sezione lavoro; sentenza 19 luglio 2003, n. 11305; Pres. Trezza, Est. Foglia, P.M. Sorrentino(concl. diff.); Soc. Montedison (Avv. Biamonti, Vanzetti) c. Scatà (Avv. Ramadori, Gallotta).Cassa Trib. Ferrara 6 marzo 2000Source: Il Foro Italiano, Vol. 127, No. 9 (SETTEMBRE 2004), pp. 2477/2478-2485/2486Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23199405 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
all'evidenza copre la frazione dell'«anno solare» di maturazione
del diritto a pensione, successiva all'evento — dal quale il di
ritto stesso deriva — del compimento di «almeno sessantacin
que anni di età, dopo almeno trenta anni di effettiva iscrizione e
contribuzione alla cassa» (ai sensi dell'art. 2, 1° comma, 1.
576/80, come sostituito dall'art. 1 1. 141/92). Di conseguenza, il biennio di iscrizione all'albo professionale
— ai fini del diritto al primo supplemento della pensione di
vecchiaia — non può che decorrere dal 1° gennaio dell'anno
solare — immediatamente successivo a quello di maturazione
del diritto a pensione — e venire a scadenza il 31 dicembre di
due anni dopo. Peraltro, al pari della pensione di vecchiaia, anche i supple
menti relativi vanno calcolati — in forza di esplicito rinvio (di cui al secondo periodo dello stesso art. 2, penultimo comma, 1.
576/80, come sostituito dall'art. 1, 5° comma, 1. 141/92, cit.) —
sulla base dei previsti redditi professionali, ai fini dell'Irpef, «risultanti dalle dichiarazioni relative (agli) anni solari anteriori
alla maturazione del diritto» (ai sensi del richiamato 1° comma
dello stesso art. 2 1. 576/80, come sostituito dall'art. 1 1.
141/92). Conforme ai principi di diritto enunciati, risulta, quindi, il di
spositivo della sentenza impugnata — che ha rigettato la do
manda dell'attuale ricorrente, volta ad ottenere dalla cassa un
supplemento di pensione ulteriore rispetto a quello già liquidato — ma ne va corretta, tuttavia, la motivazione in diritto — in
coerenza con gli stessi principi — e, per l'effetto, dev'essere ri
gettato il ricorso per cassazione (ai sensi dell'art. 384, 2° com
ma, c.p.c.). 3. - Invero non è stato investito, dal ricorso per cassazione,
l'accertamento di fatto della sentenza impugnata. Ne risulta che l'attuale ricorrente — titolare di pensione di
vecchiaia, a carico della Cassa nazionale previdenza e assisten
za forense, a far tempo dal 1° agosto 1993 — è rimasto iscritto
all'albo professionale fino al 31 dicembre 1995 ed ha ottenuto
dalla cassa la liquidazione del primo supplemento biennale della
stessa pensione. Tanto basta per ritenere conforme — ai principi di diritto
enunciati — il rigetto, deciso dalla sentenza impugnata, della
domanda dell'attuale ricorrente, volta ad ottenere dalla cassa un
supplemento di pensione ulteriore rispetto a quello già liquidato.
Infatti, il diritto alla pensione di vecchiaia risulta, nella spe
cie, maturato (il 1° agosto 1993) — al compimento dei sessanta
cinque anni di età, appunto, dopo almeno trenta anni di effettiva
iscrizione e contribuzione alla cassa — calcolando «per intero»
10 stesso anno solare di maturazione del diritto (1993).
Di conseguenza, il biennio di iscrizione all'albo professionale —
per il quale risulta già liquidato dalla cassa il primo supple
mento di pensione — non può che riguardare gli anni solari
1994 e 1995, essendosi l'attuale ricorrente cancellato dall'albo
professionale il 31 dicembre di quest'ultimo anno.
Il primo supplemento di pensione, poi, è stato calcolato — al
pari della pensione — sulla base dei redditi professionali, ai fini
dell'Irpef, risultanti dalle dichiarazioni relative agli anni prece denti (1993 e 1994, quindi, per quanto riguarda il supplemento).
In conclusione, alla luce dei principi di diritto enunciati,
l'attuale ricorrente — in difetto dell'iscrizione all'albo profes
sionale, anche per un sol giorno dell'anno 1996 — non ha matu
rato il diritto preteso ad un supplemento di pensione ulteriore —
rispetto a quello già liquidato dalla cassa, riguardante gli anni
1994 e 1995 — né, comunque, ad includerne nella base di cal
colo il reddito professionale relativo all'anno 1995.
Il dispositivo della sentenza impugnata — che ha negato il di
ritto preteso dall'attuale ricorrente — risulta, quindi, conforme
ai principi di diritto enunciati. In coerenza con gli stessi principi, tuttavia, dev'essere cor
retta — nei termini prospettati — la motivazione in diritto della
sentenza impugnata, che riposa, erroneamente, sull' asserita in
sussistenza — al momento della maturazione del diritto al sup
plemento di pensione preteso (1° gennaio 1996) — di «redditi dichiarati ai fini dell'Irpef del 1995», sebbene questi
— ove non
fossero da escludere, per quanto si è detto, dalla base di calcolo
del supplemento preteso —
potessero risultare da dichiarazione
provvisoria (ai sensi dell'art. 17, ultimo comma, 1. 576/80), nelle more della presentazione della dichiarazione annuale.
4. - Il ricorso, pertanto, dev'essere rigettato.
11 Foro Italiano — 2004.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 19 luglio
2003, n. 11305; Pres. Trezza, Est. Foglia, P.M. Sorrentino
(conci, diff.); Soc. Montedison (Avv. Biamonti, Vanzetti) c.
Scatà (Avv. Ramadori, Gallotta). Cassa Trib. Ferrara 6
marzo 2000.
Brevetti per invenzioni industriali — Invenzioni di servizio e
invenzioni di azienda — Differenza (R.d. 29 giugno 1939 n. 1127, testo delle disposizioni legislative in materia di brevetti
per invenzioni industriali, art. 23). Brevetti per invenzioni industriali — Invenzione d'azienda
— Equo premio — Prescrizione — Decorrenza (Cod. civ.,
art. 2946; r.d. 29 giugno 1939 n. 1127, art. 23).
Quando non è prevista, in un contratto di lavoro subordinato,
una specifica retribuzione a compenso dell'attività inventiva,
l'invenzione fatta dal dipendente durante lo svolgimento delle
sue mansioni si configura come invenzione di azienda e non
come invenzione di servizio, per la quale invece tale retribu
zione è prevista, pur se l'attività lavorativa inventiva è pre
supposta da entrambe le fattispecie. (1)
Nell'invenzione d'azienda il diritto del lavoratore, autóre del
l'invenzione, all'equo premio si prescrive nel termine di dieci
anni, decorrenti dalla data di concessione del brevetto. (2)
(1-2) I. - La sentenza in rassegna traccia i criteri di distinzione delle
invenzioni di azienda da quelle di servizio; la questione in precedenza era stata affrontata da Cass. 21 luglio 1998, n. 7161, Foro it., 1999,1,
1548, con nota di Menasci, nonché 6 novembre 2000, n. 14439, id.,
Rep. 2001, voce Brevetti, n. 138 (per esteso, Riv. it. dir. lav., 2001, II,
680). Tali sentenze sono state richiamate da Cass. 11305/03, che afferma
di porsi in continuità con i principi da esse espressi; in realtà, a ben ve
dere, vi è una qualche dissonanza tra gli arresti in questione (pur se l'e
stensore di Cass. 7161/98 e 11305/03 è il medesimo). In particolare Cass. 7161/98 afferma, sì, che va configurata l'inven
zione d'azienda, e non quella di servizio, allorché non è prevista una
retribuzione a specifico compenso dell'attività inventiva, ma anche,
come ulteriore elemento distintivo dalle invenzioni di servizio, che
quest'ultima non deve costituire oggetto del contratto di lavoro (pur se
anche l'invenzione di azienda è pur sempre avvenuta nell'ambito del
l'originario rapporto di lavoro). Così invece Cass. 14439/00: «L'ele
mento distintivo fra l'ipotesi prevista dall'art. 23, 1° comma, r.d.
1127/39 (invenzione di servizio) e quella di cui al 2° comma (invenzio ne d'azienda) deve essere ricercata nella previsione, o meno, di una
specifica retribuzione che trovi la sua causa nell'obbligo del lavoratore
a svolgere l'attività inventiva, dovendo la previsione contrattuale del ri
sultato inventivo risultare pattiziamente correlata ad una specifica voce
retributiva; nessun rilievo può invece accordarsi né all'oggetto del
contratto — essendo l'obbligo di inventare comune ad entrambe le
ipotesi previste dall'art. 23 — né all'adibizione del lavoratore a compiti di ricerca, essendo la nozione stessa di attività di ricerca del tutto estra
nea alla normativa da interpretare; nell'ipotesi prevista dal 2° comma
dell'art. 23 il vantaggio per il lavoratore è costituito dall'equo premio, che spetta al giudice determinare in via equitativa».
La sentenza in rassegna, inoltre, riconosce che in entrambe le ipotesi
previste dall'art. 23 1. inv. «l'attività inventiva o quella di ricerca non
può di per sé considerarsi completamente estranea all'oggetto del con
tratto»; ne segue che il criterio distintivo sta proprio e sostanzialmente
solo nella specifica previsione o meno della retribuzione per l'attività
inventiva. II. - La corte di legittimità ha avuto già modo di occuparsi di ulteriori
profili delle invenzioni di servizio e di azienda. Cass. 5 giugno 2000, n.
7484, Foro it., 2001, I, 554 (con nota di Menasci, nonché di Libertini,
Appunti sulla nuova disciplina delle «invenzioni universitarie», id.,
2002, I, 2170), ha risolto una delle questioni di maggior rilievo poste dall'istituto, la determinazione dei presupposti per il riconoscimento e
il venir meno del diritto del lavoratore all'equo premio (individuati, ri
spettivamente, nella concessione del brevetto e nella declaratoria giudi ziale di nullità dello stesso). In termini, di recente, si è pronunciata Cass. 6 dicembre 2002, n. 17398, id., Rep. 2002, v.oce cit., n. 103 (se
condo cui il lavoratore, nei casi di inerzia del datore di lavoro nella
brevettazione, ovvero di utilizzo in segreto dell'invenzione, può prov vedere alla brevettazione dopo avere invano diffidato il datore di lavoro
ad effettuarla). Cfr. anche Cass. 12 aprile 1999, n. 3599, id., Rep. 1999,
voce cit., n. 93, per la quale il dipendente che, nel corso del rapporto di
lavoro, abbia realizzato un'opera grafica della quale il datore di lavoro
abbia fatto un'utilizzazione economica brevettandola come marchio
d'impresa, non ha diritto all'equo compenso previsto dall'art. 23 1. inv.,
non avendo realizzato un'invenzione industriale, bensì un disegno or
namentale (al quale è applicabile la diversa disciplina dettata dall'art. 7
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2479 PARTE PRIMA 2480
Svolgimento del processo. — Con ricorso del 3 aprile 1996 al
Pretore di Ferrara, Umberto Scatà conveniva in giudizio la so
cietà Montedison s.p.a. per ottenere il pagamento dell'equo
premio di cui all'art. 23, 2° comma, r.d. n. 1127 del 1939, da
determinarsi a mezzo di c.t.u., conseguente ad alcune invenzioni
da lui realizzate nel corso del rapporto di lavoro e poi brevettate
da parte della società datrice di lavoro.
Precisava il ricorrente: che sin dal gennaio 1975 gli era stato
affidato un progetto di «ricerca e sviluppo di catalizzatori di alta
resa per il propilene e morfologia controllata», in esecuzione del
quale erano stati depositati dieci brevetti industriali, sei dei
quali lo avevano visto come autore e quattro come coautore; che
nel 1980 era stato promosso all'ottavo livello del c.c.n.l. di set
tore e che, dalla data di passaggio della Montedison alla Himont
Italia s.r.l. (1983), era stato trasferito al settore della produzione. Si costituiva la società convenuta, contestando la pretesa del
l'attore, rilevando che le indicate invenzioni costituivano il ri
sultato non occasionale ma naturale dell'attività lavorativa affi
data al ricorrente, sicché trattavasi di invenzione di servizio e
non di azienda, ai sensi dell'invocato art. 23. Aggiungeva la so
cietà che per tale attività lo Scatà aveva percepito ripetutamente incrementi retributivi e premi, alcuni dei quali riconosciuti pro
prio in relazione alle invenzioni realizzate. Eccepiva, inoltre, la
società l'avvenuta sottoscrizione, da parte del lavoratore, di una
quietanza liberatoria, alla fine del rapporto, con la quale aveva
rinunziato espressamente ad ogni compenso ulteriore. Eccepiva, infine, la prescrizione del diritto all'equo premio, essendo que sto sorto in capo al ricorrente al momento in cui l'invenzione
era stata comunicata al datore di lavoro e non al momento della
concessione del brevetto.
Con sentenza del 25 luglio 1998, il pretore adito accoglieva la
domanda, rimettendo la causa in istruttoria per la determinazio
ne del quantum.
Proposto appello da parte della società, resistente lo Scatà, il
r.d. n. 1411 del 1940, non prevedente alcun diritto a compenso). Per ulteriori profili, v. infine Cass. 28 dicembre 1999, n. 14620, id., Rep. 2001, voce cit., n. 146.
III. - Per la giurisprudenza di merito, cfr., oltre ai provvedimenti ri chiamati nelle note a Cass. 7484/00 e 7161/98 cit., Trib. Milano 6 di cembre 1999, id., Rep. 2002, voce cit., n. 106 (secondo cui la domanda
giudiziale per il riconoscimento dell'equo premio di cui all'art. 23, 2°
comma, 1. inv. non va proposta nei confronti del soggetto che era datore di lavoro del dipendente inventore al momento della comunicazione dell'invenzione e della presentazione della domanda di brevetto, qualo ra il brevetto stesso sia stato successivamente concesso ad un altro sog getto, a seguito della cessione della predetta domanda di brevetto). Cfr.
anche, per la quantificazione dell'equo premio, Pret. Ferrara 13 aprile 1999, id.. Rep. 2001, voce cit., n. 144. Con riferimento ad una transa zione (anteriore alla concessione del brevetto) contenente la rinuncia da
parte del dipendente all'equo premio, v. Trib. Venezia 5 ottobre 1999, ibid., n. 141.
IV. - Quanto alla dottrina, va segnalato che la sentenza in rassegna fa
propria l'interpretazione sostenuta dalla dottrina minoritaria, ed in par ticolare da Libertini, op. cit., 2170. Adde, agli autori citati dalle note
surrichiamate, Amoroso, Invenzione del prestatore di lavoro, voce del l' Enciclopedia del diritto, Milano, 1998, aggiornamento II, 447; Di Ca
taldo, / brevetti per invenzione e per modello, in Codice civile com mentato diretto da P. Schlesinger, Milano, 2000, 183, nonché Le in venzioni delle università. Regole di attribuzione dei diritti, regole di di stribuzione dei proventi, e strumenti per il trasferimento effettivo delle invenzioni al sistema delle imprese, in Riv. dir. ind., 2002, I, 337. Di
particolare interesse sono poi le osservazioni di Vanzetti-Di Cataldo, Manuale di diritto industriale, Milano, 1993, par. 67 (il primo autore è stato il difensore del datore di lavoro nel processo concluso dalla sen tenza in rassegna), secondo cui — conformemente all'interpretazione maggioritaria — nelle invenzioni di servizio l'attività inventiva è sen z'altro oggetto del rapporto di lavoro (gli autori segnalano anche che. in ragione dell'interpretazione restrittiva della giurisprudenza, «l'in venzione di servizio tende a sparire, o, quantomeno, ad apparire come
ipotesi eccezionale»). Va segnalato, infine, che il progetto definitivo del codice dei diritti di
proprietà intellettuale (previsto in forza della delega contenuta nell'art. 15 1. 12 dicembre 2002 n. 273), di recente reso pubblico, prevede le in venzioni dei dipendenti all'art. 64 (il cui testo, pur se il codice è previ sto come ricognitivo, contiene alcune innovazioni — rispetto al vigente art. 23 1. inv. — quanto alla determinazione dell'equo premio).
V. - Il principio espresso dalla seconda massima è coerente con la te si che identifica nella brevettazione la condizione costitutiva del pre mio: v. Cass. 7484/00, cit. [G. Casaburi]
Il Foro Italiano — 2004.
Tribunale di Ferrara confermava la statuizione del primo giudi
ce, con sentenza del 6 marzo 2000, osservando che dall'istrutto
ria espletata emergeva che l'oggetto della prestazione affidata
all'appellato (assunto nel 1954 come assistente di laboratorio e
solo nel 1974 chiamato presso il centro ricerche di Ferrara,
avente come obiettivo specifico quello di individuare — in col
laborazione con l'istituto Donegani di Novara — nuovi cataliz
zatori ad alta resa, per il polipropilene) concerneva lo svolgi mento di un'attività di ricerca che, pur potendo comportare il
conseguimento di invenzioni, non era a tal fine indirizzata.
Aggiungeva il tribunale che l'adibizione dello Scatà alle atti
vità di ricerca non aveva comportato alcuna rinegoziazione delle
originarie condizioni di lavoro, né erano emersi elementi speci fici idonei ad attestare una correlazione causale tra la retribu
zione percepita e la prestazione inventiva: gli aumenti retributi
vi riconosciutigli nel corso del rapporto — analiticamente esa
minati dal primo giudice — «benché influenzati dai positivi ri sultati conseguiti, non erano mai stati destinati a compensare lo
sforzo inventivo». Di conseguenza — a giudizio del tribunale
—- le invenzioni in oggetto non potevano definirsi «di servizio»,
trattandosi piuttosto di «invenzioni di azienda», da cui il ricono
scimento dell'equo premio previsto dalla legge brevettuale.
Il tribunale disattendeva l'eccezione di prescrizione sollevata
dalla società appellante, operando, nella fattispecie, la prescri zione decennale decorrente dal rilascio del brevetto, che segna il
momento in cui i diritti da questo derivanti possono essere eser
citati (conf. Cass. 10 gennaio 1989, n. 30, Foro it., Rep. 1989,
voce Brevetti, n. 109; 16 gennaio 1979, n. 329, id., 1979, I,
1416; 2646/90, id., Rep. 1992, voce cit., n. 104). Né poteva ritenersi — come pure sostenuto dalla società —
che il diritto vantato dal lavoratore potesse dirsi rinunziato con
la «liberatoria» sottoscritta al momento della cessazione del
rapporto: in tale quietanza, infatti, non si rinviene alcun riferi
mento all'equo premio né viene manifestata la consapevolezza della sua debenza ovvero la volontà di rinunciarvi, sicché alla
stessa non può attribuirsi alcun valore abdicativo (conf. Cass. 26
gennaio 1995, n. 933, id., Rep. 1995, voce Obbligazioni in ge
nere, n. 30; 13 giugno 1998, n. 5930, id., Rep. 1999, voce Lavo
ro (rapporto), n. 2061). Per la cassazione di questa sentenza la società propone ricor
so, articolato in quattro motivi, cui resiste l'intimato con contro
ricorso.
In prossimità dell'udienza la società ha depositato mèmoria
illustrativa ex art. 378 c.p.c. Motivi della decisione. — Col primo motivo la società ricor
rente lamenta la violazione e falsa applicazione dell'art. 23 r.d.
29 giugno 1939 n. 1127 e dell'art. 2103 c.c., sostenendo che er
roneamente il tribunale aveva inquadrato le invenzioni ideate
dallo Scatà nella categoria delle invenzioni di azienda anziché
in quelle di servizio. L'attività di ricerca affidata allo Scatà era
volta proprio all'ottenimento di invenzioni, e non di mere appli cazioni.
Né era significativa la circostanza che non era intervenuta tra
le parti alcuna rinegoziazione delle originarie condizioni con
trattuali, atteso che il diritto alle superiori mansioni «inventive»
era stato conseguito dal lavoratore ex lege, in virtù dell'art.
2103 c.c., con l'attribuzione allo stesso della qualifica e dei cor
rispondenti diritti e doveri.
In ogni caso — osserva la ricorrente — la retribuzione è solo
un indice utilizzabile per la qualificazione dell'invenzione come
invenzione di azienda, ma non è l'indice esclusivo, essendo
piuttosto decisivo il contenuto della prestazione lavorativa.
Il motivo non può essere accolto.
Va premesso che l'art. 23 1. brevetti stabilisce, al 1° comma,
che, quando l'invenzione «è fatta nell'esecuzione o nell'adem
pimento di un contratto o di un rapporto di lavoro o d'impiego, in cui l'attività inventiva è prevista come oggetto del contratto o
del rapporto e a tale scopo retribuita, i diritti derivanti dall'in
venzione stessa appartengono al datore di lavoro ...».
Il 2° comma aggiunge che, «se non è prevista una retribuzio
ne, in compenso dell'attività inventiva, e l'invenzione è fatta
nell'esecuzione o nell'adempimento di un contratto o di un rap
porto di lavoro o d'impiego, i diritti derivanti dall'invenzione
appartengono al datore di lavoro, ma all'inventore spetta un
equo premio per la determinazione del quale si terrà conto del
l'importanza dell'invenzione».
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Leggendo i due commi in connessione tra loro e con riferi
mento ai principi generali dell'ordinamento (secondo quanto
impone l'art. 12 disp. prel. c.c.), si evidenziano almeno due
elementi comuni ad entrambe le previsioni: da una parte la cir
costanza che l'invenzione sia avvenuta nell'ambito dell'esecu
zione del contratto di lavoro subordinato, dall'altra la conse
guenza dell'appartenenza al datore di lavoro dei diritti patrimo niali derivanti dall'invenzione — fermo restando, in ogni caso,
il diritto morale del dipendente ad essere considerato autore del
l'invenzione, secondo quanto disposto dall'art. 2590 c.c.
Come è noto, l'attribuzione (a titolo originale) al datore di la
voro dei diritti patrimoniali rappresenta di per sé un sensibile
scostamento rispetto al principio fondamentale in materia bre
vettuale, secondo cui è l'autore dell'invenzione ad essere titola
re dei diritti di utilizzazione economica (art. 1 e 18 r.d. cit.).
Tale scostamento — del tutto comprensibile per l'apporto, di
solito decisivo, che l'organizzazione dell'impresa conferisce
alla genesi ed all'attuazione dell'invenzione — giustifica la ne
cessità (già avvertita da Cass. 16 gennaio 1979, n. 329) di
un'interpretazione restrittiva delle regole che escludono il di
ritto del dipendente all'equo premio. La previsione del beneficio che il 2° comma dell'art. 23 rico
nosce al dipendente (espropriato del diritto di utilizzazione eco
nomica) risponde infatti ad una logica indennitaria, che si coglie valorizzando lo specifico contenuto del contratto individuale di
lavoro voluto dalle parti. Ed infatti il dato nettamente differen
ziale tra le fattispecie previste dai due commi, risiede nell'esse
re o non «prevista una retribuzione» in compenso dell'attività
inventiva: solo nel 1° comma, infatti, l'attività inventiva o, co
munque, il suo perseguimento (Cass. 6 marzo 1992, n. 2732, id.,
Rep. 1992, voce Brevetti, n. 102), è prevista come oggetto del
contratto o del rapporto e «a tale scopo retribuita».
Emerge, allora, con chiarezza il connotato distintivo della
fattispecie del 2° comma dell'art. 23 (la c.d. «invenzione d'a
zienda») rispetto a quella di cui al 1° comma (la c.d. «invenzio
ne di servizio»): nella prima, infatti, la prestazione del dipen
dente, pur consistente nel perseguimento di un risultato inventi
vo, risulta essere presa in considerazione dalle parti — ai fini
del corrispettivo economico — nella sua «qualità», intesa come
mera potenzialità inventiva, nel senso che il conseguimento del
l'invenzione non rientra nell'oggetto dell'attività dovuta, anche
se resta pur sempre collegata a questa stessa attività.
Certo, l'invenzione non deve essere del tutto occasionale o
spontanea, né completamente estranea all'oggetto, in senso tec
nico, del contratto (ma non è questa l'ipotesi in esame), perché in tal caso essa rientrerebbe piuttosto nella previsione dell'art.
24 stessa 1. brevetti, che conferisce al datore di lavoro soltanto
un diritto di prelazione sull'utilizzazione economica dell'inven
zione, la cui titolarità appartiene, in origine, al lavoratore in
ventore.
Presupposto essenziale dell'art. 23 è, invece — come già si è
detto più sopra — che l'invenzione sia stata realizzata «nel
l'esecuzione o nell'adempimento» del contratto, mentre ciò che
manca, rispetto all'invenzione di servizio, è lo specifico corri
spettivo, in cui luogo la legge prevede, appunto, l'equo com
penso. Naturalmente il discrimine in concreto tra le due fattispecie a
confronto può essere non agevole, atteso che ogni prestazione di
lavoro subordinato è in sé di mezzi, mentre l'invenzione è un ri
sultato, per di più aleatorio o meglio incerto, come invece tende
a non essere la retribuzione. Ma a parte l'ammissibilità, in via di
principio, di forme o comunque di voci o componenti retributive
legate al risultato, la previsione del 1° comma dell'art. 23, ri
spetto a quella del 2° comma, sta proprio nel fatto che oggetto
del contratto sia l'attività inventiva, cioè il particolare impegno
per raggiungere un risultato prefigurato dalle parti, dotato dei
requisiti della brevettabilità stabiliti dalla legge, e che, a tale
scopo, sia prevista una retribuzione.
Del resto, sul piano interpretativo evolutivo, va tenuto pre
sente che la tecnica legislativa utilizzata dall'art. 23, 2° comma,
ha trovato, sia pure a distanza di parecchi anni, una suggestiva
eco nell'art. 4 1. 13 maggio 1985 n. 190 sui «quadri», il quale stabilisce che i contratti collettivi «possono definire le modalità
tecniche di valutazione e l'entità del corrispettivo dell'utilizza
zione» (in sostanza, l'equo premio), tra l'altro, per le invenzioni
che «non costituiscano oggetto della prestazione di lavoro de
II Foro Italiano — 2004.
dotta in contratto, ammettendo, dunque, che l'invenzione, ben
ché costituente risultato, possa a tal punto caratterizzare la pre stazione da divenirne l'oggetto (Cass. 6117/85, id., Rep. 1986,
voce cit., n. 102). Altra assonanza del citato art. 23, 2° comma, è possibile
scorgere, sia pure per grandi linee, con le regole relative al patto di non concorrenza disciplinato dall'art. 2125 c.c., in cui
l'espropriazione di diritti fondamentali del lavoratore (alla li
bertà di lavoro e di iniziativa privata) è valida a condizione che
sia riconosciuto un equo compenso. Con la differenza, derivante
dalla diversa struttura dei fatti, che il patto di non concorrenza è
nullo se non è previsto il compenso, mentre, nel caso dell'in
venzione — che essendo già nella sfera del datore di lavoro, per diretta disposizione di legge, non può essere retrocessa al di
pendente inventore — la tutela dell'interesse del dipendente è
meramente economica e segue l'alternativa o del riconosci
mento della specifica e distinta remunerazione (che è un'alea
per il datore di lavoro, ma esclude il più gravoso equo premio) ovvero del riconoscimento dell'equo premio, che si ha solo nel
caso di invenzione brevettata.
Una volta precisato, per quanto sopra esposto, il discrimine
tra le due fattispecie disciplinate dal 1° e dal 2° comma dell'art.
23, compito del giudice di merito è quello di accertare — sulla
base dell'interpretazione del contratto basata sui criteri dettati
dall'art. 1362 c.c. — se le parti hanno voluto in effetti pattuire una retribuzione che, sia pure in parte, si collochi come corri
spettivo dell'obbligo del dipendente di svolgere un'attività in
ventiva.
In proposito questa corte ha, a più riprese (sent. 329/79, cit.; 5
novembre 1997, n. 10851, id., 1998, I, 490; 21 luglio 1998, n. 7161, id., 1999, I, 1548; 6 novembre 2000, n. 14439, id., Rep. 2001, voce cit., n. 138), sottolineato che si tratta di indagare sulla volontà delle parti, non operando ex post, quando l'inven
zione è stata conseguita, perché con questo criterio si dovrebbe
considerare pattuita l'attività inventiva in tutti i casi in cui la
prestazione lavorativa abbia dato luogo, comunque, ad un'in
venzione, ma indagando ex ante sull'effettivo intendimento
delle parti. Né può assumere rilievo la maggiore o minore probabilità che
dall'attività lavorativa pattuita scaturisca l'invenzione, di tal
che, ogniqualvolta sia probabile quel risultato, si dovrebbe au
tomaticamente considerare come rientrante nella previsione contrattuale. Ed infatti, delle due l'una: o le parti hanno espres samente previsto l'invenzione come oggetto dell'attività lavo
rativa, ovvero non l'hanno prevista, ed allora l'elemento proba
bilistico, che può essere connaturato alla diversa attività pattui
ta, non assume rilevanza e non può considerarsi integrata la fat
tispecie di cui al 1° comma dell'art. 23. Se ne trae un'ulteriore conferma dalla dizione del 2° comma
di tale norma, il quale riguarda, appunto, l'ipotesi in cui l'in
venzione non è stata prevista come oggetto del contratto, ma sia
stata conseguita nel corso dell'esecuzione del contratto o del
rapporto di lavoro, sicché proprio per questo le parti non hanno
pattuito alcuna retribuzione per l'attività inventiva (Cass. 6
marzo 1992, n. 2732, cit.). Orbene, il Tribunale di Ferrara, attraverso una compiuta in
dagine, ha potuto escludere del tutto che una tale retribuzione
fosse stata prevista dalle parti, considerando — tra l'altro —
che il trattamento economico riconosciuto allo Scatà, anche do
po la sua destinazione ad attività di ricerca finalizzata all'inven
zione, non ha subito alcuna significativa modificazione, né tale
destinazione ha comportato alcuna rinegoziazione delle origina
rie condizioni contrattuali. A ciò ha aggiunto il giudice del gra
vame che «neppure sono emersi elementi specifici atti a far rite
nere una correlazione causale tra la retribuzione percepita e la
prestazione inventiva».
Inoltre, dalla specifica indagine peritale eseguita d'ufficio, lo stesso giudice ha tratto la convinzione — in questa sede non
sindacabile perché sorretta da una motivazione esente da vizi
logici — che lo Scatà aveva avuto una normale progressione di
carriera, anche economica, all'interno della società e che gli
aumenti retributivi riconosciutigli nel corso del rapporto —
analiticamente esaminati anche dal giudice di prime cure —
benché sicuramente influenzati dai positivi risultati conseguiti,
non erano mai stati destinati a compensare lo sforzo inventivo,
essendo piuttosto legati ad ordinari passaggi di qualifica.
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2483 PARTE PRIMA 2484
Le considerazioni che precedono non consentono di condivi
dere l'avviso che la società ricorrente ha ritenuto di ricavare
dalla sentenza n. 14439 del 2000 di questa corte, affermandone
una certa dissonanza con la precedente sentenza n. 7161 del
1998, oggetto di rilievi critici. Ed invero la stessa società, nella memoria illustrativa, così
sintetizza la propria argomentazione difensiva, invocando a so
stegno la sentenza del 2000: a) l'ipotesi prevista dal 1° comma
dell'art. 23 si realizza specificamente «quando le parti si accor
dano nel senso che oggetto della prestazione lavorativa sia l'at
tività inventiva»; b) il 1° comma dell'art. 23 richiede testual
mente che, per la ricorrenza di quella ipotesi, debbano sussistere
insieme «un'attività inventiva e una retribuzione per detta atti
vità»; c) l'ipotesi prevista dal 2° comma presuppone, invece, la
mancanza di una specifica previsione contrattuale del risultato
inventivo.
È opportuno, in questa sede, nuovamente chiarire — anche
per l'autorevolezza della difesa da cui muovono le censure in
esame — quanto già anticipato nella citata sentenza del 1998, e
cioè che, secondo la formulazione testuale dell'art. 23 1. brevet
ti, non solo la fattispecie normativa dell'invenzione di servizio, ma anche quella dell'invenzione di azienda, presuppongono un'attività lavorativa «inventiva».
Ne discende necessariamente che, mentre in difetto del ca
rattere inventivo dell'attività dedotta in contratto si resta al di
fuori dell'ambito di applicazione dell'art. 23 (dovendo invece
trovare applicazione l'art. 24 1. brevetti relativo alle c.d. inven
zioni occasionali), in presenza di un'attività di ricerca diretta al
l'invenzione, prevista da entrambi i commi dell'art. 23, l'ele
mento distintivo non può che essere rintracciato nell'esplicita
previsione contrattuale di una speciale retribuzione volta a com
pensare l'attività inventiva, in mancanza della quale spetta
l'equo premio. A questa conclusione induce un antico e sempre autorevole
insegnamento concernente il diritto dei beni immateriali, secon
do cui, in presenza di un'attività inventiva svolta in regime di
subordinazione, si possono verificare due ipotesi: che detta atti
vità sia oggetto di una speciale remunerazione, ovvero che, pur rientrando la ricerca e lo scopo inventivo nell'ambito del rap
porto, essa tuttavia non sia a detto fine remunerata: orbene, sono
proprio queste le due fattispecie menzionate nel 1° e nel 2°
comma dell'art. 23 1. brevetti.
Nella richiamata sentenza n. 7161 del 1998 — che a questa dottrina si ispirava
— si rilevava, altresì, che, anche nel caso in
cui l'attività inventiva costituisca l'oggetto del contratto, si re
sta pur sempre in presenza di un'obbligazione di mezzi e non di
risultato, sicché l'obbligazione del lavoratore, dato il carattere
del tutto eventuale ed aleatorio del prodotto inventivo, non può che risolversi nel dovere di svolgere la propria attività con l'uso
della normale diligenza, facendo tutto quanto è ragionevolmente possibile per inventare (facere quantum possum a scopo inven
tivo). Tuttavia l'attività inventiva o quella di ricerca non può di
per sé ritenersi completamente estranea all'oggetto del contrat
to, inteso in senso tecnico, neanche nell'ipotesi prevista dal 2°
comma dell'art. 23, dovendo l'invenzione essere realizzata
«nell'esecuzione o nell'adempimento» del contratto e, quindi, nello svolgimento di un'attività costituente oggetto di questo.
Che, del resto, l'elemento distintivo che caratterizza l'inven
zione di servizio rispetto all'invenzione di azienda si sostanzi
nella previsione contrattuale di una speciale remunerazione del
risultato inventivo, sembra dimostrato dall'incipit del 2° comma
dell'art. 23, là dove recita: «se non è prevista e stabilita una re
tribuzione in compenso dell'attività inventiva». Nello stesso
senso inoltre si esprimeva la stessa relazione ministeriale al —
mai entrato in vigore r.d. 13 settembre 1934 n. 1602 — nel
commentare l'art. 22 (poi divenuto art. 23 1. brevetti). Col secondo motivo la società denuncia la violazione e falsa
applicazione dell'art. 2946 c.c. e degli art. 4 e 23 1. brevetti, non
avendo il tribunale fatto decorrere la prescrizione decennale
dalla domanda di brevetto che costituisce il momento in cui il
titolare comincia a godere di strumenti di protezione della sua
posizione (es. inibitoria, ecc.). Col terzo motivo si insiste sulla prescrizione di almeno uno
dei brevetti (concesso il 18 settembre 1985), non essendo inter
venuto alcun atto interruttivo (come quello contenuto nella lette
ra del 3 novembre 1995).
Il Foro Italiano — 2004.
Entrambi i motivi — che per loro connessione conviene esa
minare congiuntamente — sono solo in parte fondati nei termini
che seguono. In via di principio non v'è ragione per discostarsi dalla giuris
prudenza costante di questa corte, secondo la quale all'esercizio
del diritto all'equo premio previsto dal citato art. 23 r.d. n. 1127
del 1939 — consistente in una controprestazione straordinaria di
carattere indennitario corrisposta una tantum per una prestazio ne straordinaria costituita dal risultato inventivo non rientrante
nell'attività dovuta dal lavoratore — si applica la prescrizione decennale prevista dall'art. 2946 c.c. e non quella breve prevista dall'art. 2948 c.c., che si riferisce piuttosto alle prestazioni pe riodiche inserite in una causa debendi continuativa. La medesi
ma giurisprudenza ha precisato, altresì, che detta prescrizione — il cui decorso non è sospeso in corso di rapporto di lavoro —
inizia a decorrere dalla data della concessione del brevetto
(Cass. 10 gennaio 1989, n. 30, cit.). Non è, dunque, corretto individuare il dies a quo della pre
scrizione facendo riferimento ad un momento in cui il diritto
non è ancora nato, né può essere fatto valere nella sua compiu tezza (arg. art. 2935 c.c.), laddove l'operatività degli strumenti
di protezione anticipata rispetto a questo momento, evocati dalla
difesa della società ricorrente, esauriscono la loro funzione en
tro i limiti di una tutela affatto cautelare e provvisoria. Coerente con questo indirizzo, la corte ha più di recente com
pletato il quadro di riferimento, sottolineando che il diritto del
lavoratore all'equo premio ed il correlativo obbligo del datore
di lavoro di corrisponderlo sorgono con il conseguimento del
brevetto, non essendo sufficiente che si tratti di innovazioni su
scettibili di brevettazione ma non ancora brevettate. Il diritto del
lavoratore consegue, infatti, contemporaneamente all'insorgen za in favore del datore di lavoro dei diritti derivanti dall'inven
zione, i quali sono appunto conferiti, ai sensi dell'art. 4 stesso
r.d., solo con la concessione del brevetto, sicché è solo la bre
vettazione — in quanto costitutiva — che condiziona l'insorge re dei diritti del datore di lavoro e, quindi, del diritto del pre statore al premio (così, Cass. 5 giugno 2000, n. 7484, id., 2001,
1,554). Nell'occasione la corte chiarì che il collegamento logico e
funzionale tra i due diritti ne comportava la medesima sorte nel
caso di rimozione o annullamento del brevetto, con l'ulteriore
precisazione che non poteva venir meno il diritto del lavoratore
inventore prima che il brevetto venisse rimosso o annullato in
esito all'apposita procedura delineata dalla 1. 1127/39 (art. 70, 78 e 80) svolta nella sede giurisdizionale competente. In sostan
za, può dirsi che i diritti in gioco, quello «morale» appartenente a titolo originale all'inventore, il diritto «patrimoniale» attri
buito all'imprenditore datore di lavoro, e il diritto all'equo pre mio di cui è causa, seguono il medesimo corso: simul stabunt
simul cadent.
Ciò detto in via di principio, resta da verificare l'esistenza di
eventuali atti interruttivi della prescrizione, richiamati dalla so
cietà sia pure con riferimento ad uno dei brevetti attribuiti alla
paternità del dipendente. In proposito, sembrano fondati i due motivi in scrutinio, con
riferimento specifico al brevetto n. 1.099.416 concesso il 18
settembre 1985.
Sul punto il lavoratore resistente non ha opposto, in controri
corso, alcuna replica, sicché deve ritenersi fondata l'eccezione
della società basata sulla circostanza che il primo atto interrutti
vo compiuto dallo Scatà, costituito dalla lettera inviata alla
Montedison il 3 novembre 1995 non valeva ad evitare la pre scrizione del diritto collegato a quel brevetto.
Altrettanto fondata è la tesi della ricorrente che nega valore
interruttivo ad una precedente lettera dello Scatà, risalente al 21
marzo 1995, la quale contiene una generica rivendicazione con
cernente l'equo premio in riferimento a «numerose invenzioni»
realizzate nel corso del rapporto, senza tuttavia l'indicazione
precisa dei rispettivi titoli brevettali, da cui quella pretesa pote va avere origine.
Sul punto la sentenza impugnata tace del tutto, sicché essa
non può non essere cassata nei limiti appena specificati. Infondato è invece il quarto motivo, con il quale la società ri
corrente denuncia la violazione delle norme sulla transazione.
Correttamente la sentenza del Tribunale di Ferrara osserva
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
che nelle quietanze liberatorie sottoscritte dallo Scatà al mo
mento della cessazione del rapporto di lavoro non si rinviene al
cun riferimento all'equo premio, né vi è esternata la consape volezza della sua debenza, ovvero la volontà di rinunziarvi, sic
ché, tenuto conto della genericità delle formule impiegate, alla
stessa non può attribuirsi alcun valore abdicativo.
In conclusione, il ricorso va accolto limitatamente al secondo
e terzo motivo in relazione ai quali, quindi, la sentenza impu
gnata va annullata, con rinvio, anche per le spese di questo giu
dizio, alla Corte d'appello di Venezia.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 15 lu
glio 2003, n. 11022; Pres. Proto, Est. Luccioli, P.M. Russo
(conci, conf.); Proc. gen. App. Ancona c. M. e altro. Dichiara
inammissibile ricorso avverso App. Ancona, decr. 5 luglio 2002.
Potestà dei genitori — Vaccinazioni obbligatorie — Provve dimenti dell'autorità giudiziaria — Ricorso per cassazio ne — Inammissibilità (Cost., art. 30, 32, 34, 111; cod. civ., art. 333, 336; 1. 4 febbraio 1966 n. 51, obbligatorietà della vaccinazione antipoliomielitica, art. 1; 1. 23 dicembre 1978 n.
833, istituzione del servizio sanitario nazionale, art. 33; 1. 27
maggio 1991 n. 165, obbligatorietà della vaccinazione contro
l'epatite virale B, art. 1).
È inammissibile il ricorso per cassazione, proposto dal pubbli co ministero, avverso i provvedimenti adottati dall'autorità
giudiziaria in materia di vaccinazioni obbligatorie dei minori,
trattandosi di provvedimenti di volontaria giurisdizione, per tanto diretti a tutelare in via interinale l'interesse del minore
senza risolvere alcun contrasto tra diritti soggettivi e privi del
requisito della definitività, essendo in ogni tempo revocabi
li. (1)
(1) La decisione conferma la pacifica giurisprudenza della Suprema corte sul punto delia riduzione dei provvedimenti de quibus alla catego ria dei provvedimenti incidenti sull'esercizio della potestà dei genitori ai sensi dell'art. 333 c.c., con conseguente inammissibilità del ricorso
straordinario per cassazione in ragione della natura di provvedimento di
volontaria giurisdizione: negli stessi termini, cfr. Cass., sez. un., 15 ot
tobre 1999, n. 729/SU, Foro it., Rep. 2000, voce Potestà dei genitori, n. 25, e Giur. it., 2000, 1150; 4 marzo 1996, n. 1653, Foro it., Rep. 1996, voce Sanità pubblica, n. 223; 15 luglio 1995, n. 7744, id., Rep. 1995, voce Potestà dei genitori, n. 24; 27 giugno 1994, n. 6147, id.,
1995,1, 1924, con nota di Civinini. Più in generale, sull'inammissibilità del ricorso straordinario per cas
sazione avverso provvedimenti ablativi o modificativi della potestà dei
genitori, cfr. Cass., sez. un., 25 gennaio 2002, n. 911, id., 2002,1, 1007, con nota di Maltese, ove si afferma che «è inammissibile il ricorso per cassazione avverso il decreto, emanato in sede di reclamo, col quale la
corte d'appello, nell'assumere provvedimenti ablativi o modificativi
della potestà dei genitori naturali, affermi o neghi la giurisdizione del
giudice italiano nei confronti dello straniero; trattasi infatti di provve dimenti modificabili e revocabili in ogni tempo, privi di natura deciso
ria e inidonei a risolvere la questione di giurisdizione con effetti vin
colanti al di fuori del procedimento nel quale vengono resi».
Per l'inammissibilità del ricorso straordinario ex art. Ill Cost, av
verso provvedimenti di volontaria giurisdizione, anche sub specie di le
sione di diritti soggettivi processuali, cfr. Cass., sez. un., 15 luglio
2003, n. 11026, id., Mass., 1007; 3 marzo 2003, n. 3073, id., 2003, I,
2090, con nota di richiami, secondo cui «nei procedimenti di giurisdi zione volontaria, quali i procedimenti di omologazione di deliberazioni
societarie, è inammissibile il ricorso straordinario per cassazione avver
so il decreto della corte d'appello che abbia dichiarato inammissibile il
reclamo per difetto di legittimazione attiva e fondato sull'asserita le
sione di diritti soggettivi processuali».
Il Foro Italiano — 2004.
Svolgimento del processo. — Con decreto del 3 gennaio
- 14
marzo 2002 il Tribunale per i minorenni di Ancona rigettava il
ricorso proposto dal pubblico ministero ai sensi dell'art. 333 c.c.
nei confronti di G.P. e genitori del minore A.P., in re
lazione all'omessa vaccinazione contro l'epatite virale B di
detto minore, rilevando che la non prevista coercibilità per legge
dell'obbligo in questione impedisce al giudice di intervenire e limitare la libertà dei genitori di provvedere alla salute dei figli nel modo che ritengano più idoneo e che d'altro canto nella spe cie i genitori avevano dimostrato di tutelare adeguatamente la
salute del minore.
Il reclamo proposto dallo stesso pubblico ministero era riget tato dalla Corte d'appello di Ancona, sezione per i minorenni,
con decreto del 5 giugno - 5 luglio 2002. Osservava in motiva
zione la corte territoriale che l'art. 11. n. 165 del 1991, nel porre
l'obbligo di vaccinazione in discorso, non prevede la possibilità di coercizione; che l'art. 33 1. n. 833 del 1978 individua soltanto
nel sindaco, nella sua qualità di autorità sanitaria, l'organo
competente a disporre gli accertamenti ed i trattamenti sanitari
obbligatori, su proposta motivata di un medico; che, se pure la
Corte costituzionale nella sentenza interpretativa di rigetto n.
132 del 1992 (Foro it., Rep. 1992, voce Sanità pubblica, n.
146), nel dichiarare non fondata la questione di costituzionalità
della 1. n. 51 del 1966 in tema di vaccinazione antipoliomieliti ca, in relazione agli art. 32 e 34 Cost., per la mancata previsione della coercibilità dell'obbligo, ha ritenuto che l'applicazione
degli art. 333 e 336 c.c. non può ritenersi preclusa in ragione
dell'espressa previsione di una sanzione amministrativa per il
caso di violazione dell'obbligo in esame, tuttavia ciò non com
porta che un intervento degli organi provvisti di iniziativa in tal
senso debba sempre e comunque effettuarsi, dovendo esso al
contrario esplicarsi soltanto se l'inerzia dei genitori, special mente se unita ad altri elementi, si palesi rivelatrice di quella inidoneità genitoriale che sta alla base dei provvedimenti previ sti dall'art. 333 c.c.
E poiché nella specie il rifiuto opposto, lungi dal denotare
trascuratezza da parte dei genitori, trovava ragione nella preoc
cupazione legittima — in quanto fondata su informazioni as
sunte anche in ambito scientifico — di sottoporre la salute del
bambino a rischi conseguenti alla vaccinazione stessa, a fronte
di benefici non del tutto certi, e tenuto conto che gli stessi ge nitori si erano impegnati ad educare il minore in modo da non
esporlo al concreto pericolo di epatite, escludeva la ricorrenza
delle condizioni per l'emissione del provvedimento invocato.
Avverso tale decreto ha proposto ricorso per cassazione il
pubblico ministero presso la Corte d'appello di Ancona dedu
cendo due motivi.
Non vi è controricorso.
Motivi della decisione. — Il ricorso è inammissibile.
Questa Suprema corte ha in più occasioni affermato che il
provvedimento emesso dalla corte d'appello in sede di reclamo
avverso il decreto del tribunale per i minorenni con il quale, ai
sensi dell'art. 333 c.c., si fa obbligo ai genitori di sottoporre il
minore alle vaccinazioni obbligatorie non è impugnabile per cassazione ai sensi dell'art. Ill Cost., trattandosi di provvedi mento diretto a tutelare in via interinale l'interesse del minore
stesso senza risolvere alcun contrasto tra contrapposti diritti
soggettivi e privo del requisito della definitività, per essere
sempre revocabile (v. Cass. n. 1653 del 1996, id., Rep. 1996,
voce cit., n. 223; n. 7744 del 1995, id., Rep. 1995, voce Potestà
dei genitori, n. 24; n. 6147 del 1994, id., 1995, I, 1924; n. 3009 del 1994, id., Rep. 1996, voce cit., n. 15).
Il pubblico ministero ricorrente, dandosi carico della questio ne di ammissibilità del ricorso, deduce che la diversità della fat
tispecie in esame rispetto a quelle considerate nella richiamata
giurisprudenza — per essere stata qui emessa una pronuncia re
iettiva della richiesta del pubblico ministero d'imposizione del
l'obbligo di vaccinazione a fronte del comportamento omissivo
dei genitori, con diretto pregiudizio del diritto alla salute del
minore — renderebbe inapplicabili i principi che sostengono
quell'indirizzo. Tale assunto non può essere condiviso, attesa l'identità della
natura di volontaria giurisdizione del provvedimento adottato,
connotato dai medesimi caratteri di non decisorietà e non defi
nitività, certamente non influenzati dal contenuto negativo della
decisione rispetto all'istanza proposta. Ed invero detto provve
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