norme di dubbia ed equivoca formulazione, non può valere
a disattendere la portata della norma allorquando questa, anche
se non sia più pienamente aderente alla originaria intenzione
del legislatore, abbia un inequivocabile e indubbio significato
espresso dal suo tenore letterale, tale da impedire e rifiutare
un'interpretazione diversa (cfr. Cass. 7 aprile 1983, n. 2453,
id., Rep. 1993, voce Legge, n. 26). 4. - Pur affermata, per quanto s'è detto, la decisività e l'e
saustività dell'interpretazione letterale del 2° comma dell'art.
360 c.p.c., può pure osservarsi che sarebbe comunque preclusa
un'interpretazione di tale disposizione basata sul criterio dell'a
nalogia (ex art. 12, 2° comma, disp. sulla legge in generale),
per poter riferire anche alla sentenza pretorile l'impugnazione
per saltum in Cassazione.
Il 1° comma del detto art. 360, invero, sancisce la regola
generale dell'impugnabilità, mediante ricorso per cassazione, sol
tanto delle sentenze pronunziate in grado d'appello o in unico
grado, stabilendo così, per argomento a contrario, la non im
pugnabilità in Cassazione delle sentenze ancora appellabili. Eccezione a questa regola generale è costituita (come pure
rilevato da Cass., sez. un., 4587/76, citata) dalla possibilità, concessa alle parti dal 2° comma dell'art. 360, di stipulare ne
gozio processuale contenente l'accordo ad omettere l'appello ri
correndo direttamente in Cassazione (per delimitati motivi) av
verso le sentenze appellabili pronunziate dal tribunale.
La qual previsione costituisce, così, eccezione alla regola del
doppio grado della giurisdizione di merito, cioè al principio ge nerale dell'ordinamento che prevede, dopo il primo grado, il
giudice d'appello quale giudice avente cognizione sulla doman
da e sul rapporto sostanziale dedotto in giudizio, ed in maniera
altrettanto ampia di quella del primo giudice (art. 339 ss. c.p.c.).
Poiché, dunque, la disposizione sul ricorso per saltum costi
tuisce eccezione a regole processuali generali, non ne è, in ogni
caso, consentita l'interpretazione analogica, né quindi l'applica zione oltre i casi in essa considerati, stante la norma dell'art.
14 disp. sulla legge in generale (che appunto preclude l'interpre tazione analogica delle leggi eccezionali, oltre che di quelle
penali).
Il Foro Italiano — 1998.
5. - Non vale, poi, ad inficiare la validità delle argomentazio ni sin qui svolte, sull'interpretazione della disposizione in esa
me, l'entrata in vigore della legge delega 16 luglio 1997 n. 354, recante norme sulla «delega al governo per l'istituzione del giu dice unico di primo grado» (con la quale il governo è stato,
appunto, delegato ad emanare, entro sei mesi dall'entrata in
vigore della legge stessa, decreti legislativi con l'osservanza di
prefissati principi e criteri direttivi, tra cui quello della soppres sione dell'ufficio del pretore e trasferimento al tribunale delle
relative competenze). Trattati — com'è evidente — di normativa non avente diretta
incidenza sulla competenza degli attuali organi giudiziari, né ido
nea ad incidere sulla disciplina dell'attività processuale posta in essere nella specie (soggetta pur sempre alla legge vigente al momento del suo compimento), e dalla quale neppure posso no trarsi elementi che possano in qualche modo influire sull'ap
plicazione dei criteri ermeneutici quale sopra è stata operata. 6. - Ritenuta dunque l'inammissibilità del ricorso per le espo
ste ragioni, restano assorbite e superate altre questioni, pur sem
pre attinenti all'ammissibilità dell'atto, che pure si porrebbero nel caso di specie, e che è opportuno ricordare in sintesi per
completezza d'esposizione. Così è a dirsi per la questione (di cui è anche cenno in dottri
na) se il ricorso per saltum, siccome proponibile avverso senten
za ancora appellabile, debba essere proposto, oppur no, entro
il termine breve di trenta giorni per l'appello decorrente dalla
notificazione della sentenza impugnata — atteso che, scaduto
quel termine, non potrebbe a rigore più parlarsi di sentenza
«appellabile», dovendo la stessa considerarsi ormai passata in
giudicato (e rilevato che nel caso di specie il ricorso è stato
proposto dopo la scadenza del termine di trenta giorni, ma en
tro il termine, di sessanta giorni dalla notificazioe della senten
za, previsto per il ricorso per cassazione: cfr., per qualche cen
no, Cass. 10 luglio 1986, n. 4480, id., 1986, I, 2748). E così pure è a dirsi per la connessa questione se sia suffi
ciente, per l'ammissibilità del ricorso per saltum, che entro il
termine breve per appellare venga, comunque, stipulato il patto d'omissione dell'appello (così come sembra essersi nella specie
verificato, stando alla data indicata sull'atto contenente l'accor
do, separato dal ricorso: v. art. 366, ultimo comma, c.p.c.). Correlata a tale ultima, è l'ulteriore questione se la data certa
di tale patto, da ritenersi necessaria al fine di comprovare l'ef
fettiva osservanza del perentorio termine per l'appello, sottratta
alla disponibilità delle parti (art. 326 c.p.c.), ed escludere nel
contempo un'eventuale (pur sempre astrattamente ipotizzabile) collusione tra le parti per eludere tale perentorietà — e necessa
ria altresì per provare che la stipula del patto sia avvenuta suc
cessivamente alla pronuncia della sentenza da impugnare, quale condizione essenziale della sua efficacia (così Cass. 4480/86, cit., e 7 marzo 1997, n. 2021, id., Mass., 189) —, debba rispondere ai requisiti previsti dal codice civile per la data certa nella scrit
tura privata (art. 2704 c.c.), oppure debba essere attestata, trat
tandosi di negozio di natura processuale e quindi connesso a
procedimento giudiziale, a mezzo di certificazione del cancellie
re in sede di deposito dell'atto in giudizio. 7. - Pur a prescindere dalle questioni qui da ultimo cennate,
il ricorso, in conclusione, per la decisiva ragione prima enuncia
ta, deve essere dichiarato inammissibile.
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