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sezione lavoro; sentenza 18 marzo 1996, n. 2268; Pres. Micali, Est. Roselli, P.M. Chirico (concl....

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sezione lavoro; sentenza 18 marzo 1996, n. 2268; Pres. Micali, Est. Roselli, P.M. Chirico (concl. conf.); Mazzacco (Avv. Sartor) c. Soc. Noncello ristorazione (Avv. Vagnoni, Morassutti). Conferma Trib. Pordenone 30 settembre 1992 Source: Il Foro Italiano, Vol. 119, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 1996), pp. 2435/2436-2439/2440 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23190084 . Accessed: 28/06/2014 10:16 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.31.195.53 on Sat, 28 Jun 2014 10:16:46 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione lavoro; sentenza 18 marzo 1996, n. 2268; Pres. Micali, Est. Roselli, P.M. Chirico (concl.conf.); Mazzacco (Avv. Sartor) c. Soc. Noncello ristorazione (Avv. Vagnoni, Morassutti).Conferma Trib. Pordenone 30 settembre 1992Source: Il Foro Italiano, Vol. 119, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 1996), pp. 2435/2436-2439/2440Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23190084 .

Accessed: 28/06/2014 10:16

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2435 PARTE PRIMA 2436

nella violazione delle norme sull'interpretazione dei contratti (la

parte ricorrente, del resto, ha omesso del tutto di indicare le

regole ermeneutiche che sarebbero state disattese): con una mo

tivazione sufficiente, perché non ha omesso di prendere in con

siderazione circostanze rilevanti per la decisione, e logica, per ché ha desunto la natura retributiva dell'indennità dalla circo

stanza della previsione distinta del rimborso spese «assegnato dalla società ai propri dipendenti».

La motivazione operata dal Tribunale di Busto Arsizio è da

considerarsi del tutto corretta altresì nel punto in cui, una volta

accertata l'illegittimità del licenziamento, contrariamente all'o

pinione della società ricorrente, ha mantenuto, in favore degli attuali ricorrenti, la detta indennità.

Secondo la ricorrente — come precisato — essendo l'attività

aziendale in Libia cessata, «la prosecuzione anche soltanto giu ridica dei rapporti di lavoro de quibus non poteva logicamente

concepirsi che in Italia».

Risulta, tuttavia, dagli atti di causa e dalla sentenza impu

gnata, che il pretore dichiarò l'illegittimità del licenziamento in

timato ai lavoratori (attuali controricorrenti) in data 9 giugno

1987, avendo accertato, conformemente a consolidato insegna mento della giurisprudenza di questa corte, che la società Au

gusta, datrice di lavoro (la quale aveva posto a base della «giu stificatezza» del recesso, appunto, la cessazione dell'attività in

Libia), non aveva dimostrato l'impossibilità di un'altra utilizza

zione dei lavoratori licenziati (v. Cass. 10 marzo 1992, n. 2881,

id., Rep. 1992, voce cit., n. 1672; 19 giugno 1993, n. 6814,

id., Rep. 1994, voce cit., n. 1579; 3 giugno 1994 n. 5401, ibid., n. 1378).

Conseguentemente, incombeva all'azienda l'onere di provare che i dipendenti licenziati avrebbero potuto (e dovuto) essere

reimpiegati esclusivamente in Italia, e non anche all'estero, e

che le condizioni di tale reimpiego sarebbero state necessaria

mente diverse da quelle precedentemente attuate. Ciò al fine

di evitare che l'incidenza e le conseguenze della declaratoria di

illegittimità del licenziamento potessero (e possano) essere vani

ficate da semplici presunzioni, dedotte dalla società ricorrente.

La quale, però, non avendo fornito — durante la fase di merito — la prova che avrebbe potuto utilizzare gli — attuali — con

troricorrenti esclusivamente in Italia, irritualmente censura, sot

to il profilo del riconoscimento dell'indennità estero agli stessi

controricorrenti, la sentenza impugnata. In conclusione, quindi, il ricorso deve essere rigettato.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 18 marzo

1996, n. 2268; Pres. Micali, Est. Roselli, P.M. Chirico

(conci, conf.); Mazzacco (Avv. Sartor) c. Soc. Noncello ri

storazione (Aw. Vagnoni, Morassutti). Conferma Trib. Por

denone 30 settembre 1992.

Lavoro (rapporto di) — Licenziamento — Disciplina garantisti ca — Dimensioni dell'impresa — Onere della prova (Cod.

civ., art. 2697; cod. proc. civ., art. 416, 437; 1. 20 maggio 1970 n. 300, norme sulla tutela della libertà e dignità dei la

voratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luo

ghi di lavoro e norme sul collocamento, art. 18, 35). Lavoro (rapporto di) — Licenziamento — Disciplina garantisti

ca — Dimensioni dell'impresa — Lavoratori a tempo parziale — Computabilità — Criteri (L. 15 luglio 1966 n. 604, norme sui licenziamenti individuali, art. 11; 1. 20 maggio 1970 n. 300, art. 18, 35; 1. 18 dicembre 1984 n. 863, misure urgenti a sostegno e ad incremento dei livelli occupazionali, art. 5).

Lavoro (rapporto di) — Recesso «ad nutum» — Contratto a

tempo determinato — Illegittimità del termine — Effetti (Cod.

civ., art. 2118; 1. 18 aprile 1962 n. 230, disciplina del contrat

to di lavoro a tempo determinato, art. 1).

Il requisito delle dimensioni dell'impresa, con riguardo al nu

mero dei dipendenti occupati, ai fini dell'applicabilità della

Il Foro Italiano — 1996.

disciplina limitativa dei licenziamenti individuali, si configura come fatto costitutivo dell'azione che deve essere provato daI

lavoratore licenziato, con la conseguenza che la mancanza di

tale requisito può essere rilevata dal giudice d'ufficio e la re

lativa contestazione da parte del datore di lavoro, integra una

mera difesa non soggetta alle preclusioni stabilite dagli art.

416 e 437 c.p.c. (fattispecie anteriore alla I. 11 maggio 1990

n. 108). (1) È correttamente motivata la sentenza del giudice di merito che

ai fini dell'accertamento del requisito dimensionale dell'im

presa abbia computato i lavoratori assunti a tempo parziale

per la quota di orario effettivamente svolto (fattispecie ante

riore alla l. 11 maggio 1990 n. 108). (2)

(1) La pronuncia conferma l'orientamento della Suprema corte in base

al quale spetta al lavoratore illegittimamente licenziato che chieda l'ap plicazione della disciplina reale, fornire la prova della consistenza nu merica del personale impiegato nell'impresa. In tal senso, v. Cass. 13 febbraio 1993, n. 1815, Foro it., Rep. 1993, voce Lavoro (rapporto), n. 1377; 5 febbraio 1993, n. 1429, ibid., n. 1356; 21 ottobre 1992, n.

11487, ibid., n. 1357; 3 luglio 1991, n. 7286, id., Rep. 1992, voce cit., n. 1550; 10 gennaio 1989, n. 41, id., Rep. 1989, voce cit., n. 1702; 6 luglio 1988, n. 4445, id., Rep. 1988, voce cit., n. 1933; sez. un. 4 marzo 1988, n. 2249, id., 1989, I, 840, con nota di Massetani, Note in tema di impugnazione del licenziamento.

Più limitatamente, nel senso che il requisito della dimensione dell'im

presa è rilevabile d'ufficio dal giudice con la conseguenza che la dedu zione del datore di lavoro, configurandosi come eccezione in senso lato o come mera difesa, non soggiace alle preclusioni stabilite dagli art. 416 e 437 c.p.c. per le eccezioni in senso proprio, ma senza pronunciar si sulla sua natura di fatto costitutivo del diritto alla reintegrazione, cfr. Cass. 16 settembre 1982, n. 4889, id., 1983, I, 389, con nota di richiami.

Nel senso che la prova del requisito dimensionale possa essere desun ta dal giudice dal comportamento processuale del datore di lavoro che non muova contestazioni al riguardo, cfr. Cass. 5 febbraio 1993, n.

1429, cit., e 16 aprile 1991, n. 4048, id., Rep. 1991, voce cit., n. 1455, e, nella giurisprudenza di merito, Pret. Roma 20 novembre 1989, id., Rep. 1990, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 192, secondo cui il datore di lavoro non può, all'ultima udienza istruttoria ed esauri ta la prova testimoniale, rendere controverso il dato del requisito nume

rico, pacifico nell'intera istruttoria. Per fattispecie successive alla entrata in vigore della 1. 11 maggio

1990 n. 108, cfr. Cass. 18 aprile 1995, n. 4337, id., Mass., 538 (con la precisazione altresì che il datore di lavoro rimane onerato della prova dell'esistenza di una delle fattispecie eccezionali, previste dall'art. 4 1. 11 maggio 1990 n. 108 nel cui ambito è ammesso il recesso ad nutum), e nello stesso senso, nella giurisprudenza di merito, Pret. Vallo della Lucania 17 giugno 1992, id., Rep. 1993, voce Lavoro (rapporto), n. 1359. Contra, Pret. Campobasso 25 gennaio 1993, ibid., n. 1358, e Giust. civ., 1993, I, 2269, con nota di Sordi, L'onere della prova dei

requisiti dimensionali dell'impresa dopo la l. n. 108 del 1990. In dottrina, per il dibattito insorto sulla incidenza della nuova nor

mativa circa la ripartizione dell'onere della prova, v. Vallebona, L'o nere della prova del numero dei dipendenti per l'applicazione della tute la reale contro il licenziamento, in Dir. lav., 1994, I, 49.

(2) Non constano precedenti in termini nella giurisprudenza della Su

prema corte. Anteriormente alla entrata in vigore della 1. 11 maggio 1990 n. 108,

che ha espressamente posto all'art. 1 il principio della computabilità dei lavoratori part-time limitatamente alla quota oraria, le poche deci sioni della giurisprudenza di merito avevano risolto la questione nel senso della rilevabilità del dipendente come unità: in tal senso, cfr. Pret. Parma 15 ottobre 1989, Foro it., Rep. 1990, voce Lavoro (rapporto), n. 1642, e Riv. giur. lav., 1990, II, 176, con nota di Colacurto, Sulla

computabilità di alcune categorie di lavoratori ai fini della applicabilità della disciplina legislativa vincolistica; Trib. Milano 30 marzo 1981, Fo ro it., Rep. 1981, voce cit., n. 1477; Pret. Milano 28 gennaio 1982, id., Rep. 1982, voce cit., n. 307.

Nel senso della computabilità dei lavoratori con contratto a termine

stagionale ai fini dell'applicazione del regime di stabilità reale, nel nu mero dei dipendenti, qualora il loro inserimento sia indispensabile per la realizzazione del ciclo produttivo, v. Pret. Ravenna 12 gennaio 1991, id., 1992, I, 981, con nota di richiami.

Per la non computabilità dei dipendenti assunti con contratto di for mazione e lavoro, cfr. Trib. Milano 18 aprile 1989, id., Rep. 1989, voce cit., n. 1711; Trib. Como 27 maggio 1988, ibid., n. 1712; Pret. Milano 8 gennaio 1990, id., Rep. 1990, voce cit., n. 1641; Pret. Roma 15 dicembre 1988, id., Rep. 1989, voce cit., n. 1714; Pret. Milano 11

maggio 1988, id., Rep. 1988, voce cit., n. 1976; Pret. Erba 24 dicembre

1987, ibid., n. 1977; Pret. Brescia 14 gennaio 1987, id., Rep. 1987, voce cit., n. 708; contra, Pret. Milano 4 agosto 1986, ibid., n. 2286.

Più in generale, per il principio, richiamato in motivazione, secondo cui il numero dei lavoratori va accertato con riguardo al criterio della

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Nell'area della recedibilità ad nutum, la dichiarazione di recesso

del datore di lavoro alla scadenza del termine apposto al con

tratto esplica l'effetto risolutivo del rapporto anche se si sia

verificata la trasformazione del contratto a termine in con

tratto a tempo indeterminato per effetto della inefficacia del

la clausola stessa (fattispecie anteriore alla l. 11 maggio 1990

n. 108). (3)

Svolgimento del processo. — Con ricorso 20 aprile 1990 al

Pretore di Pordenone, Paola Mazzacco esponeva di aver lavo

rato alle dipendenze della s.r.l. Noncello ristorazione con un

contratto a tempo determinato, che sarebbe dovuto scadere il

28 febbraio 1990. Decorso tale termine, ella aveva nondimeno

continuato a prestare la propria opera, fino a che, il 28 marzo

successivo, la datrice di lavoro aveva manifestato la volontà

di por fine al rapporto, giovandosi della detta scadenza. La

ricorrente sosteneva essersi trattato, in realtà, di contratto a tem

po indeterminato, sia per difetto dei requisiti sostanziali che, ai sensi dell'art. 1 1. 18 aprile 1962 n. 230, permettono la con

clusione di un contratto a tempo, sia perché il rapporto era

continuato oltre la scadenza (art. 2, 2° comma, prima parte, 1. cit.), sia, ancora, perché era stata riassunta entro quindici

giorni dalla detta scadenza (art. 2, 2° comma, seconda parte, 1. cit.), sia infine, perché l'originaria conclusione del contratto

era avvenuta senza la forma scritta richiesta dall'art. 1, 2° com

ma, 1. cit.

Pertanto, l'atto documentato nella lettera del 28 marzo sopra detta doveva considerarsi come un licenziamento, illegittimo per ché privo di giusta causa e di giustificato motivo. Di consegue

za, la ricorrente chiedeva che la datrice di lavoro fosse condan

nata alla reintegra nel posto di lavoro ed al risarcimento del

danno ex art. 18 1. 20 maggio 1970 n. 300.

Costituitasi la convenuta, il pretore accoglieva la domanda, ma la decisione veniva riformata con sentenza 30 settembre 1992

dal tribunale, il quale osservava che al rapporto in questione non potevano applicarsi né le norme della 1. 15 luglio 1966 n.

604 in quanto la datrice di lavoro occupava meno di trentacin

que dipendenti (art. 11), né l'art. 18 1. n. 300 del 1970 poiché nella sede di servizio erano occupati meno di quindici dipenden ti (art. 35, 1° comma, 1. ult. cit.). Infatti, dei sedici lavoratori

complessivi dodici erano a tempo parziale ed equivalevano, di

videndo la somma delle ore settimanali da loro svolte per qua ranta (orario settimanale di un lavoratore a tempo pieno), a

nove a tempo pieno: in tutto tredici lavoratori a tempo pieno. Il rapporto in questione rientrava perciò nella cosiddetta area

della recedibilità ad nutum, ossia poteva essere liberamente sciol

to, dando tempestivo preavviso, ai sensi dell'art. 2118 c.c. Né

ad esso poteva appicarsi la 1. 11 maggio 1990 n. 108, sopravve nuta dopo il suo scioglimento. Ne conseguiva la non fondatezza

delle pretese di reintegra e di risarcimento del danno, giacché alla lavoratrice sarebbe potuta spettare solo l'indennità di man

cato preavviso ex art. 2118 cit., peraltro non chiesta.

Contro questa sentenza ricorre in via principale per cassazio

ne la Mazzacco. Resiste con controricorso la s.r.l. Noncello ri

storazione, che propone anche ricorso incidentale.

Motivi della decisione. — I due ricorsi, principale e inciden

tale, vanno riuniti ai sensi dell'art. 335 c.p.c. Col primo motivo la ricorrente principale lamenta la violazio

ne degli art. 18 e 35 1. 20 maggio 1970 n. 300 nonché contrad

dittoria motivazione, osservando che le dimensioni dell'impresa datrice di lavoro, a suo dire di sedici dipendenti e perciò tali

da permettere al giudice l'emissione dell'ordine di reintegra ex

normale occupazione, valutata con riferimento al periodo antecedente

al licenziamento cfr. Cass. 27 marzo 1996, n. 2756, che precede, con

nota di richiami.

(3) Non constano precedenti in termini.

Circa la tematica richiamata in motivazione relativa alla distinzione

tra azione del prestatore di lavoro diretta a far accertare l'illegittimità del licenziamento e azione di nullità della clausola di apposizione del

termine, v. Cass. 17 dicembre 1994, n. 10829, Foro it., Rep. 1994, voce

Lavoro (rapporto), n. 543; 3 settembre 1993, n. 9280, ibid., n. 544, e Giusi, civ., 1994, I, 1005, con nota di Angelini, Comunicazione di

scadenza del termine illegittimo e licenziamento individuale o collettivo

per cessazione dell'attività stagionale (con riferimento alla l. n. 223 del

1991)', 25 gennaio 1993, n. 824, Foro it., Rep. 1993, voce cit., n. 544; 22 febbraio 1992, n. 2193, id., 1992, I, 2368, con nota di richiami.

li Foro Italiano — 1996.

art. 18 cit., non erano state negate dalla lavoratrice nel giudizio di primo grado e perciò non potevano essere prese in considera

zione dal giudice di secondo grado.

Inoltre, aggiunge la ricorrente, nel numero dei lavoratori di

pendenti avrebbero dovuto essere incluse tanto colei che veniva

sostituita per maternità quanto la sostituta.

Nessuna delle due censure, di diritto processuale e di diritto

sostanziale, contenute nel motivo è fondata.

L'art. 18 cit. stabilisce, per quanto qui interessa: «. . . il giu

dice, con la sentenza con cui . . . annulla il licenziamento inti

mato senza giusta causa o giustificato motivo . . . ordina al da

tore di lavoro di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro»

(1° comma). «Il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno

subito per il licenziamento di cui sia stata accertata l'inefficacia

o l'invalidità a norma del comma precedente» (2° comma). Ed il successivo art. 35: «Per le imprese industriali e commer

ciali, le disposizioni dell'art. 18 ... si applicano a ciascuna se

de, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo che occupa

più di quindici dipendenti» (1° comma). «Le norme suddette

si applicano altresì alle imprese industriali o commericiali che

nell'ambito dello stesso comune occupano più di quindici di

pendenti» (2° comma). La 1. 15 luglio 1966 n. 604, il cui art. 1 vieta il licenziamento

non sorretto da giusta causa o da giustificato motivo, dispone nell'art. 11: «Le disposizioni della presente legge non si applica no ai datori di lavoro che occupano fino a trentacinque di

pendenti . . .».

Pacifica è la non applicabilità al caso di specie delle modifi che apportate in materia dalla 1. 11 maggio 1990 n. 108, entrata

in vigore dopo che si erano verificati i fatti di cui alla presente controversia.

Quanto alla tempestività processuale della deduzione con cui

il datore di lavoro, convenuto in giudizio avente ad oggetto l'il

legittimità del licenziamento ed i conseguenti provvedimenti giu

diziali, nega la sussistenza del cosiddetto «requisito dimensiona

le» dell'impresa, ossia del numero minimo di dipendenti di cui

alle norme sopra riportate, viene in considerazione l'art. 416,

3° comma, c.p.c., secondo cui nella memoria di costituzione

«il convenuto deve prendere posizione in maniera precisa e non

limitata ad una generica contestazione, circa i fatti affermati

dall'attore a fondamento della domanda, proporre tutte le sue

difese in fatto e in diritto ed indicare specificamente, a pena di decadenza, i mezzi di prova dei quali intende avvalersi ed

in particolare i documenti che deve contestualmente deposita re». Questa disposizione viene costantemente interpretata nel

senso che l'onere di tempestiva, ossia immediata, difesa e prova non riguarda i fatti costitutivi del diritto soggettivo affermato

dall'attore, dei quali spetta a quest'ultimo fornire la prova ai

sensi dell'art. 2697 c.c. La negazione di questi fatti da parte del convenuto costituisce «mera difesa» e non è soggetta a limi

ti temporali, in quanto il loro difetto è rilevabile d'ufficio (Cass. 13 dicembre 1986, n. 7476, Foro it., Rep. 1986, voce Lavoro

e previdenza (controversie), n. 221; 18 luglio 1987, n. 6339, id.,

Rep. 1987, voce cit., n. 165; 10 novembre 1990, n. 10849, id.,

Rep. 1990, voce cit., n. 172), anche in appello (Cass. 3 luglio

1987, n. 5829, id., Rep. 1987, voce cit., n. 508).

Orbene, il requisito delle dimensioni dell'impresa, con riguar do al numero dei dipendenti occupati, ai fini dell'applicabilità della disciplina limitativa dei licenziamenti individuali, è in ogni caso verificabile dal giudice d'ufficio, in relazione alla situazio

ne sostanziale dedotta in giudizio, e si configura come fatto

costitutivo, inerente alle condizioni dell'azione esperita dal la

voratore licenziato, che dev'essere provato da quest'ultimo, con

la conseguenza che la deduzione della mancanza di tale requisi

to, effettuata dal datore di lavoro, integra una mera difesa,

non soggetta alle preclusioni stabilite dagli art. 416 e 437 c.p.c.

(Cass. 6 luglio 1988, n. 4445, id., Rep. 1988, voce Lavoro (rap

porto), n. 1933). È pertanto priva di fondamento la censura di decadenza dal

potere, spettante al convenuto, di dedurre l'insufficienza del nu

mero dei dipendenti ad ottenere la dichiarazione di illegittimità del recesso dal rapporto di lavoro ed i provvedimenti conseguenti.

Quanto alla censura di diritto sostanziale, vale a dire di man

cata inclusione, nel calcolo, di entrambe le lavoratrici, sostituita

e sostituta, essa è inammissibile giacché i giudici di merito han

no per l'appunto proceduto a tale inclusione.

Col secondo motivo la ricorrente lamenta ancora la violazio

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2439 PARTE PRIMA 2440

ne dell'art. 35 1. n. 300 del 1970 e 1, 2° comma, 1. n. 108 del

1990, osservando che il tribunale avrebbe dovuto calcolare il

numero dei dipendenti senza distinguere fra quelli a tempo pie no e quelli a tempo parziale, ossia senza dividere la somma

delle ore settimanali svolte da questi ultimi per quaranta (orario settimanale di un lavoratore a tempo pieno), così riducendo il

numero delle persone occupate onde pervenire ad un fittizio

risultato di soli lavoratori occupati con orario completo. La ri

corrente aggiunge che questo fittizio risultato è ammesso dal

l'art. 1 1. n. 108 del 1990, che però non è applicabile ratione

temporis al caso di specie.

Neppure questo motivo è fondato. Il cosiddetto «requisito dimensionale» dell'impresa, di cui sopra s'è detto, è in astratto

determinabile secondo diversi criteri: ad es., il capitale impiega

to, o il fatturato, o il numero dei dipendenti. Quest'ultimo è

il criterio adoperato dal legislatore del 1966 e del 1970, il quale 10 enunciò senza considerare inconvenienti che sarebbero emersi

solo in sede applicativa e che si resero evidenti nel caso di im

prese occupanti lavoratori occasionali e saltuari, o nel caso di

rapporti di lavoro sospesi, o, ancora e come nel caso di specie, di lavoratori assunti a tempo parziale: equiparare il numero dei

lavoratori a tempo pieno e occupati costantemente a quello de

gli occupati saltuariamente o parzialmente avrebbe comportato

disparità di trattamento irragionevoli, ossia contrarie all'art. 3

Cost.; di qui la necessità di interpretare gli art. 11 1. n. 604

del 1966 e 35 1. n. 300 del 1970 secundum constìtutionem. E

così questa corte ha affermato che, qualora il numero dei di

pendenti sia suscettibile di variazioni legate all'andamento del

l'attività aziendale, si deve fare riferimento alla consistenza me

dia del personale in un certo periodo (Cass. 30 dicembre 1974, n. 4394, id., Rep. 1975, voce cit., n. 784; 3 novembre 1989, n. 4579, id., 1989, I, 3420); né si può tener conto dei lavoratori

assunti per contingenti necessità stagionali e in genere delle per sone che prestano la loro attività solo saltuariamente oppure occasionalmente (Cass. 20 ottobre 1983, n. 6165, id., 1984, I,

139), mentre vanno calcolati gli assenti temporaneamente, come

le lavoratrici gestanti (Cass. 9 settembre 1982, n. 4864, id., Rep.

1982, voce cit., n. 2074). Da tutto ciò consegue che il sopravvenuto art. 1, 2° comma,

1. n. 108 del 1990 — secondo cui «Ai fini del computo del nu

mero dei prestatori di lavoro ... si tiene conto dei lavoratori

assunti con contratto a tempo indeterminato parziale, per la

quota di orario effettivamente svolto, tenendo conto, a tale pro

posito, che il computo delle unità lavorative fa riferimento al

l'orario previsto dalla contrattazione collettiva del settore», e

che non si applica al caso di specie — non innova rispetto alla

normativa precedente, ma apporta una precisazione e così col

ma una lacuna attenendosi ad una linea interpretativa già espressa da giurisprudenza e dottrina. Non è pertanto affetta dal denun

ziato errore di diritto la sentenza di merito che, pur non appli cando direttamente la disposizione da ultimo citata, ha inteso

quelle precedenti attenendosi al medesimo criterio.

Col terzo motivo la ricorrente sostiene essere stato violato

l'art. 1418 c.c. ed essere incorso il tribunale nel difetto di moti

vazione per non avere rilevato che, nel caso di specie, non di

licenziamento illegittimo si trattava, bensì della dichiarazione,

espressa dalla datrice di lavoro, di volersi avvalere della scaden

za di un termine apposto per contratto al rapporto di lavoro; dichiarazione nulla, in difetto dei requisiti dettati dall'art. 1 1.

18 aprile 1962 n. 230 per la conclusione di contratti a tempo determinato. A giudizio della ricorrente, detta nullità avrebbe

dovuto indurre il collegio d'appello a considerare tutt'ora effi

cace il rapporto di lavoro e perciò a condannare la datrice a

pagare le retribuzioni non ancora corrisposte. La doglianza è priva di fondamento. La giurisprudenza di

questa corte è solita distinguere fra azione del prestatore di la

voro diretta a far accertare l'illegittimità del licenziamento e

ad ottenere la tutela ripristinatoria o risarcitoria, dall'azione di

nullità dell'apposizione di un termine di durata al rapporto di

lavoro, e quindi di nullità della dichiarazione del datore di vo

lersi avvalere del termine, stante la diversità dei motivi posti a base delle rispettive manifestazioni della volontà negoziale re

se dal datore di lavoro, oltreché degli effetti a cui le due azioni

giudiziarie tendono (Cass. 6 luglio 1991, n. 7471, id., Rep. 1991, voce cit., n. 518; 25 gennaio 1993, n. 824, id., Rep. 1993, voce

cit., n. 544). La diversità dei motivi, e quindi delle azioni, perde però rilevanza quando il datore operi — come è nel caso di

11 Foro Italiano — 1996.

specie, per le ragioni illustrate a proposito dei primi due motivi

di ricorso — nel cosiddetto regime di recedibilità ad nutum,

giacché qui la volontà di porre fine al rapporto è efficace co

munque, ossia a prescindere dai motivi, onde non importa la

sussistenza o meno dei motivi addotti (senza necessità) dal da

tore, sia che si tratti di licenziamento in senso proprio, sia che

venga in considerazione un termine finale, asseritamente nullo, del rapporto di lavoro.

In conclusione, si deve affermare che la trasformazione di

un contratto di lavoro a termine, privo dei requisiti di cui al

l'art. 1, 2° comma, 1. n. 230 del 1962, in contratto a tempo indeterminato (art. 1, 1° comma) nell'impresa con meno di se

dici dipendenti (in regime anteriore alla 1. n. 108 del 1990), non esplica alcun effetto sul potere del datore di recedere ad nutum

(art. 11 e 1 1. n. 604 del 1966), onde la dichiarazione di recesso

motivata con la scadenza del termine esplica, stante l'irrilevan

za dei motivi, l'effetto risolutivo del rapporto nonostante la detta

inefficacia del termine stesso, ed il lavoratore stesso ha diritto

solo al preavviso, o alla relativa indennità sostitutiva, ai sensi

dell'art. 2118, 2° comma, c.c.

Indennità sostitutiva che, come risulta dalla sentenza qui im

pugnata, la lavoratrice non si curò di chiedere.

Al rigetto del ricorso principale consegue l'assorbimento di

quello incidentale, concernente la validità dell'apposizione del

termine al rapporto di lavoro e della proroga di esso, e la con

seguente efficacia della dichiarazione di volersi avvalere del ter

mine stesso, e concernente altresì l'ammontare dei danni lamen

tati dalla lavoratrice. In questi punti la datrice di lavoro è risul

tata vincitrice in grado d'appello, onde il suo ricorso per cassazione deve intendersi condizionato all'accoglimento di quello

principale.

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 11 mar

zo 1996, n. 1952; Pres. V. Sgroi, Est. Sommella, P.M. Chi

rico (conf. conf.); Banco di Napoli (Avv. Valiani) c. Maglie

(Avv. Manca, Nisi), Fall. coop. Utas. Conferma Trìb. Lec

ce, ord. 7 dicembre 1990.

Esecuzione forzata per obbligazioni pecuniarie — Commissio

nario giudiziale per la vendita forzata — Compenso — Liqui dazione — Opposizione — Procedura prevista per i compensi

agli ausiliari del giudice — Inapplicabilità (Cod. proc. civ., art. 532; 1. 8 luglio 1980 n. 319, compensi spettanti ai periti, ai consulenti tecnici, interpreti e traduttori per le operazioni

eseguite a richiesta dell'autorità giudiziaria, art. 11).

Alla liquidazione del compenso del commissionario giudiziale per la vendita forzata nell'ambito di processo esecutivo non

sì applicano le disposizioni della I. n. 319 del 1980 per la

liquidazione dei compensi a periti, consulenti tecnici e altri

ausiliari del giudice, con la conseguenza che correttamente

è stato dichiarato inammissibile il ricorso in opposizione ex

art. 11 l. cit. avverso il provvedimento di liquidazione pro nunciato dal giudice dell'esecuzione, essendo viceversa all'uo

po esperibili i rimedi previsti dalla legge processuale avverso

i provvedimenti monitori. (1)

(1) Con la pronuncia in epigrafe, le sezioni unite risolvono il contra sto verificatosi tra le sezioni semplici circa l'ambito di applicazione del le disposizioni della 1. n. 319 del 1980, che detta norme in materia di

compensi spettanti ai periti, ai consulenti tecnici, interpreti e traduttori

per le operazioni eseguite a richiesta dell'autorità giudiziaria. Sul carattere di specialità della normativa de qua (che regola insieme

l'aspetto sostanziale della misura dei compensi e quello procedimentale della competenza e dei rimedi esperibili), insuscettibile pertanto di esten sione al di fuori dei casi in essa previsti, v. Cass. 23 marzo 1989, n.

1471, Foro it., 1990, I, 2752, con richiami e nota di I. Pagni, La liqui

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