sezione lavoro; sentenza 2 ottobre 1985, n. 4780; Pres. Grimaldi, Est. Nuovo, P. M. Ferraiuolo(concl. conf.); Menna (Avv. Del Prete) c. Occorsio (Avv. Zevola). Conferma Trib. Napoli 14 aprile1981Source: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 2 (FEBBRAIO 1986), pp. 489/490-491/492Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23180508 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
non esset (art. 5 1. 20 marzo 1865 n. 2248, ali. E), ma non potrà annullarlo, poiché la giurisdizione di annullamento appartiene al
giudice amministrativo; ed in caso di disapplicazione potrà sosti tuire alla tipologia dichiarata, non conforme a legge, una « tipo logia giudiziale ».
E l'ambito entro cui opera la disapplicazione, in ipotesi di eccesso di potere, è dato dal « travisamento ed erronea valutazio ne dei fatti » (nel senso di ritenere esistenti fatti inesistenti e
viceversa, ovvero di attribuire ai fatti un significato erroneo,
illogico ed irrazionale), dalla « disparità di trattamento » (nel senso di adottare provvedimenti diversi in presenza di fattispecie analoghe) e dalla « inosservanza di norme interne » (nel senso di
violazione delle disposizioni interne di comparazione tra unità-ti
po ed immobile da classificare), con esclusione di qualsiasi prospettiva, attinente al merito discrezionale del classamento.
Passando all'esame delle risultanze processuali, si rileva quanto segue: a) con contratto preliminare del 15 aprile 1939 e definiti
vo del 15 luglio 1941 il comune di Napoli vendeva alla Banca
d'Italia un'area di mq. 4550, posta in Napoli tra piazza Municipio e via Medina, per la realizzazione della nuova sede dell'istituto
bancario; con atto aggiuntivo del 20 dicembre 1951 la Banca
d'Italia si obbligava a costruire, in zona da scegliersi, per
sopperire alla crisi abitativa, uno o più fabbricati di tipo medio,
composti da appartamenti di tre o quattro vani ed accessori, da
dare in locazione al ceto impiegatizio; in esecuzione di tale
accordo, veniva rilasciata la licenza edilizia n. 272 del 21 aprile 1952, per la realizzazione in Napoli-Fuorigrotta, su un'area di mq. 2000 circa, sita al viale Augusto in angolo con piazza S. Vitale, del fabbricato ove trovasi l'appartamento in questione, avente
accesso dal civico n. 41 di via Marcantonio; tale licenza be
neficiava della tassa ediliza di cui al t.u. 28 aprile 1938 n. 1165; in data 29 dicembre 1983 veniva rilasciata regolare licenza di
abitabilità; b) le unità immobiliari del fabbricato risultano ripor tate alla partita n. 100471 sez. Chi. foglio n. 23, numero 194, da
sub 1 a sub 61, ed hanno la categoria catastale A/2, con classi 7
ed 8, ad eccezione dell'alloggio a piano terra, del portiere, che
reca la categoria A/4; in particolare, l'appartamento in contesta
zione è riportato al sub 23 con i seguenti dati di classamento:
z.c. 10, cat. A/2, classe 7, consistenza vani 5,5; c) il fabbricato
ha carattere intensivo, attuando il massimo sfruttamento della
superficie edificabilc; i materiali utilizzati per la pavimentazione, i
rivestimenti, la pitturazione, gli infissi e gli accessori sono del
tipo economico; in prosieguo di tempo in singoli appartamenti, fra cui quello in esame, sono stati eseguiti lavori di miglioramento
(sostituzione infissi, pavimentazione, pitturazione, ecc.). Tanto premesso, va osservato: in primis, il fatto che l'immobile
de quo abbia usufruito delle agevolazioni fiscali previste dal t.u.
28 aprile 1938 n. 1165 (disposizioni sull'edilizia economica e
popolare) ovvero sia stato costruito con rifinitura di tipo econo
mico non importa che il cespite debba essere automaticamente
classificato come abitazione di tipo economico (A/3) o popolare
(A/4); infatti, la classificazione « case popolari ed economiche » è
proprio di quelle abitazioni che hanno determinate caratteristiche
« agli effetti di detto testo unico », cioè limitatamente a tale
normativa; ne consegue che non è precluso l'accatastamento di
detti beni come abitazioni di tipo civile (A/2), ai sensi della 1. 11
agosto 1939 n. 1249 e d.p.r. 1° dicembre 1949 n. 1142; in secundis,
non risulta provato che la p.a. abbia posto in essere un atto ammi
nistrativo, viziato da eccesso di potere per erronea attribuzione
della categoria catastale (travisamento di fatti, disparità di tratta
mento, violazioni di norme interne) poiché non sono state di
mostrate nella zona censuaria in discussione le caratteristiche
delle unità tipo A/2 classe 7 ovvero dell'unità tipo A/3, sicché
non è possibile procedere ad alcun confronto con l'appartamento de quo agitur.
Non resta da rilevare che la richiesta di determinazione « in
via equitativa » del canone, in misura inferiore a quella legale,
non ha fondamento, poiché il trattamento di favore, praticato
dalla Banca d'Italia agli impiegati di p.a. nel periodo anteriore
alla 1. n. 392/78 era correlato al canone di mercato; ne deriva
l'insussistenza di un qualsiasi obbligo a praticare un canone
inferiore a quello equo, stante il mutamento del presupposto della
libera contrattazione economica e l'imposizione di un corrispetti
vo legale. (Omissis)
Il Foro Italiano — 1986 — Parte 1- 32.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 2 ottobre
1985, n. 4780; Pres. Grimaldi, Est. Nuovo, P. M. Ferraiuolo
(conci, conf.); Menna (Avv. Del Prete) c. Occorsio (Avv.
Zevola). Conferma Trib. Napoli 14 aprile 1981.
Comunione e condominio — Amministratore — Poteri — Rilascio
dell'alloggio del portiere per intervenuto licenziamento — Le
gittimazione — Sussistenza (Cod. civ., art. 1130, 1131). Lavoro e previdenza (controversie in materia di) — Competenza
per materia — Portiere — Licenziamento — Domanda di
rilascio dell'alloggio adibito ad abitazione — Competenza del
giudice del lavoro — Sussistenza (Cod. proc. civ., art. 409). Comunione e condominio — Locali adibiti ad alloggio del
portiere — Azione per il rilascio — Individuazione del titolare
dei locali — Irrilevanza (Cod. civ., art. 1117).
L'amministratore del condominio è legittimato ad agire per il
rilascio dell'alloggio detenuto senza titolo dal portiere licenzia
to. (1) Sussiste la competenza del pretore, in funzione di giudice del
lavoro, in relazione alla domanda di rilascio dei locali adibiti ad abitazione del portiere a seguito della cessazione del rapporto di lavoro. (2)
E irrilevante stabilire se la titolarità dell'immobile ove alloggia il
portiere spetti al condominio o a soggetti diversi al fine di determinare chi possa agire per il rilascio, quando tale locale rientra sicuramente tra le parti comuni dell'edificio di cui l'amministratore ha la disponibilità. (3)
(1) In senso conforme v. Pret. Roma 18 marzo 1968, Foro it., Rep. 1969, voce Comunione e condominio, n. 167, a cui dire l'amministrato re ha il potere di agire per la convalida di sfratto nei confronti del portiere licenziato a seguito di delibera assembleare.
L'odierna decisione, con una tecnica assai vicina a quella del patch-work, ha tratto da alcune pronunce della Cassazione gli elementi per confortare la soluzione proposta, ricordando che il servizio di portierato viene svolto nell'interesse di tutti i partecipanti al condomi nio (cfr., nella motivazione, Cass. 30 ottobre 1981, n. 5751, id., 1981, I, 2650, con nota di richiami, relativa alla ripartizione delle spese di
portierato) — che risulta esser il datore di lavoro del portiere (cfr. Cass. 18 dicembre 1978, n. 6073, id., Rep. 1979, voce cit., n. 57) —; che l'uso dell'alloggio da parte del portiere è connesso alle prestazioni lavorative svolte dal portiere (v. Cass. 4 dicembre 1981, n. 6435, id., Rep. 1981, voce Lavoro (rapporto), n. 686; 27 febbraio 1975, n.
793, id., Rep. 1975, voce cit., n. 929) e che l'amministratore ha il
potere di intimare il licenziamento al portiere (cfr. Cass. 20 febbraio 1976, n. 572, id., Rep. 1976, voce Comunione e condominio, n. 66).
In dottrina, sul potere dell'amministratore di licenziare il portiere v. Branca, Comunione - Condominio negli edifici6, in Commentario, a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1982, 574 (ma l'autore parla anche di « sfratto del conduttore di locali comuni »); Visco, Le case in condominio 7, Milano, 1967, II, 822.
(2) In senso conforme v. Cass. 2 agosto 1984, n. 4609, Foro it., Rep. 1984, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 55; 29 giugno 1981, n. 4241, id., Rep. 1981, voce cit., n. 46; 27 febbraio 1975, n. 793, id., Rep. 1975, voce cit., n. 357. Sulla competenza del pretore, quale giudice del lavoro, in relazione alla domanda di rilascio dell'alloggio concesso dal datore di lavoro in godimento al dipendente per ragioni di servizio, cfr. Cass. 27 luglio 1984, n. 4466, id., Rep. 1984, voce cit., n. 56.
(3) Non constano precedenti in termini. La decisione riportata fonda il proprio convincimento sull'assunto
secondo il quale «per parti comuni dell'edificio, secondo gli art. 1130 e 1131 c.c. devono intendersi non solo quelle che siano effettivamente di proprietà comune del condominio, ma anche quelle che, pur appartenendo ad estranei o ad un solo condomino, siano tuttavia comprese nell'edificio condominiale e siano adibite all'uso comune di tutti i partecipanti alla comunione»; cfr. Cass. 4 marzo 1961, n. 474, Foro it., 1961, I, 666 e 22 dicembre 1958, n. 3844, id., Rep. 1958, voce Comunione e condominio, n. 147, ed in Temi nap., 1959, I, 114, con nota di Caturani, « Legitimatio ad causam » dell'amministratore ed interpretazione dell'art. 1131 c.c. (ma va osservato come in entrambi i casi si discuteva della legittimazione passiva dell'amministratore in
relazione a locali adibiti a servizi comuni; v., in proposito, Pret.
Napoli 27 settembre 1961, Foro it., Rep. 1962, voce cit., n. 167, in cui
si è affermata la legittimazione passiva dell'amministratore, congiunta mente al portiere, in ordine all'azione proposta dal proprietario dei
locali adibiti a portineria). Nel senso che i locali utilizzati per il servizio di portierato si
presumono di proprietà comune dei condomini v. App. Milano 4 ottobre
1977, id., Rep. 1981, voce cit., n. 23; nonché, incidentalmente, Cass.
29 giugno 1979, n. 3690, id., Rep. 1979, voce cit., n. 25; si precisa,
però, che una tale presunzione non si basa sulla mera utilizzazione dei
locali, essendo necessaria la destinazione strutturale ed oggettiva dei
locali al servizio comune: cfr. Trib. Torino 5 luglio 1983, id., Rep.
1984, voce cit., n. 36; Trib. Lanciano 28 maggio 1977, id., Rep. 1980, voce cit., n. 38.
È pacifico in giurisprudenza che il potere di concedere in locazione
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PARTE PRIMA
Motivi della decisione. — Con il primo motivo, denunciando
violazione e falsa applicazione di norme di diritto, lamenta
innanzitutto il ricorrente che il tribunale abbia ritenuto sussisten
te la legittimazione attiva dell'amministratore consortile a propor re la presente azione a norma dell'art. 1130, n. 2, c.c., che regola invece il diverso potere di disciplina dell'uso delle cose comuni e
della prestazione dei servizi nell'interesse comune.
Lamenta altresì che il giudice di merito abbia ritenuto sussi
stente la competenza del giudice del lavoro, in quanto la restitu
zione dei locali di portineria era richiesta in occasione della
cessazione del rapporto di portierato, senza considerare che dopo l'estinzione di esso l'amministratore del condominio aveva fatto
costruire un muro divisorio tra l'appartamento e i locali di
portineria, ponendo in essere un rapporto di comodato fra detto
amministratore ed esso ricorrente.
Il motivo, che si articola in due diverse censure di carattere
processuale, è infondato.
La disciplina della rappresentanza del condiminio è contenuta
nell'art. 1131 c.c., il quale distingue tra legittimazione attiva e
legittimazione passiva e mentre quest'ultima è direttamente confe
rita all'amministratore del condominio dal 2° comma di detto
articolo, il quale non pone limiti in proposito (v. Cass. 22 feb braio 1983, n. 1337, Foro it., Rep. 1983, voce Comunione e condo
minio, n. 103; 5 aprile 1982, n. 2091, id., Rep. 1982, voce cit., n.
101; 23 maggio 1981, n. 3403, id., Rep. 1981, voce cit., n. 76), la
legittimazione attiva è regolata dal 1" comma del medesimo
articolo, secondo il quale « nei limiti delle attribuzioni stabilite
dall'articolo precedente e dei maggiori poteri conferitigli dal
regolamento di condominio o dall'assemblea, l'amministratore ha la
rappresentanza dei partecipanti e può agire in giudizio sia contro
i condomini sia contro i terzi ».
iÈ chiaro, dunque, che tre possono essere le fonti del potere rappresentativo dell'amministratore: la legge, il regolamento e la
volontà dei condomini manifestata attraverso l'assemblea.
Lasciando da parte le due ultime fonti, va rilevato che l'art.
1131 fa esplicito riferimento alle attribuzioni che spettano all'ammi
nistratore a norma dell'art. 1130, attribuzioni che possono riassu
mersi nella gestione delle cose comuni, nella conservazione e
manutenzione di esse e nella disciplina del loro uso.
Ora non vi è dubbio che il portierato, in quanto assicura la
custodia-vigilanza del fabbricato o dei fabbricati che fanno parte del condominio, costituisce un servizio erogato nell'interesse co mune di tutti i condomini (Cass. 30 ottobre 1981, n. 5751, id.,
1981, I 2650; 18 dicembre 1978, n. 6073, id., Rep. 1979, voce cit., n. 57); che nel rapporto di lavoro del portiere datore di lavoro è il condominio (Cass. n. 6073/78 appena citata); che l'uso dell'al
loggio costituisce un elemento della retribuzione del portiere (v. Cass. 23 febbraio 1973, n. 540, id., Rep. 1973, voce Lavoro
(rapporto), n. 669); che il potere di licenziare il portiere rientra tra quelli conferiti dalla legge all'amministratore di condominio
(Cass. 20 febbraio 1976, n. 572, id., Rep. 1976, voce Comunione e
condominio, n. 66). Ne consegue che detto amministratore può, anche senza delibe
razione dell'assemblea dei condomini, agire per il rilascio dell'al
loggio detenuto senza titolo dal portiere licenziato, e ciò sia
perché tale rilascio dipende dalla risoluzione di un rapporto obbligatorio assunto per la gestione del servizio comune, rapporto di cui l'amministratore è parte, sia perché il recupero di detto bene è essenziale, come ha messo in risalto il tribunale, per l'ulteriore espletamento del servizio comune da parte del nuovo
portiere, subentrato a quello licenziato. Sul secondo profilo del primo mezzo va rilevato che secondo la
costante giurisprudenza la competenza si determina con esclusivo riferimento al contenuto concreto della domanda, cosi come viene
prospettata al giudice, prescindendo da ogni indagine sulla sua
fondatezza, e cioè dalle condizioni per il suo accoglimento sostanziale, per cui le questioni riguardanti il merito della causa, e
cioè l'esistenza o meno del rapporto sostanziale dedotto in giudi zio, restano distinte dalla questione sulla competenza, da stabilire secondo la domanda e non secondo l'eccezione o l'esito del
giudizio. Nella specie il rilascio dei locali adibiti ad abitazione concessi
un immobile spetta a chiunque abbia le disponibilità di fatto della cosa: cfr., per citare solo la più recente, Cass. 13 luglio 1984, n. 4119, id., Rep. 1984, voce Locazione, n. 133 (per ulteriori indicazioni cfr. Le locazioni degli immobili urbani, a cura di Bonu, Invrea, Milano, 1983, 180 ss.).
In dottrina, sul problema dei locali adibiti a servizio comune ma di proprietà di un soggetto estraneo al condominio o di uno dei
condomini, v. Branca, cit., 390 ss., secondo il quale tali locali sono
gravati di una servitù a vantaggio dei componenti il condominio.
Il Foro Italiano — 1986.
al Menna per l'espletamento delle mansioni di portiere veniva
richiesto a seguito della cessazione del rapporto di lavoro, per cui
non vi è dubbio che in relazione a tale domanda sussistesse la
competenza del giudice del lavoro (v. Cass. 29 giugno 1981, n.
4241, id., Rep. 1981, voce Lavoro e previdenza (controversie), n.
55), senza che su tale competenza potesse incidere l'eccezione
sollevata dall'ex dipendente, secondo la quale, successivamente
alla cessazione di tale rapporto, si era instaurato fra le parti, in
relazione al godimento di detti immobili, un diverso rapporto di
comodato.
Con il secondo motivo, denunciandosi l'omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della contro
versia, lamenta il ricorrente che il tribunale abbia ritenuto la
proprietà da parte del consorzio dei locali di abitazione del
portiere sulla base di una comunicazione dell'istituto autonomo
delle case popolari, che aveva riconosciuto di non essere proprie tario di detti locali (mentre in una nota precedente aveva
sostenuto il contrario) e sulla base di una nota di trascrizione a
favore di un condomino, elementi questi che dovevano conside
rarsi insufficienti a stabilire se la proprietà di detti locali appar tiene al consorzio o ad una parte soltanto dei condomini che
fanno parte del consorzio.
Anche questo motivo è infondato, non sussistendo la decisività
del punto su cui vertono le censure del ricorrente.
Per conferire ad altri il godimento di un immobile non è
affatto necessario avere un diritto reale sulla cosa o agire in
nome del titolare, ma è sufficiente la disponibilità dell'immobile, di cui viene ceduta la detenzione e il godimento. E la giurispru denza di questa corte ha più volte precisato che per parti comuni
dell'edifìcio, secondo gli art. 1130 e 1131 c.c., devono intendersi
non solo quelle che siano effettivamente di proprietà comune del
condominio, ma anche quelle che, pur appartenendo ad estranei o
ad un solo condomino, siano tuttavia sempre comprese nell'e
difìcio condominiale e siano adibite all'uso comune di tutti i
partecipanti alla comunione (v. Cass. 4 marzo 1961, n. 474, id.,
1961, I, 666; 22 dicembre 1958, n. 3944, id., Rep. 1958, voce
Comunione e condominio, n. 147).
Ora, poiché nella specie il rapporto di portierato è intervenuto
fra il Menna e l'Occorsio, amministratore del consorzio, e l'im
mobile dato in godimento al portiere, in parziale corrispettivo di
detto rapporto, era pacificamente adibito al servizio comune di
alloggio del portiere, del tutto irrilevante diventa stabilire a chi
appartenga detto immobile, una volta che esso, quale bene
facente parte dell'edificio condominiale e adibito a tale servizio
comune, era nella disponibilità dell'amministratore condominiale
proprio per essere utilizzato come alloggio del portiere. Il ricorso va dunque respinto. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; ordinanza 1° ottobre
1985, n. 462; Pres. Afeltra, Rei. Panzarani, P. M. Gazzara
(conci, conf.); Guddelmoni (Aw. Guidi) c. I.n.p.s. (Aw.
Angelo, Maresca, Catalano).
Cassazione civile — Errore materiale — Correzione — Designa zione del giudice di rinvio — Fattispecie (Cod. proc. civ.,
art. 287, 383).
La designazione di un giudice di rinvio avente sede nel distretto
di altra corte d'appello territorialmente assai distante configura
un'ipotesi di errore materiale, soggetta alla ordinaria procedura di correzione prevista per i provvedimenti del giudice (nella
specie, a seguito della cassazione di una sentenza del Tribunale
di Tempio Pausania, era stato designato giudice di rinvio il
Tribunale di Avellino). (1)
(1) Non si rinvengono precedenti specifici in termini, né in dottrina
né in giurisprudenza. Per un'ampia ed esauriente rassegna degli orientamenti giurispruden
ziali in ordine all'applicazione della nozione di errore materiale v. la
nota di richiami di I. Mariani a Cass. 14 febbraio 1983, n. 1104
(relativa all'inammissibilità del ricorso per la correzione di errore
materiale di una sentenza della Cassazione che, sulla base di erroneo
esame degli atti processuali, abbia ritenuto non eseguita una notifica
zione ordinata allo scopo di integrare il contraddittorio, in quanto
trattasi di errore di giudizio e non di errore materiale) e ord. 8
febbraio 1983, n. 101 (concernente la non manifesta infondatezza della
questione di legittimità costituzionale dell'art. 395, la parte, e n. 4,
c.p.c., in quanto non prevede la revocazione delle sentenze di Cassa
zione affette da errore di fatto, in riferimento agli art. 3, 1° comma, e
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