sezione lavoro; sentenza 19 maggio 1987, n. 4568; Pres. Brancaccio, Est. Nuovo, P. M. Caristo(concl. conf.); Paletti (Avv. Guardascione, Ferrari) c. Soc. Standa; Soc. Standa (Avv. Benedetti,Nicoletti) c. Poletti. Conferma Trib. Milano 20 settembre 1982Source: Il Foro Italiano, Vol. 110, No. 10 (OTTOBRE 1987), pp. 2741/2742-2745/2746Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23179201 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
tributivo in capo al datore di lavoro porta ad escludere il sorgere in capo al medesimo dell'obbligo del versamento dei contributi
previdenziali sulle retribuzioni, non essendo queste dovute (e sul
punto la sentenza di primo grado deve interdersi confermata da
quella d'appello), non viene ad essere escluso il computo del pe riodo di assolvimento delle funzioni di giudice popolare ai fini
pensionistici dal momento che il diritto dei lavoratori in aspetta tiva perché chiamati a funzioni pubbliche elettive o a ricoprirne cariche sindacali (e, quindi, anche dei lavoratori chiamati all'uf
ficio di giudice popolare in virtù dell'equiparazione fatta dall'art.
2 bis 1. n. 74 del 1978) a vedersi computato il periodo di aspetta tiva in discorso ai fini del trattamento pensionistico, pur in assen
za di retribuzione e di contribuzione previdenziale a carico del
datore di lavoro, è garantito dall'art. 31, 3° comma, dello statuto
dei lavoratori, con onere gravante direttamente sugli enti previ denziali erogatori delle relative prestazioni senza il normale corri
spettivo dei contributi; il che significa che il lavoratore, durante
l'aspettativa per una delle suddette cause, ha diritto alla conser
vazione della propria posizione assicurativa e previdenziale me
diante accreditamento di contributi figurativi. È infondato, infine, anche il ricorso incidentale.
Giustamente il tribunale ha rilevato che, se fosse stato fondato
il diniego della banca al computo delle giornate di assenza per l'assolvimento delle funzioni di giudice popolare nell'anzianità di
servizio, il richiamo fatto dall'art. 2 bis 1. n. 74 del 1978 alle
norme relative al trattamento del lavoratore chiamato all'eserci
zio delle funzioni pubbliche elettive non avrebbe avuto alcun ef
fetto, e che, d'altra parte, in tale ipotesi, il decorrere dell'anzianità
di servizio era garantito dall'art. 31 dello statuto dei lavoratori
e dall'art. 51 Cost.
Quanto all'art. 31 citato, questa corte ha ripetutamente affer
mato che il periodo di aspettativa del lavoratore chiamato a fun
zioni pubbliche elettive o a ricoprire cariche sindacali provinciali o nazionali, deve, ai sensi della suddetta norma, considerarsi uti
le ai fini della maturazione di tutti i diritti dipendenti dall'anzia
nità di servizio, atteso che, in generale, nell'ipotesi di sospensione del rapporto di lavoro, persistono tutti i diritti non incompatibili — come quello alla retribuzione — con la contemporanea cessa
zione della prestazione lavorativa, salva la possibilità di diverse
pattuizioni tra le parti ove la sospensione abbia titolo convenzio
nale (Cass. 6 marzo 1986, n. 1491 e 11 aprile 1986, n. 2560,
id., Rep. 1986, voce Lavoro (rapporto), nn. 1283, 1284; per l'i
potesi di sospensione consensuale del rapporto di lavoro v., inve
ce, Cass. 6 giugno 1979, n. 3223, id., 1979, I, 2361). D'altra
parte, come è stato evidenziato nelle prime due ora menzionate
decisioni, l'art. 51, 3° comma, Cost., stabilendo che «chi è chia
mato a funzioni pubbliche elettive ha diritto di disporre del tem
po necessario al loro adempimento e di conservare il posto di
lavoro», intende, più comprensivamente garantire al lavoratore
che si trovi in tale condizione la «posizione di lavoro», nella qua le non può non ricomprendersi la maturazione, durante l'aspetta
tiva, di tutti i diritti dipendenti dall'anzianità di servizio.
Ne deriva che entrambi i ricorsi vanno rigettati.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 19 maggio
1987, n. 4568; Pres. Brancaccio, Est. Nuovo, P. M. Caristo
(conci, conf.); Paletti (Avv. Guardascione, Ferrari) c. Soc.
Standa; Soc. Standa (Avv. Benedetti, Nicoletti) c. Poletti.
Conferma Trib. Milano 20 settembre 1982.
Tributi in genere — Imposte dirette — Ritenuta d'acconto sulle
somme dovute per trattamento di fine rapporto — Conoscenza
del datore di lavoro del reddito complessivo netto del dipen
dente — Irrilevanza — Conseguenze (D.p.r. 29 settembre 1973
n. 597, istituzione e disciplina dell'imposta sul reddito delle per
sone fisiche, art. 12, 13; d.p.r. 29 settembre 1973 n. 600, di
sposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui
redditi, art. 23).
// datore di lavoro, nel calcolare le ritenute d'acconto da operare
sulle somme dovute al dipendente per il trattamento di fine
rapporto, è obbligato a far riferimento solo ai redditi di lavoro
corrisposti ne! biennio precedente, anche se fosse a conoscenza
Il Foro Italiano — 1987 — Parte /-178.
della diversa misura del reddito complessivo netto del dipen dente percepito nello stesso periodo; l'eventuale differenza, po sitiva o negativa, tra ritenuta operata e tassazione definitiva va versata, o richiesta, all'amministrazione finanziaria. (1)
Svolgimento de! processo. — Uberto Poletti, dipendente della
Standa dal 31 marzo 1952 al 31 dicembre 1974, con ricorso del
19 settembre 1980 diretto al Pretore di Milano esponeva che la
datrice di lavoro, nell'operare la ritenuta fiscale sulla somma di
lire 78.994.803 che doveva corrispondergli a titolo di indennità
di anzianità, previdenza, preavviso, ecc., invece di applicare l'ali
quota del 5,92%, corrispondente alla media del reddito comples sivo accertato agli effetti dell'imposta complementare per il biennio
1972-73 per lire 4.513.504, aveva applicato l'aliquota del 21,59%, trattenendo cosi la maggior somma di lire 16.460.750. Esponeva inoltre che, avendo egli lavorato alle dipendenze di detta società
per ben ventidue anni, gli spettava la pensione premio di operosi tà istituita dalla datrice di lavoro con ordine di servizio n. 132/N
del 18 settembre 1963 e n. 204/17 del 24 dicembre 1952.
Chiedeva pertanto che la Standa venisse condannata al paga mento della somma complessiva di lire 11.947.060 oltre rivaluta
zione e interessi.
Costituitasi in giudizio, la convenuta, dopo aver rilevato che
la ritenuta fiscale era stata operata, in conformità alle istruzioni
del ministero delle finanze, sulla base dell'ammontare complessi vo delle retribuzioni corrisposte al ricorrente nel biennio 1972-73,
eccepiva che il Poletti avrebbe potuto far valere eventuali crediti
di imposta, sulla base del condono operato sull'imposta comple mentare in detti anni, in sede di dichiarazione dei redditi presen tata nel 1975 per l'anno 1974. Aggiungeva la Standa che nessuna
prova era stata fornita dal dipendente sull'ammontare dei redditi
accertati fiscalmente per il biennio suddetto e che comunque, pri ma di richiedere il risarcimento del danno ad essa società, avreb
be dovuto il ricorrente presentare istanza di rimborso all'intendenza
di finanza ai sensi del d.p.r. n. 602 del 1973. Quanto alla doman
da relativa al premio di operosità, la Standa ne eccepiva prelimi narmente l'improponibilità, perché preclusa da una transazione
intervenuta tra le parti, e comunque l'infondatezza nel merito
per difetto dei presupposti di fatto necessari per la relativa con
cessione. Il pretore con sentenza del 18 marzo 1981 respingeva la domanda e il Tribunale di Milano con decisione del 20 settem
bre 1982 confermava tale pronuncia.
(1) Com'è ovvio, non constano precedenti in termini. Era davvero sin
golare, difatti, la pretesa del dipendente di far mutare la funzione del datore di lavoro (che per una qualsiasi circostanza sia a conoscenza di
quanto abbia guadagnato il suo dipendente nel biennio preso in conside razione dalla legge) da sostituto d'imposta, a titolo d'acconto (è qui l'in
ghippo!), ad alter ego degli uffici finanziari; o, in altri termini, di
sopprimere la fase «provvisoria» della ritenuta, giungendo direttamente
alla tassazione definitiva. Se la legge ha tenuto distinto il reddito su cui
operare il calcolo per individuare l'aliquota da porre a base della ritenuta
d'acconto ed il reddito complessivo per determinare l'aliquota da applica re in sede di tassazione definitiva, la ragione c'è: è più semplice (ed è
più frequente) che il datore di lavoro si riferisca solo al reddito di lavoro che ha corrisposto al suo dipendente nel biennio precedente — di cui
conosce certamente l'importo — non senza tener conto che l'operazione di eventuale conguaglio con l'imposta definitiva è bene sia eseguita dagli uffici finanziari (cfr., indicativamente, Vinci e Gagliardi, Le imposte dirette e la loro pratica applicazione nelle imprese, Roma, 1985, 205:
«Ciò potrà determinare, in molti casi, la necessità del successivo congua
glio fra l'imposta trattenuta sulle competenze di cui si tratta e quella dovuta per effetto del concorso di altri redditi con quello di lavoro. Ma
questa operazione, dovendo avvenire sulla base della dichiarazione pro dotta dal percipiente, non interessa il datore di lavoro»).
In ordine alla disciplina della tassazione separata di cui agli art. 12
ss. d.p.r. 597/73, cfr. Corte cost. 17 aprile 1985, n. 104, Foro it., 1985,
I, 2198, con nota di richiami, che ha dichiarato l'illegittimità costituzio
nale degli art. 12 e 13 cit. nella parte in cui non prevedono l'esclusione
della tassazione separata per i redditi che, sommati agli altri percepiti nei singoli anni cui si riferiscono, non superano il minimo imponibile; Cass. 21 gennaio 1985, n. 190, ibid., 2035, con nota di richiami, sui
criteri di tassazione nell'ipotesi di definizione per condono del reddito
percepito nel biennio e soggetto al cumulo dei redditi dei coniugi; sulle
modifiche introdotte a questa disciplina dalla 1. 26 settembre 1985 n. 482
e sui profili di parziale illegittimità costituzionale della stessa, v. Corte
cost. 7 luglio 1986, n. 178, id., 1986, I, 2068, con nota di richiami, cui
si rinvia per ulteriori indicazioni sul tema delle indennità ai pubblici di
pendenti. [S. Dì Paola]
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2743 PARTE PRIMA 2744
Osservava il giudice di merito che la Standa, nel calcolare l'ali
quota della ritenuta da operare sull'indennità di anzianità, aveva
fatto riferimento alle retribuzioni corrisposte al dipendente negli anni 1972 e 1973 sul presupposto di una normale posizione fisca
le del medesimo e sulla scorta della circolare del 15 dicembre
1973 del ministero delle finanze. E poiché tale ritenuta doveva
essere operata al momento della corresponsione di detta indenni
tà, avrebbe dovuto il Poletti dimostrare che la datrice di lavoro
era in quel momento a conoscenza del minor reddito complessivo netto accertato agli effetti dell'imposta complementare per il bien
nio suddetto, prova che mancava del tutto, perché i documenti
prodotti (certificato dell'ufficio distrettuale delle imposte dirette
di Bergamo e decisioni della commissione tributaria di secondo
grado di detta città) sono del 1978 o del 1980: il che fa ritenere
che nemmeno il Poletti era in grado nel 1974 di conoscere il red
dito accertato per detti due anni né di fornire la relativa docu
mentazione. Ed è proprio per evidenti ragioni d'ordine pratico che la disciplina della ritenuta alla fonte è retta da norme di ca
rattere processuale, rivolte al sostituto d'imposta, le quali si di
scostano in parte dalla disciplina sostanziale del tributo e che in
particolare nel disposto dell'art. 23, lett. c), d.p.r. 29 settembre
1973 n. 600 è contenuta la regola generale secondo cui il sostituto
d'imposta per l'applicazione delle ritenute deve prendere a base
i redditi corrisposti. In relazione al motivo di impugnazione proposto dal Poletti,
secondo il quale nel precedente ordine di servizio del 1952 era
solo precisato che il premio di operosità si conseguiva al compi mento del sessantesimo anno di età se uomo e di cinquantacinque anni se donna e non anche che la permanenza in servizio dovesse
perdurare fino a detta età, obiettava il tribunale che il successivo
ordine di servizio del 1963 chariva che il premio di operosità non
spettava a chi lasciava l'azienda prima del raggiungimento del
limite di età e il precedente ordine di servizio, anche se interpre tato nel senso voluto dal Poletti, non poteva giovare a lui, dato
che alla data del secondo ordine di servizio egli non aveva ancora
maturato il diritto alla pensione premio, perché aveva un'anzia
nità di soli undici anni. Avverso tale decisione il Poletti ricorre per cassazione dedu
cendo due motivi di annullamento. Resiste la Standa con contro
ricorso proponendo a sua volta ricorso incidentale condizionato
affidato ad un unico mezzo, cui resiste il Poleti con controricor
so. Il lavoratore ha presentato memoria.
Motivi della decisione. — I due ricorsi in quanto diretti entro
la medesima sentenza vanno di ufficio riuniti. (Omissis) Con il primo motivo di ricorso principale, denunciando l'o
messa o insufficiente motivazione su un punto decisivo della con
troversia nonché la violazione dell'art. 86 1. 29 settembre 1973
n. 579, lamenta il Poletti che il tribunale abbia ritenuto che in
combeva ad esso ricorrente provare che, al momento della ritenu
ta alla fonte operata sull'indennità di anzianità, la Standa fosse
al corrente di quale fosse il reddito netto accertato agli effetti della imposta complementare per il biennio 1972-1973, senza te
ner conto che tale conoscenza doveva presumersi per il fatto no
torio dell'esistenza del condono e dell'interesse dei lavoratori ad ottenere la liquidazione nel corso del 1974 per giovarsi dell'ali
quota di favore derivante appunto del condono.
Aggiunge poi che tale discorso è anche superfluo, tenuto conto che l'aliquota della ritenuta alla fonte ai fini dell'art. 86 sopra citato andava rapportata al reddito accertato e non alle retribu zioni percepite dal contribuente.
Il motivo è infondato. Ha ragione il Poletti a sostenere che la conoscenza o meno da parte della Standa dell'avvenuto condo no è questione superflua, perché il problema trova soluzione sul
piano del diritto: solo che proprio su tale piano egli ha torto. Il ricorrente confonde due concetti, che nella legge sono tenuti ben distinti: il reddito su cui deve essere operata la ritenuta d'ac conto e quello su cui viene calcolata l'imposta definitiva. Con riferimento all'indennità di anzianità, l'art. 23 d.p.r. 29 settem bre 1973 n. 600 dispone che il datore di lavoro nel corrispondere al proprio dipendente l'indennità di fine rapporto deve sulla par te imponibile d'essa operare una ritenuta alla fonte a titolo di acconto con l'aliquota corrispondente alla metà dell'ammontare
globale dei redditi di lavoro dipendente percepiti dal prestatore di lavoro nel biennio precedente». E del resto ciò è nella logica della figura del sostituto di imposta (quale è il datore di lavoro
per le somme corrisposte ai propri dipendenti), figura questa che trova giustificazione proprio nella particolare situazione in cui
Il Foro Italiano — 1987.
il datore di lavoro si trova con il presupposto di imposta, in quanto
eroga le retribuzioni e le indennità assoggettate a tributi, ed è
in grado, per il rapporto privatistico che lo lega al lavoratore
sostituito, di trasferire immediatamente su di lui il peso economi
co dell'imposta versata, operando la rivalsa mediante il prelievo delle somme pagate da quelle dovute al dipendente in conseguen za del rapporto di lavoro.
La stessa indennità di anzianità deve poi essere denunciata dal
lavoratore fra i redditi soggetti a tassazione separata e viene tas
sata definitivamente (sempre nella parte imponibile) con l'aliquo ta corrispondente «alla metà del reddito complessivo netto del
contribuente del biennio anteriore all'anno in cui è percepita»
(art. 12, 13 e 14 d.p.r. 29 settembre 1973 n. 597). I due redditi (quello retributivo su cui è stata operata la ritenu
ta di acconto e quello complessivo) coincidono perfettamente so
lo in un caso, nell'ipotesi cioè che il lavoratore abbia un unico
reddito (quello di lavoro) e si sia avvalso nel biennio della dedu
zione forfettaria di cui all'art. 16, lett. b), d.p.r. n. 597 del 1973
a fronte degli oneri previsti dall'art. 10 stessa legge. In questo caso la ritenuta d'acconto corrisponde alla tassazione definitiva
e non sorge né credito né debito a favore o a carico del contri
buente.
In tutti gli altri casi invece vi può essere divario fra la ritenuta
d'acconto e la tassazione definitiva.
Nel caso infatti in cui il lavoratore, oltre a quelli di lavoro
ha denunciato altri redditi (fondiari, di capitale, ecc.), l'aliquota
corrispondente al reddito complessivo netto, data la progressività
dell'imposta, può essere superiore a quella applicata dal datore
di lavoro in sede di ritenuta alla fonte sulla base del solo reddito
di lavoro e in tal caso (nel regime anteriore a quello dell'autotas
sazione) l'ufficio delle imposte provvedeva ad iscrivere a ruolo
la maggiore imposta dovuta. Può capitare, al contrario, che il
contribuente in possesso di solo reddito da lavoro dipendente, invece di usufruire della deduzione forfettaria prevista dall'art.
16, lett. b), sopracitata, effettui, in sede di dichiarazione dei red
diti, la deduzione degli oneri contemplati dall'art. 10 d.p.r. n.
597 del 1973 (spese per interessi passivi, spese mediche e chirurgi
che, spese scolastiche, ecc.): in tale ipotesi la riduzione del reddi
to complessivo a seguito delle suddette deduzioni può determinare
l'applicazione di un'aliquota inferiore, rispetto a quella applicata dal datore di lavoro in sede di ritenuta alla fonte, e far sorgere a favore del contributente il diritto al rimborso per la differenza.
Ma tutto ciò avviene ad opera dell'ufficio imposte in sede di
verifica dei redditi soggetti a tassazione superata. Il datore di la
voro invece, anche se fosse a conoscenza della diversa aliquota
applicabile al reddito complessivo netto del proprio dipendente, non può in alcun modo derogare ai criteri legali di calcolo della
ritenuta alla fonte, senza incorrere nelle sanzioni previste dall'art.
92 d.p.r. 29 settembre 1973 n. 602.
Questo sistema non è stato in alcun modo modificato dalla
disposizione transitoria contenuta nell'art. 86 d.p.r. n. 597 del
1973, che regola la tassazione separata nella fase di transizione
per il vecchio e il nuovo regime tributario, stabilendo che tali
redditi vengano tassati con l'aliquota attuale calcolata sulla metà
dell'ammontare globale dei redditi percepiti nel periodo di vigen za dell'antecedente regime tributario.
Ora, tale disposizione non incide sul regime della ritenuta alla
fonte, regolato dall'art. 23 d.p.r. n. 600 del 1973, e quindi il
datore di lavoro è tenuto a calcolare detta ritenuta con l'aliquota
corrispondente alla metà dell'ammontare dei redditi di lavoro, da lui corrisposti al dipendente nel biennio precedente. L'art. 86,
infatti, modifica solo l'art. 13 d.p.r. n. 597 del 1973, che riguar da la tassazione definitiva che viene operata dall'ufficio, stabilen do che, se nel biennio anteriore alla correponsione dell'indennità
di anzianità vi sia un periodo svoltosi sotto il precedente regime tributario, l'aliquota attuale va applicata sulla metà non del red dito complessivo netto ai fini i.r.p.e.f. (che non vi può essere, essendo il nuovo regime tributario entrato in vigore successiva
mente), ma del reddito complessivo netto accertato agli effetti
dell'imposta complementare, che sotto l'antecedente regime tri butario aveva natura di imposta personale progressiva simile al l'attuale i.r.p.e.f.
Nella specie è pacifico che l'indennità di anzianità fu corrispo sta al Poletti nel 1974 e che la Standa operò la ritenuta d'acconto
calcolandola, come prescrive l'art. 23 d.p.r. n. 600 del 1973, in base all'aliquota corrispondente alla metà delle retribuzioni corri
sposte al dipendente nel biennio precedente: ciò è sufficiente per
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
escludere qualsiasi responsabilità della datrice di lavoro in sede
di rivalsa, avendo trattenuto le somme corrispondenti alla ritenu
ta di acconto, legittimamente operata. Se poi l'aliquota applicabile dall'ufficio delle imposte dirette
in sede di tassazione definitiva risulti inferiore (per avvenuto con
dono sull'imposta complementare o per altri motivi, come si è
sopra accennato) ogni richiesta di restituzione va diretta all'am
ministrazione finanziaria, se nel frattempo non è stato operato il rimborso di ufficio sulla base dell'art. 41 d.p.r. n. 602 del 1973.
(Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 13 maggio
1987, n. 4392; Pres. Scanzano, Est. R. Sgroi, P. M. La Val
va (conci, diff.); Comune di Sanremo (Avv. Guidi, Uckmar,
Felici) c. Min. finanze; Min. finanze (Avv. dello Stato Poliz
zi) c. Comune di Sanremo. Cassa Comm. trib. centrale 13 ot
tobre 1983, n. 2827.
Ricchezza mobile (imposta di) — Entrate da esercizio di case da
giuoco — Tassabilità — «Ius superveniens» — Esclusione —
Fattispecie (D.p.r. 29 gennaio 1958 n. 645, t.u. delle leggi sulle
imposte dirette, art. 81; d.l. 1° luglio 1986 n. 318, provvedi menti urgenti per la finanza locale, art. 19; 1. 9 agosto 1986
n. 488, conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 1° lu
glio 1986 n. 318, art. 1). Fabbricati (imposta sul reddito dei) — Enti pubblici — Immobili
destinati a case da giuoco — Assoggettabilità — Condizioni — Fattispecie (D.p.r. 29 gennaio 1958 n. 645, art. 69, 72, 77; d.l. 1° luglio 1986 n. 318, art. 19).
Poiché con l'art. 9 d'I. 1° luglio 1986 n. 318, convertito nella
l. 9 agosto 1986 n. 488, è stata stabilita, con effetto retroatti
vo, la natura non reddituale delle entrate delle gestioni delle
case da giuoco, va cassata la decisione che abbia dichiarato
soggetti all'imposta di ricchezza mobile tali redditi negandone la natura pubblicistica (nella specie, si trattava delle entrate del
comune di Sanremo per l'esercizio diretto del casinò muni
cipale). (1) Va cassata la decisione della commissione tributaria centrale che
abbia escluso l'assoggettamento all'imposta sul reddito dei fab bricati immobili, di proprietà di ente pubblico (nella specie, il comune di Sanremo), destinati a case da giuoco in funzione della toro destinazione strumentale alla produzione del reddito
consistente nelle entrate derivanti dalla gestione della casa da
giuoco, riservando al giudice di rinvio l'accertamento relativo
alla sussistenza, in concreto, del carattere strumentale degli im
mobili suddetti ovvero, in difetto di un tale requisito, di un
reddito autonomo derivante dal possesso di tali edifici, tenen
do conto delle innovazioni introdotte dall'art. 19 d.l. 1° luglio 1986 n. 318, convertito nella l. 9 agosto 1986 n. 488, circa
la natura delle entrate delle gestioni delle case da giuoco. (2)
(1-2) I. - Il 'sogno' dei comuni, che gestiscono direttamente le case
da giuoco sul territorio nazionale (si tratta dei comuni di Sanremo e Ve
nezia), di sottrarne le entrate conseguite nell'esercizio delle case da giuo co all'imposizione del tributo mobiliare si può ritenere oramai realizzato.
Con l'intervento dell'art. 19 1. 9 agosto 1986 n. 488, che ha convertito
con modificazioni il d.l. 1° luglio 1986 n. 318 (il testo coordinato si può consultare su Le leggi, 1986, 2009), si è definitivamente sancita la natura
pubblicistica dei proventi conseguiti dai predetti comuni, facendo cadere
l'assunto da cui muoveva la giurisprudenza dominante nell'affermare la
tassabilità delle entrate delle case da giuoco: v. Cass. 15 ottobre 1984, nn. 5168 e 5169, Foro it., Rep. 1985, voce Ricchezza mobile (imposta), nn. 2-4; nonché le coeve sentenze nn. 5173, 5171, 5172, 5174 e 5170,
id., Rep., 1984, voce cit., nn. 7, 9, 4, 12 e id., 1984, I, 2723, con nota
di richiami di C.M. Barone, cui adde Comm. trib. centrale 5 giugno
1984, n. 6007, id., Rep. 1984, voce cit., n. 13; 19 marzo 1984, n. 2519,
ibid., n. 14; 13 ottobre 1983, n. 2824, ibid., n. 16; 5 luglio 1979, n.
8772, id., Rep. 1981, voce cit., n. 69; 6 novembre 1979, n. 8772, id.,
Rep. 1980, voce cit., n. 50, tutte concordi nell'escludere che gli incassi
percepiti dai comuni potessero qualificarsi come entrate tributarie o di
tipo pubblicistico, risultando tali entrate gli utili percepiti nell'esercizio
di un'attività imprenditoriale; ma mette conto sottolineare che la natura
pubblicistica dei guadagni realizzati attraverso le case da giuoco è stata
affermata a più riprese dalla dottrina (v., per tutti, F. Franchini, Casa
da giuoco, voce dell' Enciclopedia del diritto, Milano, 1960, VI, 359, 362-63,
Il Foro Italiano — 1987.
Svolgimento del processo. — Con decisione n. 2827 del 13 ot
tobre 1983 la Commissione tributaria centrale dichiarava soggetti ad imposta di r.m. cat. B, i redditi percepiti dal comune di San
remo per l'esercizio diretto del casinò municipale e non soggetto ad imposta fabbricati il reddito dell'immobile destinato a detta
attività; rinviava alla commissione di secondo grado di Imperia
per la determinazione del reddito complessivo tassabile con im
posta di r.m.
ove ampi richiami bibliografici) e, di recente, anche dalla Corte costitu zionale (cfr. sent. 23 maggio 1985, n. 152, Foro it., 1986, I, 41, spec. 43), mentre la giurisprudenza ordinaria non si è spinta più in là di un'af fermazione sporadica in tal senso, resa, peraltro, nel periodo in cui il casinò dell'odierno comune ricorrente era gestito da una società privata in regime di concessione e la quota degli incassi versata al comune come
corrispettivo della concessione mutuava, da tale qualifica, la natura di «entrata pubblicistica» (cfr. Cass., sez. un., 11 giugno 1971, n. 1745, id., 1971, I, 2220, con nota di richiami).
È pacifica l'affermazione secondo cui, ove il provento conseguito dal l'ente pubblico abbia natura pubblicistica, va esclusa la tassazione con
l'imposta di r.m.: v., a mo' d'esempio, Cass. 3 dicembre 1974, n. 3944, id., Rep. 1974, voce cit., n. 24; Comm. trib. centrale 12 dicembre 1972, n. 11924, id., Rep. 1973, voce cit., n. 65 (entrambe relative alla gestione di beni demaniali quali i musei ed i monumenti cittadini); Cass. 28 luglio 1972, n. 2578, id., 1973, I, 772 (sui proventi riscossi dal comune di Chian ciano Terme dalla società omonima Terme di Chianciano); Comm. cen trale 13 maggio 1969, n. 3972, id., Rep. 1972, voce cit., n. 63 (circa i canoni percepiti dai comuni dagli appaltatori delle imposte di consumo).
II. - Risolto, in tal senso, il profilo concernente l'imposta di ricchezza
mobile, riemerge inevitabilmente la questione della tassabilità con l'impo sta sui fabbricati dei redditi conseguiti dalla casa da giuoco del comune di Sanremo. Nel vigore della giurisprudenza su ricordata, la questione era stata risolta negativamente argomentando dalla strumentalità del fab
bricato, adibito a casinò municipale, rispetto alla produzione del reddito
conseguito attraverso la casa da giuoco (requisito che consente, ex art. 72 d.p.r. 645/58, di esentare gli immobili dall'imposizione in discorso, confluendo tali redditi nell'ambito dell'attività commerciale: cfr. Comm. trib. centrale 13 ottobre 1983, n. 2824, id., Rep. 1984, voce Fabbricati
(imposta sul reddito dei), n. 16; specularmente, quando il comune aveva concesso in affitto l'immobile alla società concessionaria, venuto meno
il carattere della strumentalità, era stata affermata la tassabilità del reddi to degli stessi fabbricati: cfr. Comm. trib. centrale 9 luglio 1980, n. 3086,
id., Rep. 1981, voce Ricchezza mobile (imposta di), n. 44). A questo punto, si impone una nuova valutazione che consenta di accertare l'esi
stenza dei requisiti richiesti dal testo unico del 1958 per procedere alla tassazione dei redditi conseguiti dal possesso dei fabbricati, anche alla
luce dell'innovazione introdotta dall'art. 19 1. 488/86: l'attività esercitata dal comune di Sanremo può considerarsi «attività commerciale», sicché
l'immobile utilizzato come casa da giuoco risulti strumentale a tale attivi
tà? (la Cassazione, anche se in altri ambiti, non ha avuto dubbi nell'af fermare che l'attività di gestione di case da giuoco operata da un comune
integra gli estremi dell'attività d'impresa svolta da un ente pubblico non
economico (art. 2093, 2° comma, c.c.): v. Cass., sez. un., 2 maggio 1979, n. 2523, id., 1979, I, 1121, con nota di richiami, relativa al casinò di
Venezia, e Cass., sez. un., 22 dicembre 1976, n. 4705, id.. Rep. 1976, voce Impiegato dello Stato, n. 179, resa in una controversia riguardante il comune di Sanremo, sui profili di giurisdizione in ordine ai rapporti di lavoro tra comune e dipendenti della casa da giuoco; nonché, in mate ria penale, Cass. 23 novembre 1985, Romano, id., Rep. 1986, voce Casa
da giuoco, n. 3). Oppure gli immobili in questione sono suscettibili di
produrre un reddito autonomo, non risultando un vincolo di destinazione
legale che ne sancisca l'improduttività? (la questione si è presentata di
frequente per gli immobili commerciali destinati dall'ente a sede di scuo
le, anche sotto il controllo dello Stato, ma senza che vi fosse un atto normativo che imponesse una tale destinazione, e la giurisprudenza ha
affermato la soggezione al tributo immobiliare di tali edifici: v. Cass. 7 settembre 1970, n. 1286, id., 1970, I, 2868, con nota di richiami, cui
si sono uniformate Cass. 21 luglio 1979, nn. 4370 e 4371, id., Rep. 1979, voce Tributi in genere, n. 358, e voce Fabbricati (imposta sul reddito
dei), n. 6, nonché Comm. trib. centrale 22 marzo 1972, n. 2910, id.,
Rep. 1972, voce cit., n. 14; 29 aprile 1975, n. 5792, ibid., n. 5; in dottri
na v. Mariconi, Sull'annosa questione degli edifici scolastici, in Ammin.
it., 1972, 542; Puoti, Esclusione dall'imposta sui fabbricati degli edifici scolastici comunali concessi in uso gratuito allo Stato, in Riv. giur. edili
zia, 1971, I, 864; Salazar, L'imposta sui fabbricati ad uso scolastico, in Riv. giur. scuola, 1972, 98; l'esenzione è stata, invece, riconosciuta
agli istituti di assistenza e beneficenza il cui statuto, approvato con legge dello Stato, prevede la destinazione improduttiva degli immobili: cfr. Cass.
30 marzo 1981, n. 1819, Foro it., Rep. 1981, voce cit., n. 1; 12 gennaio
1979, n. 228, id., Rep. 1979, voce cit., n. 7; contra Comm. trib. centrale
24 giugno 1975, n. 8216, id., Rep. 1976, voce cit., n. 4). O, ancora, ricorre l'ipotesi di esclusione dall'imposta prevista dall'art. 77, lett. c),
d.p.r. 645/58? (la giurisprudenza ritiene che l'indicazione della legge, che
parla delle «costruzioni costituenti demanio pubblico infruttifero dello
Stato e degli altri enti pubblici territoriali», va intesa tassativamente, per
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