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sezione lavoro; sentenza 18 agosto 2003, n. 12074; Pres. Trezza, Est. De Luca, P.M. D'Angelo (concl....

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sezione lavoro; sentenza 18 agosto 2003, n. 12074; Pres. Trezza, Est. De Luca, P.M. D'Angelo (concl. conf.); Faccilongo (Avv. Sbarra) c. Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense (Avv. De Stefano). Cassa Trib. Bari 20 luglio 2000 Source: Il Foro Italiano, Vol. 126, No. 12 (DICEMBRE 2003), pp. 3337/3338-3341/3342 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23199713 . Accessed: 24/06/2014 23:03 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.2.32.106 on Tue, 24 Jun 2014 23:03:04 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione lavoro; sentenza 18 agosto 2003, n. 12074; Pres. Trezza, Est. De Luca, P.M. D'Angelo(concl. conf.); Faccilongo (Avv. Sbarra) c. Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense(Avv. De Stefano). Cassa Trib. Bari 20 luglio 2000Source: Il Foro Italiano, Vol. 126, No. 12 (DICEMBRE 2003), pp. 3337/3338-3341/3342Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23199713 .

Accessed: 24/06/2014 23:03

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

poste (salvo il caso particolare delle eccezioni in senso stretto, che s'intendevano rinunciate se non riproposte). L'opposto

principio, sancito dall'art. 346 del nuovo codice, fu subito inte

so in modo pressoché unanime dai commentatori, ed anche dai

più autorevoli, come un segno del tramonto, o almeno della ri

duzione della portata dell'effetto devolutivo dell'appello, e ciò, sebbene da qualcuno si osservasse con rammarico che il legis latore avrebbe potuto eccettuare dalla regola il caso di contuma

cia dell'appellato, in modo da consentire al giudice di tener

conto delle eccezioni che l'appellato avesse sollevato in primo

grado. Peraltro si osservò che, con la riforma attuata, si sarebbe

ro evitate molte incertezze sperimentate nell'applicazione del

sistema precedente, e sarebbe rimasta chiusa la via a frequenti

possibilità di censura nel giudizio di cassazione per omessa pro nuncia.

Adottando la soluzione restrittiva in ordine alla portata del

l'art. 346 c.p.c., la giurisprudenza di legittimità, pur consape vole del fatto che la disposizione interpretata implicava la nega zione del vecchio effetto devolutivo dell'appello (v. Cass.

1879/65, cit., per cui il c.d. effetto devolutivo dell'appello so

pravviverebbe solo nel caso in cui l'appellato sia rimasto con

tumace; in precedenza, nello stesso senso, Cass. 19 ottobre

1959, n. 2945, id., Rep. 1959, voce Appello civile, nn. 133-135; 17 ottobre 1959, n. 2926, ibid., n. 129; 6 febbraio 1958, n. 348, id., Rep. 1958, voce cit., n. 238; 13 ottobre 1955, n. 3105, id.,

Rep. 1955, voce cit., nn. 273, 274), sembrò far propria la cautela

di una dottrina, minoritaria, ispirata dal timore che il nuovo si

stema potesse pregiudicare la posizione del contumace. Tutta

via, ad un'attenta riconsiderazione del problema risulta evidente

come la soluzione fosse insostenibile in base alle stesse premes se condivise. Fu, infatti, proprio quella dottrina che sosteneva la

limitazione dell'applicazione dell'art. 346 all'appellato costi

tuito — ma sull'opposta premessa che l'art. 346 non avesse in

teso escludere o limitare, in linea di principio, l'effetto devolu

tivo dell'appello neanche nel caso di costituzione dell'appellato — a rilevare l'incoerenza dell'orientamento assunto dalla giuris

prudenza, osservando che, se l'art. 346 non riguarda anche l'i

potesi dell'appellato contumace, ciò significa che, in tale ipote si, l'appello ha effetto devolutivo. Ora, l'avverarsi della devolu

zione automatica è questione che deve essere risolta valutando

gli effetti che scaturiscono dall'instaurazione del giudizio d'ap

pello, e che per ciò stesso deve essere risolta unitariamente,

giacché, al momento dell'instaurazione dell'appello, s'ignora se

l'appellato si costituirà o no. Se poi si ammette che l'art. 346 ha

inteso escludere l'effetto devolutivo dell'appello, e in particola re l'automatica riproposizione delle eccezioni o delle ragioni non accolte, non si comprende perché debba distinguersi a se

conda che l'appellato sia o no contumace, e, in quest'ultimo ca

so, ammettere che il giudice d'appello possa comunque riesa

minare quelle ragioni e quelle eccezioni.

Nelle pronunce più recenti si adduce, a sostegno dell'inter

pretazione tradizionale, una giustificazione diversa: si sostiene

che, limitatamente alla posizione del contumace, con l'impu

gnazione la causa passa alla cognizione del giudice d'appello nella sua interezza, non potendo questa condizione rendere più

gravosa la posizione dello stesso contumace (Cass. 7999/92,

cit.). Neppure tale spiegazione convince, giacché la condizione

del contumace non è deteriore rispetto a quella dell'appellato

costituito, che non richiami le ragioni svolte in primo grado, e

neppure è aggravata dall'interpretazione letterale e rigorosa della norma, ma dalla scelta del legislatore di restringere l'am

bito del giudizio di appello in mancanza di espressa sollecita

zione di parte.

All'origine di questa scelta legislativa vi sono sia una ponde razione degli interessi, potenzialmente conflittuali, dell'econo

mia e celerità del processo da un lato, e della completezza del

riesame della causa nel giudizio di appello dall'altro, e sia l'in

dividuazione del criterio di composizione del conflitto nella po sitiva dimostrazione da parte dell'appellato dell'interesse che

porta alle ragioni già prospettate in primo grado e non accolte.

In tale quadro, l'appesantimento del giudizio di appello con

l'esame di questioni non riproposte, o, a maggior ragione, il

prolungamento del giudizio con un grado di rinvio nel caso di

omessa pronuncia su quelle questioni, appaiono ingiustificati in

assenza di un'espressa manifestazione di interesse della parte

appellata. Il valore di questa scelta non è appannato dal tempo trascorso

Il Foro Italiano — 2003 — Parte I-62.

dall'emanazione del codice di rito. Esso, al contrario, non può che risultare esaltato dall'art. Ili, 2° comma, Cost., nel testo ri

sultante dalle modifiche apportate dall'art. 1 1. cost. 23 novem

bre 1999 n. 2, il quale, premesso che ogni processo si svolge nel

contraddittorio tra le parti in condizioni di parità, stabilisce che

la legge ne assicura la ragionevole durata: il prolungarsi del

giudizio per accertamenti che trascendono gli interessi delle

parti, nella valutazione che esse stesse ne abbiano dato anche

implicitamente, sarebbe, infatti, irragionevole, costringendo

l'appellante, vittorioso sul punto dedotto con il gravame, a ve

dersi dilazionato nel tempo il riconoscimento del suo diritto al

fine di consentire il riesame di ragioni dell'avversario, che lo

stesso interessato abbia trascurato di coltivare. E se la norma

costituzionale configura la ragionevole durata come canone og

gettivo della durata del processo, piuttosto che come garanzia del singolo, ed elegge a suo immediato destinatario il legislato re, ciò non toglie che il giudice debba a sua volta tenerne conto

nell'interpretazione della legge ordinaria, preferendo, nel dub

bio, l'interpretazione adeguatrice a quella che, al contrario, ne

prescinda. In conclusione, si ritiene che la tradizionale interpretazione

restrittiva del principio consacrato dall'art. 346 c.p.c., e trasfuso

poi nell'art. 56 d.leg. 31 dicembre 1992 n. 546, non possa essere

ulteriormente sostenuta, e che quest'ultima norma, in particola re, debba trovare applicazione anche nel caso in cui il contri

buente non si sia costituito nel giudizio di appello. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 18 ago sto 2003, n. 12074; Pres. Trezza, Est. De Luca, P.M. D'An

gelo (conci, conf.); Faccilongo (Avv. Sbarra) c. Cassa na

zionale di previdenza e assistenza forense (Avv. De Stefano). Cassa Trib. Bari 20 luglio 2000.

Avvocato — Previdenza forense — Titolare di pensione di

invalidità — Prosecuzione dell'esercizio dell'attività pro fessionale — Decesso — Pensione indiretta ai superstiti (L. 20 settembre 1980 n. 576, riforma del sistema previdenziale

forense, art. 7; 1. 11 febbraio 1992 n. 141, modifiche ed inte

grazioni alla 1. 20 settembre 1980 n. 576, in materia di previ denza forense e di iscrizione alla cassa nazionale di previden za ed assistenza per gli avvocati e procuratori, art. 3).

Nella previdenza forense, la prosecuzione dell'esercizio della

professione da parte del pensionato di invalidità, e del ver

samento dei contributi, consente ai superstiti la maturazione

del diritto alla pensione indiretta e non della pensione di re

versibilità. (1)

(1) La sentenza del Pretore di Bari 22 gennaio 1997, riformata dal

Tribunale di Bari ma confermata dalla riportata sentenza, leggesi in

Prev. forense, 1997, fase. 3, 67.

Quando muore un avvocato che esercita la professione pur essendo

titolare di pensione di invalidità, la pensione ai superstiti è quella di re

versibilità (essendo il defunto titolare di pensione d'invalidità) oppure

quella indiretta, perché il defunto non aveva maturato il diritto alla pen sione di vecchiaia o di anzianità? La questione risolta dalla Cassazione

nel senso della riportata massima non è di scarso rilievo sull'importo della pensione spettante: il defunto avvocato, titolare di pensione di in

validità, proseguendo l'attività ha maturato un maggior numero di anni

di anzianità contributiva, oltre ad eventuali più elevati redditi profes sionali di quelli considerati per il calcolo della pensione di invalidità.

Con riferimento al regime dell'assicurazione generale obbligatoria, occorre evidenziare che l'assegno ordinario d'invalidità (su cui è stata

«modellata» la pensione d'invalidità erogata dalla cassa forense), disci

plinato dalla 1. n. 222 del 1984, per espressa previsione della legge, non

è reversibile. Sul tema, Querci, L'invalidità pensionabile dei liberi

professionisti, in Riv. it. prev. soc., 1972, 371.

L'ordinamento giuridico presume che a seguito del decesso dell'as

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3339 PARTE PRIMA 3340

Svolgimento del processo. — Con la sentenza ora denunciata,

il Tribunale di Bari — in riforma dell'appellata sentenza del

pretore della stessa sede in data 22 gennaio 1997 — rigettava

sia la domanda principale proposta da Antonietta Faccilongo, contro la Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense (già Cassa nazionale di previdenza ed assistenza a favore degli av

vocati e procuratori), per ottenere la pensione indiretta, in luogo della meno favorevole pensione di reversibilità, a seguito della morte (in data 18 marzo 1992) del coniuge, avv. Francesco Re

sta, iscritto alla cassa — che era titolare di pensione d'invalidità

(dal 1° marzo 1979), ma aveva proseguito l'esercizio della pro fessione per poter maturare il diritto alla pensione di vecchiaia o di anzianità — sia la domanda subordinata — volta ad ottenere

la restituzione dei contributi — essenzialmente in base ai rilievi

rispettivi seguenti: — il diritto alla pensione indiretta spetta ai previsti superstiti

dell'«iscritto defunto senza diritto a pensione» (art. 7, 3° com

ma, 1. 20 settembre 1980 n. 576), mentre, alla data della morte

(18 marzo 1992, appunto), l'avv. Resta era già titolare di pen sione d'invalidità (dal 1° marzo 1979) e, peraltro, essendo nato il 29 luglio 1934 ed essendo iscritto alla cassa dal 1958, non

aveva ancora maturato il requisito anagrafico (sessantacinque anni di età) per la pensione di vecchiaia, né il requisito assicu rativo e contributivo (trentacinque anni di effettiva iscrizione e

contribuzione) per la pensione di anzianità (di cui agli art. 2 e 3,

rispettivamente, della 1. 20 settembre 1980 n. 576, cit.); — la maturazione del diritto alla pensione d'invalidità osta

(ai sensi dell'art. 21 stessa 1. 20 settembre 1980 n. 576) alla re stituzione dei contributi.

Avverso la sentenza d'appello, Antonietta Faccilongo propo ne ricorso per cassazione, affidato a due motivi.

La cassa intimata resiste con controricorso.

Entrambe le parti hanno presentato memoria.

Motivi della decisione. — 1. - Con il primo motivo di ricorso — denunciando (ai sensi dell'art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 7, 3° comma, 1. 20

settembre 1980 n. 576, come sostituito dall'art. 3 1. 11 febbraio 1992 n. 141, anche in relazione agli art. 2, 3, 5, 7, 1° comma, nonché 21 stessa legge)

— Antonietta Faccilongo censura la sentenza impugnata per averle negato la pensione indiretta, in

luogo della meno favorevole pensione di reversibilità, a seguito della morte (in data 18 marzo 1992) del coniuge, avv. Francesco

Resta, iscritto alla cassa — che era titolare di pensione d'invali

sicurato o del pensionato, si verifica una situazione di bisogno per i fa miliari superstiti. Nella previdenza forense la disciplina è dettata dal l'art. 7 1. n. 576 del 1980, che riconosce ai superstiti — iure proprio e non iure hereditatis — di persona già titolare di pensione diretta la

pensione di reversibilità, ed ai superstiti di iscritto, ma non ancora pen sionato al momento del decesso, la pensione indiretta: la pensione può essere, quindi, di reversibilità (decesso del pensionato) o indiretta (de cesso dell'iscritto).

L'art. 7 1. 576/80 (modificato dall'art. 3 1. 141/92) stabilisce che le

pensioni sono reversibili alle condizioni stabilite per gli impiegati dello Stato; la normativa della previdenza forense (ma anche degli altri liberi

professionisti) stabilendo che le pensioni erogate dalla cassa forense sono reversibili ai superstiti, nei casi ed alle condizioni stabilite per gli impiegati dello Stato, opera un semplice rinvio alla normativa dettata per i dipendenti statali con l'art. 81 d.p.r. 1092/73, senza dettare alcuna norma di coordinamento tra la disciplina del trattamento di reversibilità degli impiegati dello Stato e quella della previdenza forense, pur in pre senza di due regimi previdenziali con caratteristiche in parte diverse, che mal sopportano il «travaso» di norme (sul tema, L. Carbone, Tar divo coniugio e pensione ai superstiti nella previdenza forense, in Giust. civ., 1991, I, 1725; Cerreta, Commento alla l. 2 maggio 1983 n. 175, in Nuove leggi civ., 1984, 776). Sul tema occorre, comunque, evi denziare, come la disciplina del trattamento a favore dei superstiti di assicurato o di pensionato, vigente nel regime dell'assicurazione gene rale obbligatoria, è stata estesa dalla 1. 8 agosto 1995 n. 335 (c.d. rifor ma Dini) anche ai regimi previdenziali dei pubblici dipendenti (art. 1, 1° comma, 1. 335/95), con conseguenti riflessi sulla previdenza forense, atteso il collegamento della previdenza dei pubblici dipendenti con la previdenza forense in ordine al regime della pensione ai superstiti (cfr. M. Cinelli, Diritto della previdenza sociale, Torino, 1999, 501).

Sulla limitazione del diritto alla pensione di reversibilità agli iscritti alla cassa ultraquarantenni, Corte cost. 19 novembre 1987, n. 402, Foro it., 1989,1, 586; 1° luglio 1986, n. 169, id., 1986, I, 2097.

In dottrina, L. Carbone, La tutela previdenziale dei liberi professio nisti, Torino, 1998, 292 ss. [L. Carbone]

Il Foro Italiano — 2003.

dità (dal 1° marzo 1979), ma aveva proseguito l'esercizio della

professione per poter maturare il diritto alla pensione di vec chiaia o di anzianità — sebbene inducessero ad opposta conclu sione le circostanze e le considerazioni seguenti:

— il riferimento alle sole pensioni di vecchiaia e di anzianità era evidente (nel testo originario dell'art. 7 1. 576/80) — laddo ve si prevede la spettanza della pensione indiretta dei superstiti dell'iscritto defunto «senza diritto a pensione»

— nonché per il

meccanismo di calcolo delle stesse pensioni indirette (di cui al testo dello stesso art. 7 1. 576/80. come sostituito dall'art. 3 1.

141/92); — «come il godimento della pensione d'invalidità non è in

compatibile con la liquidazione della pensione di anzianità, così la reversibilità di detto trattamento d'invalidità non è incompa tibile con il diritto alla pensione indiretta (in relazione al man cato godimento della pensione di anzianità o di vecchiaia), a meno che non sia così espressamente disposto (...)»;

— identica, poi, è la funzione della pensione di reversibilità e

della pensione indiretta; —

peraltro, le circostanze che l'avvocato Resta non abbia maturato o non abbia esercitato il diritto alla pensione di anzia nità o di vecchiaia non è d'ostacolo alla maturazione ed al l'esercizio — da parte dei superstiti — del diritto alla pensione indiretta, specie ove si consideri che per tale pensione sono pre scritti requisiti meno severi, quali appena «dieci anni di effettiva iscrizione e contribuzione alla cassa»;

— l'equilibrio tra principio mutualistico e principio solidari

stico nella previdenza forense, poi, è affidato all'eccezionalità della destinazione solidaristica dei contributi rispetto alla natu rale incidenza sul trattamento pensionistico ed alla ripetibilità dei contributi medesimi;

— la ricostruzione prospettata dalla sentenza impugnata —

che nega il diritto alla pensione indiretta, per la quale sussistono i requisiti assicurativi e contributivi, soltanto perché l'avvocato defunto era titolare di pensione d'invalidità — non si sottrae,

comunque, ai dubbi di illegittimità costituzionale in relazione ai

principi di solidarietà, uguaglianza — anche sotto il profilo della razionalità — e di tutela contro lo stato di bisogno per la

perdita del reddito professionale (art. 2, 3 e 38 Cost.). Con il secondo motivo — denunciando (ai sensi dell'art. 360,

n. 3, c.p.c.) violazione e falsa applicazione di norme di diritto

(art. 21 1. 20 settembre 1980 n. 576) — la ricorrente censura la sentenza impugnata per averle negato anche la restituzione dei contributi versati dal defunto coniuge dopo il conseguimento della pensione d'invalidità — siccome aveva richiesto in subor dine — e propone questione di legittimità costituzionale della

disposizione in materia (art. 21 1. 20 settembre 1980 n. 576, cit.) — se interpretata nel senso proposto dalla sentenza impugnata —

negli stessi termini e con riferimento agli stessi parametri prospettati nel primo motivo.

Il primo motivo di ricorso è fondato e l'accoglimento, che ne

consegue, assorbe il secondo motivo. 2. - È ben vero, infatti, che — a carico della Cassa nazionale

di previdenza e assistenza forense (già Cassa nazionale di pre videnza ed assistenza a favore degli avvocati e procuratori) —

è prevista (art. 7 1. 20 settembre 1980 n. 576, riforma del si stema previdenziale forense, e successive modifiche), da un lato (1° comma), la reversibilità di tutte le pensioni dirette (nel testo originario della stessa disposizione, tuttavia, la reversi bilità era limitata soltanto alle pensioni di anzianità e di vec

chiaia) — a favore del coniuge superstite e dei figli minorenni ed alle «condizioni stabilite per gli impiegati dello Stato» — e, dall'altro (3° comma), la pensione indiretta — alle medesime condizioni ed a favore degli stessi superstiti dell' «iscritto de funto senza diritto a pensione» —

«sempreché quest'ultimo abbia maturato dieci anni di effettiva iscrizione e contribu zione alla cassa».

Risulta stabilito, così, il criterio distintivo — peraltro di ca

rattere generale (v. l'art. 22 1. 21 luglio 1965 n. 903, che, in te ma di pensione ai superstiti a carico dell'assicurazione generale obbligatoria, parimenti fa riferimento al «caso di morte del pen sionato e dell'assicurato») — tra la pensione di reversibilità e la

pensione indiretta: la prima a favore dei superstiti del pensio nato, la seconda a favore dei superstiti dell'«iscritto defunto senza diritto a pensione» (per un'ipotesi analoga della stessa di

stinzione, v. Cass. 3324/99, Foro it., Rep. 1999, voce Profes sioni intellettuali, n. 257, in tema di previdenza e assistenza per i dottori commercialisti) e subordinata — oltre che alle mede

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

siine condizioni — allo specifico requisito assicurativo e contri

butivo («dieci anni di effettiva iscrizione e contribuzione alla

cassa»), previsto contestualmente.

Coerentemente, se ne può ricavare, bensì, la conclusione che — al superstite del titolare di pensione diretta di un certo tipo (in ipotesi, d'invalidità) — non possa spettare la pensione indi

retta — ma soltanto quella di reversibilità — del medesimo tipo

(in ipotesi, di invalidità, appunto). Non se ne può invece ricavare, tuttavia, la conclusione ulte

riore che — nella medesima ipotesi — al superstite non possa

spettare la pensione indiretta, neanche di tipo diverso.

3. - La prospettata negazione del diritto a pensione indiretta, ancorché di tipo diverso, non è prevista, infatti, neanche impli citamente, dalla legge, che si limita a tracciare —

per quanto si

è detto — il criterio discretivo della pensione di reversibilità

dalla pensione indiretta (nonché a stabilire lo specifico requisito assicurativo e contributivo di quest'ultima pensione).

Inoltre, mal si concilia, da un lato, con il rapporto speculare — che corre tra pensioni dirette e pensioni ai superstiti

— e,

dall'altro, con l'esigenza di garantire la proporzionalità della

pensione ai contributi versati, non essendo questa esclusa —

(anche) nel sistema previdenziale forense — dal principio soli

daristico (v., per tutte, Corte cost. n. 1008 del 1988, id., 1989,1,

2712, nonché nn. 132 e 133 del 1984, id., 1984,1, 1782). Invero, il titolare di pensione diretta d'invalidità — a carico,

appunto, della Cassa nazionale di previdenza e assistenza foren

se — può proseguire l'esercizio della professione, versando alla

cassa i contributi conseguentemente dovuti, e, una volta matu

rato il diritto alla pensione di vecchiaia o di anzianità, richieder

ne la liquidazione in sostituzione di quella d'invalidità (art. 5

stessa 1. n. 576 del 1980, cit.).

Speculare risulta, quindi, il diritto che — in dipendenza della

stessa prosecuzione dell'esercizio della professione, da parte del

pensionato d'invalidità, e del versamento dei contributi conse

guentemente dovuti — i superstiti possono maturare — alla

pensione indiretta, appunto — e richiederne la liquidazione, in

sostituzione della pensione di invalidità, spettante agli stessi su

perstiti a titolo di reversibilità.

Peraltro, diversamente opinando, i contributi -— versati, dal

pensionato d'invalidità alla Cassa nazionale di previdenza e as

sistenza forense, in dipendenza della prosecuzione dell'esercizio

della professione — concorrono, bensì, alla maturazione del di

ritto alle pensioni dirette di vecchiaia e di anzianità — in testa

allo stesso professionista — ma non consentirebbero di perfe

zionare, tuttavia, lo specifico requisito assicurativo e contributi

vo («dieci anni di effettiva iscrizione e contribuzione alla cas

sa») — per l'insorgenza del diritto alla pensione indiretta a fa

vore dei superstiti — sebbene quei contributi siano destinati

(anche) al finanziamento della pensione medesima.

Ne risulterebbe palese il contrasto con il principio di propor zionalità della pensione ai contributi versati — che non è esclu

so, per quanto si è detto, dal principio solidaristico (v. Corte

cost. n. 1008 del 1988, cit.) — con la conseguenza che la solu

zione opposta, condivisa dalla corte, pare l'unica coerente con

la Costituzione e, come tale, sarebbe comunque da preferire,

quantomeno, come interpretazione adeguatrice. La sentenza impugnata si discosta dai principi di diritto enun

ciati — in quanto nega all'attuale ricorrente il diritto alla pen sione indiretta, a carico della Cassa nazionale di previdenza e

assistenza forense, in dipendenza esclusiva della reversibilità

nella pensione d'invalidità (che, peraltro, è stata concessa al de

cuius quando la reversibilità era ancora limitata, sia detto per

inciso, soltanto alle pensioni di anzianità e di vecchiaia) — e

merita, quindi, le censure che le vengono mosse con il primo motivo di ricorso.

L'accoglimento dello stesso motivo, che ne consegue, all'e

videnza assorbe il secondo motivo.

Ne risulta investita, infatti, la statuizione della sentenza im

pugnata, che rigetta la domanda di restituzione dei contributi

(art. 21 stessa 1. n. 576 del 1980, cit.), proposta dall'attuale ri

corrente subordinatamente alla negazione del proprio diritto alla

pensione indiretta.

4. - Pertanto dev'essere accolto il primo motivo di ricorso e

dichiarato assorbito il secondo.

Per l'effetto, la sentenza impugnata va cassata — in relazione

al motivo accolto — con rinvio ad altro giudice d'appello, desi

gnato in dispositivo, perché proceda al riesame della controver

sia, uniformandosi al principio di diritto enunciato.

Il Foro Italiano — 2003.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 8 agosto

2003, n. 11971; Pres. De Musis, Est. Salvato, P.M. Gam

bardella (conci, diff.); Comune di Gaggio Montano (Avv. F.

e G. Gualandi) c. Tovoli. Cassa Giud. pace Porretta Terme

21 maggio 2001.

Circolazione stradale — Sanzione amministrativa — Ver

bale di accertamento — Tutela giurisdizionale —

Pregiu dizialità del ricorso amministrativo — Esclusione (Cost., art. 24; 1. 24 novembre 1981 n. 689, modifiche al sistema pe

nale, art. 22; d.leg. 30 aprile 1992 n. 285, nuovo codice della

strada). Circolazione stradale — Sanzione amministrativa — Conte

stazione immediata — Limiti (L. 24 novembre 1981 n. 689,

art. 14; d.leg. 30 aprile 1992 n. 285, art. 200, 201). Circolazione stradale — Violazioni — Accertamento me

diante autovelox — Modalità di organizzazione del servi

zio di vigilanza — Insindacabilità — Fattispecie (D.leg. 30 aprile 1992 n. 285, art. 200, 201; d.p.r. 16 dicembre 1992 n.

495, regolamento di esecuzione e di attuazione del nuovo co

dice della strada, art. 384).

In tema di sanzioni amministrative pecuniarie per violazioni al

codice della strada il trasgressore, nei confronti del verbale

di accertamento dell'infrazione, può proporre o ricorso am

ministrativo al prefetto, ai sensi dell'art. 203 d.leg. 30 aprile 1992 n. 285 (nuovo codice della strada) oppure ricorso al

giudice di pace, ai sensi dell'art. 22 l. 24 novembre 1981 n.

689. (1) L'art. 14 l. 24 novembre 1981 n. 689, secondo cui l'omissione

della contestazione immediata della violazione amministrati

va non estingue l'obbligazione sanzionatoria se sia stata ef

fettuata tempestivamente la notifica del verbale di accerta

mento, non si applica alle violazioni del codice della strada,

per le quali la contestazione, quando sia materialmente pos sibile. deve sempre essere immediata, ai sensi dell'art. 200

d.leg. 30 aprile 1992 n. 285 (nuovo codice della strada). (2)

L'«impossibilità» della contestazione immediata, ai sensi del

(1) Il principio secondo cui nel termine di sessanta giorni dalla con

testazione o dalla notifica del verbale di accertamento della violazione

al codice della strada il trasgressore può proporre, alternativamente, ri

corso al prefetto o al giudice di pace senza dover, in quest'ultimo caso,

previamente proporre ricorso al prefetto, è ormai consolidato in giuris

prudenza (Cass. 17 aprile 2003, n. 6167, Foro it., 2003, I, 2719, con

nota di richiami). Cfr. ora l'art. 204 bis d.leg. 30 aprile 1992 n. 285

(nuovo codice della strada), introdotto dall'art. 4, comma 1 septies. d.l.

27 giugno 2003 n. 151, convertito, con modifiche, in 1. 1° agosto 2003

n. 214 (Le leggi, 2003, I, 2836), che riconosce espressamente al tra

sgressore, in alternativa alla presentazione del ricorso al prefetto ai sen

si dell'art. 203 cod. strada, la facoltà di impugnare davanti al giudice di

pace il verbale di accertamento notificato o l'atto di contestazione im

mediata della violazione (nel termine di sessanta giorni, rispettivamente dalla notifica del verbale di accertamento e dalla contestazione dell'in

frazione). (2) Secondo la Cassazione gli art. 200 e 201 nuovo cod. strada det

tano una disciplina speciale rispetto a quella generale contenuta nel

l'art. 14 1. 24 novembre 1981 n. 689 in materia di sanzioni amministra

tive; pertanto, se la contestazione immediata delle violazioni del codice

della strada non è stata possibile, è legittima la successiva notifica del

verbale di accertamento dell'infrazione soltanto se nel verbale di ac

certamento notificato vengano puntualmente enunciate le circostanze

che hanno reso impossibile la contestazione immediata (Cass. 20 set

tembre 2002, n. 13774, Foro it., Rep. 2002, voce Circolazione stradale, n. 158; 28 giugno 2002, n. 9502, ibid., n. 157; 15 novembre 2001. n.

14313, ibid., n. 154; 22 agosto 2001, n. 11184, ibid., n. 156; 28 giugno 2001, n. 8869, id., 2002,1, 137, con osservazioni di A. Albè).

La necessità della contestazione immediata delle violazioni del codi

ce della strada è stata, però, notevolmente ridimensionata dalla recente

riforma del codice della strada, operata con il d.l. 27 giugno 2003 n.

151, convertito in 1. 1° agosto 2003 n. 214. L'art. 201, comma 1 bis, nuovo cod. strada, introdotto dall'art. 4, 1° comma, lett. b), d.l. 151/03,

convertito in 1. 1° agosto 2003 n. 214, ha infatti ampliato notevolmente

i casi in cui la contestazione immediata non è necessaria. Si tratta in

fatti di: «a) impossibilità di raggiungere un veicolo lanciato ad eccessi

va velocità; b) attraversamento di un incrocio con semaforo indicante la

luce rossa; c) sorpasso vietato; accertamento della violazione in assenza

del trasgressore e del proprietario del veicolo; d) accertamento della

violazione per mezzo di appositi apparecchi di rilevamento diretta

mente gestiti dagli organi di polizia stradale e nella loro disponibilità

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