Sezione lavoro; sentenza 19 febbraio 1982, n. 1054; Pres. Afeltra, Est. Micali, P. M. Nicita(concl. conf.); Tosto (Avv. Petino) c. Torrisi (Avv. Scollo). Regolamento di competenza avversoPret. Acireale 19 gennaio 1981Source: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 9 (SETTEMBRE 1983), pp. 2259/2260-2263/2264Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23177019 .
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2259 PARTE PRIMA 2260
I
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione lavoro; sentenza 19 febbraio
1982, n. 1054; Pres. Afeltra, Est. Micali, P. M. Nicita (conci,
conf.); Tosto (Avv. Petino) c. Torrisi (Aw. Scollo). Regola mento di competenza avverso Pret. Acireale 19 gennaio 1981.
Lavoro e previdenza (controversie in materia di) — Competenza territoriale — Foro dell'azienda — Nozione (Cod. proc. civ., art. 413).
Il foro dell'azienda di cui al 2" comma dell'art. 413 c.p.c. si
identifica con il luogo dove l'impresa, individuale o sociale, ha la sua sede legale e si accentrano di fatto i poteri di dire
zione e amministrazione dell'azienda stessa, e non già con il
luogo dove si trovano i beni aziendali. (1)
II
PRETURA DI CAGLIARI; sentenza 4 marzo 1983; Giud. Bale
strieri; Serra (Aw. Vavenotti) c. Soc. supermercati Sulcis e
altro (Aw. Mercurio).
Lavoro e previdenza (controversie in materia di) — Competenza
per territorio — Sede dell'azienda — Individuazione (Cod. civ., art. 2555; cod. proc. civ., art. 413).
Ai fini della determinazione della competenza territoriale nel
processo del lavoro, nel caso di impresa in forma societaria che
non svolge la sua attività produttiva in unità sparse sul
territorio nazionale, per foro dell'azienda non deve intendersi il
luogo dove la società ha sede legale bensì il luogo dove si
svolge effettivamente l'attività produttiva. (2)
I
Svolgimento del processo. — Con ricorso 7-18 ottobre 1980, Antonio Torrisi chiedeva al Pretore di Acireale di condannare
Giuseppe Tosto al pagamento in suo favore della somma di lire
5.302.648 per anzianità, mancato preavviso, retribuzione relativa al
mese di agosto 1980, e differenza paga riguardante il rapporto di
lavoro inter partes svoltosi dal 7 aprile 1979 al 9 agosto 1980, oltre interessi legali, svalutazione monetaria e spese giudiziali.
Costituitosi, il convenuto eccepiva preliminarmente l'incompetenza
per territorio dell'adito pretore ai sensi dell'art. 413 c.p.c., essendo
sorto il rapporto di lavoro nel mandamento del Pretore di
Trecastagni, e precisamente nel comune di Pedara, ove il Torrisi
era stato assunto tramite l'ufficio di collocamento del luogo; inoltre per tutto il tempo del rapporto di lavoro intercorso
costui era stato addetto presso la ditta Tosto nell'azienda di
Pedara, esattamente in un cantiere di calcestruzzo sito in contrada
Regalilla, frazione di Pedara; allorquando il rapporto era cessato
il Torrisi prestava servizio ancora presso tale cantiere.
L'istante replicava che il Pretore di Acireale era stato adito
perché ivi si trovava la sede legale della ditta Tosto.
Con sentenza non definitiva 19 gennaio 1981, il pretore dichiarava
la propria competenza territoriale quale giudice del luogo « ove
aveva sede l'impresa del convenuto ».
Avverso tale sentenza ricorre il Tosto per regolamento di
competenza. Resiste il Torrisi con memoria.
Motivi della decisione. — Con unico motivo il ricorrente
deduce che l'espressione di cui all'art. 413, 2" comma, c.p.c. « si
trova l'azienda » deve essere intesa quale riferimento al luogo ove
è ubicato il complesso di beni facenti capo all'impresa, e non già
(1-2) Mentre la decisione della Corte di cassazione si inserisce in un orientamento oramai costante (nello stesso senso, eccentuando però il riferimento al luogo della sede effettiva e non meramente nominale, v., non richiamata in motivazione, Cass. 8 ottobre 1981, n. 5283, Foro it., 1982, I, 1361, con ampia nota di richiami), la decisione della Pre tura di Cagliari si pone consapevolmente in contrasto con tale o
rientamento, ricollegandosi a talune decisioni dei giudici di meri to (v., richiamate in motivazione, Pret. Milano 11 dicembre 1981 e 25 giugno 1981, id., Rep. 1982, voce Lavoro e previdenza (con troversie), nn. 119, 120; Pret. Milano 18 giugno 1979, id., Rep. 1980, voce cit., n. 110; nonché Pret. Torino 26 maggio 1975, id., Rep. 1976, voce cit., n. 118), ritenendo giustificato l'orientamento della Cassazione unicamente se applicato alla ipotesi particolare di società che « per la sua complessa organizzazione abbia i suoi stabilimenti e le sue unità produttive sparse sul territorio nazionale o comunque su un territorio notevolmente vasto » (e ciò « al fine di evitare l'atomizzazione pericolosa » delle competenze).
Sui problemi posti dalla riferibilità del foro dell'azienda ai rapporti di agenzia e a quelli di parasubordinazione in genere, i quali, pur essendo inerenti all'esercizio dell'impresa, siano sganciati invece dall'azienda, v. Cass. 13 agosto 1981, n. 4928, id., 1981, I, 2699, con ampia nota di richiami e osservazioni di Pardolesi.
come richiamo del luogo in cui è sita la sede legale della stessa; che nella specie, ancorché la sede dell'impresa fosse in Acireale, è
incontestato che l'azienda (costituita da un cantiere di produzione di calcestruzzo) si trovasse in Pedara, contrada Regalilla.
Chiede, pertanto, che venga dichiarata la competenza del Preto
re di Trecast agni.
Replica il resistente che per « sede dell'azienda » non può non
intendersi che la sede dell'impresa, cioè quella scelta dall'impren ditore come sede legale; nel caso di speoie via Lombardia, n. 41, Acireale.
Il ricorso non appare fondato. L'art. 413 c.p.c. pone una gradua zione tra i diversi fori territoriali per le controversie di
lavoro, nel senso che i fori speciali esclusivi previsti dal 2°
comma sono tra loro alternativamente concorrenti e, rispetto ad
essi, il foro generale ordinario previsto dal 4° comma è solo sussi
diario (v. sent. n. 3979/75, Foro it., Rep. 1976, voce Lavoro
e previdenza (controversie), n. 119; n. 3453/76, ibid., n. 102; n.
719/77, id., Rep. 1977, voce cit., n. 138; n. 4103/79, id., Rep.
1979, voce cit., n. 126). Ora, se è vero che il nuovo testo dell'art.
48, nel disciplinare la competenza per territorio per le controversie
di lavoro, ha introdotto nuovi criteri di collegamento — preve
dendo, in aggiunta ai fori dell'azienda e della dipendenza, anche
quello della circoscrizione in cui è sorto il rapporto di lavoro,
nonché, in via sussidiaria ed espressamente, quello dell'art. 18
c.p.c. — è però altrettanto vero che detta norma non ha
apportato alcuna modificazione ai criteri che erano già previsti dall'art. 434 c.p.c. nel testo previgente.
Orbene, proprio in relazione alla predetta normativa previgente,
questa corte ebbe ripetutamente occasione di affermare (sent. n.
1175/63, id., Rep. 1963, voce cit., n. 34, e n. 3667/69, id., Rep.
1970, voce oit., n. 14) che in ipotesi di società il foro dell'azienda
coincide con quello della sede sociale, nella quale si accentrano di
fatto i poteri di direzione e di amministrazione dell'azienda stessa, non potendosi, per contro, attribuire alcuna importanza al luogo in
cui si trovano i beni aziendali; i quali, nel caso di azienda di note
vole sviluppo e dimensione sono molto spesso ubicati in località
diverse e quindi in circoscrizioni diverse. Detta interpretazione è
stata seguita anche dopo l'entrata in vigore della 1. n. 533/73 (v. Cass. n. 1085/75, id., 1975, I, 2557; n. 3066/76, id., Rep. 1976
voce cit., n. 103; n. 96/79, id., Rep. 1979, voce cit., n. 105), per cui ove l'attore abbia adito il giudice del luogo ove l'azienda ha
la sua sede legale — anche se si tratta di impresa individuale e
non sociale — ogni ulteriore indagine sul forum contractus o sul
foro della dipendenza rimane assorbita, dovendosi affermare la
competenza del giudice adito (sent. n. 96 del 1979, cit.). Con riferimento al caso di specie, è incontestabile che: a) la
sede dell'impresa edile stradale, di cui è titolare il Tosto, è
ubicata in Acireale, via Lombardia, n. 41; b) la domanda
giudiziale è stata rivolta al Pretore di Acireale quale giudice del
luogo in cui si trova la sede legale dell'azienda, non già in
applicazione dell'art. 18 c.p.c. (foro ordinario delle persone fisiche, di cui si può avvalere solo dopo esaurita la possibilità di ricorso ai fori speciali).
Pertanto, poiché il luogo in cui è sita l'azienda, cioè la sede
legale dell'impresa, è Acireale, il pretore di tale mandamento deve essere dichiarato competente a conoscere della controversia in staurata dall'odierno resistente, anche se questi prestava la sua
opera in luogo diverso da quello dove si trovava detta sede. Da quanto fin qui esposto consegue che il ricorso è infondato e
dev'essere rigettato, dichiarandosi la competenza per territorio del Pretore di Genova, quale giudice del lavoro. (Omissis)
II
Svolgimento del processo. — Con ricorso depositato il 29
giugno 1982 Luisella Serra chiedeva al Pretore di Cagliari la condanna della s.r.l. supermercati Sulcis e di Pietro Mameli al
pagamento della somma di lire 24.927.220 o di quella somma
maggiore o minore da stabilirsi in corso di causa, a titolo di differenza retributiva relativa al proprio rapporto di lavoro con la
convenuta, oltre a svalutazione ed interessi legali. Esponeva la ricorrente: di aver lavorato alle dipendenze di Pietro Mameli
presso il suo supermercato di piazza Ciusa in Carbonia dal 28 novembre 1971, in qualità di commessa; che nel 1972 venne costituita la s.r.l. supermercati Sulcis i cui soci erano lo stesso Pietro Mameli e membri della sua famiglia, con sede legale in
Cagliari e sede effettiva sempre in Carbonia dove era sempre rimasta l'insegna del supermercato di Pietro Mameli e dove essa ricorrente continuava il proprio lavoro nelle stesse mansioni; che a partire dall'agosto 1973 iniziò a ricevere buste paga con l'indicazione della ditta supermercati Sulcis s.r.l.; che dopo essere stata trasferita, per un anno e mezzo, dall'agosto 1979 al dicembre
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
1980, in S. Antioco dove c'è tuttora un supermercato intestato
Sulcis sjr.'l., nel gennaio 1981 venne richiamata, sempre da Pietro
Mameli, a lavorare presso la supermercati Piemme s.r.l. con sede
'legale in Cagliari ma con attività commerciale sempre in Carbo
nia; che anche quest'ultima società era stata costituita da Pietro
Mameli e membri della sua famiglia; che il supermercato Piemme
s.r.l. non era altro che il trasferimento della medesima azienda
supermercati Sulcis della quale venne trasferito tutto il personale, le attrezzature, scaffalature merci; che nell'aprile del 1982 essa
ricorrente veniva licenziata & che vantava alla fine del rapporto di
lavoro, per differenze retributive, la somma di lire 24.927.220.
Chiedeva pertanto la condanna, al pagamento della somma pre
detta, della supermercati Piemme s.r.l. o, in via gradatamente
subordinata, la condanna della s.r.l. Sulcis o di Mameli Pietro per i titoli sopra esposti con vittoria di spese ed onorari di giudizio.
(Omissis) Motivi della decisione. — (Omissis). Il punto nodale dell'intera
questione è unicamente giuridico e riguarda l'interpretazione della
norma contenuta nell'art. 413, 2° comma, c.p.c. secondo cui
« competente per territorio è il giudice nella cui circoscrizione
(...) si trova l'azienda (...) ». È pacifico infatti che la competen za del Pretore di Cagliari si avrebbe solo nel caso in cui si ritiene
per foro dell'azienda il luogo in cui essa ha sede legale. Sia la persona fìsica convenuta (residente in Carbonia) che il
rapporto di lavoro (sorto e svoltosi in Carbonia) indicherebbe la
incompetenza del pretore adito. La ricorrente stessa afferma di
aver scelto il foro di Cagliari essendo quello in cui le convenute
società hanno sede legale.
Al riguardo va notato come vi sia in giurisprudenza ed in
dottrina contrasto di soluzioni e vedute. Mentre un'autorevole
dottrina sostiene che per foro dell'azienda debba intendersi quello in cui essa ha sede legale, altra parte di essa ha messo esattamen
te in luce che ciò che rileva a tal fine è il luogo dove viene
realmente svolta l'attività aziendale, anche se la sede legale risulti
altrove. La giurisprudenza della Cassazione è abbastanza univoca
nel ritenere che per foro dell'azienda debba intendersi quello coincidente con la sede legale della società (cfr. da ultimo Cass. 8
ottobre 1981, n. 5283, Foro it., 1982, I, 1361; 3 settembre 1980, n.
5076, id., Rep. 1980, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 107; 28 agosto 1976, n. 3066, id., 1977, I, 909; 22 marzo 1975, n. 1802, id., 1975, I, 2557, in relazione tuttavia all'abrogato art.
434 c.p.c.; sempre in relazione all'abrogato art. 434 c.p.c. in senso
opposto, ed a sottolineare le difformità di vedute presenti in giu
risprudenza, cfr. App. Roma 18 febbraio 1977, id., 1977, I, 910).
La giurisprudenzia di merito, soprattutto pretorile, ha spesso
espresso la tesi opposta (cfr. Pret. Milano 11 dicembre 1981 e
25 giugno 1981, id., Rep. 1982, voce cit., nn. 119, 120; Pret.
Milano 18 giugno 1979, id., Rep. 1980, voce cit., n. 110; Pret.
Torino 26 maggio 1975, id., Rep. 1976, voce cit., n. 118).
L'opinione, che si condivide, si basa sostanzialmente sul carattere
peculiare che il legislatore del 1973 ha impresso al rito del lavoro,
estrinsecantesi sostanzialmente nei principi della concentrazione,
oralità ed immediatezza segnando cosi un ritorno ai caratteri
fondamentali del processo civile prima della novella del 1950.
Soprattutto l'esigenza di rapidità e funzionalità del nostro
processo sono direttamente collegate al contatto quanto pili
diretto possibile del giudice coi fatti di causa. In quest'ottica non
è casuale la scelta del pretore come giudice funzionalmente
preposto, in primo grado, alla soluzione delle controversie di
lavoro.
Tutto ciò premesso, è necessario osservare che identificate il
foro dell'azienda con quello della sede legale, magari notevolmen
te distante dal luogo in cui il rapporto si è effettivamente svolto
contrasta evidentemente con i principi sopra ricordati. È appena
poi il caso di notare, come fa Pret. Milano 11 dicembre 1981,
l'importanza ed il valore di norme, quali l'accesso del preto
re sul luogo di lavoro, l'audizione dei testimoni sul luogo stes
so, tanto più efficaci quanto più il giudice è vicino al luo
go di lavoro, nonché il pericolo di sovraccarico delle preture
delle grandi città dove sono situate, in massima parte, le sedi
della società. Conviene infatti soffermarsi su alcune osservazioni
esegetiche. La locuzione « giudice nella cui circoscrizione si trova l'azien
da » non può significare quello in cui essa ha sede legale.
Azienda infatti, ex art. 2555 c.c., indica precisamente « il
complesso dei beni organizzati dall'imprenditore per l'esercizio
dell'impresa ». Il riferimento materiale ai « beni organizzati » è
sin troppo evidente.
Né a nulla giova osservare, come sostiene una dottrina, che il
fatto che l'art. 413 c.p.c. richiami, come foro sussidiario, solo
l'art. 18 e non l'art. 19 c.p.c., sta a significare che il legislatore ha
accolto la tesi, sostenuta sempre dalla Cassazione sin dall'epoca
del vecchio art. 434 c.p.c., secondo cui il luogo ove si trova
l'azienda è il foro generale delle persone giuridiche, cioè il luogo in cui essa ha sede legale.
L'osservazione è peregrina disponendo lo stesso art. 19 c.p.c. che per le persone giuridiche « è competente altresì il giudice del
luogo dove la persona giuridica ha uno stabilimento e un
rappresentante autorizzato a stare in giudizio ». Il mancato ri
chiamo all'art. 19 c.p.c. da parte dell'art. 413 c.p.c. potrebbe infatti intendersi anche nel senso opposto, quello cioè della sua
superfluità essendo il richiamo alla sede effettiva dell'azienda già contenuto nella norma in esame.
Il mancato richiamo all'art. 19 c.p.c. come foro sussidiario
potrebbe invece agevolmente spiegarsi sempre rimanendo nell'ot
tica di una scelta di collegamento in senso geografico e materiale
del giudice ai fatti di causa che il legislatore del 1973 avrebbe
seguito. Non si comprende infatti perché solo per l'esercizio dell'im
presa svolto in forma individuale sia stato seguito dal legislatore il criterio di attribuire rilievo solo sussidiario al forum rei genera le previsto dall'art. 18 c.p.c. mentre per la personga giuridica il
criterio della sede legale, cioè il forum rei generale della persona
giuridica, debba avere carattere speciale ed esclusivo, anche se
alternativo. In caso di imprenditore persona fisica, dunque, il ricorrente
avrebbe la facoltà di scegliere, in via principale, tra il luogo in
cui è sorto il rapporto e quello dove il rapporto si è svolto, che
rimarrebbero fori speciali ed esclusivi del nuovo rito del lavoro,
mentre, in via sussidiaria, quello in cui l'imprenditore ha la
residenza o il domioilio. In caso di datore di lavoro persona
giuridica il ricorrente potrebbe scegliere discrezionalmente uno
qualsiasi di quei fori per cui nell'ipotesi precedente vi è una
gradazione tra speciali ed esclusivi e sussidiario.
Ciò è palesemente contraddittorio. Il senso della riforma sarebbe
del tutto svuotato e comunque incomprensibile rimarebbe tale
discriminazione. Assai più logico è invece ritenere che il foro in
cui si « trova l'azienda » sia effettivamente un forum rei sitae in
quanto ciò risponde maggiormente ai caratteri dell'odierno proces so del lavoro e che, assieme agli altri previsti nel 2° comma
dell'art. 413 c.p.c. abbia carattere speciale ed esclusivo.
Solo nel caso in cui manchino i presupposti che danno luogo al
foro speciale troverà applicazione il foro generale ordinario che
avrà dunque sempre carattere sussidiario ed è ciò che il legislato re ha inteso affermare con la formula « qualora non trovino
applicazione le disposizioni dei comma precedenti, si applicano
quelle dell'art. 18 » (art. 413, 4° comma, c.p.c.). La tesi è avversata dalla Cassazione che recentemente la ha
esplicitamente negata (cfr. Cass. 3 settembre 1980, n. 5076, cit). Purtuttavia la stessa Suprema corte ha sempre ribadito, come tra
poco si osserverà, che non può, per contro, attribuirsi alcun
rilievo al luogo in cui si trovi un mero ufficio di corrispondenza o di rappresentanza ma ove non si accentrino i poteri di
direzione ed amministrazione delle società (cfr. Cass. 24 aprile
1981, n. 472, e 23 giugno 1981, n. 4092, id., Rep. 1981, voce cit.,
nn. 115, 116, ed altre). Pur ferma nel ribadire che il foro dell'azienda coincide con la
sede sooiale, va infatti sottolineato che tale affermazione assume,
nel ragionamento dei giudici di legittimità, una valenza tutta
particolare. La Suprema corte ha invero spesso affermato che la sede della
società è quella ove si svolge la preminente attività direttiva ed
amministrativa (Cass. 2 febbraio 1976, n. 335, e 6 luglio 1976, n.
2515, id., Rep. 1976, voce cit., nn. 116, 104) e che, in caso di
azienda costituita in società ed estendentesi su tutto il territorio
nazionale (nel caso di specie la S.i.p.), foro di essa deve ritenersi
non necessariamente quello della dipendenza cui è addetto il
singolo lavoratore, bensì quello della sede legale (cfr. Cass. 28
agosto 1976, n. 3066, ibid., n. 103).
Queste e simili altre affermazioni possono infatti perfettamente condividersi nella misura in cui sembrano poter suffragare il
principio secondo cui si debba ricorrere al foro in cui la società
ha sede legale solamente nei casi in cui questa, per la sua
complessa organizzazione, abbia i suoi stabilimenti e le sue unità
produttive sparse sul territorio nazionale o comunque, su di un
territorio notevolmente vasto.
In questo senso, ed al fine di evitare l'atomizzazione pericolosa, in quanto capace di determinare discriminazioni tra gli stessi
appartenenti alla medesima struttura produttiva, il principio
diventa criterio ermeneutico direttivo di valido aiuto per l'inter
prete ed in perfetta derivazione della norma di cui all'art. 65 r.d.
30 gennaio 1941 n. 12 sull'ordinamento giudiziario. Ad una lettura radiografica di tale orientamento della Suprema
corte vi si scorge infatti il principio diretto ad evitare che, fuori
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2263 PARTE PRIMA 2264
dei oasi sopra menzionati, si possa ricorrere al giudice di un
luogo assolutamente privo di alcun collegamento col luogo del
l'effettivo svolgimento dell'attività produttiva o, almeno, dei poteri di direzione e/o di amministrazione della società.
Nel caso di specie va peraltro osservato che nel luogo indicato
come sede legale della società non solo non si accentravano i
poteri di direzione e di amministrazione dell'azienda, ma non
risultava esservi addirittura nessuno, tantomeno la sede legale della società, cosi come risulta dalla relata di notifica. Va pertan to dichiarata la incompetenza per territorio del Pretore di Ca
gliari e va dichiarata la competenza del Pretore di Carbonia.
(Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione III civile; sentenza 18 gen naio 1982, n. 324; Pres. Pedace, Est. Schermi, P.M. Grossi
(conci, conf.); Galitzine (Avv. Gullotta) c. Amadio (Avv.
Dente). Conferma App. Roma 13 giugno 1978.
Mandato — Oggetto — Attività imprenditoriale — Esclusione
(Cod. civ., art. 1703). Fallimento — Affitto di azienda — Patti intervenuti tra fallito
e terzo affittuario — Efficacia — Fattispecie (R. d. 16 marzo
1942 n. 267, disciplina del fallimento, art. 42, 44, 90; cod. civ.,
art. 1343, 1344).
L'esercizio di una attività imprenditoriale non può formare ogget to di mandato, con o senza rappresentanza. (1)
Non è affetto da nullità il contratto intervenuto tra fallito e
terzo, in virtù del quale il terzo ha chiesto e ottenuto dalla cu
ratela l'affitto dell'azienda del fallito, che a propria volta si è
obbligato a rivalere l'altro, una volta tornato in bonis, di
tutte le obbligazioni assunte a causa della gestione (nella specie, era stato accertato che l'attività imprenditoriale era stata real
mente esercitata dal terzo affittuario). (2)
(1-2) Sulla prima massima in senso contrario, Cass. 9 agosto 1961.
n. 1945, Foro it., Rep. 1961, voce Impresa e imprenditore, n. 22; 23
maggio 1975, n. 2064, id., Rep. 1976, voce Mandato, n. 14; per rife
rimenti, v. anche Cass. 27 marzo 1972, n. 963, id., Rep. 1972, voce
cit. n. 7. Sulla seconda massima non risultano precedenti specifici editi. In
genere, nel senso che la convenzione stipulata fra il fallito e un terzo
in costanza di fallimento, ma all'infuori degli organi fallimentari, è
bensì inefficace rispetto ai creditori concorsuali ma non rispetto al
fallito e può essere fatta valere quando, per intervenuta chiusura del
fallimento, sia cessata la destinazione dei beni al soddisfacimento dei
creditori, Cass. 3 maggio 1979, n. 2549, id., Rep. 1979, voce Fallimento,
n. 228. Sulla relazione tra i concetti di imprenditore, impresa e azienda,
v. Ferrari, Azienda (dir. priv.), voce dell'Enciclopedia del diritto,
1959, IV, 682 ss.
* * *
1. - Desta perplessità l'affermazione secondo la quale l'attività im
prenditoriale {in quanto esercizio professionale di una attività economi
ca organizzata al fine della produzione e dello scambio di beni
o di servizi) non è concepibile come oggetto di un contratto di
mandato, sia esso con o senza rappresentanza (in senso contrario, Cass.
23 maggio 1975, n. 2064, Foro it., Rep. 1976, voce Mandato, n. 14; 9
agosto 1961, n. 1945, id., Rep. 1961, voce Impresa e imprenditore, n. 22, v. anche Buonocore, Imprenditore (dir. priv.), voce dell 'Enciclopedia del diritto, 1970, XX, 524 ss.). Infatti:
a) che l'attività imprenditoriale possa essere oggetto di un man
dato con rappresentanza trova testuale enunciazione legislativa ne
gli art. 2203 ss. c.c., i quali espressamente disciplinano la figu ra dell'institore (Anastasi, Institore, voce dell 'Enciclopedia del
diritto, 1971, XXI, 844 ss.). L'art. 2203 qualifica come tale co
lui che è preposto dal titolare all'esercizio di una impresa com
merciale (o anche di una sede secondaria o di un ramo particolare di
essa) (Cass. 14 maggio 1977, n. 1932, Foro it,, Rep. 1977, voce Impresa, n. 41; 11 febbraio 1977, n. 623, ibid., n. 42). I successivi art. 2204, 2206
e 2207 menzionano espressamente la procura conferita all'institore: e si
sa che la procura è l'atto con cui viene conferita la rappresentanza al
mandatario. Dal fatto della preposizione deriva il potere di compiere tutti gli atti inerenti all'esercizio della impresa (art. 2203 c.c.), si che
l'institore può qualificarsi, secondo la generale opinione, come rappre sentante generale dell'imprenditore (Cass. 23 maggio 1975, n. 2064, id.,
Rep. 1976, voce Mandato, n. 14; 27 maggio 1975, n. 2144, ibid., voce
Impresa, n. 17; 9 aprile 1969, n. 1120, id., 1969, I, 3242; 'Ranuccio,
Impresa, voce dell 'Enciclopedia del diritto, 1970, XX, 605).
b) Quanto al mandato senza rappresentanza, costituisce fenomeno conosciuto nella realtà giuridica ed economica quello dell'effettivo
titolare di una impresa che, rimanendo nell'ombra, fa agire in sua vece un prestanome che a tutti gli effetti assume su di sé tutte le
conseguenze della attività svolta, prima tra queste la qualifica di
Motivi della decisione. — Con il primo motivo si denuncia
violazione e falsa applicazione degli art. 44 e 90 1. fall, e dell'art.
1344 c.c. in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c. La ricorrente premette che dall'acquisizione al fallimento del
l'intero patrimonio dell'imprenditore fallito (fatta eccezione per i
beni indicati nell'art. 46 1. fall.) discende la regola, stabilita
dall'art. 44 1. fall., della inefficacia nei confronti dei creditori
degli atti di disposizione compiuti dal fallito; della quale regola
imprenditore. Il prestanome opera in proprio nome e ad esso fanno
capo i rapporti giuridici posti in essere, mentre i rapporti con il vero titolare — imprenditore occulto — sono regolati da un patto interno, ignoto ai terzi. Tale patto realizza un rapporto di mandato senza
rappresentanza e lungamente ha fatto discutere sulla assunzione da
parte del mandante della qualità di imprenditore i(occulto) e della relativa responsabilità verso i terzi, congiunta a quella del mandatario, imprenditore palese (per tutti, Bigiavi, L'imprenditore occulto, Padova, 1954, 19 ss.; Ghidini, Lineamenti del diritto dell'impresa, Milano, 1978, 7 e 8; Ferrara jr., Gli imprenditori e le società, Milano, 1975, 45).
2. - L'affidamento a terzi della gestione provvisoria della impresa del
fallito, attraverso il sistema dell'affitto del complesso aziendale, è sovente preferito, nella prassi delle procedure fallimentari, all'esercizio
provvisorio disciplinato dall'art. 90 1. fall. L'affitto, infatti, pur diverso dall'esercizio provvisorio sotto il profilo della struttura e della discipli na (Rivolta, L'affitto e la vendita dell'azienda nel fallimento, 33 ss., n.
6) consente in taluni casi il perseguimento dei medesimi scopi concreti, con il vantaggio di un minor rischio '(e minori problemi per il
curatore), in quanto è il terzo ad assumere i rischi e le responsabilità della gestione. Al pari che con l'esercizio provvisorio attraverso l'affitto si può giungere al risultato di conservare i beni dell'impresa nel loro
complesso come struttura funzionante, salvaguardando il valore di
avviamento, in vista di una più favorevole alienazione o addirittura di un possibile concordato (sul problema dell'ammissibilità dell'affitto, BonsIgnori, Liquidazione dell'attivo, in Commentario, a cura di Scia
loja e Branca, 1976, 33 ss.; P. Sandulli, In tema di affitto di azienda, ecc., in Foro it., 1959, I, 685).
Sussiste certamente un interesse pratico del debitore fallito ad una
migliore realizzazione dell'attivo, ovvero alla conservazione dell'azienda in vista di un concordato, e per tale ragione accade molte volte che sia lo stesso debitore a reperire, ed a proporre, il terzo aspirante affittuario. Tra fallito e terzo possono intervenire accordi sottostanti all'affitto, e in tal caso occorre stabilire quale rilevanza abbiano per il fallimento.
3 - Nella fattispecie esaminata, la Cassazione ha ritenuto di poter escludere che tra fallito e terzo affittuario fosse intervenuto un con tratto di mandato senza rappresentanza, in virtù ed in esecuzione del quale il terzo avesse concluso con il curatore fallimentare il contratto di affìtto di azienda in nome proprio, ma nell'interesse del fallito cui poi trasferire l'azienda stessa come strumento per la continuazione della precedente attività imprenditoriale.
Non Ha peraltro affrontato il caso limite, che è proprio quello del contratto concluso nell'esclusivo interesse del fallito. Il quale, in attesa di un possibile concordato, ovvero in vista di una migliore alienazione (e talvolta per altri scopi), trova un affituario prestanome e, concluso che sia l'affitto con la curatela, rimane dietro le quinte per la effettiva gestione della azienda, continuando l'attività imprenditoriale con esclu sione del terzo che assume la figura della « testa di paglia ».
4. - Tralasciando per ora questa ipotesi estrema, si deve dire anzitutto che il vero problema, nei suoi termini generali, non consiste affatto (come invece sembrerebbe opinare la sentenza) nell'accertare se l'art. 90 1. fall, escluda oppure no una legittimazione negoziale del fallito in ordine alla azienda, in virtù della quale il fallito sia abilitato a compiere negozi giuridici che producano l'effetto di attribuire a terzi il godimento e la utilizzazione della azienda stessa (con il conseguente esercizio dell'attività imprenditoriale). La volontà del fallito, che è stato privato dell'amministrazione e della disponibilità dei suoi beni, non può avere infatti alcuna rilevanza nella conclusione dell'affitto, che interviene esclusivamente tra il terzo e gli organi fallimentari ed alla quale il fallito resta del tutto estraneo (sulla legittimazione degli organi fallimentari, Cass. 25 marzo 1961, n. 682, Foro it., 1961, I, 1143; Rivolta, op. cit., 40 ss., n. 9). Una attività negoziale del fallito, che confligga con il potere decisionale del tribunale fallimentare, o a questo si sovrapponga, non è neppure ipotizzabile.
Si tratta, invece, di stabilire se, e quali, negozi possano intervenire tra il fallito e il terzo, che abbiano come presupposto la ipotesi in cui gli organi fallimentari (con volontà negoziale del tutto autonoma) diano l'azienda in affitto al terzo.
In linea generale, e trascurando ancora il caso di affitto concluso da una « testa di paglia » nell'esclusivo interesse del fallito, occorre partire dalla premessa che i negozi compiuti dal fallito sono inefficaci rispetto ai creditori concorsuali, ma nei rapporti tra le parti sono valildi e costituiscono per costui fonte di obbligazione una volta che, intervenu ta la chiusura del fallimento, sia cessata la destinazione dei suoi beni al soddisfacimento dei creditori (Cass. 3 maggio 1979, n. 2549, Foro it., Rep. 1979, voce Fallimento, n. 228; 30 aprile 1969, n. 1411, id., 1970, I, 609; Andrioli, Fallimento (dir. priv.), voce dell'Enciclopedia del diritto, 1967, XVI, 381).
Per tale ragione, è valido, come ha opinato la sentenza, l'obbligo assunto dal fallito di rivalere quando sarà tornato in bonis, l'affittuario delle obbligazioni che potrebbe assumere a causa della gestione della
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