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sezione lavoro; sentenza 18 luglio 2001, n. 9722; Pres. Santojanni, Est. Picone, P.M. Buonajuto...

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sezione lavoro; sentenza 18 luglio 2001, n. 9722; Pres. Santojanni, Est. Picone, P.M. Buonajuto (concl. conf.); Filcams-Cgil (Avv. Alleva, Andreoni, Durante) c. Soc. coop. facchini Nigra (Avv. Ferzi). Conferma Trib. Milano 10 ottobre 1998 Source: Il Foro Italiano, Vol. 124, No. 11 (NOVEMBRE 2001), pp. 3093/3094-3097/3098 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23197622 . Accessed: 25/06/2014 04:20 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 188.72.126.47 on Wed, 25 Jun 2014 04:20:06 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione lavoro; sentenza 18 luglio 2001, n. 9722; Pres. Santojanni, Est. Picone, P.M. Buonajuto(concl. conf.); Filcams-Cgil (Avv. Alleva, Andreoni, Durante) c. Soc. coop. facchini Nigra (Avv.Ferzi). Conferma Trib. Milano 10 ottobre 1998Source: Il Foro Italiano, Vol. 124, No. 11 (NOVEMBRE 2001), pp. 3093/3094-3097/3098Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23197622 .

Accessed: 25/06/2014 04:20

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

seguente principio di diritto: «Ai fini della determinazione della

giusta retribuzione ai sensi dell'art. 36 Cost, nei confronti di la

voratore dipendente da datore di lavoro non iscritto ad organiz zazione sindacale firmataria di contratto collettivo nazionale di

lavoro, residente in zona depressa, con potere di acquisto della

moneta accertato come superiore alla media nazionale, il giudi ce del merito può discostarsi dai minimi salariali stabiliti dal

contratto collettivo, non direttamente applicabile al rapporto, ma

assunto con valore parametrico, ad una triplice condizione: che

utilizzi dati statistici ufficiali, o generalmente riconosciuti, sul

potere di acquisto della moneta e non la propria scienza privata; che consideri l'effetto già di per sé riduttivo della retribuzione

contrattuale insito nel principio del minimo costituzionale; che

l'eventuale riduzione operata non leda il calcolo legale della

contingenza stabilita dalla 1. 26 febbraio 1986 n. 38».

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 18 luglio 2001, n. 9722; Pres. Santojanni, Est. Piccine, P.M. Buonaju

to (conci, conf.); Filcams-Cgil (Avv. Alleva, Andreoni,

Durante) c. Soc. coop, facchini Nigra (Avv. Ferzi). Confer ma Trib. Milano 10 ottobre 1998.

Sindacati, libertà e attività sindacale — Condotta antisinda

cale — Cooperativa di lavoro — Esclusione (L. 20 maggio 1970 n. 300, norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavo

ratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luo

ghi di lavoro e norme sul collocamento, art. 28).

La disposizione dell'art. 28 l. n. 300 del 1970, essendo volta

alla repressione di comportamenti antisindacali del datore di

lavoro, è inapplicabile con riguardo ad una cooperativa di

lavoro, allorché la prestazione lavorativa dei soci sia ricon

ducibile al rapporto societario e non già ad un rapporto di

lavoro subordinato. (1)

(1) I. - Con la sentenza in epigrafe, la giurisprudenza di legittimità

riscopre il tradizionale orientamento in materia d'inapplicabilità del

l'art. 28 statuto dei lavoratori ai rapporti fra cooperative di produzione e lavoro e soci lavoratori, consacrato da Cass. 30 agosto 1991, n. 9238, Foro it.. Rep. 1991. voce Sindacati, n. 94. Assai più controversa, sul

punto, è stata la posizione della giurisprudenza di merito, nel corso de

gli ultimi anni. In senso conforme alle due pronunce della Suprema corte, v. Pret. Milano 19 febbraio 1998, id.. Rep. 1998, voce cit., n. 91: 4 luglio 1997, ibid., n. 92; 22 aprile 1997, ibid., n. 93; 1° aprile 1996, id.. Rep. 1997, voce cit., n. 152; contra, Pret. Caltagirone-Mineo 25

marzo 1995. id.. Rep. 1995, voce cit., n. 207; Pret. Milano 3 aprile 1997, id., Rep. 1998, voce cit., nn. 94, 172; Trib. Milano 7 maggio 1999, Guida al law, 1999, fase. 48, 25.

II. - Il dato più significativo della pronuncia è peraltro l'espresso ri

chiamo alla recente 1. 3 aprile 2001 n. 142 (Le leggi, 2001, I, 2020), di

riforma della disciplina del socio lavoratore (ovviamente, a fini di mero

supporto sistematico, posto che la controversia si colloca nella fase an

tecedente l'approvazione di quella normativa). Secondo la corte, nel

nuovo assetto legislativo «risulta nettamente distinto il rapporto sociale

da quello di lavoro (subordinato o autonomo in qualsiasi forma), obbli

gando le società cooperative alla stipulazione di distinti contratti di la

voro (art. 1, 2° comma), con la previsione specifica dell'applicabilità della 1. n. 300 del 1970 nella sua interezza ai soli soci che stipulano un

contratto di lavoro subordinato (art. 2, 1° comma)». In dottrina, numerosi sono i commenti sulla nuova normativa: in

particolare, v. M. De Luca, Il socio lavoratore di cooperativa: la nuova

normativa (1. 3 aprile 2001 n. 142), in Foro it., 2001, V, 233, nonché

A. Andreoni, La riforma della disciplina del socio lavoratore di coope rativa. in Lavoro giur., 2001, 205; G. Furfari, Socio lavoratore: l'in

1l Foro Italiano — 2001

Svolgimento del processo. — Ricorre per due motivi l'asso

ciazione sindacale Filcams-Cgil per la cassazione della sentenza

con la quale il Tribunale di Milano ha rigettato l'appello e con

fermato la sentenza del pretore della stessa sede, che, in sede di

opposizione a decreto emanato ai sensi dell'art. 28 1. n. 300 del

1970 su ricorso dell'associazione sindacale nei confronti della

cooperativa facchini Nigra a responsabilità limitata, aveva revo

cato il decreto.

Il tribunale ha rilevato che il rapporto società cooperativa socio non è di lavoro subordinato, ancorché numerosi istituti di

tutela del lavoro dipendente siano estesi, in forza di specifiche

disposizioni legislative, anche a tale rapporto. Ne ha desunto

che la società cooperativa non può essere equiparata al «datore

di lavoro», contro il quale soltanto è ammissibile la tutela di cui

all'art. 28 1. n. 300 del 1970.

Resiste con controricorso la società cooperativa. La ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell'art. 378

c.p.c. Motivi della decisione. — Con il primo motivo la ricorrente,

denunciando violazione e falsa applicazione del combinato di

sposto degli art. 40 Cost., 2094 c.c., 28 e 35 1. 300/70, contesta

la correttezza della soluzione in diritto data dal tribunale alla

questione. Premette di non ignorare che la giurisprudenza della corte,

esaminando la stessa questione, ha ritenuto che la disposizione dell'art. 28 1. n. 300 del 1970, essendo volta alla repressione di

comportamenti antisindacali del datore di lavoro, è inapplicabile con riguardo ad una cooperativa di lavoro, ancorché all'interno

di questa possano in concreto ravvisarsi situazioni di conflittua

lità, atteso che la prestazione lavorativa dei soci, in quanto inse

rita nell'esercizio in comune dell'attività economica, è ricondu

cibile al rapporto societario e non già ad un rapporto di lavoro

subordinato (Cass. 30 agosto 1991, n. 9238, Foro it., Rep. 1991, voce Sindacati, n. 94). Osserva, tuttavia, che non può essere

condiviso il presupposto della «mancanza di antagonismo degli interessi» e, soprattutto, si è in presenza di un diritto proprio del

sindacato, per il quale la tutela deve essere garantita prescin dendo dalla natura del rapporto tra socio e cooperativa, discen

dendo tale principio direttamente dall'art. 40 Cost. Sarebbe del

tutto incongruo, a giudizio della ricorrente, che il diritto di aste

nersi collettivamente dal lavoro, riconosciuto anche ai lavoratori

autonomi, compresi coloro che sono qualificati imprenditori, nonché al fine di perseguire fini non contrattuali, subisse una

limitazione di tutela solo per i soci di cooperative. D'altra parte, argomenta ancora la ricorrente, non è più pos

sibile continuare a sostenere l'inapplicabilità dell'art. 28 1.

300/70 ai comportamenti antisindacali posti in essere dalle so

cietà cooperative, dopo che le sezioni unite della corte (sentenza n. 10906 del 1998, id., 2000, I, 912) hanno sancito l'assogget tamento delle controversie tra socio e cooperativa al rito del la

voro, sul rilievo che anche quello del socio è «lavoro» ed il di

ritto positivo ha sancito l'estensione ad esso di una serie di isti

tuti tipici del lavoro subordinato.

tervento del legislatore, in Riv. crìtica dir. lav., 2001, 303; M. Miscio

ne, Il socio lavoratore di cooperativa, in Dir. e pratica lav., 2001, in

serto n. 34; F. Rotondi-F. Collia. Soci e cooperative dopo la l. 142/01, ibid., 1619; L. Riciputi. Appunti per un contributo interpretativo sul

nuovo «socio lavoratore», in Lavoro e prev. oggi. 2001. 673. Con spe cifico riferimento alle ricadute della normativa sulla disciplina proces suale e, segnatamente, sull'applicabilità del procedimento ex art. 28

statuto dei lavoratori, v., inoltre. L. de Angelis. Il lavoro nelle coope rative dopo la I. 142/01: riflessioni a caldo su alcuni aspetti proces suali, in Lavoro giur., 2001, 813. Per un'organica ricostruzione del di

battito teorico e giurisprudenziale che fa da sfondo alla riforma, v. G.

Meliadò, Il lavoro nelle cooperative: tempo di svolte, in Riv. it. dir.

lav., 2001,1, 25. Infine, anche per qualche cenno ricostruttivo sui lavori

parlamentari, cfr. N. Crisci, La nuova normativa del socio lavoratore di

cooperativa: profili teorici e soluzioni operative, in Lavoro giur., 2001,

516, con ampia nota bibliografica. 111. - Per un quadro giurisprudenziale in materia di lavoro nelle co

operative, v. G. Ricci, Tendenze giurisprudenziali in materia di lavoro

nelle cooperative: qualificazione del rapporto, competenza giurisdizio nale. trattamento retributivo, diritti sindacali, in Foro it., 2000, I, 913;

Id., Ancora sulla giurisprudenza in materia di lavoro nelle cooperati ve: garanzie dei crediti, licenziamenti e mobilità, tutela previdenziale,

fiscalizzazione degli oneri sociali. Le prospettive «de iure condendo»,

ibid., 1095.

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3095 PARTE PRIMA 3096

Con il secondo motivo, si chiede, in via subordinata, che sia

ritenuta non manifestamente infondata la questione di legitti mità costituzionale dell'art. 28 1. 300/70 per contrasto con l'art.

40 Cost., ove dovesse essere interpretato nel senso che dal cam

po della tutela è escluso il comportamento antisindacale tenuto

dalle società cooperative. La corte, esaminati unitariamente i due motivi, giudica infon

dato il ricorso, confermando l'orientamento già espresso sulla

questione con la sentenza 9238/91, già menzionata.

Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza della corte, allorché l'attività di lavoro svolta dal socio in favore

della società cooperativa consista in prestazioni comprese tra

quelle previste dai patti sociali e dirette al perseguimento dei fi

ni istituzionali dell'ente, non è configurabile un rapporto di la

voro, subordinato o autonomo, costituendo le anzidette presta zioni lavorative, tipiche della qualità di socio, adempimento del

contratto sociale (cfr., ex plurimis, Cass. 12777/99, id., Rep. 1999, voce Lavoro (rapporto), n. 687; 7046/98, id., Rep. 1998, voce cit., n. 773), salva l'ipotesi in cui, in considerazione del

l'effettiva volontà delle parti o delle circostanze in cui il rap

porto si è in concreto sviluppato, sia accertata l'utilizzazione

simulata o fraudolenta dello schema cooperativistico (cfr. Cass.

1917/98, ibid., n. 776). La corte ha anche precisato che, fermo restando il principio

sopra enunciato, non può tuttavia escludersi che le parti, nel

l'esercizio della propria autonomia negoziale, possano stabilire di dare vita a diversi e distinti contratti (sia nel senso di volere

soltanto l'effetto tipico dei singoli negozi posti in essere, sia nel senso di volere anche il coordinamento e il collegamento tra gli stessi per il raggiungimento di un fine ulteriore) ed è pertanto ammissibile la sussistenza (accanto o in collegamento con il

rapporto societario) di un distinto rapporto di lavoro, che impli chi prestazioni inerenti all'oggetto sociale, formante oggetto di una specifica pattuizione, da individuarsi dal giudice di merito investito della questione, il cui accertamento è quindi incensu rabile se correttamente motivato (Cass. 7559/98, ibid., n. 772; 3146/92, id.. Rep. 1992, voce cit., n. 637; 1170/89, id., Rep. 1989, voce cit., n. 606; 992/89, ibid., n. 607). È da sottolineare

come le menzionate decisioni considerino fuori dell'ordinario un'evenienza del genere e frutto, quindi, di «specifica pattuizio ne», di apposita «convenzione», riscontrabile in concreto spe cialmente nel caso che lo statuto stesso contempli la possibilità di costituire con i soci distinti rapporti di lavoro inerenti all'og getto sociale (cfr., in particolare, Cass. 992/89, cit.).

Nel caso di specie, non vengono in rilievo i particolari aspetti da ultimo richiamati: è incontestato che l'associazione sindacale ha agito ex art. 28 1. 300/70 nei confronti della società, conside rata esclusivamente nella veste di parte dei rapporti sociali ed a causa dei comportamenti tenuti nella gestione degli stessi.

Ciò premesso, la ricorrente non può giovarsi del principio di diritto enunciato dalle sezioni unite della corte a composizione del contrasto di giurisprudenza insorto sulla questione della

competenza, secondo cui la controversia fra il socio e la coope rativa di produzione e lavoro, attinente a prestazioni lavorative

comprese fra quelle che il patto sociale pone a carico dei soci

per il conseguimento dei fini istituzionali, rientra nella compe tenza del giudice del lavoro, in quanto il rapporto da cui trae

origine, pur da qualificare come associativo invece che di lavoro

subordinato, è comunque equiparabile ai vari rapporti previsti dall'art. 409 c.p.c. in considerazione della progressiva estensio ne operata dal legislatore di istituti e discipline propri dei lavo ratori subordinati, dovendo alla graduale applicazione al socio

cooperatore della tutela sostanziale propria del lavoratore su bordinato corrispondere un'analoga estensione della tutela pro cessuale (Cass., sez. un., 10906/98).

La prevalente dottrina (richiamata anche dalla citata decisione delle sezioni unite 10906/98) ha rilevato da tempo che l'idea della cooperazione non può essere disgiunta da quella dell'uti lità della prestazione lavorativa, sicché non può essere ignorata la presenza di un tipo, in senso lato, uniforme di attività lavora

tiva, con il necessario riconoscimento in ogni caso di comuni

garanzie e di comuni diritti, tanto più che la tendenza espansiva del diritto del lavoro ha provocato un'applicazione progressiva al lavoro associato di istituti prima caratteristici del lavoro su

bordinato, perché, in definitiva, anche colui che lavora per un

profitto comune, come ogni prestatore di lavoro, è impegnato con la sua stessa persona nell'esecuzione del lavoro.

Il Foro Italiano — 2001.

L'estensione operata dal legislatore ai soci delle cooperative di lavoro di istituti e di discipline propri dei lavoratori subordi

nati è l'effetto delle normative che assimilano il socio coopera tore al lavoratore dipendente: nella materia dell'assicurazione

contro l'invalidità e la vecchiaia (art. 2 r.d. 28 agosto 1924 n.

1422: cfr., in proposito, Cass. 8 febbraio 1992, n. 1409, id., Rep. 1992, voce Previdenza sociale, n. 237) e contro gli infortuni

(art. 4, n. 7, e 9 d.p.r. 30 giugno 1965 n. 1124); del riposo do

menicale e settimanale (art. 2 1. 22 febbraio 1934 n. 370); degli

assegni familiari (art. 1 d.p.r. 30 maggio 1955 n. 797); della tu

tela delle lavoratrici madri (art. 1 1. 30 dicembre 1971 n. 1204). Più di recente, l'art. 8 d.l. 20 maggio 1993 n. 148, convertito in

1. 19 luglio 1993 n. 236, ha disposto l'equiparazione ai lavorato

ri dipendenti dei soci lavoratori in relazione alla procedura del

l'intervento straordinario d'integrazione salariale e a quella di

mobilità, estendendo, quindi, ai soci delle cooperative di lavoro

la disciplina degli art. 1, 4 e 24 1. 23 luglio 1991 n. 223, sui li cenziamenti collettivi. La stessa norma, inoltre, ha disposto l'e

stensione ai soci lavoratori di cooperative di produzione e lavo

ro dei principi di non discriminazione, diretta ed indiretta, di cui

aliai. 10 aprile 1991 n. 125. Da ultimo, successivamente alla decisione della Corte costi

tuzionale 12 febbraio 1996, n. 30 (id.. Rep. 1996, voce Lavoro

(rapporto), n. 1639), che aveva ritenuto infondata la questione di

legittimità dell'art. 2, 1° comma, 1. 29 maggio 1982 n. 297, nel

quale non si prevedeva per i soci l'intervento del fondo di ga ranzia costituito presso l'Istituto nazionale della previdenza so

ciale (Inps) ai fini del trattamento di fine rapporto in caso d'in

solvenza della società datrice di lavoro, l'intervento di detto

fondo è stato esteso ai soci delle cooperative ad opera dell'art.

24 1. 24 giugno 1997 n. 196, ed agli stessi soci sono anche state

estese le norme di cui agli art. 1 e 2 d.leg. 27 gennaio 1992 n.

80, in ordine all'intervento del fondo di garanzia presso l'Inps

per il pagamento dei crediti di lavoro (relativi agli ultimi tre me

si del rapporto) non soddisfatti a causa dell'insolvenza del dato

re di lavoro. Con la stessa norma da ultimo menzionata, infine, è

stata sancita la parificazione dei soci delle cooperative di lavoro

ai lavoratori subordinati anche per quanto riguarda l'assicura

zione obbligatoria contro la disoccupazione involontaria e l'in

dennità di mobilità, equiparando, ai fini degli istituti considera

ti, la perdita dello stato di socio al licenziamento o alle dimis sioni (cfr., per l'affermazione della natura retroattiva dell'art.

24, Cass. 304/00, id., 2000,1, 1094). Inoltre, come si legge nella più volte citata sentenza delle se

zioni unite della corte, le più rappresentative confederazioni sindacali dei lavoratori, nell'anno 1990, hanno sottoscritto un

protocollo di intesa con le maggiori associazioni cooperativisti che, nel quale è stata riconosciuta la necessità di estendere le di

sposizioni aventi per oggetto il trattamento economico, conte nute nei contratti nazionali collettivi di lavoro riferiti a settori

caratterizzati dalla presenza di cooperative di lavoro, ai soci di tali cooperative.

Può quindi, in definitiva, ritenersi compiutamente realizzato il disegno legislativo diretto a comprendere il socio lavoratore in una categoria contigua e interdipendente a quella del lavoro subordinato o parasubordinato.

Ne consegue, come del resto ha già chiarito la giurisprudenza della corte, che i soci lavoratori possono prestare la loro opera sia in situazione del tutto analoga a quella di un lavoratore su bordinato che in condizioni di autonomia (Cass. 13011/99, id.,

Rep. 2000, voce Previdenza sociale, n. 250) e che, nel primo caso, evidentemente non sono gli elementi caratterizzanti la su

bordinazione in senso materiale (obbligo di osservare orari pre determinati; retribuzione fissa; assoggettamento al potere diret tivo e disciplinare dei soggetti preposti all'organizzazione del

lavoro, applicazione di norme collettive, ecc.) che possono in durre a ritenere che sia stato costituito un rapporto di lavoro, da

considerare separato e distinto da quello societario, ancorché a

quest'ultimo collegato (v., in particolare, Cass. 11381/92, id..

Rep. 1993, voce Lavoro (rapporto), n. 594, e 12777/99, cit.). In altri termini, non può essere posto in discussione che il

rapporto sociale resta ad ogni effetto un rapporto diverso da

quello di lavoro, ancorché la regolamentazione sostanziale pos sa addirittura coincidere con quella del lavoro subordinato.

Ma la sostanza della tesi della ricorrente è che, se è stato pos sibile in via interpretativa operare l'inserimento fra le «contro versie di lavoro» (art. 409 c.p.c.) anche delle liti inerenti al rap

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

porto sociale, sarebbe consentito — se non imposto alla stregua di una lettura costituzionalmente orientata — estendere l'art. 28 1. 300/70 alla tutela dell'esercizio della libertà e dell'attività

sindacale, nonché del diritto di sciopero, di organismi sindacali che proteggono gli interessi collettivi dei soci di cooperative di

lavoro.

Senonché, l'ostacolo fondamentale che impedisce tale risul tato ermeneutico — ostacolo inesistente nel caso dell'art. 409

c.p.c. — è che la ratio dello statuto dei lavoratori, il quale di

rettamente si occupa solo dei prestatori d'opera subordinati, non

consente di comprendere fra i destinatari della tutela accordata

dall'art. 28 1. 300/70 anche le associazioni di lavoratori non su

bordinati (cfr. Cass. 19 marzo 1986, n. 1914, id., Rep. 1986, vo

ce Sindacati, n. 65, che tuttavia sembra ammettere l'estensione ai lavoratori che assumono posizione di c.d. «parasubordinazio ne»). Si oppone alla lettura estensiva della norma, nel senso so

stenuto dalla ricorrente, il tratto di specialità che la connota, avuto riguardo, in particolare, alla sanzione penale comminata

per l'inottemperanza all'ordine del giudice.

L'espressione «datore di lavoro», dunque, non si presta ad es sere dilatata fino a comprendere la società cooperativa nei suoi

rapporti con i soci.

Siffatta conclusione, del resto, ha il conforto anche nel nuovo

assetto legislativo della materia cooperativistica, con particolare riferimento alla posizione del socio lavoratore (1. 3 aprile 2001 n. 142), nel quale risulta nettamente distinto il rapporto sociale da quello di lavoro (subordinato o autonomo in qualsiasi forma),

obbligando le società cooperative alla stipulazione di distinti

contratti di lavoro (art. 1, 2° comma), con la previsione specifi ca dell'applicabilità della 1. 300/70 nella sua interezza — fatta

eccezione per l'art. 18 ove la cessazione del rapporto di lavoro

sia conseguenza della cessazione del rapporto sociale — ai soli

soci che stipulano un contratto di lavoro subordinato (art. 2, 1°

comma), mentre, per gli altri, è prevista l'applicazione dei soli

art. I, 8, 14 e 15, e sancendo, infine, la competenza del giudice del lavoro sulle controversie inerenti ai rapporti di lavoro dei

soci (subordinati o autonomi), ma non su quelle inerenti al rap

porto associativo (art. 5, 2° comma).

Neppure — nell'assetto normativo precedente la 1. 142/01,

nel quale la controversia si colloca — l'interpretazione dell'art.

28 1. 300/70 nel senso che fra «i datori di lavoro» non sono

comprese le società cooperative che non intrattengono con i soci

lavoratori rapporti diversi da quelli sociali, può indurre a so

spettare la disposizione legislativa di non conformità alle norme

ed ai principi della Costituzione.

Non bisogna, infatti, dimenticare che l'art. 28 è norma sulla

tutela e non di diritto sostanziale, sicché la sua inapplicabilità non incide sulla garanzia della libertà e attività sindacale, non

ché sul diritto di sciopero, tutela che è sempre possibile realiz

zare con il ricorso agli ordinari strumenti processuali. La diver

sità di trattamento in tema di tutela giurisdizionale delle situa

zioni soggettive delle associazioni sindacali di soci di coopera tive è razionalmente giustificata dalla diversità del rapporto so

ciale rispetto a quello di lavoro, secondo i principi — da inten

dere richiamati nel loro significato complessivo — enunciati

dalla Corte costituzionale per affermare la legittimità dell'esclu sione dalla tutela privilegiata persino di associazioni di lavora

tori subordinati, quali i dipendenti dello Stato nel regime giuri dico vigente prima della 1. n. 146 del 1990 (Corte cost. n. 118

del 1976, id., 1976,1, 1415; n. 68 del 1980, id., 1980,1, 1553; n. 131 del 1981, id., Rep. 1982, voce cit., n. 114).

Il Foro Italiano — 2001

I

CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 26

giugno 2001, n. 8740; Pres. Fiduccia, ist. Segreto, P.M.

Giacalone (conci, conf.); Pagnotta (Avv. Isola) c. Parrocchia

Regina degli apostoli (Avv. Coletti). Conferma App. Roma 3

settembre 1998.

Responsabilità civile — Incapacità di intendere e volere —

Criteri di valutazione (Cod. civ., art. 2047). Responsabilità civile — Fatto dannoso del minore — Re

sponsabilità dei precettori — Presupposti necessari (Cod.

civ., art. 2048). Responsabilità civile — Fatto dannoso dell'incapace — Re

sponsabilità dei sorveglianti — Antigiuridicità oggettiva del fatto —

Presupposto necessario (Cod. civ., art. 2047).

AI fine di accertare se un minore sia incapace di intendere e

volere, il giudice non può limitarsi a tener presente l'età

dello stesso e le modalità del fatto, ma deve anche considera

re lo sviluppo intellettivo del soggetto, quello fisico, l'assenza

{eventuale) di malattie ritardanti, la forza di carattere, la ca

pacità del minore di rendersi conto dell'illiceità della sua

azione, ed infine la capacità di volere con riferimento all'at

titudine ad autodeterminarsi (nella specie, sulla base di tale

principio si è escluso che un dodicenne debba essere conside

rato incapace di intendere e volere). (1) Perché il precettore sia chiamato a rispondere dei danni cau

sati dall'allievo, è necessario non solo che sussista la respon sabilità del minore, autore del fatto, ma anche quella del pre cettore, sia pure nei termini di presunzione di difetto di vigi lanza, con la conseguenza che il giudice deve accertare sia la

sussistenza del fatto illecito del minore, che la mancanza della prova liberatoria da parte del precettore. (2)

(1) Non mancano, soprattutto nella giurisprudenza di merito meno recente, rari casi in cui i minori sotto i quattordici anni sono stati repu tati, ai fini dell'applicazione dell'art. 2047 c.c., incapaci di intendere e

volere, indipendentemente da qualsiasi accertamento di fatto, sulla base di una mera presunzione (così Trib. Reggio Emilia 18 marzo 1982, Fo ro it., Rep. 1983, voce Istruzione pubblica, n. 520, e, per esteso, Riv.

giur. scuola, 1983, 511, con nota di Bondoni). Tale orientamento viene definitivamente sconfessato dalla pronuncia

in epigrafe che, al contrario, chiarisce come anche un dodicenne possa essere in concreto capace di intendere e volere, nel qual caso non trova

più applicazione l'art. 2047, bensì l'art. 2048 c.c. L'approccio più mo derno tende a valorizzare il dato concreto; si supera così il mero fattore

statistico, peraltro destinato a cambiare con il mutare delle generazioni ed il passare degli anni. Oggi non si esita a ritenere che un bambino già attorno ai sei o sette anni di età acquisisca una certa capacità di orien tarsi nel mondo in cui vive e nelle relazioni che instaura, sì che non può più essere generalmente considerato, seppure in via presuntiva, incapa ce di intendere e volere (un discorso analogo non può essere fatto in ambito penale, considerato che l'art. 97 c.p. afferma la non imputabilità di «chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, non aveva compiuto i

quattordici anni»).

Negli Usa, sulla base delle considerazioni qui accennate, ben dieci Stati hanno codificato, in materia di responsabilità civile, la c.d. rule of sevens: principio in virtù del quale i bambini sotto i sette anni sono

sempre considerati incapaci di intendere e volere, mentre quelli più grandi sono, in forza di una presunzione, chiaramente iuris tantum, ri tenuti pienamente capaci. Negli altri Stati, dove manca una regola pre cisa, sono normalmente considerati incapaci soltanto i bambini sotto i

quattro o cinque anni (così F. Di Ciommo, Figli, discepoli e discoli in una giurisprudenza «bacchettona»?, in Danno e resp., 2001, 257, nota 10, il quale rinvia per ulteriori approfondimenti a D.B. Dobbs, The Law

of Torts, St. Paul, Minn., 2000, 293). L'approccio case by case, che la Cassazione suggerisce nella sentenza in epigrafe, ricorda il modus ope randi della giurisprudenza nordamericana, che valuta la condotta del

minore non già soltanto in relazione a ciò che avrebbe fatto un suo

coetaneo, bensì a quello che ci si sarebbe potuti aspettare da un indivi

duo con la sua stessa età, esperienza, intelligenza e che si trovasse nelle sue stesse circostanze. La giurisprudenza italiana, tuttavia, ha anche so

stenuto che non è necessario svolgere di volta in volta un accertamento

concreto della capacità di intendere e volere del minore, in quanto il

giudice può fondare tale giudizio anche su presunzioni concernenti

l'età o gli studi condotti (così Cass. 30 gennaio 1985, n. 565, Foro it.,

Rep. 1985, voce Responsabilità civile, n. 105). (2) L'affermazione della Suprema corte — a tenore della quale, per

ché sia applicabile l'art. 2048 c.c., è necessario accertare tanto l'illi ceità del fatto del minore, quanto la mancanza di una prova che consenta.

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