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sezione lavoro; sentenza 19 luglio 2003, n. 11305; Pres. Trezza, Est. Foglia, P.M. Sorrentino...

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sezione lavoro; sentenza 19 luglio 2003, n. 11305; Pres. Trezza, Est. Foglia, P.M. Sorrentino (concl. diff.); Soc. Montedison (Avv. Biamonti, Vanzetti) c. Scatà (Avv. Ramadori, Gallotta). Cassa Trib. Ferrara 6 marzo 2000 Source: Il Foro Italiano, Vol. 127, No. 9 (SETTEMBRE 2004), pp. 2477/2478-2485/2486 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23199405 . Accessed: 25/06/2014 01:56 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.2.32.106 on Wed, 25 Jun 2014 01:56:24 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione lavoro; sentenza 19 luglio 2003, n. 11305; Pres. Trezza, Est. Foglia, P.M. Sorrentino(concl. diff.); Soc. Montedison (Avv. Biamonti, Vanzetti) c. Scatà (Avv. Ramadori, Gallotta).Cassa Trib. Ferrara 6 marzo 2000Source: Il Foro Italiano, Vol. 127, No. 9 (SETTEMBRE 2004), pp. 2477/2478-2485/2486Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23199405 .

Accessed: 25/06/2014 01:56

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

all'evidenza copre la frazione dell'«anno solare» di maturazione

del diritto a pensione, successiva all'evento — dal quale il di

ritto stesso deriva — del compimento di «almeno sessantacin

que anni di età, dopo almeno trenta anni di effettiva iscrizione e

contribuzione alla cassa» (ai sensi dell'art. 2, 1° comma, 1.

576/80, come sostituito dall'art. 1 1. 141/92). Di conseguenza, il biennio di iscrizione all'albo professionale

— ai fini del diritto al primo supplemento della pensione di

vecchiaia — non può che decorrere dal 1° gennaio dell'anno

solare — immediatamente successivo a quello di maturazione

del diritto a pensione — e venire a scadenza il 31 dicembre di

due anni dopo. Peraltro, al pari della pensione di vecchiaia, anche i supple

menti relativi vanno calcolati — in forza di esplicito rinvio (di cui al secondo periodo dello stesso art. 2, penultimo comma, 1.

576/80, come sostituito dall'art. 1, 5° comma, 1. 141/92, cit.) —

sulla base dei previsti redditi professionali, ai fini dell'Irpef, «risultanti dalle dichiarazioni relative (agli) anni solari anteriori

alla maturazione del diritto» (ai sensi del richiamato 1° comma

dello stesso art. 2 1. 576/80, come sostituito dall'art. 1 1.

141/92). Conforme ai principi di diritto enunciati, risulta, quindi, il di

spositivo della sentenza impugnata — che ha rigettato la do

manda dell'attuale ricorrente, volta ad ottenere dalla cassa un

supplemento di pensione ulteriore rispetto a quello già liquidato — ma ne va corretta, tuttavia, la motivazione in diritto — in

coerenza con gli stessi principi — e, per l'effetto, dev'essere ri

gettato il ricorso per cassazione (ai sensi dell'art. 384, 2° com

ma, c.p.c.). 3. - Invero non è stato investito, dal ricorso per cassazione,

l'accertamento di fatto della sentenza impugnata. Ne risulta che l'attuale ricorrente — titolare di pensione di

vecchiaia, a carico della Cassa nazionale previdenza e assisten

za forense, a far tempo dal 1° agosto 1993 — è rimasto iscritto

all'albo professionale fino al 31 dicembre 1995 ed ha ottenuto

dalla cassa la liquidazione del primo supplemento biennale della

stessa pensione. Tanto basta per ritenere conforme — ai principi di diritto

enunciati — il rigetto, deciso dalla sentenza impugnata, della

domanda dell'attuale ricorrente, volta ad ottenere dalla cassa un

supplemento di pensione ulteriore rispetto a quello già liquidato.

Infatti, il diritto alla pensione di vecchiaia risulta, nella spe

cie, maturato (il 1° agosto 1993) — al compimento dei sessanta

cinque anni di età, appunto, dopo almeno trenta anni di effettiva

iscrizione e contribuzione alla cassa — calcolando «per intero»

10 stesso anno solare di maturazione del diritto (1993).

Di conseguenza, il biennio di iscrizione all'albo professionale —

per il quale risulta già liquidato dalla cassa il primo supple

mento di pensione — non può che riguardare gli anni solari

1994 e 1995, essendosi l'attuale ricorrente cancellato dall'albo

professionale il 31 dicembre di quest'ultimo anno.

Il primo supplemento di pensione, poi, è stato calcolato — al

pari della pensione — sulla base dei redditi professionali, ai fini

dell'Irpef, risultanti dalle dichiarazioni relative agli anni prece denti (1993 e 1994, quindi, per quanto riguarda il supplemento).

In conclusione, alla luce dei principi di diritto enunciati,

l'attuale ricorrente — in difetto dell'iscrizione all'albo profes

sionale, anche per un sol giorno dell'anno 1996 — non ha matu

rato il diritto preteso ad un supplemento di pensione ulteriore —

rispetto a quello già liquidato dalla cassa, riguardante gli anni

1994 e 1995 — né, comunque, ad includerne nella base di cal

colo il reddito professionale relativo all'anno 1995.

Il dispositivo della sentenza impugnata — che ha negato il di

ritto preteso dall'attuale ricorrente — risulta, quindi, conforme

ai principi di diritto enunciati. In coerenza con gli stessi principi, tuttavia, dev'essere cor

retta — nei termini prospettati — la motivazione in diritto della

sentenza impugnata, che riposa, erroneamente, sull' asserita in

sussistenza — al momento della maturazione del diritto al sup

plemento di pensione preteso (1° gennaio 1996) — di «redditi dichiarati ai fini dell'Irpef del 1995», sebbene questi

— ove non

fossero da escludere, per quanto si è detto, dalla base di calcolo

del supplemento preteso —

potessero risultare da dichiarazione

provvisoria (ai sensi dell'art. 17, ultimo comma, 1. 576/80), nelle more della presentazione della dichiarazione annuale.

4. - Il ricorso, pertanto, dev'essere rigettato.

11 Foro Italiano — 2004.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 19 luglio

2003, n. 11305; Pres. Trezza, Est. Foglia, P.M. Sorrentino

(conci, diff.); Soc. Montedison (Avv. Biamonti, Vanzetti) c.

Scatà (Avv. Ramadori, Gallotta). Cassa Trib. Ferrara 6

marzo 2000.

Brevetti per invenzioni industriali — Invenzioni di servizio e

invenzioni di azienda — Differenza (R.d. 29 giugno 1939 n. 1127, testo delle disposizioni legislative in materia di brevetti

per invenzioni industriali, art. 23). Brevetti per invenzioni industriali — Invenzione d'azienda

— Equo premio — Prescrizione — Decorrenza (Cod. civ.,

art. 2946; r.d. 29 giugno 1939 n. 1127, art. 23).

Quando non è prevista, in un contratto di lavoro subordinato,

una specifica retribuzione a compenso dell'attività inventiva,

l'invenzione fatta dal dipendente durante lo svolgimento delle

sue mansioni si configura come invenzione di azienda e non

come invenzione di servizio, per la quale invece tale retribu

zione è prevista, pur se l'attività lavorativa inventiva è pre

supposta da entrambe le fattispecie. (1)

Nell'invenzione d'azienda il diritto del lavoratore, autóre del

l'invenzione, all'equo premio si prescrive nel termine di dieci

anni, decorrenti dalla data di concessione del brevetto. (2)

(1-2) I. - La sentenza in rassegna traccia i criteri di distinzione delle

invenzioni di azienda da quelle di servizio; la questione in precedenza era stata affrontata da Cass. 21 luglio 1998, n. 7161, Foro it., 1999,1,

1548, con nota di Menasci, nonché 6 novembre 2000, n. 14439, id.,

Rep. 2001, voce Brevetti, n. 138 (per esteso, Riv. it. dir. lav., 2001, II,

680). Tali sentenze sono state richiamate da Cass. 11305/03, che afferma

di porsi in continuità con i principi da esse espressi; in realtà, a ben ve

dere, vi è una qualche dissonanza tra gli arresti in questione (pur se l'e

stensore di Cass. 7161/98 e 11305/03 è il medesimo). In particolare Cass. 7161/98 afferma, sì, che va configurata l'inven

zione d'azienda, e non quella di servizio, allorché non è prevista una

retribuzione a specifico compenso dell'attività inventiva, ma anche,

come ulteriore elemento distintivo dalle invenzioni di servizio, che

quest'ultima non deve costituire oggetto del contratto di lavoro (pur se

anche l'invenzione di azienda è pur sempre avvenuta nell'ambito del

l'originario rapporto di lavoro). Così invece Cass. 14439/00: «L'ele

mento distintivo fra l'ipotesi prevista dall'art. 23, 1° comma, r.d.

1127/39 (invenzione di servizio) e quella di cui al 2° comma (invenzio ne d'azienda) deve essere ricercata nella previsione, o meno, di una

specifica retribuzione che trovi la sua causa nell'obbligo del lavoratore

a svolgere l'attività inventiva, dovendo la previsione contrattuale del ri

sultato inventivo risultare pattiziamente correlata ad una specifica voce

retributiva; nessun rilievo può invece accordarsi né all'oggetto del

contratto — essendo l'obbligo di inventare comune ad entrambe le

ipotesi previste dall'art. 23 — né all'adibizione del lavoratore a compiti di ricerca, essendo la nozione stessa di attività di ricerca del tutto estra

nea alla normativa da interpretare; nell'ipotesi prevista dal 2° comma

dell'art. 23 il vantaggio per il lavoratore è costituito dall'equo premio, che spetta al giudice determinare in via equitativa».

La sentenza in rassegna, inoltre, riconosce che in entrambe le ipotesi

previste dall'art. 23 1. inv. «l'attività inventiva o quella di ricerca non

può di per sé considerarsi completamente estranea all'oggetto del con

tratto»; ne segue che il criterio distintivo sta proprio e sostanzialmente

solo nella specifica previsione o meno della retribuzione per l'attività

inventiva. II. - La corte di legittimità ha avuto già modo di occuparsi di ulteriori

profili delle invenzioni di servizio e di azienda. Cass. 5 giugno 2000, n.

7484, Foro it., 2001, I, 554 (con nota di Menasci, nonché di Libertini,

Appunti sulla nuova disciplina delle «invenzioni universitarie», id.,

2002, I, 2170), ha risolto una delle questioni di maggior rilievo poste dall'istituto, la determinazione dei presupposti per il riconoscimento e

il venir meno del diritto del lavoratore all'equo premio (individuati, ri

spettivamente, nella concessione del brevetto e nella declaratoria giudi ziale di nullità dello stesso). In termini, di recente, si è pronunciata Cass. 6 dicembre 2002, n. 17398, id., Rep. 2002, v.oce cit., n. 103 (se

condo cui il lavoratore, nei casi di inerzia del datore di lavoro nella

brevettazione, ovvero di utilizzo in segreto dell'invenzione, può prov vedere alla brevettazione dopo avere invano diffidato il datore di lavoro

ad effettuarla). Cfr. anche Cass. 12 aprile 1999, n. 3599, id., Rep. 1999,

voce cit., n. 93, per la quale il dipendente che, nel corso del rapporto di

lavoro, abbia realizzato un'opera grafica della quale il datore di lavoro

abbia fatto un'utilizzazione economica brevettandola come marchio

d'impresa, non ha diritto all'equo compenso previsto dall'art. 23 1. inv.,

non avendo realizzato un'invenzione industriale, bensì un disegno or

namentale (al quale è applicabile la diversa disciplina dettata dall'art. 7

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2479 PARTE PRIMA 2480

Svolgimento del processo. — Con ricorso del 3 aprile 1996 al

Pretore di Ferrara, Umberto Scatà conveniva in giudizio la so

cietà Montedison s.p.a. per ottenere il pagamento dell'equo

premio di cui all'art. 23, 2° comma, r.d. n. 1127 del 1939, da

determinarsi a mezzo di c.t.u., conseguente ad alcune invenzioni

da lui realizzate nel corso del rapporto di lavoro e poi brevettate

da parte della società datrice di lavoro.

Precisava il ricorrente: che sin dal gennaio 1975 gli era stato

affidato un progetto di «ricerca e sviluppo di catalizzatori di alta

resa per il propilene e morfologia controllata», in esecuzione del

quale erano stati depositati dieci brevetti industriali, sei dei

quali lo avevano visto come autore e quattro come coautore; che

nel 1980 era stato promosso all'ottavo livello del c.c.n.l. di set

tore e che, dalla data di passaggio della Montedison alla Himont

Italia s.r.l. (1983), era stato trasferito al settore della produzione. Si costituiva la società convenuta, contestando la pretesa del

l'attore, rilevando che le indicate invenzioni costituivano il ri

sultato non occasionale ma naturale dell'attività lavorativa affi

data al ricorrente, sicché trattavasi di invenzione di servizio e

non di azienda, ai sensi dell'invocato art. 23. Aggiungeva la so

cietà che per tale attività lo Scatà aveva percepito ripetutamente incrementi retributivi e premi, alcuni dei quali riconosciuti pro

prio in relazione alle invenzioni realizzate. Eccepiva, inoltre, la

società l'avvenuta sottoscrizione, da parte del lavoratore, di una

quietanza liberatoria, alla fine del rapporto, con la quale aveva

rinunziato espressamente ad ogni compenso ulteriore. Eccepiva, infine, la prescrizione del diritto all'equo premio, essendo que sto sorto in capo al ricorrente al momento in cui l'invenzione

era stata comunicata al datore di lavoro e non al momento della

concessione del brevetto.

Con sentenza del 25 luglio 1998, il pretore adito accoglieva la

domanda, rimettendo la causa in istruttoria per la determinazio

ne del quantum.

Proposto appello da parte della società, resistente lo Scatà, il

r.d. n. 1411 del 1940, non prevedente alcun diritto a compenso). Per ulteriori profili, v. infine Cass. 28 dicembre 1999, n. 14620, id., Rep. 2001, voce cit., n. 146.

III. - Per la giurisprudenza di merito, cfr., oltre ai provvedimenti ri chiamati nelle note a Cass. 7484/00 e 7161/98 cit., Trib. Milano 6 di cembre 1999, id., Rep. 2002, voce cit., n. 106 (secondo cui la domanda

giudiziale per il riconoscimento dell'equo premio di cui all'art. 23, 2°

comma, 1. inv. non va proposta nei confronti del soggetto che era datore di lavoro del dipendente inventore al momento della comunicazione dell'invenzione e della presentazione della domanda di brevetto, qualo ra il brevetto stesso sia stato successivamente concesso ad un altro sog getto, a seguito della cessione della predetta domanda di brevetto). Cfr.

anche, per la quantificazione dell'equo premio, Pret. Ferrara 13 aprile 1999, id.. Rep. 2001, voce cit., n. 144. Con riferimento ad una transa zione (anteriore alla concessione del brevetto) contenente la rinuncia da

parte del dipendente all'equo premio, v. Trib. Venezia 5 ottobre 1999, ibid., n. 141.

IV. - Quanto alla dottrina, va segnalato che la sentenza in rassegna fa

propria l'interpretazione sostenuta dalla dottrina minoritaria, ed in par ticolare da Libertini, op. cit., 2170. Adde, agli autori citati dalle note

surrichiamate, Amoroso, Invenzione del prestatore di lavoro, voce del l' Enciclopedia del diritto, Milano, 1998, aggiornamento II, 447; Di Ca

taldo, / brevetti per invenzione e per modello, in Codice civile com mentato diretto da P. Schlesinger, Milano, 2000, 183, nonché Le in venzioni delle università. Regole di attribuzione dei diritti, regole di di stribuzione dei proventi, e strumenti per il trasferimento effettivo delle invenzioni al sistema delle imprese, in Riv. dir. ind., 2002, I, 337. Di

particolare interesse sono poi le osservazioni di Vanzetti-Di Cataldo, Manuale di diritto industriale, Milano, 1993, par. 67 (il primo autore è stato il difensore del datore di lavoro nel processo concluso dalla sen tenza in rassegna), secondo cui — conformemente all'interpretazione maggioritaria — nelle invenzioni di servizio l'attività inventiva è sen z'altro oggetto del rapporto di lavoro (gli autori segnalano anche che. in ragione dell'interpretazione restrittiva della giurisprudenza, «l'in venzione di servizio tende a sparire, o, quantomeno, ad apparire come

ipotesi eccezionale»). Va segnalato, infine, che il progetto definitivo del codice dei diritti di

proprietà intellettuale (previsto in forza della delega contenuta nell'art. 15 1. 12 dicembre 2002 n. 273), di recente reso pubblico, prevede le in venzioni dei dipendenti all'art. 64 (il cui testo, pur se il codice è previ sto come ricognitivo, contiene alcune innovazioni — rispetto al vigente art. 23 1. inv. — quanto alla determinazione dell'equo premio).

V. - Il principio espresso dalla seconda massima è coerente con la te si che identifica nella brevettazione la condizione costitutiva del pre mio: v. Cass. 7484/00, cit. [G. Casaburi]

Il Foro Italiano — 2004.

Tribunale di Ferrara confermava la statuizione del primo giudi

ce, con sentenza del 6 marzo 2000, osservando che dall'istrutto

ria espletata emergeva che l'oggetto della prestazione affidata

all'appellato (assunto nel 1954 come assistente di laboratorio e

solo nel 1974 chiamato presso il centro ricerche di Ferrara,

avente come obiettivo specifico quello di individuare — in col

laborazione con l'istituto Donegani di Novara — nuovi cataliz

zatori ad alta resa, per il polipropilene) concerneva lo svolgi mento di un'attività di ricerca che, pur potendo comportare il

conseguimento di invenzioni, non era a tal fine indirizzata.

Aggiungeva il tribunale che l'adibizione dello Scatà alle atti

vità di ricerca non aveva comportato alcuna rinegoziazione delle

originarie condizioni di lavoro, né erano emersi elementi speci fici idonei ad attestare una correlazione causale tra la retribu

zione percepita e la prestazione inventiva: gli aumenti retributi

vi riconosciutigli nel corso del rapporto — analiticamente esa

minati dal primo giudice — «benché influenzati dai positivi ri sultati conseguiti, non erano mai stati destinati a compensare lo

sforzo inventivo». Di conseguenza — a giudizio del tribunale

—- le invenzioni in oggetto non potevano definirsi «di servizio»,

trattandosi piuttosto di «invenzioni di azienda», da cui il ricono

scimento dell'equo premio previsto dalla legge brevettuale.

Il tribunale disattendeva l'eccezione di prescrizione sollevata

dalla società appellante, operando, nella fattispecie, la prescri zione decennale decorrente dal rilascio del brevetto, che segna il

momento in cui i diritti da questo derivanti possono essere eser

citati (conf. Cass. 10 gennaio 1989, n. 30, Foro it., Rep. 1989,

voce Brevetti, n. 109; 16 gennaio 1979, n. 329, id., 1979, I,

1416; 2646/90, id., Rep. 1992, voce cit., n. 104). Né poteva ritenersi — come pure sostenuto dalla società —

che il diritto vantato dal lavoratore potesse dirsi rinunziato con

la «liberatoria» sottoscritta al momento della cessazione del

rapporto: in tale quietanza, infatti, non si rinviene alcun riferi

mento all'equo premio né viene manifestata la consapevolezza della sua debenza ovvero la volontà di rinunciarvi, sicché alla

stessa non può attribuirsi alcun valore abdicativo (conf. Cass. 26

gennaio 1995, n. 933, id., Rep. 1995, voce Obbligazioni in ge

nere, n. 30; 13 giugno 1998, n. 5930, id., Rep. 1999, voce Lavo

ro (rapporto), n. 2061). Per la cassazione di questa sentenza la società propone ricor

so, articolato in quattro motivi, cui resiste l'intimato con contro

ricorso.

In prossimità dell'udienza la società ha depositato mèmoria

illustrativa ex art. 378 c.p.c. Motivi della decisione. — Col primo motivo la società ricor

rente lamenta la violazione e falsa applicazione dell'art. 23 r.d.

29 giugno 1939 n. 1127 e dell'art. 2103 c.c., sostenendo che er

roneamente il tribunale aveva inquadrato le invenzioni ideate

dallo Scatà nella categoria delle invenzioni di azienda anziché

in quelle di servizio. L'attività di ricerca affidata allo Scatà era

volta proprio all'ottenimento di invenzioni, e non di mere appli cazioni.

Né era significativa la circostanza che non era intervenuta tra

le parti alcuna rinegoziazione delle originarie condizioni con

trattuali, atteso che il diritto alle superiori mansioni «inventive»

era stato conseguito dal lavoratore ex lege, in virtù dell'art.

2103 c.c., con l'attribuzione allo stesso della qualifica e dei cor

rispondenti diritti e doveri.

In ogni caso — osserva la ricorrente — la retribuzione è solo

un indice utilizzabile per la qualificazione dell'invenzione come

invenzione di azienda, ma non è l'indice esclusivo, essendo

piuttosto decisivo il contenuto della prestazione lavorativa.

Il motivo non può essere accolto.

Va premesso che l'art. 23 1. brevetti stabilisce, al 1° comma,

che, quando l'invenzione «è fatta nell'esecuzione o nell'adem

pimento di un contratto o di un rapporto di lavoro o d'impiego, in cui l'attività inventiva è prevista come oggetto del contratto o

del rapporto e a tale scopo retribuita, i diritti derivanti dall'in

venzione stessa appartengono al datore di lavoro ...».

Il 2° comma aggiunge che, «se non è prevista una retribuzio

ne, in compenso dell'attività inventiva, e l'invenzione è fatta

nell'esecuzione o nell'adempimento di un contratto o di un rap

porto di lavoro o d'impiego, i diritti derivanti dall'invenzione

appartengono al datore di lavoro, ma all'inventore spetta un

equo premio per la determinazione del quale si terrà conto del

l'importanza dell'invenzione».

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Leggendo i due commi in connessione tra loro e con riferi

mento ai principi generali dell'ordinamento (secondo quanto

impone l'art. 12 disp. prel. c.c.), si evidenziano almeno due

elementi comuni ad entrambe le previsioni: da una parte la cir

costanza che l'invenzione sia avvenuta nell'ambito dell'esecu

zione del contratto di lavoro subordinato, dall'altra la conse

guenza dell'appartenenza al datore di lavoro dei diritti patrimo niali derivanti dall'invenzione — fermo restando, in ogni caso,

il diritto morale del dipendente ad essere considerato autore del

l'invenzione, secondo quanto disposto dall'art. 2590 c.c.

Come è noto, l'attribuzione (a titolo originale) al datore di la

voro dei diritti patrimoniali rappresenta di per sé un sensibile

scostamento rispetto al principio fondamentale in materia bre

vettuale, secondo cui è l'autore dell'invenzione ad essere titola

re dei diritti di utilizzazione economica (art. 1 e 18 r.d. cit.).

Tale scostamento — del tutto comprensibile per l'apporto, di

solito decisivo, che l'organizzazione dell'impresa conferisce

alla genesi ed all'attuazione dell'invenzione — giustifica la ne

cessità (già avvertita da Cass. 16 gennaio 1979, n. 329) di

un'interpretazione restrittiva delle regole che escludono il di

ritto del dipendente all'equo premio. La previsione del beneficio che il 2° comma dell'art. 23 rico

nosce al dipendente (espropriato del diritto di utilizzazione eco

nomica) risponde infatti ad una logica indennitaria, che si coglie valorizzando lo specifico contenuto del contratto individuale di

lavoro voluto dalle parti. Ed infatti il dato nettamente differen

ziale tra le fattispecie previste dai due commi, risiede nell'esse

re o non «prevista una retribuzione» in compenso dell'attività

inventiva: solo nel 1° comma, infatti, l'attività inventiva o, co

munque, il suo perseguimento (Cass. 6 marzo 1992, n. 2732, id.,

Rep. 1992, voce Brevetti, n. 102), è prevista come oggetto del

contratto o del rapporto e «a tale scopo retribuita».

Emerge, allora, con chiarezza il connotato distintivo della

fattispecie del 2° comma dell'art. 23 (la c.d. «invenzione d'a

zienda») rispetto a quella di cui al 1° comma (la c.d. «invenzio

ne di servizio»): nella prima, infatti, la prestazione del dipen

dente, pur consistente nel perseguimento di un risultato inventi

vo, risulta essere presa in considerazione dalle parti — ai fini

del corrispettivo economico — nella sua «qualità», intesa come

mera potenzialità inventiva, nel senso che il conseguimento del

l'invenzione non rientra nell'oggetto dell'attività dovuta, anche

se resta pur sempre collegata a questa stessa attività.

Certo, l'invenzione non deve essere del tutto occasionale o

spontanea, né completamente estranea all'oggetto, in senso tec

nico, del contratto (ma non è questa l'ipotesi in esame), perché in tal caso essa rientrerebbe piuttosto nella previsione dell'art.

24 stessa 1. brevetti, che conferisce al datore di lavoro soltanto

un diritto di prelazione sull'utilizzazione economica dell'inven

zione, la cui titolarità appartiene, in origine, al lavoratore in

ventore.

Presupposto essenziale dell'art. 23 è, invece — come già si è

detto più sopra — che l'invenzione sia stata realizzata «nel

l'esecuzione o nell'adempimento» del contratto, mentre ciò che

manca, rispetto all'invenzione di servizio, è lo specifico corri

spettivo, in cui luogo la legge prevede, appunto, l'equo com

penso. Naturalmente il discrimine in concreto tra le due fattispecie a

confronto può essere non agevole, atteso che ogni prestazione di

lavoro subordinato è in sé di mezzi, mentre l'invenzione è un ri

sultato, per di più aleatorio o meglio incerto, come invece tende

a non essere la retribuzione. Ma a parte l'ammissibilità, in via di

principio, di forme o comunque di voci o componenti retributive

legate al risultato, la previsione del 1° comma dell'art. 23, ri

spetto a quella del 2° comma, sta proprio nel fatto che oggetto

del contratto sia l'attività inventiva, cioè il particolare impegno

per raggiungere un risultato prefigurato dalle parti, dotato dei

requisiti della brevettabilità stabiliti dalla legge, e che, a tale

scopo, sia prevista una retribuzione.

Del resto, sul piano interpretativo evolutivo, va tenuto pre

sente che la tecnica legislativa utilizzata dall'art. 23, 2° comma,

ha trovato, sia pure a distanza di parecchi anni, una suggestiva

eco nell'art. 4 1. 13 maggio 1985 n. 190 sui «quadri», il quale stabilisce che i contratti collettivi «possono definire le modalità

tecniche di valutazione e l'entità del corrispettivo dell'utilizza

zione» (in sostanza, l'equo premio), tra l'altro, per le invenzioni

che «non costituiscano oggetto della prestazione di lavoro de

II Foro Italiano — 2004.

dotta in contratto, ammettendo, dunque, che l'invenzione, ben

ché costituente risultato, possa a tal punto caratterizzare la pre stazione da divenirne l'oggetto (Cass. 6117/85, id., Rep. 1986,

voce cit., n. 102). Altra assonanza del citato art. 23, 2° comma, è possibile

scorgere, sia pure per grandi linee, con le regole relative al patto di non concorrenza disciplinato dall'art. 2125 c.c., in cui

l'espropriazione di diritti fondamentali del lavoratore (alla li

bertà di lavoro e di iniziativa privata) è valida a condizione che

sia riconosciuto un equo compenso. Con la differenza, derivante

dalla diversa struttura dei fatti, che il patto di non concorrenza è

nullo se non è previsto il compenso, mentre, nel caso dell'in

venzione — che essendo già nella sfera del datore di lavoro, per diretta disposizione di legge, non può essere retrocessa al di

pendente inventore — la tutela dell'interesse del dipendente è

meramente economica e segue l'alternativa o del riconosci

mento della specifica e distinta remunerazione (che è un'alea

per il datore di lavoro, ma esclude il più gravoso equo premio) ovvero del riconoscimento dell'equo premio, che si ha solo nel

caso di invenzione brevettata.

Una volta precisato, per quanto sopra esposto, il discrimine

tra le due fattispecie disciplinate dal 1° e dal 2° comma dell'art.

23, compito del giudice di merito è quello di accertare — sulla

base dell'interpretazione del contratto basata sui criteri dettati

dall'art. 1362 c.c. — se le parti hanno voluto in effetti pattuire una retribuzione che, sia pure in parte, si collochi come corri

spettivo dell'obbligo del dipendente di svolgere un'attività in

ventiva.

In proposito questa corte ha, a più riprese (sent. 329/79, cit.; 5

novembre 1997, n. 10851, id., 1998, I, 490; 21 luglio 1998, n. 7161, id., 1999, I, 1548; 6 novembre 2000, n. 14439, id., Rep. 2001, voce cit., n. 138), sottolineato che si tratta di indagare sulla volontà delle parti, non operando ex post, quando l'inven

zione è stata conseguita, perché con questo criterio si dovrebbe

considerare pattuita l'attività inventiva in tutti i casi in cui la

prestazione lavorativa abbia dato luogo, comunque, ad un'in

venzione, ma indagando ex ante sull'effettivo intendimento

delle parti. Né può assumere rilievo la maggiore o minore probabilità che

dall'attività lavorativa pattuita scaturisca l'invenzione, di tal

che, ogniqualvolta sia probabile quel risultato, si dovrebbe au

tomaticamente considerare come rientrante nella previsione contrattuale. Ed infatti, delle due l'una: o le parti hanno espres samente previsto l'invenzione come oggetto dell'attività lavo

rativa, ovvero non l'hanno prevista, ed allora l'elemento proba

bilistico, che può essere connaturato alla diversa attività pattui

ta, non assume rilevanza e non può considerarsi integrata la fat

tispecie di cui al 1° comma dell'art. 23. Se ne trae un'ulteriore conferma dalla dizione del 2° comma

di tale norma, il quale riguarda, appunto, l'ipotesi in cui l'in

venzione non è stata prevista come oggetto del contratto, ma sia

stata conseguita nel corso dell'esecuzione del contratto o del

rapporto di lavoro, sicché proprio per questo le parti non hanno

pattuito alcuna retribuzione per l'attività inventiva (Cass. 6

marzo 1992, n. 2732, cit.). Orbene, il Tribunale di Ferrara, attraverso una compiuta in

dagine, ha potuto escludere del tutto che una tale retribuzione

fosse stata prevista dalle parti, considerando — tra l'altro —

che il trattamento economico riconosciuto allo Scatà, anche do

po la sua destinazione ad attività di ricerca finalizzata all'inven

zione, non ha subito alcuna significativa modificazione, né tale

destinazione ha comportato alcuna rinegoziazione delle origina

rie condizioni contrattuali. A ciò ha aggiunto il giudice del gra

vame che «neppure sono emersi elementi specifici atti a far rite

nere una correlazione causale tra la retribuzione percepita e la

prestazione inventiva».

Inoltre, dalla specifica indagine peritale eseguita d'ufficio, lo stesso giudice ha tratto la convinzione — in questa sede non

sindacabile perché sorretta da una motivazione esente da vizi

logici — che lo Scatà aveva avuto una normale progressione di

carriera, anche economica, all'interno della società e che gli

aumenti retributivi riconosciutigli nel corso del rapporto —

analiticamente esaminati anche dal giudice di prime cure —

benché sicuramente influenzati dai positivi risultati conseguiti,

non erano mai stati destinati a compensare lo sforzo inventivo,

essendo piuttosto legati ad ordinari passaggi di qualifica.

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2483 PARTE PRIMA 2484

Le considerazioni che precedono non consentono di condivi

dere l'avviso che la società ricorrente ha ritenuto di ricavare

dalla sentenza n. 14439 del 2000 di questa corte, affermandone

una certa dissonanza con la precedente sentenza n. 7161 del

1998, oggetto di rilievi critici. Ed invero la stessa società, nella memoria illustrativa, così

sintetizza la propria argomentazione difensiva, invocando a so

stegno la sentenza del 2000: a) l'ipotesi prevista dal 1° comma

dell'art. 23 si realizza specificamente «quando le parti si accor

dano nel senso che oggetto della prestazione lavorativa sia l'at

tività inventiva»; b) il 1° comma dell'art. 23 richiede testual

mente che, per la ricorrenza di quella ipotesi, debbano sussistere

insieme «un'attività inventiva e una retribuzione per detta atti

vità»; c) l'ipotesi prevista dal 2° comma presuppone, invece, la

mancanza di una specifica previsione contrattuale del risultato

inventivo.

È opportuno, in questa sede, nuovamente chiarire — anche

per l'autorevolezza della difesa da cui muovono le censure in

esame — quanto già anticipato nella citata sentenza del 1998, e

cioè che, secondo la formulazione testuale dell'art. 23 1. brevet

ti, non solo la fattispecie normativa dell'invenzione di servizio, ma anche quella dell'invenzione di azienda, presuppongono un'attività lavorativa «inventiva».

Ne discende necessariamente che, mentre in difetto del ca

rattere inventivo dell'attività dedotta in contratto si resta al di

fuori dell'ambito di applicazione dell'art. 23 (dovendo invece

trovare applicazione l'art. 24 1. brevetti relativo alle c.d. inven

zioni occasionali), in presenza di un'attività di ricerca diretta al

l'invenzione, prevista da entrambi i commi dell'art. 23, l'ele

mento distintivo non può che essere rintracciato nell'esplicita

previsione contrattuale di una speciale retribuzione volta a com

pensare l'attività inventiva, in mancanza della quale spetta

l'equo premio. A questa conclusione induce un antico e sempre autorevole

insegnamento concernente il diritto dei beni immateriali, secon

do cui, in presenza di un'attività inventiva svolta in regime di

subordinazione, si possono verificare due ipotesi: che detta atti

vità sia oggetto di una speciale remunerazione, ovvero che, pur rientrando la ricerca e lo scopo inventivo nell'ambito del rap

porto, essa tuttavia non sia a detto fine remunerata: orbene, sono

proprio queste le due fattispecie menzionate nel 1° e nel 2°

comma dell'art. 23 1. brevetti.

Nella richiamata sentenza n. 7161 del 1998 — che a questa dottrina si ispirava

— si rilevava, altresì, che, anche nel caso in

cui l'attività inventiva costituisca l'oggetto del contratto, si re

sta pur sempre in presenza di un'obbligazione di mezzi e non di

risultato, sicché l'obbligazione del lavoratore, dato il carattere

del tutto eventuale ed aleatorio del prodotto inventivo, non può che risolversi nel dovere di svolgere la propria attività con l'uso

della normale diligenza, facendo tutto quanto è ragionevolmente possibile per inventare (facere quantum possum a scopo inven

tivo). Tuttavia l'attività inventiva o quella di ricerca non può di

per sé ritenersi completamente estranea all'oggetto del contrat

to, inteso in senso tecnico, neanche nell'ipotesi prevista dal 2°

comma dell'art. 23, dovendo l'invenzione essere realizzata

«nell'esecuzione o nell'adempimento» del contratto e, quindi, nello svolgimento di un'attività costituente oggetto di questo.

Che, del resto, l'elemento distintivo che caratterizza l'inven

zione di servizio rispetto all'invenzione di azienda si sostanzi

nella previsione contrattuale di una speciale remunerazione del

risultato inventivo, sembra dimostrato dall'incipit del 2° comma

dell'art. 23, là dove recita: «se non è prevista e stabilita una re

tribuzione in compenso dell'attività inventiva». Nello stesso

senso inoltre si esprimeva la stessa relazione ministeriale al —

mai entrato in vigore r.d. 13 settembre 1934 n. 1602 — nel

commentare l'art. 22 (poi divenuto art. 23 1. brevetti). Col secondo motivo la società denuncia la violazione e falsa

applicazione dell'art. 2946 c.c. e degli art. 4 e 23 1. brevetti, non

avendo il tribunale fatto decorrere la prescrizione decennale

dalla domanda di brevetto che costituisce il momento in cui il

titolare comincia a godere di strumenti di protezione della sua

posizione (es. inibitoria, ecc.). Col terzo motivo si insiste sulla prescrizione di almeno uno

dei brevetti (concesso il 18 settembre 1985), non essendo inter

venuto alcun atto interruttivo (come quello contenuto nella lette

ra del 3 novembre 1995).

Il Foro Italiano — 2004.

Entrambi i motivi — che per loro connessione conviene esa

minare congiuntamente — sono solo in parte fondati nei termini

che seguono. In via di principio non v'è ragione per discostarsi dalla giuris

prudenza costante di questa corte, secondo la quale all'esercizio

del diritto all'equo premio previsto dal citato art. 23 r.d. n. 1127

del 1939 — consistente in una controprestazione straordinaria di

carattere indennitario corrisposta una tantum per una prestazio ne straordinaria costituita dal risultato inventivo non rientrante

nell'attività dovuta dal lavoratore — si applica la prescrizione decennale prevista dall'art. 2946 c.c. e non quella breve prevista dall'art. 2948 c.c., che si riferisce piuttosto alle prestazioni pe riodiche inserite in una causa debendi continuativa. La medesi

ma giurisprudenza ha precisato, altresì, che detta prescrizione — il cui decorso non è sospeso in corso di rapporto di lavoro —

inizia a decorrere dalla data della concessione del brevetto

(Cass. 10 gennaio 1989, n. 30, cit.). Non è, dunque, corretto individuare il dies a quo della pre

scrizione facendo riferimento ad un momento in cui il diritto

non è ancora nato, né può essere fatto valere nella sua compiu tezza (arg. art. 2935 c.c.), laddove l'operatività degli strumenti

di protezione anticipata rispetto a questo momento, evocati dalla

difesa della società ricorrente, esauriscono la loro funzione en

tro i limiti di una tutela affatto cautelare e provvisoria. Coerente con questo indirizzo, la corte ha più di recente com

pletato il quadro di riferimento, sottolineando che il diritto del

lavoratore all'equo premio ed il correlativo obbligo del datore

di lavoro di corrisponderlo sorgono con il conseguimento del

brevetto, non essendo sufficiente che si tratti di innovazioni su

scettibili di brevettazione ma non ancora brevettate. Il diritto del

lavoratore consegue, infatti, contemporaneamente all'insorgen za in favore del datore di lavoro dei diritti derivanti dall'inven

zione, i quali sono appunto conferiti, ai sensi dell'art. 4 stesso

r.d., solo con la concessione del brevetto, sicché è solo la bre

vettazione — in quanto costitutiva — che condiziona l'insorge re dei diritti del datore di lavoro e, quindi, del diritto del pre statore al premio (così, Cass. 5 giugno 2000, n. 7484, id., 2001,

1,554). Nell'occasione la corte chiarì che il collegamento logico e

funzionale tra i due diritti ne comportava la medesima sorte nel

caso di rimozione o annullamento del brevetto, con l'ulteriore

precisazione che non poteva venir meno il diritto del lavoratore

inventore prima che il brevetto venisse rimosso o annullato in

esito all'apposita procedura delineata dalla 1. 1127/39 (art. 70, 78 e 80) svolta nella sede giurisdizionale competente. In sostan

za, può dirsi che i diritti in gioco, quello «morale» appartenente a titolo originale all'inventore, il diritto «patrimoniale» attri

buito all'imprenditore datore di lavoro, e il diritto all'equo pre mio di cui è causa, seguono il medesimo corso: simul stabunt

simul cadent.

Ciò detto in via di principio, resta da verificare l'esistenza di

eventuali atti interruttivi della prescrizione, richiamati dalla so

cietà sia pure con riferimento ad uno dei brevetti attribuiti alla

paternità del dipendente. In proposito, sembrano fondati i due motivi in scrutinio, con

riferimento specifico al brevetto n. 1.099.416 concesso il 18

settembre 1985.

Sul punto il lavoratore resistente non ha opposto, in controri

corso, alcuna replica, sicché deve ritenersi fondata l'eccezione

della società basata sulla circostanza che il primo atto interrutti

vo compiuto dallo Scatà, costituito dalla lettera inviata alla

Montedison il 3 novembre 1995 non valeva ad evitare la pre scrizione del diritto collegato a quel brevetto.

Altrettanto fondata è la tesi della ricorrente che nega valore

interruttivo ad una precedente lettera dello Scatà, risalente al 21

marzo 1995, la quale contiene una generica rivendicazione con

cernente l'equo premio in riferimento a «numerose invenzioni»

realizzate nel corso del rapporto, senza tuttavia l'indicazione

precisa dei rispettivi titoli brevettali, da cui quella pretesa pote va avere origine.

Sul punto la sentenza impugnata tace del tutto, sicché essa

non può non essere cassata nei limiti appena specificati. Infondato è invece il quarto motivo, con il quale la società ri

corrente denuncia la violazione delle norme sulla transazione.

Correttamente la sentenza del Tribunale di Ferrara osserva

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

che nelle quietanze liberatorie sottoscritte dallo Scatà al mo

mento della cessazione del rapporto di lavoro non si rinviene al

cun riferimento all'equo premio, né vi è esternata la consape volezza della sua debenza, ovvero la volontà di rinunziarvi, sic

ché, tenuto conto della genericità delle formule impiegate, alla

stessa non può attribuirsi alcun valore abdicativo.

In conclusione, il ricorso va accolto limitatamente al secondo

e terzo motivo in relazione ai quali, quindi, la sentenza impu

gnata va annullata, con rinvio, anche per le spese di questo giu

dizio, alla Corte d'appello di Venezia.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 15 lu

glio 2003, n. 11022; Pres. Proto, Est. Luccioli, P.M. Russo

(conci, conf.); Proc. gen. App. Ancona c. M. e altro. Dichiara

inammissibile ricorso avverso App. Ancona, decr. 5 luglio 2002.

Potestà dei genitori — Vaccinazioni obbligatorie — Provve dimenti dell'autorità giudiziaria — Ricorso per cassazio ne — Inammissibilità (Cost., art. 30, 32, 34, 111; cod. civ., art. 333, 336; 1. 4 febbraio 1966 n. 51, obbligatorietà della vaccinazione antipoliomielitica, art. 1; 1. 23 dicembre 1978 n.

833, istituzione del servizio sanitario nazionale, art. 33; 1. 27

maggio 1991 n. 165, obbligatorietà della vaccinazione contro

l'epatite virale B, art. 1).

È inammissibile il ricorso per cassazione, proposto dal pubbli co ministero, avverso i provvedimenti adottati dall'autorità

giudiziaria in materia di vaccinazioni obbligatorie dei minori,

trattandosi di provvedimenti di volontaria giurisdizione, per tanto diretti a tutelare in via interinale l'interesse del minore

senza risolvere alcun contrasto tra diritti soggettivi e privi del

requisito della definitività, essendo in ogni tempo revocabi

li. (1)

(1) La decisione conferma la pacifica giurisprudenza della Suprema corte sul punto delia riduzione dei provvedimenti de quibus alla catego ria dei provvedimenti incidenti sull'esercizio della potestà dei genitori ai sensi dell'art. 333 c.c., con conseguente inammissibilità del ricorso

straordinario per cassazione in ragione della natura di provvedimento di

volontaria giurisdizione: negli stessi termini, cfr. Cass., sez. un., 15 ot

tobre 1999, n. 729/SU, Foro it., Rep. 2000, voce Potestà dei genitori, n. 25, e Giur. it., 2000, 1150; 4 marzo 1996, n. 1653, Foro it., Rep. 1996, voce Sanità pubblica, n. 223; 15 luglio 1995, n. 7744, id., Rep. 1995, voce Potestà dei genitori, n. 24; 27 giugno 1994, n. 6147, id.,

1995,1, 1924, con nota di Civinini. Più in generale, sull'inammissibilità del ricorso straordinario per cas

sazione avverso provvedimenti ablativi o modificativi della potestà dei

genitori, cfr. Cass., sez. un., 25 gennaio 2002, n. 911, id., 2002,1, 1007, con nota di Maltese, ove si afferma che «è inammissibile il ricorso per cassazione avverso il decreto, emanato in sede di reclamo, col quale la

corte d'appello, nell'assumere provvedimenti ablativi o modificativi

della potestà dei genitori naturali, affermi o neghi la giurisdizione del

giudice italiano nei confronti dello straniero; trattasi infatti di provve dimenti modificabili e revocabili in ogni tempo, privi di natura deciso

ria e inidonei a risolvere la questione di giurisdizione con effetti vin

colanti al di fuori del procedimento nel quale vengono resi».

Per l'inammissibilità del ricorso straordinario ex art. Ill Cost, av

verso provvedimenti di volontaria giurisdizione, anche sub specie di le

sione di diritti soggettivi processuali, cfr. Cass., sez. un., 15 luglio

2003, n. 11026, id., Mass., 1007; 3 marzo 2003, n. 3073, id., 2003, I,

2090, con nota di richiami, secondo cui «nei procedimenti di giurisdi zione volontaria, quali i procedimenti di omologazione di deliberazioni

societarie, è inammissibile il ricorso straordinario per cassazione avver

so il decreto della corte d'appello che abbia dichiarato inammissibile il

reclamo per difetto di legittimazione attiva e fondato sull'asserita le

sione di diritti soggettivi processuali».

Il Foro Italiano — 2004.

Svolgimento del processo. — Con decreto del 3 gennaio

- 14

marzo 2002 il Tribunale per i minorenni di Ancona rigettava il

ricorso proposto dal pubblico ministero ai sensi dell'art. 333 c.c.

nei confronti di G.P. e genitori del minore A.P., in re

lazione all'omessa vaccinazione contro l'epatite virale B di

detto minore, rilevando che la non prevista coercibilità per legge

dell'obbligo in questione impedisce al giudice di intervenire e limitare la libertà dei genitori di provvedere alla salute dei figli nel modo che ritengano più idoneo e che d'altro canto nella spe cie i genitori avevano dimostrato di tutelare adeguatamente la

salute del minore.

Il reclamo proposto dallo stesso pubblico ministero era riget tato dalla Corte d'appello di Ancona, sezione per i minorenni,

con decreto del 5 giugno - 5 luglio 2002. Osservava in motiva

zione la corte territoriale che l'art. 11. n. 165 del 1991, nel porre

l'obbligo di vaccinazione in discorso, non prevede la possibilità di coercizione; che l'art. 33 1. n. 833 del 1978 individua soltanto

nel sindaco, nella sua qualità di autorità sanitaria, l'organo

competente a disporre gli accertamenti ed i trattamenti sanitari

obbligatori, su proposta motivata di un medico; che, se pure la

Corte costituzionale nella sentenza interpretativa di rigetto n.

132 del 1992 (Foro it., Rep. 1992, voce Sanità pubblica, n.

146), nel dichiarare non fondata la questione di costituzionalità

della 1. n. 51 del 1966 in tema di vaccinazione antipoliomieliti ca, in relazione agli art. 32 e 34 Cost., per la mancata previsione della coercibilità dell'obbligo, ha ritenuto che l'applicazione

degli art. 333 e 336 c.c. non può ritenersi preclusa in ragione

dell'espressa previsione di una sanzione amministrativa per il

caso di violazione dell'obbligo in esame, tuttavia ciò non com

porta che un intervento degli organi provvisti di iniziativa in tal

senso debba sempre e comunque effettuarsi, dovendo esso al

contrario esplicarsi soltanto se l'inerzia dei genitori, special mente se unita ad altri elementi, si palesi rivelatrice di quella inidoneità genitoriale che sta alla base dei provvedimenti previ sti dall'art. 333 c.c.

E poiché nella specie il rifiuto opposto, lungi dal denotare

trascuratezza da parte dei genitori, trovava ragione nella preoc

cupazione legittima — in quanto fondata su informazioni as

sunte anche in ambito scientifico — di sottoporre la salute del

bambino a rischi conseguenti alla vaccinazione stessa, a fronte

di benefici non del tutto certi, e tenuto conto che gli stessi ge nitori si erano impegnati ad educare il minore in modo da non

esporlo al concreto pericolo di epatite, escludeva la ricorrenza

delle condizioni per l'emissione del provvedimento invocato.

Avverso tale decreto ha proposto ricorso per cassazione il

pubblico ministero presso la Corte d'appello di Ancona dedu

cendo due motivi.

Non vi è controricorso.

Motivi della decisione. — Il ricorso è inammissibile.

Questa Suprema corte ha in più occasioni affermato che il

provvedimento emesso dalla corte d'appello in sede di reclamo

avverso il decreto del tribunale per i minorenni con il quale, ai

sensi dell'art. 333 c.c., si fa obbligo ai genitori di sottoporre il

minore alle vaccinazioni obbligatorie non è impugnabile per cassazione ai sensi dell'art. Ill Cost., trattandosi di provvedi mento diretto a tutelare in via interinale l'interesse del minore

stesso senza risolvere alcun contrasto tra contrapposti diritti

soggettivi e privo del requisito della definitività, per essere

sempre revocabile (v. Cass. n. 1653 del 1996, id., Rep. 1996,

voce cit., n. 223; n. 7744 del 1995, id., Rep. 1995, voce Potestà

dei genitori, n. 24; n. 6147 del 1994, id., 1995, I, 1924; n. 3009 del 1994, id., Rep. 1996, voce cit., n. 15).

Il pubblico ministero ricorrente, dandosi carico della questio ne di ammissibilità del ricorso, deduce che la diversità della fat

tispecie in esame rispetto a quelle considerate nella richiamata

giurisprudenza — per essere stata qui emessa una pronuncia re

iettiva della richiesta del pubblico ministero d'imposizione del

l'obbligo di vaccinazione a fronte del comportamento omissivo

dei genitori, con diretto pregiudizio del diritto alla salute del

minore — renderebbe inapplicabili i principi che sostengono

quell'indirizzo. Tale assunto non può essere condiviso, attesa l'identità della

natura di volontaria giurisdizione del provvedimento adottato,

connotato dai medesimi caratteri di non decisorietà e non defi

nitività, certamente non influenzati dal contenuto negativo della

decisione rispetto all'istanza proposta. Ed invero detto provve

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