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sezione lavoro; sentenza 18 novembre 2004, n. 21862; Pres. Sciarelli, Est. D'Agostino, P.M.Finocchi Ghersi (concl. conf.); Inps (Avv. Marchini, De Angelis, Valente) c. Novelli (Avv.Crescimbeni). Conferma Trib. Terni 27 marzo 2001Source: Il Foro Italiano, Vol. 128, No. 12 (DICEMBRE 2005), pp. 3413/3414-3417/3418Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23201482 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
categorie di lavoratori espressamente designate dal legislatore da bensì luogo a differenze di trattamento, lamentate dalla dot
trina sul piano della politica legislativa, senza tuttavia che ciò
autorizzi estensioni in sede interpretativa, neppure per colmare
pretese lacune normative a scopo di adeguamento agli art. 3 e
38 Cost.
Più volte la Corte costituzionale ha negato il contrasto fra
queste disposizioni costituzionali ed il «sistema previdenziale italiano, caratterizzato da una struttura pluralistica e frammen
tata» (sent. n. 267 del 2004, id., Rep. 2004, voce Pensione, n.
84) in relazione alle diverse situazioni economiche delle singole gestioni, ai rischi coperti e ad eventuali interventi dello Stato
(sent. n. 99 del 1990, id., 1990, I, 1773; n. 402 del 1991, id., 1991,1, 3285; n. 61 del 1999, id., 1999,1, 1097).
Da tutto ciò consegue che la previsione legislativa dell'inter
vento di integrazione salariale per una certa categoria non com
porta la successiva spettanza dell'indennità di mobilità automa
ticamente ossia in difetto di espressa estensione.
Tanto più questa massima è valida quando si consideri la già ricordata non unità dell'istituto della cassa integrazione guada
gni, vale a dire la diversa caratterizzazione in relazione alle di
verse categorie di lavoratori.
Come s'è detto, l'art. 2 1. n. 675 del 1977 prevedeva l'ammis
sione delle imprese industriali al trattamento di integrazione salariale secondo una valutazione discrezionale del Cipi, riferito allo stato di crisi occupazionale o a specifici casi di crisi azien dale di particolare rilevanza sociale. Il trattamento venne esteso
ai giornalisti dalla 1. n. 416 del 1981, che affidò la detta valuta zione discrezionale al ministro del lavoro, ed ai dipendenti delle
imprese radiotelevisive private dall'art. 7, 4° comma, d.l. n. 148
del 1993. Esso si differenzia dal trattamento generale previsto della 1. n.
223 del 1991, concesso dal ministro sulla base dello stato di cri
si della singola impresa, occupante almeno quindici dipendenti. Che poi il trattamento dei giornalisti sia sopravvissuto a
quello della 1. n. 223 del 1991 e non sia stato da questa assorbito
è detto espressamente nell'art. 7, 3° comma, d.l. n. 148 del
1993. Questa varietà di configurazione dell'istituto della cassa inte
grazione guadagni esclude ulteriormente la fondatezza di ogni
pretesa di pari trattamento delle diverse categorie di lavoratori
in materia di spettanza dell'indennità di mobilità, che voglia ba sarsi solo sulla pregressa fruizione della cassa integrazione: di
versi i presupposti di questo trattamento, diversi i successivi
sviluppi, senza alcun contrasto con gli art. 3 e 38 Cost.
L'espressa estensione dell'indennità ai giornalisti (non ai di pendenti delle radiotelevisioni private) da parte del citato art. 16, 3° comma, 1. n. 223 del 1991 conferma il principio secondo cui, in questa materia, ubi lex voluit, dixit e non significa, come
vorrebbe Cass. n. 12507 del 2003, che la previsione abbia un mero scopo esemplificativo; al contrario, essa è di stretta inter
pretazione. Idem per il personale autoferrotramviario e per i di
pendenti dei trasporti pubblici, licenziati per fallimento, concor dato preventivo, amministrazione controllata o liquidazione (art.
6, commi 4 bis e ter, 1. n. 236 del 1993). Nel caso di specie, in conclusione, l'estensione dell'indennità
di mobilità ai dipendenti delle imprese radiotelevisive private non ha alcuna base, né normativa né sistematica.
Non contrasta con la soluzione qui seguita Cass. 21 ottobre
2000, n. 13931 (id., Rep. 2000, voce Previdenza sociale, n.
466), che ha riconosciuto l'indennità di mobilità ai dipendenti di imprese commerciali, ma solo poiché costoro sono stati espres samente inseriti nel sistema della 1. n. 223 del 1991 dall'art. 7, 7° comma, d.l. n. 148 del 1993.
6. - All'accoglimento del primo motivo di ricorso consegue
l'assorbimento del secondo, dichiaratemente subordinato al ri
getto del primo, nonché la cassazione della sentenza impugnata. Poiché non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto la
domanda a suo tempo proposta dagli attuali intimati può essere
rigettata ai sensi dell'art. 384, 1° comma, c.p.c.
Il Foro Italiano — 2005.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 18 no vembre 2004, n. 21862; Pres. Sciarelli, Est. D'Agostino, P.M. Finocchi Ghersi (conci, conf.); Inps (Avv. Marchini, De Angeus, Valente) c. Novelli (Avv. Crescimbeni). Conferma Trib. Terni 27 marzo 2001.
Previdenza e assistenza sociale — Esposizione ultradecen
nale all'amianto — Rivalutazione dei perìodi assicurativi — Dimostrazione dei superamento dei valori di rischio (Cost., art. 3; d.leg. 15 agosto 1991 n. 277, attuazione delle
direttive 80/I107/Cee, 82/605/Cee, 83/477/Cee, 86/188/Cee e 88/642/Cee, in materia di protezione dei lavoratori contro i ri schi derivanti da esposizione ad agenti chimici, fisici e biolo gici durante il lavoro, a norma dell'art. 7 1. 30 luglio 1990 n. 212, art. 24, 31; 1. 27 marzo 1992 n. 257, norme relative alla
cessazione dell'impiego dell'amianto, art. 13; d.I. 5 giugno 1993 n. 169, disposizioni urgenti per i lavoratori del settore dell'amianto, art. 1; 1. 4 agosto 1993 n. 271, conversione in
legge, con modificazioni, del d.I. 5 giugno 1993 n. 169, art. unico).
Previdenza e assistenza sociale — Esposizione ultradecen nale all'amianto — Rivalutazione dei periodi assicurativi — Domanda giudiziale proposta anteriormente al 2 otto bre 2003 — Disciplina applicabile (D.leg. 15 agosto 1991 n. 277, art. 24, 31; 1. 27 marzo 1992 n. 257, art. 13; 1. 31 luglio 2002 n. 179, disposizioni in materia ambientale, art. 18; d.I. 30 settembre 2003 n. 269, disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubbli ci, art. 47; 1. 24 novembre 2003 n. 326, conversione in legge, con modificazioni, del d.I. 30 settembre 2003 n. 269, art. 1; 1. 24 dicembre 2003 n. 350, disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2004), art. 3, comma 132).
Previdenza e assistenza sociale — Esposizione ultradecen nale all'amianto — Rivalutazione dei periodi assicurativi — Dimostrazione del superamento dei valori di rischio —
Tipologìa delle lavorazioni e dati epidemiologici — Rile vanza (Cod. civ., art. 2697; d.leg. 15 agosto 1991 n. 277, art. 24, 31; 1. 27 marzo 1992 n. 257, art. 13).
Ai fini della rivalutazione dei periodi contributivi per effetto dell'esposizione ultradecennale all'amianto, è necessario
l'accertamento che nell'ambiente nel quale si svolgeva la la
vorazione vi era una concentrazione di polveri di amianto su
periore ai valori di rischio indicati negli art. 24 e 31 d.leg. n. 277 del 1991. (1)
Alle controversie introdotte prima del 2 ottobre 2003 non è ap
plicabile, ai fini della rivalutazione dei periodi contributivi conseguenti all'esposizione all'amianto, la disciplina intro
dotta dall'art. 47 d.I. n. 269 del 2003, convertito in l. n. 326 del 2003. (2)
Ai fini della rivalutazione dei periodi contributivi per effetto dell 'esposizione ultradecennale ali 'amianto, ai sensi dell 'art.
13 l. n. 257 del 1992, è correttamente motivata la sentenza
che ritenga superata la concentrazione di polveri di amianto
di cui agli art. 24 e 31 d.leg. n. 277 del 1991, valorizzando la tipologia delle lavorazioni e i dati epidemiologici, pur quan do non sia stato possibile per i consulenti tecnici tradurre in
espressioni numeriche ciascuna esposizione. (3)
(1-3) Negli stessi termini della prima massima, cfr. Cass. 23 gennaio 2003, n. 997, Foro it., 2003,1, 1357, con osservazioni di De Marzo. Al
riguardo, di particolare interesse appare la terza massima, che esprime la necessità di confrontarsi con le difficoltà di quantificazione del
l'esposizione all'amianto a distanza di tempo e in condizioni produttive mutate (per tali questioni e un'articolata risposta motivazionale che, tuttavia, supera il riferimento ai limiti di concentrazione di cui agli art.
24 e 31 d.leg. n. 277 del 1991, cfr. Trib. Monza 13 giugno 2002, ibid.,
1928). In tale contesto, vengono valorizzati la tipologia delle lavora zioni (nella specie, caratterizzata dal fatto che le fibre di amianto veni
vano portate a temperature elevate, con grave aumento del pericolo di
loro dispersione nell'ambiente) e il dato epidemiologico dei numerosi
lavoratori deceduti per acclarata asbestosi polmonare o pleurica o rico
nosciuti invalidi per patologie correlate ad insufficienza respiratoria determinata da asbestosi.
Piuttosto, va segnalato che la fedeltà all'orientamento per il quale è
necessario il superamento dei lìmiti previsti dal d.leg. n. 277 del 1991
viene ribadita, puntualizzando che la previsione di una soglia di esposi zione nell'art. 47 d.I. n. 269 del 2003, convertito in 1. n. 326 del 2003,
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3415 PARTE PRIMA
Svolgimento del processo. — Con la sentenza qui impugnata,
il Tribunale di Terni, decidendo sull'appello avverso la sentenza
del pretore del luogo, ha accolto la domanda proposta dal lavo
ratore, attuale intimato, per ottenere dall'Inps il trattamento
pensionistico usufruendo del beneficio contributivo previsto dall'art. 13, 8° comma, 1. 27 marzo 1992 n. 257, e successive
modifiche; per aver lavorato per oltre dieci anni con esposizione all'amianto.
Il tribunale ha ritenuto che sussistono entrambi i requisiti ri
chiesti per il beneficio, e cioè l'esposizione ultradecennale al
l'amianto e la concentrazione di polveri, nell'ambiente di lavo
ro, in misura superiore al valore limite tollerabile.
Di questa sentenza l'Inps chiede la cassazione con tre motivi.
La parte privata resiste con controricorso.
Motivi della decisione. — Con il primo motivo, denunciando
violazione e falsa applicazione degli art. 24 e 31, 1° comma, lett. a) e b), d.leg. 15 agosto 1991 n. 277, come modificato dal
l'art. 3, 4° comma, 1. 27 marzo 1992 n. 257 e dall'art. 16, 4°
comma, 1. 24 aprile 1998 n. 128, dell'art. 3, 1° comma, 1. 27
marzo 1992 n. 257, come sostituito dall'art. 16 1. 24 aprile 1998
n. 128, dell'art. 13, 7° e 8° comma, 1. 27 marzo 1992 n. 257, come modificato dall'art. 1, 1° comma, d.l. 5 giugno 1993 n.
169, convertito nella 1. 4 agosto 1993 n. 271, tutti in relazione
all'art. 360, n. 3, c.p.c., l'Inps sostiene che l'eccezionale benefi
cio di cui alla disposizione citata in premessa interessa, non già tutti i lavoratori in qualche modo esposti all'amianto, ma sola
mente quelli che abbiano concretamente subito per oltre dieci
anni il rischio del verificarsi di una malattia professionale gene rata da tale sostanza nociva, per la sua presenza nei luoghi di la
voro in concentrazione significativa (superiore cioè ai valori li
mite di cento fibre per litro consentiti dal d.leg. 277/91, e suc
cessive modifiche). Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione
dell'art. 13, 8° comma, 1. n. 257 del 1992, come sostituito dal
l'art. 1, 1° comma, d.l. n. 169 del 1993, convertito nella 1. n.
271 del 1993, degli art. 24, 3° comma, e 31, 1° comma, d.leg. n.
277 del 1991, dell'art. 2697 c.c., tutti in relazione all'art. 360, n.
3, c.p.c. Il terzo motivo denuncia violazione degli art. 112, 115 e 116
c.p.c., errata valutazione del quadro probatorio in relazione al
rischio morbigeno, nonché vizio di motivazione (art. 360, nn. 3, 4 e 5, c.p.c.).
Con i suddetti ultimi due motivi, sviluppati in unico contesto,
l'Inps lamenta che il tribunale abbia ritenuto superata la soglia limite del rischio di esposizione nel valore massimo di concen
trazione di amianto nell'ambiente lavorativo, come fissato dal
d.leg. 277/91, sulla base di semplici supposizioni suggerite dalla consulenza tecnica d'ufficio, riconoscendo di non poter para metrare il rischio ad alcuna misura di concentrazione e senza
accertare quali fossero le mansioni in concreto svolte dall'assi
curato che consentissero di stabilirne la vicinanza o meno alle
fonti di polverizzazione.
non dimostra l'insussistenza di tali limiti, ai fini dell'applicazione del l'art. 13 1. n. 257 del 1992.
Quanto alla seconda massima, essa comporta l'inapplicabilità della
disciplina posteriore a meno che non intervenga una diversa valutazio ne dello stesso lavoratore (in cui «favore» è fatta salva la normativa
previgente). Va aggiunta, sebbene non fosse rilevante ai fini della deci sione, la precisazione della sentenza in rassegna, secondo la quale sono
assoggettati al regime di cui all'art. 13 1. n. 257 del 1992 anche i casi nei quali prima del 2 ottobre 2003 sia stata presentata domanda ammi nistrativa non necessariamente all'Inai! (al quale testualmente si riferi sce l'art. 3, comma 132, 1. n. 350 del 2003) ma anche e soprattutto al
l'Inps. Meno convincente, sempre nella motivazione della sentenza in rasse
gna, la considerazione per la quale la maturazione del diritto al conse
guimento dei benefici previdenziali di cui all'art. 13 1. n. 257 del 1992 (maturazione che, ai sensi del citato art. 3, comma 132, 1. n. 350 del 2003, comporta l'applicabilità della disciplina anteriore) deve essere intesa come maturazione del diritto alla pensione, in quanto la rivaluta zione contributiva non rappresenta una prestazione previdenziale auto noma (in senso contrario, per la rilevanza della maturazione dei fatti costitutivi del diritto alla rivalutazione, cfr. G. De Marzo, Esposizione all'amianto tra acquisizioni giurisprudenziali e novità normative, id 2004, I, 81). Il che è esatto. Ciò non toglie che la rivalutazione contri butiva costituisce oggetto di un autonomo diritto, suscettibile di accer tamento e tutela (come chiarito, con convincente motivazione, da Cass. 21 giugno 2002, n. 9125, id., 2003,1, 1359). [G. De Marzo]
Il Foro Italiano — 2005.
L'esame unitario dei motivi conduce al rigetto del ricorso
perché, pur dovendo la corte correggere l'interpretazione data
alle norme giuridiche dalla sentenza impugnata, il dispositivo risulta conforme al diritto in quanto conseguente al corretto ac
certamento del fatto della concreta esposizione a rischio dell'as
sicurato.
Questa corte ha già chiarito in numerose decisioni, a partire dalla sentenza 3 aprile 2001, n. 4913, Foro it., Rep. 2001, voce
Previdenza sociale, n. 484 (cfr., tra le tante, Cass. 2849/04, id.,
Rep. 2004, voce cit., n. 883; 10185/02, id.. Rep. 2003, voce cit., n. 558; 997/03, id., 2003, I, 1357; 10114/02, ibid., 1358) che l'attribuzione dell'eccezionale beneficio di cui all'art. 13, 8°
comma, 1. 27 marzo 1992 n. 257, nel testo risultante dalle modi
fiche apportate dall'art. 1,1° comma, d.l. 5 giugno 1993 n. 169
e dalla successiva legge di conversione 4 agosto 1993 n. 271,
presuppone l'assegnazione ultradecennale del lavoratore a man
sioni comportanti, per il lavoratore medesimo, un effettivo e
personale rischio morbigeno, a causa della presenza, nei luoghi di lavoro, di una concentrazione di fibre di amianto superiore ai
valori limite indicati nella legislazione di prevenzione di cui al
d.leg. 15 agosto 1991 n. 277, e successive modifiche. Le censu
re rivolte a questo orientamento giurisprudenziale, condiviso dal
collegio, si confutano agevolmente con le seguenti osservazioni.
E la stessa 1. 257/92 a dare fondamento normativo all'esigen za di una esposizione superiore a una determinata «soglia» sta
bilendo con specifica disposizione (art. 3 poi sostituito dall'art. 161. 24 aprile 1998 n. 128 — che richiama e in parte modifica i valori indicati nel d.leg. 277/91 — ) il limite di concentrazione al di sotto del quale le fibre di amianto devono considerarsi «re
spirabili» nell'ambiente di lavoro (tanto da non obbligare al
l'adozione di misure protettive specifiche) e mostrando così di
ritenere insufficiente, agli effetti del beneficio da attribuire ai
lavoratori «esposti all'amianto» (che non abbiano contratto
malattia professionale), la presenza della sostanza in quantità tale da non superare il limite anzidetto e da non rappresentare
per tale ragione un concreto pericolo per la salute.
Se si ha riguardo alle altre misure di sostegno apprestate per i
lavoratori nelle varie disposizioni dello stesso art. 13, appare più che giustificata, per coloro che siano stati semplicemente espo sti all'azione della sostanza nociva, la necessità di una doppia
«soglia» (riguardante cioè sia la durata che l'intensità dell'espo sizione) di accesso al beneficio previdenziale, tenuto conto della
diversità del rischio che, nel càso considerato dall'8° comma, è
solo eventuale, mentre è certo e ormai verificato nel caso (della malattia professionale) previsto dal 7° comma, mentre è ancora
eventuale ma con probabilità massima di manifestazione nel ca
so (dei lavoratori delle miniere o delle cave di amianto) de
scritto al 6° comma.
La Corte costituzionale, nella sentenza 5/00 (id., 2001, I,
1494), ha ritenuto non fondata la questione di costituzionalità
dell'art. 13, 8° comma — sollevata anche sotto il profilo che la
mancata determinazione del fattore rischio, cioè della misura di
esposizione rilevante, avrebbe portato, in violazione dèli'art. 3
Cost., a trattare in maniera uniforme situazioni di concreto peri colo e non —
proprio in base ad una interpretazione della norma
secondo cui, per la rilevanza dell'esposizione, è necessario il
superamento di una specifica soglia di rischio (quella appunto indicata dal d.leg. 277/91), tale da connotare le lavorazioni di
effettive potenzialità morbigene. Le successive decisioni del
giudice delle leggi in materia (cfr. Corte cost. 127/02, id., 2002,
I, 1934, e 369/03, id., Rep. 2004, voce cit., n. 880) hanno con fermato la necessaria rilevanza di una esposizione «qualificata» al rischio.
Si impone a questo punto la considerazione dei successivi
sviluppi della legislazione di settore, onde verificare, in primo
luogo, se la regola di giudizio debba trarsi da essi; in via grada ta, ove risultino non applicabili al rapporto controverso, se of
frano elementi di sostegno o di smentita dell'interpretazione data dalla giurisprudenza della corte alla normativa precedente.
L'art. 47, 1° comma, d.l. 30 settembre 2003 n. 269 (conver
tito, con modificazioni, dalla 1. 24 novembre 2003 n. 326) reca
una disciplina fortemente innovativa del beneficio di cui all'art.
13, 8° comma, d.leg. 257/92 quanto all'oggetto della prestazio ne previdenziale, quanto al regime di incompatibilità con altre
analoghe provvidenze, quanto ai requisiti per ottenere il benefi
cio e quanto al procedimento amministrativo (si contempla una
domanda da presentare entro un termine di decadenza all'Inail,
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
istituto al quale è conferita la funzione di accertare e certificare
la sussistenza e la durata dell'esposizione, come già era stato di
sposto dall'art. 18, 8° comma, 1. 31 luglio 2002 n. 179), fissan
do la data del 1° ottobre 2003 per l'entrata in vigore della nuova
disciplina. Per chiarire alcuni aspetti controversi della nuova normativa
il legislatore è nuovamente intervenuto in materia disponendo, con l'art. 3, comma 132,1. 24 dicembre 2003 n. 350, che «in fa
vore dei lavoratori che abbiano già maturato, alla data del 2 ot
tobre 2003, il diritto al conseguimento dei benefici previdenziali di cui all'art. 13, 8° comma, 1. 257/92 e successive modificazio
ni, sono fatte salve le disposizioni previgenti alla medesima data
del 12 ottobre 2003» e che «la disposizione di cui al primo pe riodo si applica anche a coloro che hanno avanzato domanda di
riconoscimento all'Inail o che ottengano sentenze favorevoli per cause avviate entro la stessa data».
Esigenze di coerenza del sistema e la necessità di optare, tra
quelle astrattamente possibili, per una interpretazione conforme
alla Costituzione, inducono il collegio a ritenere: a) che per «maturazione» del diritto al beneficio deve intendersi la matura
zione del diritto a pensione; b) che, tra coloro che non hanno
ancora maturato il diritto a pensione, la salvezza concerne
esclusivamente gli assicurati che, alla data indicata, abbiano av
viato un procedimento amministrativo o giudiziario per l'ac
certamento del diritto alla rivalutazione contributiva.
Le ragioni dell'opzione interpretativa poggiano fondamen
talmente sulle considerazioni che la rivalutazione contributiva
non rappresenta una prestazione previdenziale autonoma, ma
determina i contenuti del diritto alla pensione; che, nel regime
precedente, non era prevista una domanda amministrativa per far accertare il diritto alla rivalutazione dei contributi previden ziali per effetto di esposizione all'amianto; che il legislatore ha
espresso l'intento, ricostruito secondo una interpretazione orientata dal principio costituzionale di ragionevolezza, di
escludere l'applicazione della nuova disciplina «anche» per co
loro che comunque avessero già avviato una procedura ammini
strativa per l'accertamento dell'esposizione all'amianto (non solo mediante domande rivolte all'Inai!, ma anche e soprattutto
all'Inps quale parte del rapporto previdenziale), ovvero un pro cedimento giudiziale, restando però esclusi, tra questi ultimi,
quelli per i quali il giudizio sia stato definito con il rigetto della domanda, potendo costoro eventualmente giovarsi della nuova
disciplina nella parte in cui «estende» il beneficio (vedi comma
6 bis dell'art. 47 cit.), come, del resto, tale facoltà è riconosciuta
anche ai soggetti per i quali opera la salvezza della precedente normativa, atteso che tale salvezza è stata disposta esclusiva
mente in loro «favore».
D'altra parte l'applicazione della normativa precedente ai
procedimenti di accertamento dei requisiti già terminati o anco
ra in corso, si spiega non solo con l'esigenza di rispetto delle
aspettative, ma anche per il fatto che si rivelerebbe oltremodo
gravoso ed antieconomico imporre che alla verifica del diritto si
proceda in ogni caso alla luce della normativa sopravvenuta. Sulla base di questa interpretazione si deve escludere che la
nuova disciplina sia applicabile al rapporto controverso per la
considerazione, assorbente di ogni altro accertamento di fatto, che la domanda giudiziale è stata proposta anteriormente alla
data del 2 ottobre 2003.
Quanto al secondo profilo di rilevanza dell'esame della nuova
disciplina, va considerato che la norma sopravvenuta esprime l'intento di modificare in parte i requisiti di accesso al benefi
cio, non certo di introdurre per la prima volta la necessità di una
esposizione «qualificata» all'amianto, cioè una soglia di rischio
prima inesistente. Una innovazione così forte non è confortata
dal dato letterale e, trattandosi costantemente di esposizioni che
risalgono a periodi lontani nel tempo, un peggioramento così
radicale del regime giuridico applicabile a coloro per i quali non è stata fatta salva la normativa precedente (che già subiscono
una riduzione del quantum del beneficio) susciterebbe fondati
dubbi di conformità all'art. 3 Cost.
Conclusivamente, anche la nuova disciplina conferma la ne
cessità di una esposizione «qualificata» all'amianto già alla
stregua del dato normativo di cui all'art. 13, 8° comma, d.leg. 257/92. Ne discende che nel giudizio di merito doveva essere
accertato se una siffatta esposizione sussistesse o meno con rife
rimento alle singole collocazioni lavorative, e in questi sensi va
corretta la motivazione in diritto della sentenza impugnata.
Il Foro Italiano — 2005.
Come già avvertito, il giudice del merito ha comunque proce duto, espletando rtiezzi di prova e con l'ausilio di consulenza
tecnica, al predetto accertamento di fatto.
La correttezza di questo accertamento è contestata dall'Inps
perché sarebbe viziata da insufficienza logica la conclusione che
ricava da mere supposizioni suggerite dalla c.t.u., sia in ordine
alla presenza di amianto sia in ordine alla concentrazione nell'a
ria superiore a cento fibre per litro; inoltre non sarebbero state
esposte le ragioni sulla sussistenza di un «cospicuo» inquina mento ambientale.
Osserva in contrario la corte che, nella specie, il tribunale ha
compiuto l'indagine richiesta e all'esito ha accertato la sussi
stenza di una esposizione significativa nei sensi sopra precisati, avuto riguardo alla collocazione del lavoratore che, quindi, contrariamente a quanto si assume in ricorso, è stata verificata.
Il giudice di appello ha quindi ritenuto provato che l'ambiente nel quale si svolgeva la lavorazione rischiosa presentava una
concentrazione di polveri di amianto molto superiore ai valori
limite indicati dalla 1. 277/91. Le prove raccolte e la c.t.u., a giudizio del tribunale, rendeva
no certi di una massiccia e continuativa ultradecennale utilizza
zione diretta e indiretta di amianto nello stabilimento industriale
presso il quale era addetto il lavoratore. La sentenza ha altresì
chiarito che il cospicuo inquinamento ambientale era determi
nato dalla presenza dell'amianto, al quale il lavoratore si trova
va esposto non solo a causa della manipolazione diretta deri
vante dalla specifica mansione svolta, ma anche per effetto della
presenza diffusa nell'ambiente di tale sostanza inquinante. A tali valutazioni il tribunale è pervenuto considerando che le
fibre di amianto venivano portate a temperature elevate, deter
minando un grave aumento del pericolo di un loro rilascio nel
l'ambiente. Ha soggiunto che i consulenti avevano ritenuto tutti
i lavoratori del reparto esposti a livelli di amianto non solo po tenzialmente morbigeni, ma anche superiori alla soglia di ri
schio di cento fibre per litro. A tutto ciò, ha proseguito il tribu
nale, va aggiunto il dato epidemiologico, rappresentato da vari
casi di lavoratori dello stesso reparto, espletanti le mansioni più varie, deceduti con acclarata asbestosi polmonare o pleurica, o
per mesotelioma pleurico, ovvero riconosciuti invalidi per pa
tologie collegate ad insufficienza respiratoria determinata da
asbestosi. Né rileva che non sia stato possibile per i tecnici tra
durre in espressioni numeriche ciascuna esposizione, non essen
do stata consentita tale operazione — come ha spiegato il tribu
nale riportando le motivazioni della c.t.u. — dalla grande diffi
coltà di quantificare con esattezza, a distanza di tempo e in con
dizioni produttive mutate, la frequenza e la durata dell'esposi zione. È decisiva infatti la considerazione che i consulenti, at
traverso la ricostruzione dell'ambiente di lavoro e l'individua
zione delle fonti di esposizione all'amianto, siano potuti ugual mente pervenire a formulare un giudizio di pericolosità del
l'ambiente con un margine di approssimazione di ampiezza tale
da fugare ogni dubbio circa il superamento della soglia massima
di tollerabilità. Non sussistono pertanto i denunciati vizi di motivazione ed il
ricorso, di conseguenza, deve essere rigettato.
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