Sezione lavoro; sentenza 17 ottobre 1983, n. 6087; Pres. Afeltra, Est. Panzarani, P. M. Iannelli(concl. diff.); Min. tesoro (Avv. dello Stato Bruno) c. Sbarbati (Avv. Ventura, Giorgio).Conferma Trib. Milano 25 gennaio 1977Source: Il Foro Italiano, Vol. 107, No. 4 (APRILE 1984), pp. 1035/1036-1043/1044Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23176000 .
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1035 PARTE PRIMA 1036
prenditore appaltante): v. Cass. 5 marzo 1982, n. 1373 (id., Rep. 1982, voce cit., n. 668).
Quanto, poi, alle prestazioni svolte direttamente per il C.N.EjN.
per compiti estranei all'oggetto dell'appalto, va precisato che, con accertamento di fatto incensurabile in questa sede, ne è stata verificata l'esecuzione soltanto per alcuni periodi di tempo, in taluni casi anche con carattere di intermittenza o di saltuarietà, e ciò gli stessi ricorrenti hanno ammesso nel precisare che il loro
impegno diretto col C.N.E.N. durato anche alcuni anni non ha
peraltro coinciso con tutto l'arco del periodo lavorativo. Il tribunale ha negato rilevanza a tali episodi e la statuizione
deve ritenersi corretta.
Invero, il fatto che il committente abbia direttamente utilizzato
per la propria impresa una parte del personale dell'appaltatore può ritenersi astrattamente idoneo a configurare l'instaurazione di un ulteriore rapporto di lavoro, ma l'incompatibilità di questo con quello precedentemente instaurato, nell'ipotesi di svolgimento di entrambi a tempo pieno, è evidente, mentre, altrimenti, può ritenersi superabile solo dalla allegazione e dalla relativa prova — entrambe del tutto carenti nella specie — da parte dei deducenti della precisa, parziale rispettiva durata quotidiana.
In ogni caso non è configurarle l'ipotesi dell'intermediazione vietata dedotta in via principale dai ricorrenti.
In proposito deve rivelarsi che l'ambito di applicazione della 1. n. 1369 del 1960 non si estende ad episodi successivi alla costituzione del rapporto, ma incide soltanto sul momento geneti co dello stesso, in quanto la funzione di tale legge va ravvisata nella eliminazione della interposizione fraudolenta, attraverso la sostituzione del rapporto costituito mediante un negozio (vietato), diretto alla stipulazione di contratti di lavoro, sia pure indiretti, con un rapporto immediato fra l'imprenditore ed i lavoratori effettivamente da lui utilizzati, sicché, escluso un accordo simula torio in ipotesi necessariamente anteriore alla costituzione del
rapporto o, quanto meno, coincidente con essa, ed accertante, quindi, come nella specie, l'insussistenza di una intermediazione
vietata, non è configurable un'operatività di detta legge nel successivo momento funzionale del rapporto stesso, relativamente a situazioni traenti origine da fatti giuridici necessariamente diversi da quelli costitutivi del rapporto già in atto e produttivi di conseguenziali diversi effetti, da verificare di volta in volta alla
stregua delle concrete fattispecie sottoposte al vaglio del giudice. Nelle specie, il verificarsi dell'ipotesi prevista dall'art. 5, lett.
g), della legge dimostra che l'impresa appaltatrice disponeva di una propria organizzazione, non era una artificiosa creazione, ma
operava effettivamente con proprio personale e con proprio rischio, sicché era reale ed effettivo il rapporto di lavoro tra essa ed i propri dipendenti, mentre le ulteriori prestazioni di questi ultimi, direttamente eseguite per il comitato committente al di fuori dell'oggetto del contratto di appalto, sfuggono necessaria mente ad una qualificazione alla stregua della 1. n. 1369 del 1960.
(Omissis)
I
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione lavoro; sentenza 17 ottobre
1983, n. 6087; Pres. Afeltra, Est. Panzarani, P. M. Iannelli
(conci, diff.); Min. tesoro (Avv. dello Stato Bruno) c. Sbar bati (Avv. Ventura, Giorgio). Conferma Trib. Milano 25
gennaio 1977.
Lavoro (rapporto) — Maternità — Astensione obbligatoria —
Indennità — Lavoratrice affidataria preadottiva — Diritto —
Ambito (Cod. civ., art. 314/20; 1. 30 dicembre 1971 n. 1204, tu tela delle lavoratrici madri, art. 4, 15; 1. 9 dicembre 1977 n. 903,
parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro, art. 6).
Anche per il periodo anteriore all'entrata in vigore della l. 9
dicembre 1977 n. 903 alla lavoratrice che abbia avuto in
affidamento preadottivo un neonato deve essere riconosciuto il
diritto di astenersi dal lavoro per il periodo previsto dall'art. 4
l. 30 dicembre 1971 n. 1204, decorrente dalla data di effettiva esecuzione dell'affidamento e di percepire l'indennità di materni tà. (1)
(1-2) La questione dell'applicazione della 1. n. 1204/71 alle lavoratri ci che abbiano avuto un neonato in affidamento preadottivo, espressa mente risolto in senso affermativo dalla 1. n. 903/77 per il periodo successivo alla sua entrata in vigore, era stata lasciata aperto da Cass. 10 maggio 1982, n. 2878, Foro it., 1982, I, 1567, con nota di richiami, annotata da Rossi Carleo, in Giur. it., 1983, I, 1, 74 e Morgera, in
II
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione lavoro; ordinanza 15 ot tobre 1983, n. 752; Pres. Afeltra, Rei. Panzarani, P. M. Ian nelli (conci, diff.); Min. tesoro (Aw. dello Stato Bruno) c. Ferri.
Lavoro (rapporto) — Maternità — Astensione facoltativa —
Lavoratrice affidataria provvisoria di neonato — Diritto —
Esclusione — Questione non manifestamente infondata di costi tuzionalità (Cost., art. 3, 30, 31, 37; cod. civ., art. 314/6; 1. 30 dicembre 1971 n. 1204, art. 7, 15).
Non è manifestamente infondata (e se ne rimette quindi l'esame al la Corte costituzionale) la questione di legittimità costituzionale
degli art. 7 e 15 l. 30 dicembre 1971 n. 1204 nella parte in cui escludono il diritto della lavoratrice che abbia ricevuto un neonato abbandonato in affidamento provvisorio alla astensione
facoltativa dal lavoro ed alla connessa indennità economica, in
riferimento agli art. 3, 1" comma, 30, il", 2° e 3" comma, 31 e
37, 1° comma, Cost. (2)
I
Svolgimento del processo. — Con sentenza del 23 settembre 1975-16 gennaio 1976 il Pretore di Milano accoglieva la domanda che la lavoratrice Marilena Sbarbati in Ceccarelli aveva proposto nei confronti dell'I.n.a.m. con ricorso depositato il 21 maggio 1975 chiedendo di conseguire il riconoscimento del diritto al trattamento economico di maternità per i periodi di astensione obbligatoria dal lavoro deducendo di avere ottenuto dal locale tribunale per i mino renni il 21 maggio 1974 l'affidamento preadottivo di un bambino nato il 4 maggio precedente.
Avverso tale decisione l'istituto assicuratore interponeva gravame avanti al Tribunale di Milano che lo disattendeva con sentenza dell'I 1-25 gennaio 1977.
Il giudice d'appello, nell'affrontare il problema se le disposizioni della 1. 30 dicembre 1971 n. 1204 sulla tutela delle lavoratrici madri dovessero oppur no essere estese a favore delle lavoratrici madri, adottive o semplicemente affidatane di minori in stato di abbandono, osservava che, essendo da ravvisare la ragione ispiratrice della suddetta legge nell'insopprimibile esigenza della madre (pur tenuta all'adempimento degli obblighi nascenti dal rapporto di lavoro) di prestare le dovute cure e assistenza al neonato e nell'altrettanto obiettiva insopprimibile esigenza di questo di fruire in pieno, durante il tempo del primo sviluppo psicofisico, delle assidue premure della madre medesima, identiche ragioni sussistevano nel caso della lavoratrice affidataria di un bimbo neonato o comunque in tenera età privo della madre essendo anch'egli egualmente (se non in misura maggiore) biso gnevole di assistenza e di cure materne per un regolare sviluppo della personalità infantile. Il giudice d'appello quindi, esclusa l'interpretazione analogica della 1. n. 1204 del 1971, ne ri teneva tuttavia possibile quella estensiva non emergendo — pur essendo avvenuto nel corso dei lavori parlamentari il ritiro di una proposta di articolo aggiuntivo ad hoc — una contraria vo lontà del legislatore ed osservando peraltro che lo stesso I.n.a.m. riconosceva che talune norme sulla tutela delle lavoratrici madri naturali, e in particolare quelle sull'astensione facoltativa in base all'art. 7 della legge, potevano applicarsi anche alle madri adottive o affidatane. Rilevava da ultimo il tribunale la non applicabilità
Giust. civ., 1982, I, 2717, la quale, avendola impostata come problema di applicazione analogica, auspicava una più approfondita verifica. Detta sentenza si limita invece a comporre il contrasto di giurispru denza insorto all'interno della sezione lavoro, tra Cass. 10 maggio 1979, n. 2673, Foro it., 1979, I, 1755 e 19 maggio 1980, n. 3283, id„ 1980, I, 1596, circa l'applicazione della 1. n. 1204 alle ipotesi di affidamento provvisorio, dando la prevalenza all'orientamento contrario all'applicazione stessa, affermato dalla seconda sentenza. In senso contrario a Cass. n. 2878/82, adde Pret. Milano 28 marzo 1981, id., Rep. 1982, voce Lavoro (rapporto), n. 710. Sulla distinzione tra affidamento provvisorio e preadottivo, v., da ultimo, Cass. 16 giugno 1982, n. 3672, id., 1983, I, 1348, con osservazioni di M. G. Civinini.
Questione di costituzionalità analoga a quella sollevata dall'ordinan za che si riporta è stata proposta anche da Trib. Busto Arsizio 5 marzo 1982, id., Rep. 1982, voce cit-, n. 711, mentre la citata Cass. n. 2878 l'aveva ritenuta manifestamente infondata in riferimento all'art. 3, 1° comma, Cost.
Sull'art. 80 1. 4 maggio 1983 n. 184, che, come ricordato dall'ordi nanza della Cassazione ha espressamente esteso l'applicazione degli art. 6 e 7 1. n. 903/77 agli affidatari (non preadottivi), in dottrina v. Rossi Carleo, in Nuove leggi civ., 1984, 1; Manera, L'adozione e l'affida mento familiare, Napoli, 1983, 280; A. e M. Finocchiaro, Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori, Milano, 1983, 647; Sac chetti, Adozione e affidamento dei minori, Rimini, 1983, 180.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
alle prestazioni economiche delPI.n.a.m. della rivalutazione mone
taria.
Contro tale decisione l'I.n.a.m. ha proposto ricorso a questa
Suprema corte formulato in un solo motivo. La Sbarbati ha
resistito con controricorso. Intervenuta la liquidazione dell'istituto
assicuratore si è costituito in sua vece il ministero del tesoro -
ufficio liquidazioni. La resistente ha altresì presentato memoria.
Motivi della decisione. — Con l'unico motivo il ricorrente
denunzia, in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c., violazione ed errata
interpretazione dell'art. 4, lett. c), 1. 30 dicembre 1971 n. 1204. De
duce al riguardo che l'intenzione del legislatore è stata nel senso
dell'esclusione delle lavoratrici madri adottive o affidatane di
minori dalla tutela di cui alla disciplina in parola, cosi come
emerge dai lavori preparatori durante i quali — nella prospetta zione che il problema sarebbe stato affrontato ad hoc — fu
ritirata una proposta d'inserire una norma aggiuntiva di estensione
della suddetta tutela. Osserva ulteriormente il ricorrente che in
ogni caso è da escludere la possibilità di applicazione della norma
sulla interdizione obbligatoria post partum la quale ha riguardo alle condizioni biologiche della lavoratrice e alla necessità di
allattamento, il che non può sussistere per una lavoratrice che,
anziché aver partorito un bambino, lo abbia adottato, laddove le
altre considerazioni svolte dal tribunale circa il bisogno che il
bambino medesimo avrebbe di vivere in ambiente familiare con la
continua presenza della madre non sono collegate con la realtà e
quindi con la tutela di diritto positivo. Tutto ciò richiamato, va rilevata, per le considerazioni che
seguono, l'infondatezza del ricorso. Si osserva in proposito come
le sezioni unite di questa Suprema corte con la sentenza 10 maggio
1982, n. 2878 (Foro it., 1982, I, 1567) abbiano risolto il contrasto
che si era manifestato a proposito della applicabilità della disci
plina della 1. 30 dicembre 1971 n. 1204 — in relazione al diritto
della lavoratrice di assentarsi dal lavoro e di percepire le relative
indennità (art. 4, 7 e 15 della detta legge) — all'ipotesi di
affidamento provvisorio di bambini abbandonati disposto a norma
dell'art. 314/6 c.c. sub art. 4 1. 5 giugno 1967 n. 431, questione
che, in questa sezione, la sentenza 10 maggio '1979, n. 2673 (id.,
1979, I, 1755) aveva risolto positivamente mentre contrario orien
tamento era stato seguito dalla sentenza 19 maggio 1980, n. 3283
(id., 1980, I, 1596). Le sezioni unite hanno aderito alla seconda soluzione osservan
do che il cosiddetto affidamento provvisorio (termine introdotto da
una terminologia non usata dalla norma (legislativa) si differenzia
profondamente dall'affidamento preadottivo (di cui all'art. 314/20
c.c.) in quanto riveste i connotati dell'urgenza e della precarietà,
prescinde dalla dichiarazione di adottabilità e non instaura una
fase prodromica all'adozione. Peraltro le stesse sezioni unite, in
relazione alla nuova disciplina introdotta dalla 1. 9 dicembre 1977
n. 903 (sulla parità di trattamento tra uomini e donne in materia
di lavoro) il cui art. 6 ha dichiarato applicabili le norme dell'art.
4, lett. c), e 7, 1° e 2° comma, 1. n. 1204 del 1971 anche alle
lavoratrici che abbiano adottato bambini o che li abbiano ottenuti
in affidamento preadottivo i(v. infra), hanno osservato che il
problema di applicazione analogica della suddetta 1. n. 1204 del
1971 appariva proponibile (salva più approfondita verifica) prima di essere superato dalla nuova disciplina con riguardo, per
l'appunto, alle lavoratrici madri adottive o affidatane in preado
zione, ma non anche per le affidatarie provvisorie. Posto dunque che ai fini della presente decisione — tenuto
conto di quanto il ricorrente ha devoluto alla cognizione di questa
corte regolatrice — non deve essere esaminata la posizione di
queste ultime affidatarie costituente l'oggetto proprio delle tre
pronunce sopra ricordate, in relazione alla controversia in esame il
collegio è chiamato a risolvere la questione se le provvidenze della 1. n. 1204/71 fossero già prima della 1. n. 903/77 di per sé
applicabili alle madri adottive e alle affidatarie di bambini in
preadozione a norma della 1. n. 431/67. Ritiene il collegio che
detta questione debba essere risolta positivamente. Si osserva come elementi di sostegno al riguardo si rinvengano
già in alcune delle considerazioni svolte nella richiamata decisione
delle sezioni unite la quale, come detto, ha evidenziato la netta
differenza tra l'affidamento precario da un lato e l'adozione
speciale e l'affidamento preadottivo dall'altro. In particolare si è in
essa rilevato, nel sottolineare tale differenza, come sia sostenibile
che per le madri naturali, per quelle adottive e per quelle
affidatane in preadozione « esiste somiglianza di rapporti col
bambino tutte assumendo o dovendo assumere agli occhi della
legge, il ruolo di madre», osservando inoltre che la 1. del 1971
reca un complesso di misure le quali coinvolgono interessi di
soggetti del tutto estranei all'affidamento e che « possono giu
stificarsi solo sulla base di situazioni largamente equiparabili a
quelle familiari, e comunque non esposte al pericolo di venire
eliminate, da un giorno all'altro ».
A tali rilievi ne vanno aggiunti altri che, pur contenuti nella
decisione n. 2673 del 1979 concernente l'affidamento precario, tuttavia evidenziano a loro volta lo scopo della disciplina contenu
ta nella 1. n. 1204/71 e si attagliano quindi pienamente anche alle
ipotesi dell'adozione speciale e dell'affidamento preadottivo. In tale
decisione si è invero considerato che — pur apparendo la maggior
parte delle norme della suddetta legge dirette alla tutela della
donna nelle delicate fasi dell'ultima gestazione, del parto, del
puerperio o dell'allattamento in cui la vita di lei e quella del
bambino sono collegate sul piano fisiologico — tuttavia nella legge stessa vi sono altre norme che prescindendo da tale rapporto « prendono direttamente di mira l'interesse del bambino e solo in
funzione di questo intervengono nel regolamento del rapporto di
lavoro della madre». Tale evidentemente è il caso — si è
aggiunto nella suddetta sentenza — della norma del 2° comma
dell'art. 7, in base alla quale la lavoratrice ha diritto ad assentarsi
dal lavoro durante le malattie del bambino di età inferiore ai tre
anni, ben oltre cioè la sua dipendenza da un particolare stato
fisiologico della madre, e tale è anche il caso del 1° comma dello
stesso articolo secondo cui la lavoratrice ha diritto ad assentarsi
dal lavoro, trascorso il periodo di astensione obbligatoria, per un
periodo entro il primo anno di età del bambino di sei mesi. Si è
in proposito ulteriormente considerato nella detta sentenza che il
termine finale fissato da tale norma va oltre la normale durata
dell'allattamento e prescinde del tutto (così come il successivo art.
10) dalle effettività di tale sistema di alimentazione sicché deve
necessariamente ritenersi che la facoltà in questione sia essenzial
mente ordinata al soddisfacimento delle particolari esigenze di
assistenza materiale ed affettiva che non si esauriscono nell'allat
tamento.
Dalle suddette pronunzie n. 2878 del 1982 delle sezioni unite e
n. 2673 del 1979 di questa sezione lavoro emergono perciò due
ordini di considerazioni che si rivelano indubbiamente importanti ai fini della presente decisione e cioè innanzitutto l'equiparabilità della situazione della madre adottiva e della affidataria in preado zione a quella della madre naturale e, in secondo luogo, lo scopo di diretta tutela del bambino ravvisabile in alcune delle disposi zioni sul diritto della donna lavoratrice di assentarsi dal lavoro (e
quindi sul relativo diritto all'indennità in quanto previsto dalla
legge). Sul primo punto può solo aggiungersi che la piena
equiparazione del figlio adottato in base alla 1. n. 431/67 al
figlio legittimo con cessazione per quello di ogni rapporto verso la
famiglia di origine '(tranne che per i divieti matrimoniali e le
norme penali fondate sul rapporto di parentela) è principio
espressamente affermato dall'art. 314/26 c.c. (sub art. 4 di tale
legge) per effetto di che il bambino adottato ha come propria
famiglia unicamente quella dei genitori adottanti (v. anche l'art.
314/28 c.c.) i quali hanno pertanto verso di lui tutti i doveri
giuridici e morali propri dei genitori naturali. Rilevato poi che lo
stato di affidamento preadottivo determina nella sostanza delle
cose analoga situazione (v. la sentenza n. 2878 del 1982), quanto al secondo punto si osserva come dalla sussistenza nei genitori adottivi di tutti gli stessi doveri dei genitori naturali deriva la
logica imprescindibile conseguenza che il bambino adottato o in
affidamento preadottivo ha nei loro confronti gli stessi diritti
configurabili, per l'appunto, verso i genitori naturali.
Una volta stabilito pertanto che alcune norme della 1. n.
1204/71 hanno come scopo la tutela del bambino, la madre
adottiva e la donna affidataria in preadozione — equiparata per quanto detto, alla madre naturale — debbono essere messe in
grado di poter provvedere a ciò nello stesso modo e alle stesse
condizioni della madre naturale.
Rilevato quindi che, ove la suddetta 1. n. 1204/71 escludesse
ciò, sarebbe non manifestamente infondata la questione di legitti mità costituzionale di una parte delle due disposizioni in relazione
agli art. 3 (1° comma), 30 (1°, 2° e 3° comma), 31 e 37 (1°
comma) Cost, e considerato inoltre che la « lettura costituzionale »
deve essere quella che va in ogni caso seguita per determinare la
portata delle norme ordinarie (cfr., ad es., Cass. 6 dicembre 1974, n. 4040, id., 1975, I, 583), si osserva come in realtà quelle
disposizioni della suddetta 1. n. 1204/71 le quali concernono la
tutela del bambino possono ritenersi, con procedimento interpreta tivo non analogico ma semplicemente logico-sistematico, riferite
anche al bambino adottato o in affidamento preadottivo. Al riguardo, tenendo presenti anche significative indicazioni della
dottrina e ribadendo che l'adozione speciale conferisce nell'adotta
to la piena condizione di figlio legittimo nel mentre l'affidamento
preadottivo anticipa sostanzialmente tale status, è d'uopo osservare
che l'espressione « bambino » usata dall'art. 7 1. n. 1204 (e non
figlio) consente, nell'ambito dell'esigenza di interpretazione costitu
zionale di cui si è detto, di dare a tale termine il significato di
minore nei confronti del quale la donna lavoratrice ha durevoli
doveri giuridici — particolarmente intensi in determinati periodi
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1039 PARTE PRIMA 1040
della di lui vita — da conciliare necessariamente con quelli che lei a sua volta ha verso il datore di lavoro; lettura del termine « bambino » e di quello « lavoratrice » (parimenti usato nella
suddetta norma in luogo di quello di « madre ») da effettuare
pertanto nell'organico collegamento con altre norme dell'ordina mento e da intendere come indicanti due soggetti fra i quali intercorre un rapporto comportante i doveri giuridici propri che la donna ha verso il figlio e ciò a prescindere — secondo una concezione di alta civiltà giuridica e di progresso sociale quali è
configurata dalla Costituzione — che si sia in presenza di una
filiazione di sangue, aspetto questo che la 1. n. 431/67 considera a tal punto secondario rispetto all'interesse del minore da sopprimere ogni effetto sostanziale ove abbia avuto luogo l'adozione (art. 314/26 c.c., l'art. 27 1. 4 maggio 1983 n. 184).
In conseguenza di ciò quelle norme della 1. n. 1204/71 che non si rivelano rivolte alla esclusiva tutela della donna (tali essendo in
particolare quelle delle lett. a e b del 1° comma dell'art. 4 e
quella del successivo art. 5 di essa), ma altresì o esclusivamente a
quella del bambino appaiono applicabili anche alle ipotesi di adozione speciale e di affidamento preadottivo.
Va quindi osservato che la circostanza che l'art. 6 1. n. 903/77 abbia specificamente previsto l'applicabilità della norma dell'art. 4, lett. c, nonché dell'art. 7, 1° e 2° comma, 1. n. 1204/71 alle
ipotesi di adozione speciale e di affidamento preadottivo non può affatto significare (nonostante il ritiro di una proposta che vi era stata in sede di lavori preparatori, circostanza avente in ogni caso un non decisivo rilievo) che solo dal 1977 tali situazioni abbiano ricevuto tutela. La nuova legge ha invero solo meglio regolato il modo di applicazione della disciplina del 1971 tenuto conto della
peculiarità di quella che è pur sempre una « nascita legale »
rispetto a quella naturale. E a tal proposito il legislatore, in conformità peraltro alla particolare situazione psicologica del bambino che si sia in precedenza trovato in stato di abbandono e alla necessità per lui di una più intensa assistenza materiale e morale nel primo periodo di inserimento nella famiglia degli adottanti e degli affidatari in preadozione ha opportunamente fatto coincidere detta nascita legale con l'effettivo ingresso del bambino stesso nella famiglia facendo pertanto decorrere da tale momento i tre mesi dell'astensione obbligatoria (di cui all'art. 4, lett. c) e l'anno dell'astensione facoltativa di cui al 1° comma dell'art. 7, consentendo altresì le assenze previste dal 2° comma di tale articolo e precisando inoltre, per il primo caso, che il bambino non deve aver superato i sei anni e, per il secondo caso, i tre anni di età. Ribadito peraltro che è solo con il provvedimento di adozione speciale che il bambino acquista lo stato di figlio legittimo e che è con quello di affidamento preadottivo che ne
consegue uno similare, la rilevata necessaria integrazione delle norme della 1. n. 1204/71 con quelle della 1. n. 431/67 non
poteva non condurre l'interprete a fissare — già prima della 1. n.
903/77 — egualmente a tali date (o meglio a quelle di effettiva esecuzione dei provvedimenti) la decorrenza dei periodi di cui ai ricordati art. 4, 1° comma, lett. e), e 7, 1° e 2° comma.
Il novum della disciplina della 1. n. 903/77 (non interpretativa e perciò non retroattiva) è nell'aver limitato il diritto della lavoratrice di avvalersi dell'astensione obbligatoria (che è perciò, in tale contesto, di natura facoltativa) alla condizione che il bambino non abbia superato al momento dell'adozione e dell'affidamento i sei anni di età nonché quello all'astensione facoltativa di cui al 1° comma dell'art. 7 al compimento di tre anni di età dello stesso, nel mentre non ha previsto per l'assenza di cui al 2° comma dello stesso art. 7 tale tipo di decorrenza: adattamenti questi che il legislatore ha ritenuto di introdurre nella sua discrezionalità e che concernono comunque il periodo successivo all'entrata in
vigore di tale nuova disciplina. Va ancora considerato, in riferimento allo specifico rilievo del
ricorrente, che l'applicabilità alle madri adottive e alle affidatarie
preadottive del periodo di astensione di cui alla lett. c) del 1° comma dell'art. 4 1. n. 1204 evidenzia la sua giustificazione proprio nella già rilevata esigenza che nel primo periodo d'ingres so nella famiglia al bambino siano rivolte quelle cure che con
particolare intensità sono necessarie all'inizio della sua nuova vita, del che anche il legislatore del 1977 ha poi tenuto specifico conto.
Trovando pertanto le censure confutazione nelle suesposte argo mentazioni e rimanendo assorbita ogni altra questione e in particolare quella sollevata nel controricorso di legittimità costitu zionale il ricorso dev'essere rigettato. (Omissis)
II.
Motivi della decisione. — Con l'unico motivo il ricorrente
denunzia, in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c., violazione ed errata interpretazione degli art. 7, 1° comma, e 15, 2° comma, 1. 30 dicembre 1971 n. 1204 anche con riferimento all'art. 314/6 c.c.
come novellato ex art. 4 1. 5 giugno 1967 n. 431, nonché difetto di motivazione.
Deduce al riguardo che dalla lettura sistematica delle norme della 1. n. 1204/71 appare evidente che la qualificazione di « madre », quale soggetto cui la legge si rivolge, è necessariamente
collegata agli eventi di gravidanza, parto e puerperio, ed esclusi vamente da essi è condizionata, laddove estranea dal suo ambito (cosi come da quelli del regolamento e della precedente disciplina) è la figura della madre adottiva. Considerata quindi la necessità di specifica disciplina del pur esistente problema ed esclusa la
possibilità d'interpretazione estensiva o analogica, il ricorrente rileva che per garantire la tutela nell'ambito dell'adozione è stata necessaria l'emanazione di apposita norma qual è, per l'appunto, quella dell'art. 6 1. 9 dicembre 1977 n. 903 che ha tenuto conto
degli aspetti peculiari della maternità adottiva. Aggiunge che alla data del 1° giugno 1976, dalla quale è stato riconosciuto dal tribunale il diritto della Ferri al trattamento economico di mater nità, essa non era comunque qualificabile come madre non essendo ancora intervenuto il provvedimento di adozione e neppu re l'affidamento preadottivo di cui all'art. 314/20 c.c., ma soltanto un provvedimento in base all'art. 314/6 avente carattere di
temporaneità e di urgenza senza che alcun rapporto di filiazione si fosse ancora instaurato, laddove la suddetta 1. n. 903/77 limita i benefici alle sole madri adottive e a quelle ohe abbiano ottenuto bambini in affidamento preadottivo a norma dell'art. 314/20 c.c.
Deduce ancora il ricorrente che il tribunale non avrebbe considerato che il minore collocato provvisoriamente presso la Ferri aveva già superato l'anno di età al momento dal quale la lavoratrice pretende il riconoscimento dell'indennità, laddove il ritenere che l'entrata del minore nella nuova famiglia è un fatto che si sostituisce alla nascita fisiologica, esigerebbe un'espressa norma di diritto positivo. Aggiunge che il diritto all'indennità di cui all'art. 15, 2° comma, 1. n. 1204/71 può essere riconosciuto, in relazione all'art. 7 della stessa legge, non astrattamente ma limitatamente al periodo per il quale risulti effettivamente provata l'avvenuta assenza dal lavoro.
Tanto premesso, osserva il collegio come la tesi seguita dal Tribunale di Milano non trovi rispondenza nelle norme di cui agli art. 7 e 15 1. 30 dicembre 1971 n. 1204, sulla tutela delle lavoratrici madri, in relazione alle quali si ravvisano tuttavia profili d'illegittimità costituzionale, talché si ritiene di sollevare d'ufficio la relativa questione in riferimento alle suddette norme, non potendosi invero definire il giudizio indipendentemente dalla sua risoluzione. Debbono al riguardo essere svolte le seguenti considerazioni.
Le sezioni unite di questa Suprema corte con la sentenza 10 maggio 1982, n. 2878 (Foro it., 1982, I, 1567) hanno composto il contrasto che si era manifestato a proposito dell'applicabilità della disciplina della suddetta 1. n. 1204/71 — in relazione al diritto della lavoratrice di assentarsi dal lavoro e di percepire le relative indennità (art. 4, 7 e 15) —
all'ipotesi di affidamento provvisorio di bambini abbandonati disposto a norma dell'art. 314/6 c.c. sub art. 4 1. 5 giugno 1967 n. 431, questione che, in questa sezione, la sentenza 10 maggio 1979, n. 2673 \(id., 1979, I, 1755) aveva risolto positivamente mentre contrario orientamento era stato seguito dalla sentenza 19 maggio 1980, n. 3283 (id., 1980, I, 1596).
Le sezioni unite hanno aderito alla seconda soluzione osservan do che il cosiddetto affidamento provvisorio (termine introdotto da una terminologia non usata dalla norma legislativa) si differenzia profondamente dall'affidamento preadottivo (di cui all'art. 314/20 c.c.) in quanto riveste i connotati dell'urgenza e della precarietà, prescinde dalla dichiarazione di adottabilità e non instaura una fase prodromica all'adozione. Peraltro le stesse sezioni unite, in relazione alla nuova disciplina introdotta dalla 1. 9 dicembre 1977 n. 903 (sulla parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro) il cui art. 6 ha dichiarato applicabili le norme dell'art. 4, lett. c), e 7, 1° e 2° comma, 1. n. 1204/71 anche alle lavoratrici che abbiano adottato bambini o che li abbiano ottenuti in affidamento preadottivo, hanno osservato che un problema di
applicazione analogica della suddetta 1. n. 1204/71 appariva proponibile (salva più approfondita verifica) prima di essere superato dalla nuova disciplina con riguardo, per l'appunto, alle lavoratrici madri adottive o affidatarie in preadozione, ma non anche per le affidatarie provvisorie.
Nella stessa sentenza — rilevandosi l'esistenza per le madri naturali, per quelle adottive e per quelle affidatarie in preadozione di una « somiglianza di rapporti col bambino, tutte assumendo o dovendo assumere agli occhi della legge il ruolo di madre » — si è osservato che la 1. del 1971 reca un complesso di misure le quali coinvolgono interessi di soggetti del tutto estranei all'affida mento e che pertanto « possono giustificarsi solo sulla base di situazioni largamente equiparabili a quelle familiari, e comunque
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
non esposte al pericolo di venire eliminate da un giorno all'al
tro ».
Peraltro nella sentenza della sezione lavoro n. 2673 del 1979, nel
ritenere l'applicabilità della disciplina dettata dalla 1. n. 1204/71 anche alle situazioni di affidamento precario, si è argomentato che — pur apparendo la maggior parte delle norme della suddetta
legge dirette alla tutela della donna nelle delicate fasi dell'ultima
gestazione, del parto, del puerperio o dell'allattamento in cui la
vita di lei e quella del bambino sono collegate sul piano
fisiologico — tuttavia nella legge stessa vi sono altre norme che,
prescindendo da tale rapporto « prendono direttamente di mira
l'interesse del bambino e solo in funzione di questo intervengono nel regolamento del rapporto di lavoro della madre ». Tale
evidentemente è il caso — si è aggiunto nella suddetta sentenza — della norma del 2° comma dell'art. 7, in base alla quale la
lavoratrice ha diritto ad assentarsi dal lavoro durante le malattie
del bambino di età inferiore ai tre anni, ben oltre cioè la sua
dipendenza da un particolare stato fisiologico della madre, e tale è
anche il caso del 1° comma dallo stesso articolo secondo cui la
lavoratrice ha diritto ad assentarsi dal lavoro, trascorso il periodo di astensione obbligatoria, per un periodo, entro il primo anno di
età del bambino, di sei mesi. Si è in proposito ulteriormente
considerato nella detta sentenza che il termine finale fissato da
tale norma va oltre la normale durata dell'allattamento e prescin de del tutto (cosi come il successivo art. 10) dall'effettività di tale
sistema di alimentazione sicché deve necessariamente ritenersi che
la facoltà in questione sia essenzialmente ordinata al soddisfaci
mento delle particolari esigenze di assistenza materiale ed affettiva
che non si esauriscono nell'allattamento.
Dalle suddette pronunce n. 2878 del 1982 delle sezioni unite e
n. 2673 del 1979 di questa sezione lavoro emergono perciò due
ordini di considerazioni di indubbio rilievo e cioè, innanzitutto,
l'equiparabilità della situazione della madre adottiva e della
affidataria in preadozione a quella della madre naturale, e, in
secondo luogo, lo scopo di diretta tutela del bambino ravvisabile
in alcune delle disposizioni sul diritto della donna lavoratrice di
assentarsi dal lavoro (e quindi sul relativo diritto all'indennità in
quanto previsto dalla legge). Sul primo punto può solo aggiungersi che la piena equiparazione del figlio adottato in base alla 1. n.
431/67 al figlio legittimo con cessazione di ogni rapporto verso la
famiglia di origine (tranne che per i divieti matrimoniali e le
norme penali fondate sul rapporto di parentela) è principio
espressamente affermato dall'art. 314/26 c.c. (sub art. 4 di tale
legge) per effetto di che il bambino adottato ha come propria
famiglia unicamente quella dei genitori adottanti (v. anche l'art.
314/28 c.c.) i quali hanno pertanto verso di lui tutti i doveri
giuridici e morali propri dei genitori naturali, laddove lo stato di
affidamento preadottivo determina nella sostanza delle cose analo
ga situazione '(v. la sentenza n. 2878 del 1982). Quanto al secondo
punto si osserva come dalla sussistenza nei genitori adottivi di
tutti gli stessi doveri dei genitori naturali derivi la logica impre scindibile conseguenza che il bambino adottato o in affidamento
preadottivo ha nei loro confronti gli stessi diritti configurabili, per
l'appunto, verso i genitori naturali.
Una volta stabilito pertanto che alcune norme della 1. n.
1204/71 hanno come scopo la tutela del bambino, la madre
adottiva e la donna affidataria in preadozione — equiparate, per
quanto detto, alla madre naturale — debbono essere messe in
grado di poter provvedere a ciò nello stesso modo e nelle stesse
condizioni della madre naturale, talché il collegio è dell'avviso che
quelle disposizioni della suddetta 1. n. 1204 le quali concernono la
tutela del bambino possano ritenersi, con procedimento interpreta tivo non analogico ma semplicemente logico-sistematico, riferite
anche al bambino adottato o in affidamento preadottivo. Al riguardo, tenendo presenti anche significative indicazioni
della dottrina e ribadendo che l'adozione speciale conferisce
all'adottato la piena condizione di figlio legittimo nel mentre
l'affidamento preadottivo anticipa sostanzialmente tale status, può ancora osservarsi che l'espressione « bambino » usata dall'art. 7 1.
n. 1204 (e non figlio) consente, nell'ambito dell'esigenza interpreta tiva logico-sistematica di cui si è detto, di dare a tale termine il
significato di minore nei confronti del quale la donna lavoratrice
ha specifici e durevoli doveri giuridici — particolarmente intensi
in determinati periodi della di lui vita — da conciliare necessa
riamente con quelli che lei, a sua volta, ha verso il datore di
lavoro: lettura del termine « bambino » e di quello « lavoratrice »
(parimenti usato nella suddetta norma in luogo di quello di
« madre ») da effettuare pertanto nell'organico collegamento con
altre norme dell'ordinamento e da intendere come indicanti due
soggetti fra i quali intercorre un rapporto comportante i doveri
giuridici propri che la donna ha verso il figlio e ciò a prescindere — secondo una concezione di alta civiltà giuridica e di progresso sociale qual è configurata dalla Costituzione — che si sia in
presenza di una filiazione di sangue, aspetto questo che la 1. n.
431/67 considera a tal punto secondario rispetto all'interesse del
minore da sopprimerne ogni effetto sostanziale ove abbia avuto
luogo l'adozione speciale (art. 314/26 c.c.; v. ora l'art. 27 1. 4
maggio 1983 n. 184). In conseguenza di ciò, quelle disposizioni della 1. n. 1204/71 che non si rivelano rivolte all'esclusiva tutela
della donna i(tali essendo, in particolare, quelle delle lett. a e b
del 1" comma dell'art. 4 e quella del successivo art. 5 di essa), ma altresì o esclusivamente a quella del bambino appaiono
applicabili anche alle ipotesi di adozione speciale e di affidamento
preadottivo, osservandosi al riguardo — nella necessaria logica
integrazione delle norme della 1. n. 1204/71 con quelle della 1.
n. 431/67 e in conformità alla particolare situazione psicologica del bambino che si sia in precedenza trovato in stato di
abbandono e alla necessità per lui di una più intensa assistenza
materiale e morale nel primo periodo di inserimento nella famiglia
degli adottanti o degli affidatari in preadozione — che per il
medesimo il momento della nascita dev'essere necessariamente
fatto coincidere, agli effetti dell'applicazione della stessa 1. n.
1204/71, con quello della «nascita legale» realizzata con l'effetti
vo suo ingresso nella detta famiglia (criterio poi seguito in linea
di massima dall'art. 6 1. n. 903/77).
Nell'ipotesi invece di affidamento provvisorio a norma dell'art.
314/6 c.c. <che è sostanzialmente una forma di «ricovero» del
minore presso privati; v. ora una più adeguata regolamentazione nella recente 1. n. 184/83 cit.) manca quel supporto giuridico
proprio dell'adozione e dell'affidamento preadottivo, e invero il
relativo provvedimento non crea un nuovo status nel bambino e
neppure ne anticipa durevolmente gli effetti, cosf come non
determina nella persona affidataria una situazione giuridica caratte
rizzata dall'esistenza di specifici e sanzionabili doveri per il cui
adempimento tale persona possa a sua volta pretendere nei
confronti del proprio datore di lavoro di potersi assentare dal
lavoro a termini degli art. 4, lett. e), e 7, 1° e 2° comma, 1. n.
1204/71 e possa altresì' chiedere all'ente assicuratore il pagamento delle indennità previste dall'art. 15 della stessa legge.
Tale è la conclusione che, anche in base a quanto considerato
nella richiamata sentenza delle sezioni unite, si trae dalla lettura
delle suddette norme che l'interpretazione logico-sistematica può far ritenere di per sé estensibili alle sole situazioni giuridiche di
adozione e di affidamento preadottivo. È chiaramente enucleabile
perciò dal contesto delle richiamate norme della 1. n. 1204/71 una disposizione che ne esclude la relativa applicazione all'ipotesi di affidamento precario.
Una volta però ritenuto che — come sopra considerato — dette
norme, pur aventi lo scopo di provvedere alla diretta tutela del
bambino il quale in determinati periodi della sua vita ha un
particolare bisogno di assistenza materiale e affettiva (il che è poi
segnatamente rilevante per coloro che si siano in precedenza trovati in stato di abbandono), non sono suscettibili di applicazio ne nei confronti di quei minori che pur trovandosi nelle stesse
necessità si differenziano dagli altri sol perché ancora mancanti di
un adeguato status giuridico, ciò rivela un'evidente discriminazio
ne. E questa è in contrasto, innanzitutto, con il fondamentale
principio di eguaglianza di cui all'art. 3, 1° comma, Cost, non
ravvisandosi invero una ragione giustificatrice di siffatta diversità
di trattamento fra soggetti aventi identiche necessità, ma è lesiva
inoltre di quelle altre norme costituzionali che sanciscono il diritto
dei minori acché nei loro confronti, benché privi di genitori in
grado di assolvere il relativo compito, sia in ogni caso provveduto al mantenimento e all'educazione (art. 30, 1°, 2° e 3° comma) e
lesiva ancora del principio generale di tutela dell'infanzia per il
che è dovere della repubblica favorire la formazione della famiglia
(art. 31), nonché di quello in base al quale le condizioni di
lavoro devono consentire alla donna lavoratrice l'adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare al bambino
una speciale adeguata protezione (art. 37, 1° comma).
Allorquando perciò esistano persone che — a prescindere dalla
già avvenuta emissione di un provvedimento di adozione e di
affidamento preadottivo — siano responsabilmente disposte (of frendo le dovute garanzie) a prendersi cura di minori abbando
nati, non riconoscere loro quei mezzi (disponibilità di tempo e
indennità) che invece l'ordinamento attribuisce affinché la stessa
cura sia esercitata nei confronti dei figli di sangue nonché di
quelli adottivi e affidati in preadozione (per queste categorie considerando peraltro il momento della « nascita legale ») appare al collegio privo di giustificazione e perciò discriminatorio e lesivo
delle suddette norme costituzionali.
Alla stregua delle suesposte osservazioni e non venendo diretta
mente in discussione nella presente controversia — dati gli attuali
limiti del dibattito processuale — la disposizione dell'art. 4, lett.
c), 1. 30 dicembre 1971 n. 1204 né — in considerazione dell'epoca dei fatti controversi — quella dell'art. 6 della successiva 1. 9
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1043 PARTE PRIMA 1044
dicembre 1977 n. 903, ma soltanto l'applicazione degli art. 7, 1° e
2° comma (assenze facoltative dal lavoro) e 15 (diritto all'indenni
tà) della suddetta legge, gli atti debbono essere trasmessi alla
Corte costituzionale perché sia risolta la questione della legittimità cosituzionale delle dette norme in relazione ai sopra richiamati
precetti della legge fondamentale.
Si osserva da ultimo come la recente 1. 4 maggio 1983 n. 184
(contenente nuova disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei
minori) la quale ha tra l'altro formulato una compiuta regolamen tazione dell'affidamento familiare (più ampia e più articolata
rispetto alla previsione dell'art. 314/6 c.c.) abbia disposto, all'art.
80, l'applicazione agli affidatari, tra l'altro, degli art. 6 e 7 1. n.
903/77 estendendo in tal modo anche all'ipotesi dell'affidamento
temporaneo le disposizioni degli art. 4, lett. c), 7, 1° e 2° comma, e 15 1. n. 1204/71. Ma all'evidenza si tratta in ogni caso di
norme non retroattive per cui la questione di legittimità costitu zionale permane rilevante in riferimento a tutto il periodo di
operatività dell'esclusione di che trattasi, e pertanto direttamente
coinvolge la presente fattispecie. Rimanendo quindi assorbiti ogni altro rilievo e ogni profilo
attinente al fatto (che non può essere invero considerato in questa sede di legittimità), il presente giudizio dev'essere sospeso provve dendosi agli adempimenti prescritti dall'art. 23 1. 11 marzo 1953 n. 87.
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione i civile; ordinanza 3 otto bre 1983, n. 707; Pres. Falcone, Rei. Corda, P. m. Silocchi
(conci, conf.); Provincia di Bolzano (Avv. Costa, Barbato) c.
Mayrl (Avv. Pacifici, Zivelonghi).
Trentino-Alto Adige — Provincia di Bolzano — Espropriazione
per pubblico interesse — Indennità — Determinazione — Que stione non manifestamente infondata di costituzionalità (Cost., art. 24, 42; 1. prov. Bolzano 20 agosto 1972 n. 15, legge di
riforma dell'edilizia abitativa, art. 12; 1. prov. Bolzano 22
maggio 1978 n. 23, modifiche alla 1. prov. 20 agosto 1972 n. 15
e successive modifiche, sulla riforma dell'edilizia abitativa e
all'ordinamento urbanistico provinciale, art. 5).
Non è manifestamente infondata (e se ne rimette quindi l'esame
alla Corte costituzionale) la questione di legittimità costituzio
nale dell'art. 12, <1° comma, l. prov. Bolzano 20 agosto 1972
n. 15, cosi come sostituito dall'art. 5 l. prov. Bolzano 22 mag
gio 1978 n. 23, nella parte in cui àncora la determinazione giu diziale dell'indennità espropriativa di un terreno agricolo ai va
lori tabellari minimi e massimi precostituiti dalla commissione a
tal fine nominata dalla giunta provinciale, in riferimento agli art. 24, 42 Cost. ( 1)
Diritto. — La corte d'appello ha determinato il quantum della
indennità di espropriazione con riferimento al valore venale del terreno espropriato, del quale era pacifica in causa la natura
agricola; la ricorrente amministrazione provinciale denuncia, per ciò (per quanto interessa in questa sede rilevare), la violazione di
legge, sostenendo che i giudici predetti avrebbero dovuto, invece, attenersi ai parametri valutativi (c.d. « tabelle ») indicati dalla
legge regolatrice della materia (art. 12 1. prov. Bolzano 20 agosto 1972 n. 15, come modificato dall'art. 5 1. prov. Bolzano 22 maggio 1978 n. 23). E tale deduzione è sicuramente in linea con la
(1) Per la medesima censura v. Cass., ord. 3 aprile 1983, n. 309, Foro it., Mass., 513, mentre, in riferimento all'analoga disciplina approntata dalla provincia di Trento (1. prov. 30 dicembre 1972 n. 31, come modificata dalla 1. prov. 23 ottobre 1974 n. 33), cfr. Cass., ord. 14 giugno 1982, n. 581, id., Rep. 1982, voce Trentino-Alto Adige, n. 34 (per quest'ultima rimessione v. Corte cost., ord. 26 settembre 1983, n. 270, id., 1983, I, 2922, che ha restituito gli atti onde verificare la rilevanza della questione alla luce della nuova disciplina introdotta dalla 1. prov. Trento 2 maggio 1983 n. 14; successivamente v. Corte
cost., ord. 15 febbraio 1984, n. 33, in questo fascicolo, 1, 1143). Sulla vin colatività, anche in sede giurisdizionale, delle tabelle predisposte dalla commissione provinciale, vincolatività riaffermata dalla ordinanza che si riporta, contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte d'appello di Trie ste nel giudizio di secondo grado, v. Cass. 18 febbraio 1980, n. 1158, Foro it., 1980, I, 573, nonché Cass. 14 aprile 1983, n. 2603, id., 1983, I, 1233, entrambe con osservazioni di C. M. Baro
ne, secondo la quale la liquidazione di una indennità calcolata non secondo il valore di mercato del bene, ma in riferimento alle
singole colture praticate in ciascuna zona agraria, nel rispetto dei limiti tabellari stabiliti dall'apposita commissione provinciale, non viola gli art. 3 e 42 Cost, se l'espropriazione riguarda un terreno agricolo.
giurisprudenza di questa corte che, dopo la pronuncia n. 1158 del
1980 (Foro it., 1980, I, 573), è ormai costante nell'interpretare la
norma in questione come vincolante per il giudice adito in sede
di opposizione alla stima e nel disattendere, quindi, la contraria
tesi della corte trentina, ripetutamente espressa, secondo cui le c.d.
« tabelle » vincolerebbero unicamente l'organo amministrativo pre
posto alla determinazione della indennità, non anche, quindi, il
giudice ordinario (adito, appunto, in sede di opposizione alla
stima), il quale sarebbe libero di quantificare l'indennità con
riferimento al valore di mercato del bene.
Senonché, questa stessa Corte di cassazione, ha in altra occasio
ne (cfr. ord. n. 309 del 1983, id., Mass., 513) rimesso alla Corte
costituzionale la questione di legittimità della norma predetta, osservando — come già aveva fatto con riferimento all'analoga
legislazione della provincia di Trento (cfr. ord. n. 581 del 1982,
id., Rep. 1982, voce Trentino-Alto Adige, n. 34) — che il dubbio
di costituzionalità si pone in relazione agli art. 24 e 42 Cost,
poiché la disciplina vigente nella provìncia di Bolzano, nella parte in cui àncora la determinazione giudiziale dell'indennità ai valori
minimi e massimi precostituiti dalla commissione a tal fine
istituita, se non esclude in via generale la tutela dei diritti contro
gli atti della p. a. (art. 113 Cost.), in quanto il cittadino può
agire in giudizio per far accertare che nella determinazione
amministrativa dell'indennità quei minimi e massimi siano stati
osservati, può risolversi in una limitazione del diritto di difesa in
relazione al diritto sostanziale a ottenere una indennità che
costituisca, se non l'integrale riparazione della perdita subita, un
serio ristoro, con riferimento al valore dei beni, tenuto conto delle
sue reali caratteristiche, e alla sua reale destinazione economica.
Ritiene, pertanto, il collegio di dovere, anche in questo caso,
prospettare il dubbio sulla legittimità costituzionale della norma
in questione e rimettere, quindi, gli atti alla Corte costituzionale,
previa sospensione del giudizio. La questione di legittimità costitu
zionale appare sicuramente rilevante, nel caso di specie, perché a
seconda che la norma (quella, appunto, che vincola il giudice ai
minimi e ai massimi precostituiti dalla apposita commissione) si
ritenga costituzionalmente legittima o illegittima, la decisione
impugnata — la quale ha escluso, esplicitamente, la soggezione del
giudice a quel vincolo — potrebbe, o meno, risultare giuridica mente corretta.
Pertanto, sospeso il giudizio, deve disporsi la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la decisione della predetta
questione di illegittimità costituzionale.
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione III civile; sentenza 14 set
tembre 1983, n. 5557; Pres. A. Caleca, Est. Taddeucci, P. M.
La Valva (conci, conf.); Basilone (Avv. L. Jannarelli) c. Giam
battista (Avv. Caso) e altri. Conferma App. Bari 12 agosto 1980.
Agricoltura — Prelazione agraria — Versamento del prezzo —
Termine — Offerta di pagamento — Irrilevanza (L. 26 maggio 1965 n. 590, disposizioni per lo sviluppo della proprietà colti
vatrice, art. 8).
Il coltivatore diretto che ha esercitato il diritto di prelazione è
tenuto a versare il prezzo relativo nel termine di tre mesi di cui
al 6° comma dell'art. 8 l. 590/65, indipendentemente dalla sti
pula dell'atto pubblico, e non è idoneo ad escludere l'inadem
pimento l'invito rivolto al proprietario alienante a comparire dinanzi al notaio per la stipula dell'atto pubblico con contestua
le pagamento del prezzo (nella specie, il proprietario alienan
te, prima della data per la stipula dinanzi al notaio fissata en
tro il termine di tre mesi di cui al 6° comma dell'art. 8, aveva venduto il fondo a terzi per un prezzo maggiore rispetto a quello comunicato al coltivatore con la proposta di aliena
zione). (1)
(1) Orientamento prevalente per cui v. Cass. 15 marzo 1980, n.
1551, Foro it., Rep. 1980, voce Agricoltura, n. 138 e in Giur. agr. it., 1980, 673, con nota di Triola; 25 ottobre 1978, n. 4865, Foro it., Rep. 1978, voce cit., n. 159; 26 novembre 1976, n. 4506, id., Rep. 1976, voce cit., n. 104 e in Giur. agr. it., 1978, 417, con nota di
Morsillo; 7 agosto 1973, n. 2270, Foro it., 1973, I, 3477, con nota di richiami.
Ha motivato la sentenza riportata che l'invito del coltivatore al
proprietario a comparire dinanzi al notaio per la stipula dell'atto
pubblico con contestuale pagamento del prezzo non costituisce un'offer ta seria e concreta della somma dovuta in quanto, con la dichiarazione di accettazione della proposta, il coltivatore si sostituisce al terzo nel
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