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sezione lavoro; sentenza 2 ottobre 1985, n. 4778; Pres. Pennacchia, Est. Della Terza, P. M....

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sezione lavoro; sentenza 2 ottobre 1985, n. 4778; Pres. Pennacchia, Est. Della Terza, P. M. Martinelli (concl. diff.); Comendulli (Avv. Baldassarre, De Leo) c. Armarelli (Avv. Franco, Vicentini). Conferma Trib. Bergamo 5 maggio 1980 Source: Il Foro Italiano, Vol. 108, No. 11 (NOVEMBRE 1985), pp. 2881/2882-2885/2886 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23180027 . Accessed: 28/06/2014 12:06 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 92.63.101.193 on Sat, 28 Jun 2014 12:06:33 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: sezione lavoro; sentenza 2 ottobre 1985, n. 4778; Pres. Pennacchia, Est. Della Terza, P. M. Martinelli (concl. diff.); Comendulli (Avv. Baldassarre, De Leo) c. Armarelli (Avv. Franco,

sezione lavoro; sentenza 2 ottobre 1985, n. 4778; Pres. Pennacchia, Est. Della Terza, P. M.Martinelli (concl. diff.); Comendulli (Avv. Baldassarre, De Leo) c. Armarelli (Avv. Franco,Vicentini). Conferma Trib. Bergamo 5 maggio 1980Source: Il Foro Italiano, Vol. 108, No. 11 (NOVEMBRE 1985), pp. 2881/2882-2885/2886Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23180027 .

Accessed: 28/06/2014 12:06

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

nell'ambito dello stesso comune) occupino più di quindici dipen

denti, nonché alle imprese agricole che occupino più di cinque

dipendenti (sia pure soltanto nello stesso ambito territoriale),

quale che sia la dimensione complessiva dell'impresa; che in

difetto di tali requisiti, come pure nel caso di datore di lavoro

non imprenditore, è invece applicabile la tutela c.d. obbligatoria dell'art. 8 1. n. 604/66, «alfonché sussista ili requisito numerico sta

bilito dall'art. 11 stessa legge (occupazione compltessiVa 'di almeno

trentasei dipendenti); che, infine, quando difetti anche quest'ulti mo requisito, il licenziamento è disciplinato dall'art. 2118 c.c.

Nella specie, trattandosi di impresa industriale con più di

quindici, ma meno di trentasei dipendenti occupati nella sua

unica unità produttiva, la sentenza impugnata ha dunque fatto

corretta applicazione dell'art. 18 1. n. 300/70. Parimenti infondato è il secondo motivo del ricorso.

È assorbente al riguardo rilevare che il giudice del merito, con

apprezzamento di fatto congruamente motivato, ha escluso la

sussistenza del nesso causale tra licenziamento e parziale mo

dificazione delle tecniche di lavorazione, cui il dipendente non

sarebbe stato in grado di adeguarsi, soprattutto osservando che il

lungo tempo trascorso (circa quattro anni) tra ristrutturazione

aziendale e recesso -induceva ad escludere che questo avesse

tratto effettivo motivo dalla prima. Né sussiste contraddizione tra questa conclusione e l'afferma

zione di un obbligo dell'imprenditore di tentare l'addestramento

del dipendente al nuovo tipo di lavorazione prima di licenziarlo

(nel caso di esito negativo), non essendosi con ciò di certo

preteso che il periodo di addestramento dovesse addirittura avere

durata quadriennale. 11 ricorso deve essere perciò rigettato. (Omissis)

I

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 2 ottobre

1985, n. 4778; Pres. Pennacchia, Est. Della Terza, P. M.

Martinelli (conci. difT.); Comendulli (Avv. Baldassarre, De

Leo) c. Armarelli (Avv. Franco, Vicentini). Conferma Trib.

Bergamo 5 maggio 1980.

Lavoro (rapporto) — Disciplina collettiva — Impresa artigiana —

Requisiti — Produzione di beni di natura artistica o usuale

(Cost., art. 45; cod. civ., art. 2083; 1. 25 giugno 1956 n. 860,

norme per la disciplina giuridica dell'impresa artigiana, art. 1).

Non è impresa artigiana — e quindi ai suoi dipendenti non va

applicata la contrattazione collettiva artigianale del settore —

quella che non produce beni di natura artistica o usuale, ihtesi,

questi ultimi, come utilizzabili autonomamente per le esigenze della vita quotidiana (nella specie, si trattava di impresa

produttrice di componenti in plastica di altri oggetti). (1)

(1-2) Con le due decisioni in epigrafe la Corte di cassazione

puntualizza le nozioni di « beni di natura usuale » e di « produzione in

serie » di cui alla 1. 860 del 1956 in materia di disciplina giuridica dell'artigianato, sulle quali non si è mai in precedenza pronunciata ex

professo. Per quel che concerne genericamente i caratteri dell'impresa artigiana, cfr. la nota di richiami, anche di dottrina, di M. Niro a Cass. 8 giugno 1983, n. 3924, Foro it., 1984, I, 806, e in Cons. Stato,

1984, II, 559, con nota di P. Carnevale, L'impresa artigiana: sua

configurazione e rilevanza urbanistica. Adde, Cass. 22 settembre 1983, n. 5633, Foro it., Rep. 1984, voce Artigiano, n. 5; 5 febbraio 1968, n.

365, id., Rep. 1968, voce cit., n. 3.

Sugli aspetti relativi all'iscrizione all'albo, v., da ultimo, Cass. 28

novembre 1984, n. 6186, id., 1985, I, 742, con nota di richiami, e

Cass. 29 novembre 1984, n. 6264, id., Rep. 1984, voce cit., n. 14.

Nella giurisprudenza di merito, cfr., in senso conforme a Cass.

4778/85 circa la nozione di beni di natura usuale, Trib. Firenze 17

dicembre 1979 e Pret. Brescia 4 maggio 1976, entrambe inedite, a quel che consta.

Nello stesso senso di Cass. 526/85, in merito al concetto di

produzione in serie, v. Pret. Pavia 17 gennaio 1980, cit. da Niro nella

nota su richiamata; App. Firenze 25 febbraio 1967, id., Rep. 1967, voce cit., n. 9. Sul punto v., pure, App. Firenze 29 maggio 1971, id.,

Rep. 1971, voce cit., n. 7. Per la valorizzazione anche dell'identicità e

della quantità del prodotto, cfr. Trib. Prato 18 aprile 1984, id., Rep.

1984, voce cit., n. 11, per esteso in Dir. fall, 1984, II, 585, con nota

di M. Bronzini. Per altri utili spunti, v. Pret. Minturno 9 dicembre

1982 e Pret. Latina 11 maggio 1982, Orient, giur. pontina lav., 1982, 142 e 67.

Nelle sentenze sopra riportate sono poi da segnalare anche alcuni

passaggi delle motivazioni. In particolare, nella decisione 4778/85,

Il Foro Italiano — 1985.

II

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 29 gennaio

1985, n. 526; Pres. Dondona, Est. Onnis, P. M. Paolucci

(conci, diff.); Industria alimentare Ribaldone (Avv. Contaldi,

Azzaretti) c. Canova e Medici (Avv. Di Porto, Colpo, Bodo).

Cassa Trib. Biella 8 giugno 1980.

Lavoro (rapporto) — Disciplina collettiva — Impresa artigiana —

Requisiti — Limiti occupazionali (Cod. civ., art. 2083; 1. 25

giugno 1956 n. 860, art. 1, 2, 3, 4).

Va cassata con rinvio ad altro giudice la sentenza che abbia

ritenuto superato il limite occupazionale massimo previsto dal

l'art. 2, lett. a) e b), l. 860 del 1956 per il riconoscimento della

natura artigiana di un'impresa (e quindi l'inapplicabilità della

relativa contrattazione collettiva ai dipendenti di essa), soste

nendo che si trattava di lavorazione in serie, senza indagare sulla decisiva circostanza che il processo produttivo, e non il

prodotto, fosse o meno del tutto meccanizzato e, cioè, se

alcune fasi della lavorazione fossero o meno effettuate dai

titolari dell'impresa (nella specie, una società in nome colletti

vo) o dai suoi dipendenti, e senza distinguere, nel computo numerico di essi, tra amministrativi e tecnici, questi ultimi i

soli da prendere in considerazione ed in riferimento alla

situazione normale dell'azienda. (2)

I

Svolgimento del processo. — Armanelli Antonella, già dipen dente di Comendulli Mario, conveniva quest'ultimo davanti al

Pretore di Treviglio allo scopo di sentirlo condannare al paga

mento, a favore di essa ricorrente, della somma di lire 2.809.191

a titolo di differenze retributive in relazione al rapporto di lavoro

subordinato che si era svolto dal 20 novembre 1974 al 19

novembre 1976.

A sostegno della domanda la ricorrente deduceva di avere diritto

al trattamento economico e normativo disciplinato dalla conitoaitta

zionie ooJlliattìva per i dipendenti dell'indusitria dolile materie plasti

che, in quanto l'attività esercitata dal datore di lavoro, lo stampag

gio delle materie plastiche, non produoeva beni di natura artistica o

usuale, e, quindi, non rientrava nella previsione dell'art. 1, lett.

a), 1. 25 giugno 1956 n. 860, concernente l'attività artigiana. Il convenuto eccepiva che il rapporto di lavoro doveva essere

disciplinato dal contratto collettivo provinciale per le imprese

artigiane della provincia di Bergamo, divenuto efficace erga omnes

peir effetto del d.p.r. n. 1774/61, in quanto la propria impresa

doveva considerarsi artigiana in presenza dei requisiti richiesti dal

combinato disposto dell'art. 2083 c«c. e della 1. n. 860 del 1956.

Con sentenza del 6 dicembre 1979, il pretore accoglieva sostan

zialmente la domanda, disconoscendo la natura artigiana della

ditta Comendulli.

Su appello di quest'ultima, il Tribunale di Bergamo con sen

tenza del 5 maggio 1980 riduceva il credito vantato dalla lavora

l'adesione alla tesi per la quale la 1. 860 del 1956 ha innovativamente in

tegrato l'art. 2083 c.c. e non lo ha invece sostanzialmente riprodotto, e la

sottolineatura della necessità di coesistenza di tutti gli elementi previsti dalla legge stessa ai fini della configurazione in senso artigianale di

un'impresa (v., in proposito, la nota, cit., di Niro). Nella pronuncia

526/85 appare poi particolarmente significativo lo spunto per il quale

l'impresa artigiana conserva tale qualificazione anche se in determinati

momenti e per particolari esigenze produttive siano eccezionalmente

superati i limiti numerici previsti, dovendosi considerare essenziale il

criterio della « normalità ». Come pure merita menzione il rilievo per

cui, sempre ai fini dell'individuazione dei limiti occupazionali, non si

deve tener conto dei dipendenti amministrativi ma soltanto di quelli tecnici. Infine, non va sottaciuta la conferma della valorizzazione dei

caratteri di stabilità, continuità e prevalenza dell'attività lavorativa

dell'artigiano (conf., da ultimo, Cass. 14 giugno 1984, n. 3569, Foro it.,

Rep. 1984, voce cit., n. 6). Con la 1. 8 agosto 1985, n. 443, Le leggi, 1985, I, 1664, legge-qua

dro per l'artigianato, la normativa è stata notevolmente modificata. In

particolare, per gli aspetti trattati sopra, non è più presa in considera

zione la nozione di beni di natura usuale, essendo anzi previsto che

l'oggetto dell'impresa artigiana possa anche essere l'attività di produ zione di semilavorati (art. 3). È invece fatto riferimento, sempre al fine

di individuare i limiti occupazionali, all'impresa che non lavora o

lavora in serie (art. 4). L'iscrizione all'albo è espressamente finalizzata

alla fruizione delle agevolazioni a favore delle imprese artigiane (art.

5, 4" comma). La 1. 860 del 1956 e il d.p.r. 1202 del 1956 sono

abrogati. Le relative disposizioni, però, in quanto compatibili con

quelle della 1. 443 del 1985, continuano ad applicarsi fino all'emana

zione, da parte delle singole regioni, di proprie disposizioni legislative

(art. 13, 1° comma, in riferimento all'art. 1).

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2883 PARTE PRIMA 2884

trice, ma confermava la decisione pretorile sul punto della

mancanza dei caratteri dell'impresa artigiana, in quanto la ditta

Comenduli non produceva beni di natura usuale.

La ditta soccombente ricorre per cassazione, proponendo un

unico mezzo di annullamento. La Armarelli resiste con controri

corso.

Molivi della decisione. — 1. - Con l'unico mezzo, denunziando

la violazione dell'art. 2083 c.c. e la falsa applicazione dell'art. 1, lett. a), 1. 25 luglio 1956 n. 860, nonché il travisamento dei fatti, in

relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c., il Comendulli lamenta che

il tribunale, dopo aver affermato che la ditta in questione era

organizzata ed operava con il lavoro professionale e manuale del

titolare, il quale aveva la piena responsabilità, della direzione e

della gestione dell'azienda, abbia, poi, escluso che questa produ cesse « beni usuali ».

Seguendo gli sviluppi giuridici dela oennata premessa, il tribu

nale avrebbe dovuto, invece, ritenere che Ila 1. o. 860 dei 1956, sulla disciplina delle imprese artigiane, riproduce, in sostanza, il

contenuto dell'art. 2083 c.c., che indica, quale criterio per indivi

duare l'impresa artigiana, l'attività professionale organizzata, pre valentemente, con il lavoro del titolare e dei componenti della

sua famiglia. In altri termini, il tribunale avrebbe dovuto ricono

scere l'equivalenza tra impresa artigiana e piccola impresa nel

l'ambito e nei limiti delle attività menzionate dalla 1. n. 860/56. Per altro verso, secondo il ricorrente, sarebbe arbitraria la

nozione attribuita dal tribunale ai « beni usuali », ossia quella di

essere utilizzabili in modo autonomo ed immediato per isaddisfa

re, con la loro funzionalità, le esigenze della vita quotidiana.

L'espressione della norma, là dove dice che l'impresa artigiana ha per scopo « la produzione di beni di natura artistica usuale »,

pone, invece, la qualificazione di « usuale » in contrapposizione a

quella di « artistica »; per cui, indipendentemente dalla immediata

ed autonoma utilizzazione dei beni, si avrebbe produzione di essi

quando il prodotto dell'impresa costituisca un'entità nuova rispef» to alle materie prime impiegate, ossia un bene economicamente

nuovo, creato dall'attività artigiana nello schema dell'art. 1 1. n.

860 del 1956.

2. - La lagnanza non ha giuridico fondamento.

L'errore della tesi svolta dal ricorrente sta nel ritenere che la 1.

25 luglio 1956 n. 860 abbia sostanzialmente riprodotto il contenu

to dell'art. 2083 c.c. in relazione alla qualificazione dell'impresa

artigiana. La rubrica del capo I) della cannata legge — « norme per la definizione e la disciplina giuridica dell'impresa artigiana » —, nonché il contenuto e lo spirito di essa, improntati al precetto costituzionale circa la tutela e lo sviluppo dell'artigianato (art. 45

Cost.), escludono, anzitutto, che la nuova normativa abbia un

carattere speciale, nel senso che non possono trarsi da essa effetti

diversi dal favore creditizio, tributario ed assicurativo attribuito

alla categoria degli artigiani. Deve, invece, ritenersi che la 1. n.

860 del i956 definisca l'imprenditore artigiano a tutti gli effetti di

legge, colmando la lacuna dell'art. 2083 c.c., che non definisce

l'artigianato. Il modo con cui sia stata colmata tale lacuna, introducendo

nell'ordinamento giuridico una figura di artigiano diversa rispetto a quella tradizionale, riprodotta o sottintesa nel codice civile,

riguarda una questione di politica legislativa, che, per favorire

l'industrializzazione delle aziende artigiane, ha sostituito, da un

lato, la nozione dell'artigianato classico, quale attività professiona le organizzata prevalentemente con il lavoro dell'artigiano e dei

componenti della famiglia, e, dall'altro, ha mantenuto il requisito della partecipazione personale, anche manuale, del titolare al

lavoro, nonché quello della sua guida e direzione rispetto ai

dipendenti. Orbene, i termini obiettivi della cennata sostituzione costitui

scono la traccia sulla quale deve muoversi l'indagine dell'interpre te per la definizione dell'impresa artigiana, considerando, tra

l'altro, che questa, per effetto della legge sopravvenuta, non c

sottoposta a limitazioni di capitale investito e non è più dominata

dal criterio della prevalenza del lavoro del titolare e dei suoi

familiari, non essendovi limite ai macchinari o alle fonti di

energie utilizzate (art. 1, 3° comma). Il che ovviamente contrasta con il concetto classico di artigiano, il quale è stato sempre collegato a quel limite massimo di capitale impegnato che si riscontra tra i requisiti del piccolo imprenditore.

Né può dirsi che la più ampia figura di impresa artigiana, introdotta dalla 1. n. 860 del 1956, coesista con queia prevista dal

codice civile, poiché, alla ipotetica distinzione tra l'artigiano-pic colo imprenditore (ex art. 2083 c.c.) ed il maggior imprenditore artigiano (ex 1. 1956 n. 860), si opporrebbe il carattere unitario

Il Foko Italiano — 1985.

del concetto giuridico di impresa artigiana, nonché la disparità di

trattamento che si verrebbe a creare per il piccolo imprenditore

(ex art. 2083 c.c.), di quale non potrebbe fruire dei conteggi creditizi ed assicurativi che la legge attribuisce all'impresa arti

giana, senza distinzioni.

Le argomentazioni esposte valgono a contraddire la itesil fon

damentale del ricorrente, secondo la quale la 1. n. 860 del 1956

non avrebbe avuto alcun carattere innovativo sostanziale rispetto alla previsione dell'art. 2083 c.c.

D'altro canto, l'interpretazione data dal tribunale alla normativa

vigente si presenta corretta, oltre che per avere colto le dimen

sioni che la nuova legge ha attribuito all'impresa artigiana, anche

per avere ritenuto che i requisiti fondamentali di questa debbano

concorrere congiuntamente.

Di guisa che la mancanza di uno solo di essi esclude l'insor

genza della figura giuridica dell'impresa artigiana. Nel caso di

specie, l'indagine del giudice di merito ha escluso l'esistenza dello

scopo stesso dell'impresa artigiana, ossia la produzione di beni (o la prestazione di servizi) « di natura artistica od usuale », consi

derando che l'azienda del Comendulli non contempla la produ zione dei beni finiti e di diretta utilizzazione, da parte dei

consumatori, ma riguarda la produzione di parti o componenti di

altri oggetti (in plastica) utilizzati da altre imprese per la compo sizione di oggetti più complessi, da immettere sul mercato.

Alla base del ragionamento, sta la corretta premessa che la

nozione di « bene di natura usuale » implichi un tipo di produ zione suscettibile di utilizzazione autonoma per le esigenze della

vita quotidiana. L'esattezza di tale criterio astratto e generale rende incensurabile, in sede di legittimità, la sua applicazione al

caso concreto, nel quale il giudice di merito ha escluso, nell'eser

cizio di una determinata attività economica, di carattere del/l'iimpre sa artigiana.

Pertanto, la sentenza impugnata non merita censura ed il

ricorso deve essere, quindi, respinto. (Omissis)

II

Motivi della decisione. — (Omissis). Con l'ottavo ed il nono

motivo, che per la loro connessione conviene insieme esaminare, denunziando violazione degli art. 1, 2, 3 e 4 1. 25 luglio 1956 n.

860, nonché erronea ed omessa motivazione circa punti decisivi dolila controversia (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.), la società ricorrente si duole che il tribunale le abbia negato la qualifica di impresa artigiana, benché fosse incontroverso il suo possesso dei requisiti fondamentali previsti alle lett. a), b) e c) dell'art. 1 legge del 1956,

per il preteso superamento del limite massimo di cinque dipen denti occupati, a norma dell'art. 2, lett. b), in irelazione agli art. 3 e 4 della stessa legge, e senza dare adeguata dimostrazione che la

produzione di pasta fresca all'uovo, in cui consisteva la sua

attività, fosse « esclusivamente in serie » e « con processo non del tutto meccanizzato », e non abbia altresì' considerato che i limiti

occupazionali stabiliti dal cit. art. 2, lett. b), andavano verificati alla stregua di un criterio di « normalità », cioè con riguardo non

già al solo momento della cessazione del rapporto di lavoro, ma anche a tutto il periodo precedente, cui le differenze retributive si riferivano. Sostiene che, ove l'impresa sia tipicamente artigiana, il lavoratore dipendente deve essere comunque retribuito alla stre

gua della contrattazione collettiva delle imprese artigiane, indi

pendentemente dal numero dei dipendenti occupati, rilevante soltanto ai fini fiscali e contributivi. Lamenta altresì che dalla

parziale coincidenza del trattamento retributivo fatto alla Medici ed alla Canova con quello stabilito dal contratto collettivo per l'industria alimentare, il tribunale abbia tratto la conseguenza che essa società avesse recepito, e comunque solo in parte, la disci

plina retributiva dell'anzidetto contratto collettivo, e che, nel determinare la retribuzione sufficiente, a norma dell'art. 36 Cost., non abbia indicato gli elementi alla stregua dei quali aveva ritenuto adeguato un determinato livello retributivo alla qualità ed alla quantità del lavoro prestato dalle due dipendenti.

I due motivi devono essere accolti nei limiti segnati dalle

seguenti considerazioni.

L'art. 1 1. 25 luglio 1956 n. 860, che integra e precisa la nozione delineata nell'art. 2083 c.c., definisce artigiana l'impresa la quale risponda a determinati requisiti fondamentali consistenti nell'avere essa per iscopo la produzione di beni, o la prestazione di servizi, di natura artistica od usuale (lett. a); nell'essere

organizzata ed operare col lavoro professionale, anche manuale del suo titolare e, evèntualmente, con quello dei suoi familiari

(lett. b); nell'avere il titolare la piena responsabilità dell'azienda e

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

nell'assunzione da parte del medesimo di tutti gli oneri ed i

rischi inerenti alla sua direzione ed alla sua gestione (lett. e). Ove l'impresa possegga questi requisiti « non costituisce ostacolo

per il riconoscimento della qualità artigiana la circostanza che la

stessa adoperi macchinari ed utilizzi fonti di energia» (art. 1, 3"

comma).

A norma dell'art. 2, 1° comma, l'impresa può essere considerata

artigiana, fermo restando il concorso dei requisiti fondamentali

sopra menzionati, se, per lo svolgimento della sua attività, si

avvale della prestazione d'opera di personale dipendente, purché

questi sia sempre guidato e diretto personalmente dal titolare

dell'impresa (deve trattarsi — secondo la ratio della norma — di

guida e direzione non amministrativa ma tecnica) e siano rispet tati determinati livelli occupazionali, varianti a seconda dell'ogget to dell'impresa stessa e delle caratteristiche del processo produtti vo.

Può essere, dunque, considerata artigiana, ai sensi del 2°

comma del cit. art. 2: a) l'impresa che, non lavorando in serie,

impieghi normalmente non più di dieci dipendenti, compresi i

familiari del titolare ed esclusi gli apprendisti; b) l'impresa che,

pur dedicandosi a produzione esclusivamente in serie, non impie

ghi normalmente più di cinque dipendenti, compresi i familiari

del titolare ed esclusi gli apprendisti e sempre che la lavorazione

si svolga con processo non del tutto meccanizzato; c) l'impresa che svoljga attività nel settore dei lavori artistici, tradiizkmalii e

dell'abbigliamento su misura (elencati nel d.p.r. 8 giugno 1964 n.

537), senza l'espressa prefissione di alcun limite massimo di

dipendenti occupati, i quali, però, occorre notare, devono essere

in numero tale da consentire al titolare dell'impresa di attendere

personalmente alla loro guida e direzione artistica, sicché è

implicito nel sistema della legge, anche in tal caso, un indiretto

fattore di limitazione (a codeste imprese artigiane si riferiscono le

sentenze di questa corte n. 365 del 1968, Foro it., Rep. 1968,

voce Artigianato, n. 3, e n. 4991 del 1980, id., Rep. 1981, voce La

voro (rapporto), n. 387); d) l'impresa che presti servizi di trasporto ed impieghi normalmente non più di cinque dipendenti, compresi i

familiari del titolare ed esclusi gli apprendisti.

Anche per gli apprendisti è stabilito dall'art. 2, ult. comma, un

numero massimo, cioè non superiore a dieci per le imprese di cui

alla lett. a), a cinque per quelle di cui alle lett. b e d) ed a venti

per quella di cui alla lett. c). Nel computo dei dipendenti, rilevante ai fini della qualifica

artigiana, devono ritenersi compresi soltanto gli impiegati tecnici

e non quelli amministrativi, giacché la legge, esigendo, come

ripetutamente accennato, che i predetti dipendenti siano guidati e

diretti sotto il profilo tecnico personalmente dal titolare dell'im

presa, ha di certo inteso riferirsi a coloro che partecipano direttamente al processo produttivo ed alla prestazione dei servizi

in cui si concreta l'attività imprenditoriale artigiana.

Le società (semplici, di fatto o irregolari, in nome collettivo,

cooperative) sono considerate artigiane, a norma dell'art. 3 della

legge, purché la maggioranza dei soci partecipi personalmente al

lavoro (tale partecipazione non è ravvisabile, ove il socio si

occupi degli aspetti amministrativi ed organizzativi), e nell'impre sa il lavoro abbia funzione preminente sul capitale, intendendosi

codesta preminenza in senso non meramente quantitativo, ma

funzionale, cioè in rapporto con le caratteristiche strutturali

fondamentali dell'impresa artigiana. Ed anche por tali società

valgono, a norma dell'art. 4, le limitazioni numeriche stabilite

dall'art. 2, computandosi i soci partecipanti in luogo dei dipen denti.

La legge, inoltre, considerando la dimensione dell'impresa arti

giana in relazione al numero dei dipendenti « normalmente »

occupati, ha inteso significare che l'impresa stessa conserva la

qualifica artigiana anche se, in determinati momenti e per partico lari esigenze produttive, i limiti numerici previsti siano eccezio

nalmente superati, sicché la verifica del requisito occupazionale

va appunto condotta alla stregua di un tale criterio di « normali

tà ».

Ciò premesso, è da respingere, anzitutto, l'assunto della ricor

rente circa l'irrilevanza, ove sussistano, come nella specie, i

requisiti fondamentali indicati nell'art. 1 della legge, del numero

dei dipendenti occupati, essendo incontroverso che l'attività del

l'impresa Ribaldone non si svolgeva affatto nel settore dei lavori

artistici, tradizionali e dell'abbigliamento su misura, solo in rela

zione ai quali la lett. c) dell'art. 2 non stabilisce un espresso

limite numerico del personale occupato, pur essendo implicita,

come si è accennato, anche in questo settore una qualche

limitazione al riguardo, sebbene non rigidamente predeterminata.

Il Foro Italiano — 1985.

Trattandosi di impresa, in fouma di società in nome collettivo, che produceva pasta fresca 'all'uovo con l'impiago di appositi

macchinari, occorreva in primo luogo stabilire se la produzione fosse non in serie, ovvero esclusivamente in serie, con processo in

tale ipotesi non del tutto meccanizzato.

A questo riguardo giova osservare che il concetto di produzio ne in serie deve intendersi con riferimento non già alle caratteristi

che del prodotto, che può ben essere di carattere artigianale, anche se costituisce la ripetizione di un unico modello, ma al

sistema di produzione, nel senso che si ha prodotto in serie

quando sia determinante l'uso della macchina, pur rendendosi

necessario l'intervento dell'uomo. Perché l'impresa che esegue una

produzione esclusivamente in serie sia artigiana, la legge richiede

appunto che il processo produttivo non sia del tutto meccanizza

to, cioè che, oltre alle operazioni inerenti alla conduzione del

macchinario, altre fasi della lavorazione siano effettuate diretta

mente dal titolare dell'impresa e dai suoi dipendenti.

Ora, il tribunale ha ritenuto che, nella specie si trattasse di

lavorazione in serie quasi interamente meccanizzata, sicché l'im

presa, per conservare la qualifica artigiana, non potesse superare il livello occupazionale di cinque dipendenti stabilito dall'art. 2,

lett. c), e che, occupando, invece, presso di sé undici dipendenti,

compresi i due titolari, dovesse definirsi come vera e propria

impresa industriale.

Senonché, nell'impugnata sentenza difetta una qualunque inda

gine in merito all'attività in concreto svolta dall'impresa e circa

le specifiche modalità del processo produttivo, decisive per stabi

lire se l'impresa stessa in effetti fosse classificabile nell'ambito

della lett. b) dell'art. 2, mentre l'accertamento del numero dei

dipendenti occupati, in esso computati i due titolari, risulta del

tutto generico, siccome compiuto senza distinzione, per quanto

riguarda gli impiegati, tra tecnici ed amministrativi, e senza una

qualche verifica intesa a stabilire se tale dimensione occupaziona le fosse o no « normale » nel senso sopra chiarito, in relazione al

periodo di tempo considerato.

Tali difetti viziano la sentenza impugnata sul piano dell'ade

guatezza e congruità logico-giuridica della motivazione, e sotto il

medesimo aspetto appare viziata la sentenza là dove il tribunale

ha affermato che la Ribaldone aveva recepito, in materia retribu

tiva, e tuttavia solo in parte, il contratto collettivo per gli addetti

all'industria alimentare, in base alla rilevata coincidenza di alcune

voci retributive percepite dalla Canova e dalla Medici con le

corrispondenti voci previste nell'anzidetto contratto collettivo.

Infine, nella determinazione della giusta retribuzione, a norma

dell'art. 36 Cost., il tribunale avrebbe dovuto accertare la natura

ed intensità quantitativa e qualitativa delle prestazioni lavorative

delle due dipendenti, e far riferimento alla contrattazione colletti

va solo come espressione parametrica delle condizioni del merca

to e degli equi corrispettivi del lavoro, indicando i criteri di

valutazione oanciretamente utilizzati al fioe di consentirne il con

trollo circa la correttezza e congruità logico-giuridica dell'opera zione. Ma al riguardo la motivazione della sentenza è del tutto

carente. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 26 agosto

1985, n. 4550; Pres. Lo Surdo, Est. Cruciani, iP. M. Iannelli

(conci, conf.); Soc. Proda (Avv. Visconti) c. Arduini (Avv.

Rotati). Cassa App. Bologna 31 marzo 1981.

Responsabilità civile — Infortunio del dipendente per fatto illecito

del terzo — Erogazione della retribuzione durante il periodo di

invalidità — Danno per il datore di lavoro — Sussistenza —

Pagamento dei contributi previdenziali ed assicurativi — Risar

cibilità — Esclusione (Cod. civ., art. 2043, 2110).

Il datore di lavoro ha diritto ad ottenere dal terzo, che con il

proprio comportamento colposo abbia causato l'invalidità tem

poranea di un dipendente del primo, il risarcimento del danno

conseguente al pagamento della retribuzione in assenza di

controprestazione; non gli compete, invece, ristoro per quanto abbia versato a titolo di contributi previdenziali ed assicurativi

obbligatori. (1)

(1) La sentenza ribadisce che:

a) il datore di lavoro ha diritto a vedersi risarcito il danno

conseguente alla corresponsione della retribuzione ad un dipendente assentatosi dal posto di lavoro per le lesioni riportate in un incidente stradale causato dalla condotta colposa di un terzo: v., da ultimo, Cass.

30 ottobre 1984, n. 5562, Foro it., 1985, I, 145, e 23 gennaio 1984, n.

555 (+ Pret. Mirandola 19 marzo 1983), id., 1984, I, 1292, corredate

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