sezione lavoro; sentenza 18 marzo 1987, n. 2754; Pres. Della Terza, Est. Alicata, P. M. DeMartini (concl. conf.); Piazzi (Avv. Rosati) c. I.n.a.i.l. (Avv. Mancini, Lamanna, Sgherri).Conferma Trib. Cuneo 30 novembre 1984Source: Il Foro Italiano, Vol. 110, No. 11 (NOVEMBRE 1987), pp. 3079/3080-3081/3082Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23179122 .
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3079 PARTE PRIMA 3080
nistrativo e, quindi, un vizio sostanziale e radicale dell'atto di
accertamento dal quale discende la nullità assoluta di tali atti rile
vabile anche d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento tri
butario avente per oggetto tali atti e, quindi, anche innanzi al
giudice alle commissioni tributarie ovvero innanzi alla giurisdi zione ordinaria adita dopo la pronuncia di tali organi (Cass. 1980
n. 4277 ed altre). La predetta nullità non è suscettibile di sanatoria né per volon
tà del privato, né per la adesione ad essa prestata, in forma espli cita o eventualmente implicita (come nella specie sostiene il
ricorrente), dall'amministrazione finanziaria.
Nessun rilievo assumono nella materia in esame, il principio della presunzione di legittimità degli atti amministrativi ed il cri
terio della prevenzione che attengono ad altri settori del diritto,
perché la questione è regolata da norme espresse, sia nel vigore della normativa ora abrogata, che regolava gli accertamenti in
esame (art. 9, 33 e 35 t.u. 29 gennaio 1958 n. 645) sia nel vigore delle norme successivamente emanate ed oggi in vigore (d.p.r. 29 settembre 1973 n. 600, art. 12).
Con il secondo motivo, l'amministrazione ricorrente denuncia
insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia
(art. 360, n. 5, c.p.c.) costituito dall'accertamento se per i tre
anni in contestazione gli imponibili determinati dall'ufficio delle
imposte incompetente per territorio, erano stati definiti, con la
conseguente iscrizione a ruolo delle imposte, con l'adesione del
contribuente, ovvero mediante il condono. Tale accertamento è
stato omesso perché dichiarato irrilevante.
Anche questa censura deve essere accolta. La questione, inve
ro, lungi dall'essere irrilevante, è invece decisiva perché il potere di integrazione e di modificazione degli accertamenti, previsto dal
l'art. 35 del predetto t.u. delle imposte dirette può essere esercita
to, nell'ipotesi di accertamento, anche se divenuto definitivo per adesione del contribuente (Cass. 1980 n. 5645, id., Rep. 1980, voce Tributi in genere, n. 561) ovvero per mancata impugnazio
ne; al contrario, l'esercizio di tale potere è precluso quando la
definizione sia stata effettuata a norma del d.l. 5 novembre 1973
n. 660, il cui art. 11 stabilisce che le definizioni intervenute non
possono essere modificate se non per errore materiale o per viola
zione delle norme del decreto stesso.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 18 marzo
1987, n. 2754; Pres. Della Terza, Est. Alicata, P. M. De
Martini (conci, conf.); Piazzi (Avv. Rosati) c. I.n.a.i.l. (Avv.
Mancini, Lamanna, Sgherri). Conferma Trib. Cuneo 30 no
vembre 1984.
Infortuni sul lavoro e malattie professionali — Prestazioni previ denziali erogate dall'I.n.a.i.l. — Divieto di interposizione —
Violazione — Obblighi assicurativi dell'interponente — Azione
surrogatoria — Inammissibilità — Azione di regresso — Pro
ponibilità — Fattispecie (Cod. civ., art. 1916; 1. 23 ottobre 1960
n. 1369, divieto di intermediazione e interposizione nelle pre stazioni di lavoro e nuova disciplina dell'impiego di manodo
pera negli appalti di opere e servizi, art. 1; d.p.r. 30 giugno 1965 n. 1124, t.u. delle disposizioni per l'assicurazione obbliga toria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, art. 9, 10, 11).
L'imprenditore interponente che abbia effettivamente utilizzato le prestazioni dei lavoratori occupati in violazione del divieto
di interposizione non può sottrarsi ad alcuno degli obblighi che
incombono sul datore di lavoro, derivandone che, in caso di
infortunio sul lavoro occorso ad un dipendente, l'I.n.a.i.l. può esercitare nei suoi confronti l'azione di regresso e non quella
surrogatoria (nella specie, l'interponente — assumendo di esse re terzo rispetto al rapporto di lavoro — riteneva di poter op porre all'ente previdenziale l'eccezione di adempimento, avendo
risarcito gli eredi del lavoratore anteriormente alla richiesta
dell'ente). (1)
(1) La peculiarità della decisione consiste nell'esame dei riflessi che la violazione del divieto di interposizione della manodopera, di cui alla 1. n. 1369 del 1960, può avere sulla titolarità degli obblighi previdenziali.
Il Foro Italiano — 1987.
Svolgimento del processo. — L'I.n.a.i.l., con ricorso del 19
gennaio 1983, chiedeva al Pretore di Cuneo la condanna di Lo
renzo Conti e Costantino Piazzi, in solido, a rimborsargli la som
ma di lire 82.887.843, con gli interessi compensativi, per prestazioni assicurative di legge erogate ai superstiti di Ettore Varo, operaio
carpentiere deceduto a seguito di infortunio sul lavoro occorsogli
Nella fattispecie si ribadisce che gli art. 1, 5° comma, 1. n. 1369 del
1960 e 9, 4° comma, t.u. n. 1124 del 1965 conducono concordemente ad individuare il titolare di siffatti obblighi in «colui che effettivamente utilizza» le prestazioni lavorative (il principio, nel caso, viene analizzato
soltanto sotto la particolare ottica dell'estensione degli oneri assicurativi e delle eventuali azioni esperibili dall'I.n.a.i.l.).
Tuttavia, nonostante il rilievo della questione, si rinviene solo un lon
tano precedente in termini: Trib. Genova 16 dicembre 1970, Foro it.,
Rep. 1971, voce Infortuni sul lavoro, n. 86, e in Riv. infortuni, 1971, II, 75. In dottrina, puntuale in argomento, v. Alibrandi, Infortuni sul lavoro
e malattie professionali, Milano, 1985, 375, che criticamente sottolinea come la previsione generale dell'ultimo comma dell'art. 1 1. n. 1369 del
1960 non avrebbe avuto bisogno di una ulteriore identica statuizione nel
l'art. 9, 4° comma, della legge infortuni.
Coerentemente con l'affermazione degli obblighi assicurativi in capo all'interponente si rinviene la conclusione che nei confronti di quet'ulti mo è esclusivamente esperibile l'azione di regresso ex art. 10 e 11 t.u.
n. 1124/65 e non l'azione surrogatoria ex art. 1916 c.c. Ciò in conseguen za del principio più volte affermato dalla Corte di cassazione per cui l'azione dell'I.n.a.i.l. diretta al rimborso delle prestazioni è regolata ri
spettivamente dall'art. 11 d.p.r. 30 giugno 1965 n. 1124 oppure dall'art. 1916 c.c.: a seconda che si diriga contro il datore di lavoro, partecipe al rapporto assicurativo, ovvero sia rivolta contro il terzo responsabile, estraneo a detto rapporto.
Sull'argomento la giurisprudenza è costante: v. Cass. 28 novembre 1986, n. 7033, Foro it., Rep. 1986, voce cit., n. 272; 3 settembre 1986, n. 5385, ibid., n. 245; 28 gennaio 1984, n. 693, id., Rep. 1984, voce cit., n. 250; 29 giugno 1982, n. 3916, id., Rep. 1982, voce cit., n. 465; 28 giugno 1978, n. 3211, id., Rep. 1981, voce cit., n. 282; 23 giugno 1980, n. 3942, id., Rep. 1980, voce cit., n. 326; 6 aprile 1978, n. 1575, ibid., n. 328; 7 aprile 1979, n. 2003, id., Rep. 1979, voce cit., n. 323; Pret. Genova 8 aprile 1978, ibid., n. 331 (e in Giur. merito, 1979, 19, con nota di
Martellino); Cass. 24 agosto 1978, n. 3953, Foro it., Rep. 1978, voce
cit., n. 403; 21 febbraio 1978, n. 847, e n. 846, ibid., nn. 405, 406; 30 novembre 1977, n. 5222, id., Rep. 1977, voce cit., n. 362; 24 novembre
1977, n. 5116, ibid., n. 563; 21 luglio 1977, n. 3263, ibid., n. 364; 13
giugno 1975, n. 2398, id., Rep. 1976, voce cit., n. 198; Trib. Arezzo 16 aprile 1975, ibid., n. 200; Cass. 17 maggio 1975, n. 1949, id., 1976, I, 130; Trib. Venezia 27 gennaio 1976, id., Rep. 1976, voce cit., n. 203; Cass. 6 febbraio 1974, n. 324, id., Rep. 1974, voce cit., n. 185; 22 aprile 1972, n. 1279, ibid., n. 188; 29 agosto 1973, n. 2390, id., Rep. 1973, voce cit., n. 138; Trib. Napoli 13 marzo 1972, ibid., n. 140; Cass. 30 ottobre 1971, n. 3093, id., 1972, I, 1673, con nota di richiami.
In dottrina sulla differenza tra l'azione di regresso ex art. 10 e 11 d.p.r. n. 1124/65 e quella surrogatoria ex art. 1916 c.c., v. Quaglia, Surroga e regresso dell'I.n.a.i.l. - Natura, in Dir. e pratica assic., 1979, 511 e
Ungaro, Sulla differenza fra il regresso ex art. 11 t.u. infortuni sul lavo ro e la surroga di cui all'art. 1916 c.c. e conseguenti effetti. Una contro versia che può dirsi risolta, in Riv. infortuni, 1975, II, 139. In generale sull'azione di regresso, cfr., da ultimo, Persiani, Rischio professionale e regresso dell'I.n.a.i.l., in Mass. giur. lav., 1986, 571.
Per quanto riguarda il divieto di interposizione della manodopera, l'in
terpretazione dell'art. 1, ultimo comma, 1. n. 1369/60 appare pacifica nel senso che al datore di lavoro «fittizio» si sostituisce «l'imprenditore reale» (per tale intendendosi colui che effettivamente abbia utilizzato la
prestazione lavorativa), con ciò configurandosi, secondo una parte della
giurisprudenza, un caso di novazione ex lege del rapporto (in tal senso, di recente, v. Cass. 19 giugno 1985, n. 3686, Foro it., Rep. 1986, voce Lavoro (rapporto), n. 444).
Con riferimento al particolare profilo della presunzione assoluta di fro de in ordine alla pratica imprenditoriale di utilizzare le prestazioni di lavoro mediante intermediari nella veste di datori di lavoro apparenti, v. Cass. 28 ottobre 1985, n. 5301, id., 1987, I, 897.
A conferma del principio per cui scopo della 1. n. 1369 del 1960 è
quello di evitare fraudolente utilizzazioni della propria opera, attuate me diante la dissociazione fra chi appare quale datore di lavoro e chi lo è effettivamente, la Suprema corte ha affermato che all'intermediario non
compete azione per far valere l'illegittimità dell'accordo interpositorio. In termini, cfr. Cass. 18 ottobre 1983, n. 6093, id., 1984, I, 1025, con nota di richiami e osservazioni di O. Mazzotta. Più di recente, nel senso che sussisterebbe, rispetto all'adempimento degli obblighi previdenziali, la responsabilità solidale di interposto e interponente, v. Cass. 30 marzo
1987, n. 3066, in questo fascicolo, I, 3074, con nota richiami. In dottrina, per un esame globale dell'appalto di manodopera, v. Maz
zotta, Rapporti interpositori e contratto di lavoro, Milano, 1979.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
il 7 gennaio 1976, del quale il Tribunale di Mondovì con sentenza del 18 gennaio 1979, divenuta irrevocabile il 23 maggio 1980, aveva
ritenuto responsabili il Piazzi e il Conti, condannandoli per omi
cidio colposo. Si costituiva il solo Piazzi che rilevava che l'operaio deceduto
era dipendente del Conti, verso il quale soltanto l'I.n.a.i.l. pote va agire in via di regresso, ex art. 10, 11 t.u. 1124/65 mentre
nei suoi confronti l'azione andava ritenuta surrogatoria ex art.
1916 c.c., con la conseguenza che poteva opporre all'I.n.a.i.l.
l'exceptio de soluto dato che aveva integralmente risarcito il dan
no anteriormente a qualsiasi comunicazione dell'ente.
In via pregiudiziale chiedeva la declaratoria di incompetenza del giudice del lavoro adito e, in subordine, l'assoluzione da ogni domanda.
Il pretore adito con sentenza dell'11 giugno 1983, condannava
il Conti, contumace, e il Piazzi, in solido al pagamento della som
ma di lire 62.887.843, oltre alle spese processuali e il Tribunale
di Cuneo, in sede di gravame proposto dal solo Piazzi contro
l'I.n.a.i.l., che proponeva appello incidentale, per interessi e mi
glioramenti della rendita, con sentenza del 6-30 novembre 1984,
rigettava l'appello principale e, accogliendo la domanda proposta con quello incidentale, pur dicendolo inammissibile, condannava
il Piazzi al pagamento della somma di lire 117.595.022 con gli interessi sui miglioramenti qualificando di regresso l'azione eser
citata dall'I.n.a.i.l. contro di lui, e ritenendo ininfluente l'inam
missibilità dell'appello incidentale dedotta da quest'ultimo. Avverso la sentenza del tribunale Costantino Piazzi propone
ricorso davanti a questa corte, affidato a due mezzi di annulla
mento. Resiste l'I.n.a.i.l. con controricorso illustrato con memoria.
Motivi della decisione. — (Omissis). Passando all'esame dei
motivi del ricorso, con il primo si denunzia violazione e falsa
applicazione degli art. 1 1. 23 ottobre 1960 n. 1369, 9, 10 e 11
d.p.r. 30 giugno 1965 n. 1124, 1916 c.c. Deduce, il ricorrente,
dopo aver premesso la sentenza del Tribunale di Mondovì del
18 gennaio 1979, divenuta definitiva il 23 maggio 1980 (che gli aveva attribuito, come colpevole di violazione del divieto di inter
posizione e intermediazione nelle prestazioni di lavoro di cui agli art. 1 e 2 1. 23 ottobre 1960 n. 1369, la qualifica di effettivo
datore di lavoro dell'operaio infortunato Ettore Vero) e il testo
dell'art. 1, 5° comma, 1. 23 ottobre 1960 n. 1369 e dell'art. 9,
penultimo comma, t.u. n. 1124/65, che l'espressione «a tutti gli effetti» e «a tutti gli effetti del presente decreto», contenuta ri
spettivamente nel testo delle norme anzidette, che delimita l'am
bito entro il quale i lavoratori occupati in violazione del divieto
sono considerati alle dipendenze del datore di lavoro che abbia
effettivamente utilizzato le loro prestazioni, non consente di rite
nere sulla base della fictio iuris voluta dalla legge, anche la sua
legittimazione passiva, in ordine alla azione di regresso di cui
all'art. 11 del t.u.
Infatti, egli, restando terzo rispetto al rapporto assicurativo, instaurato dal Conti, poteva essere convenuto solo con l'azione
surrogatoria di cui all'art. 1916 c.c., con riguardo alla quale, po teva eccepire il risarcimento del danno anteriore alla comunica
zione dell'ente.
Il motivo non risulta fondato. Il testo delle norme in questio ne, non contestata la violazione del divieto di intermediazione,
non consente la lettura riduttiva che ne suggerisce il ricorrente
il quale pretende di limitare gli «effetti» previsti agganciandoli allo scopo di assicurare al lavoratore i trattamenti praticati da
chi ne utilizza l'opera e la copertura assicurativa a carico di que st'ultimo che resterebbe (non si capisce come) estraneo al rappor to assicurativo, e come tale non legittimato passivamente in via
di regresso ex art. 11 t.u.
Invero basta osservare come dalla espressione più generica «a
tutti gli effetti» contenuta nell'art. 1, 5° comma, 1. n. 1369/60,
nella quale, pur tuttavia si può far rientrare l'intera gamma degli
obblighi del «datore di lavoro», ivi compresi quelli previsti dal t.u. n. 1124/65, si passa a quella più specifica del 4° comma,
dell'art. 9 di questo: «a tutti gli effetti del presente decreto»,
la quale risulta inequivocabile, inserita com'è in un testo che usa
quasi le stesse parole con le quali si esprime la prima. E il decreto in questione disciplina l'assicurazione contro gli
infortuni sul lavoro e le malattie professionali e nell'ambito di
essa contempla gli obblighi del datore di lavoro, che sono, in
virtù delle norme anzidette, anche di quello che utilizza effettiva
mente le prestazioni dei prestatori occupati in violazione dei di
vieti di cui alla 1. n. 1369/60 da datori di lavoro di cui allo stesso
art. 9.
Il Foro Italiano — 1987.
E tra gli obblighi del «datore di lavoro» ci sono quelli di assi
curazione, di denuncia, di pagamento dei premi e di rimborso
delle prestazioni effettuate dall'I.n.a.i.l. agli infortunati, nei casi
previsti, tra i quali, in mancanza di espresse previsioni (che con la disposizione specifica dell'art. 9 sono allo stato di segno con
trario) non è consentito fare discriminazione nei confronti di chi
risulta datore di lavoro per aver violato il divieto di intermedia
zione di manodopera. A fronte di tali obblighi, poi, lo stesso decreto prevede le azio
ni esperibili ed in particolare, per il rimborso delle prestazioni,
prevede quella di regresso di cui all'art. 11 (nei confronti del da
tore di lavoro) che è quella, secondo la corretta qualificazione datale dai giudici di merito (pretore e tribunale) esercitata dal
l'I.n.a.i.l. contro il Piazzi e che resta nella area della competenza del giudice del lavoro. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 9 marzo
1987, n. 2452; Pres. Mollica, Est. Onnis, P. M. Iannelli
(conci, diff.); Union des assurances de Paris (Avv. Marino,
Pugliese) c. Narica (Aw. Ventura, Paolillo). Conferma Trib.
Genova 12 ottobre 1982.
Lavoro (rapporto) — Malattia — Lavoratore uscito di casa senza
necessità — Mancato pregiudizio dell'adempimento della futu
ra prestazione lavorativa — Sanzione disciplinare — Illegittimi tà — Fattispecie (Cod. civ., art. 1175, 1176, 1375, 2104, 2105).
L'inosservanza delta precauzione di non uscire di casa durante
la malattia, in difetto di certificazione medica circa la compati bilità dell'uscita con l'infermità, può assumere rilievo discipli nare per il lavoratore assente dal servizio solo quando abbia
determinato un aggravamento dello stato di malattia o ritarda
to la guarigione impedendo la pronta ripresa dei lavoro, o quan do sia colpita da autonoma sanzione prevista dalla legge o dalla
contrattazione collettiva. (1)
(1) I quotidiani del 17 e 18 marzo 1987 hanno dato risalto ingiustificato a questa sentenza che si allinea ad un consolidato orientamento della
giurisprudenza di legittimità, dal quale si distingue solo perché nella parte motiva si fa riferimento ai principi di buona fede e correttezza e non invece a quello di diligenza: cfr. appunto in senso conforme Cass. 1°
agosto 1986, n. 4957, Foro it., Rep. 1986, voce Lavoro (rapporto), n.
1778, in cui è però posto a carico del lavoratore l'onere di provare la
compatibilità di altra attività svolta dal lavoratore assente dal servizio
per malattia appunto con l'infermità da cui è affetto e la sua inidoneità a pregiudicare il recupero delle normali energie lavorative; 8 ottobre 1985, n. 4866, ibid., n. 2145; 14 giugno 1985, n. 3578, ibid., n. 1780; 24 mag
gio 1985, n. 3155, id., Rep. 1985, voce cit., n. 1721; 17 aprile 1985 n.
2559, ibid., n. 1722; e altre Cass. 11 febbraio 1985, n. 1158, id., 1985, I, 1710, con nota di M. Prestipino (e anche in Mass. giur. lav., 1985, 41, con nota di G. Ardau, Eccessi gurisprudenziali di «favor»: la pretesa esistenza di «malattie» che consentirebbero l'attività lavorativa a favore di terzi), ha ritenuto illegittimo il licenziamento di dipendente malato sor
preso a prestare altra attività lavorativa, ove non risulti provato che que st'ultima sia incompatibile con il suo stato di salute.
Cass. 12 aprile 1985, n. 2434, Foro it., Rep. 1985, voce cit., n. 2049, e in Giust. civ., 1985, I, 1913, con nota di G. Pera e in Mass. giur. lav., 1985, 410, con nota di G. Ardau, pur aderendo all'indirizzo per il quale non può essere svolta dal lavoratore ammalato un'altra attività
che ne comprometta la guarigione, ha ritenuto illegittimo il licenziamento di un dipendente che affetto da un'infermità oculare, svolgeva l'attività
di istruttore di judo, sul rilievo del particolare interesse posto dal lavora
tore da sempre «nella pratica e nell'insegnamento di tale disciplina sporti va e, quindi, in considerazione del suo stato soggettivo di non porre in
essere né una violazione dei suoi doveri di fedeltà, né un'attività che po tesse aggravare le proprie minorate condizioni visive». Per l'affermazione
che lo svolgimento di un lavoro più faticoso e usurante e comunque con
trario ad un corretto adeguarsi alle prescrizioni mediche, integra un com
portamento scorretto e sleale costituente giusta causa di licenziamento
in tronco, cfr. Cass. 29 luglio, 1986, n. 4868, Foro it., Rep. 1986, voce
cit., n. 2144, e in Riv. it. dir. lav., 1987, I, 127, con nota di G. Trioni, Due fattispecie extratestuali di infedeltà: la denigrazione e la «frode in
malattia». Va comunque segnalato, che, come risulta dalla massima, l'afferma
zione di principio contenuta in sentenza circa la inesistenza di un divieto
in sé del lavoratore assente dal servizio per malattia di svolgere altra atti
vità è derogata nell'ipotesi in cui esista una previsione legale o contrat
tuale in tal senso. [L. de Angelis]
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