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sezione lavoro; sentenza 20 aprile 1998, n. 4012; Pres. Lanni, Est. Castiglione, P.M. Cinque (concl....

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sezione lavoro; sentenza 20 aprile 1998, n. 4012; Pres. Lanni, Est. Castiglione, P.M. Cinque (concl. conf.); Banca popolare pugliese (Avv. Vallebona, Dell'Anna) c. Tortorella (Avv. Scognamiglio). Conferma Trib. Lecce 18 maggio 1995 Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 3 (MARZO 1999), pp. 969/970-981/982 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23194209 . Accessed: 28/06/2014 13:14 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.238.114.120 on Sat, 28 Jun 2014 13:14:11 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione lavoro; sentenza 20 aprile 1998, n. 4012; Pres. Lanni, Est. Castiglione, P.M. Cinque(concl. conf.); Banca popolare pugliese (Avv. Vallebona, Dell'Anna) c. Tortorella (Avv.Scognamiglio). Conferma Trib. Lecce 18 maggio 1995Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 3 (MARZO 1999), pp. 969/970-981/982Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23194209 .

Accessed: 28/06/2014 13:14

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 20 aprile

1998, n. 4012; Pres. Lanni, Est. Castiglione, P.M. Cinque

(conci, conf.); Banca popolare pugliese (aw. Vallebona, Del

l'Anna) c. Tortorella (Avv. Scognamiglio). Conferma Trib.

Lecce 18 maggio 1995.

Lavoro e previdenza (controversie in materia di) — Insufficien

za delle prove acquisite — Atti istruttori — Poteri del giudice — Fattispecie (Cod. proc. civ., art. 414, 416, 420, 421).

Lavoro (rapporto di) — Banca — Rapina — Lesione di dipen dente — Omissione di adeguate misure preventive — Respon sabilità del datore di lavoro — Fattispecie (Cod. civ., art.

2087).

La regola dell'onere della prova, intesa come ripartizione tra

l'attore e il convenuto del rischio della prova, vige anche nel

processo del lavoro, non potendo il giudice porre a fonda mento delle sue decisioni fatti non specificatamente affermati dalle parti, salvo l'esercizio del potere-dovere, ex art. 421, 1° comma, c.p.c., di indicare alle parti stesse le irregolarità sanabili e di assegnare ad esse un termine per provvedervi

(nella specie, tale principio è stato rispettato, atteso che la

parte aveva formulato espressa richiesta di risarcimento del

danno cagionato da mancata adozione di misure di sicurezza

nell'agenzia in cui aveva operato, ed aveva enunciato le circo

stanze in cui era stata rappresentata alla banca la carenza di dette misure, deducendo su tutti i fatti articolati nel ricorso

prova per testi). (1) In caso di attività aziendale che comporti rischi extralavorativi

prevedibili ed evitabili alla stregua dei comuni criteri di dili

genza, il datore di lavoro che non abbia predisposto gli ade

guati mezzi di tutela o li abbia predisposti in misura non ido

nea, risponde del danno subito dal dipendente (nella specie, è stata ritenuta la responsabilità dell'istituto di credito per

inadeguatezza del livello di sicurezza, stante il nesso causale

tra l'omissione delle misure di sicurezza obbligatorie ex art.

2087 c.c. e il danno riportato da un dipendente a seguito di

rapina). (2)

(1) La sentenza in rassegna conferma il consolidato orientamento giuris prudenziale che prevede un potere-dovere del pretore del lavoro di assu mere un ruolo attivo nella istruzione probatoria, al fine di integrare le risultanze istruttorie. In senso conforme, Cass. 15 gennaio 1998, n.

310, Foro it., Mass., 32 (con riferimento alla censurabilità di tale potere dovere in sede di legittimità; sulla medesima questione, v. Cass. 2 di cembre 1996, n. 10739, id., Rep. 1996, voce Lavoro e previdenza (con troversie), n. 153); 25 ottobre 1997, n. 10522, id., Rep. 1997, voce cit., n. 125 (sulla richiesta d'informazioni ex art. 213 c.p.c., quando una delle parti abbia la qualità di pubblica amministrazione e sia l'unico

soggetto in possesso dei dati contabili necessari ai fini della quantifica zione del diritto dedotto in giudizio dalla controparte); 1° ottobre 1997, n. 9596, ibid., n. 192 (fattispecie in cui la Suprema corte ha confermato la sentenza impugnata che aveva rigettato la domanda per la genericità delle deposizioni testimoniali assunte nel primo grado e l'inammissibili tà di una nuova articolazione della prova in appello); 22 agosto 1997, n. 7881, ibid., n. 127; 3 giugno 1997, n. 4935, ibid., n. 128 (in ordine alla disposizione d'ufficio di una prova testimoniale per sopperire al l'incompletezza di una prova documentale); 25 ottobre 1996, n. 9331, id., 1997, I, 130, con nota di richiami (in tema di omessa e/o viziata notifica da parte dell'appellante di ricorso e pedissequo decreto di fissa zione di udienza); 2 agosto 1996, n. 6995, id., Rep. 1996, voce cit., n. 155 (con riferimento all'integrazione della prova orale e all'acquisi zione di una prova documentale); 11 aprile 1996, n. 3373, id., 1996, I, 2411 (sui vizi della fase introduttiva dell'appello nel rito del lavoro); 11 febbraio 1995, n. 1509, id., 1995, I, 1840, con nota di richiami (ove si esclude la decadenza a carico della parte che abbia omesso di dedurre un mezzo di prova ritenuto pacificamente superfluo sulla base di una

ragionevole presunzione di non contestazione del fatto). Cfr. Cass. 12 febbraio 1997, n. 1304, id., Rep. 1997, voce cit., n.

129; Pret. Verona 9 novembre 1994, id., Rep. 1995, voce cit., n. 122

(ove si esclude che il giudice, ex art. 421 c.p.c., possa sopperire alla totale mancanza della descrizione della situazione di fatto a sostegno della pretesa azionata, nonché alla quantificazione della richiesta e al l'indicazione dei parametri alla stregua dei quali possa operarsi il calcolo).

Sulle conseguenze della omessa indicazione delle prove nel ricorso introduttivo della causa da trattarsi con il rito del lavoro, Cass. 13 gen naio 1997, n. 262, id., 1997, I, 1506.

In dottrina, Centofanti, in Mass. giur. lav., 1995, 97 ss.; Montesano

Vaccarella, Diritto processuale dei lavoro, Napoli, 1996, 192 ss.; Tar

zia, Manuale del processo del lavoro, Milano, 1987, 107 ss.

(2) I. - In senso conforme alla riportata sentenza, Cass. 3 settembre

1997, n. 8422, Foro it., Rep. 1997, voce Lavoro (rapporto), n. 1336;

Il Foro Italiano — 1999.

Svolgimento del processo. — Con ricorso 11 luglio 1990, il

sig. Marcello Tortorella, funzionario della Banca popolare sud

Puglia s.r.l., premesso: di essere rimasto coinvolto in tre rapine

perpetrate ai danni dell'istituto di credito; che, già dopo la se

conda rapina, aveva inutilmente chiesto al direttore generale di

detta banca il trasferimento ad altra sede più protetta; che, per effetto degli eventi criminosi, era stato colpito da un «grave stato» di malattia nervosa, sempre documentata, tanto da esse

re sottoposto anche a visite di controllo; che, soltanto in data

6 febbraio 1989, era stata accolta la sua domanda di trasferi

6 settembre 1988, n. 5048, id., 1988, I, 2849, con nota di D. Caruso, Danno da rapina (al dipendente) e responsabilità della banca. Contra, Pret. Roma 3 gennaio 1992, id., Rep. 1992, voce cit., n. 1365 (ove si esclude la responsabilità risarcitoria, per i presunti danni psichici su biti da un dipendente a seguito di rapina, da parte di un istituto di credito per non avere questo sufficientemente garantito la sicurezza del

personale da aggressioni provenienti da terzi). Sempre in materia di obblighi di sicurezza degli istituti bancari, v.

Pret. Milano 5 luglio 1989, id., Rep. 1990, voce cit., n. 1394, secondo la quale la predisposizione di guardie giurate armate davanti agli ingres si delle dipendenze bancarie durante l'orario di sportello non è misura alternativa all'adozione del sistema di ingressi controllati con metal de tector, per cui, in caso di abolizione della vigilanza armata, è necessario prendere misure cautelative in sostituzione; Pret. Forlì 26 aprile 1994, id., Rep. 1994, voce cit., n. 1046, la quale distingue il rischio discen dente da una specifica violazione connessa ad un obbligo di protezione da quello che si determina a prescindere da tale violazione e ritiene corretta la condotta della banca che, a seguito di una telefonata anoni ma che aveva segnalato la presenza di un ordigno esplosivo nei locali dell'istituto — ordigno, poi, rivelatosi inesistente all'esito dei sopralluo ghi condotti da agenti della locale questura — aveva deciso di non fare evacuare tali locali.

II. - Sotto il profilo processuale, con riferimento alla cognizione del

pretore quale giudice del lavoro in caso di domanda proposta dal lavo ratore contro il datore di lavoro volta a conseguire il risarcimento del danno sofferto per la mancata adozione delle misure previste dall'art. 2087, v. Cass. 12 dicembre 1997, n. 12604, id., Rep. 1997, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 39; 18 gennaio 1995, n. 517, id., Rep. 1995, voce cit., n. 64; 20 gennaio 1993, n. 698, id., Rep. 1993, voce

cit., n. 58; e sulla natura contrattuale di tale azione, v. Pret. Milano 15 febbraio 1994, id., Rep. 1995, voce Infortuni sul lavoro, n. 145; Pret. Torino 27 gennaio 1994, id., Rep. 1994, voce Lavoro (rapporto), n. 1047; sulla determinazione della competenza territoriale ex art. 413

c.p.c., v. Cass. 20 agosto 1993, n. 8828, id., 1994, I, 452. In ordine alla prescrizione dell'azione risarcitoria per il danno ineren

te alle ulteriori conseguenze pregiudizievoli, dopo un primo evento lesi

vo, si è affermato che decorre dal loro prodursi solo nel caso in cui le stesse non costituiscano un mero sviluppo ed aggravamento del dan no già insorto, ma integrino nuove ed autonome lesioni: Cass. 29 mag gio 1997, n. 4774, id., Rep. 1997, voce cit., n. 1338.

Circa la competenza del giudice ordinario a decidere in ordine all'a zione ex art. 2043 c.c. proposta dai congiunti del lavoratore defunto

per infortunio sul lavoro, senza che possa assumere alcun rilievo la violazione dell'art. 2087 c.c., v. Cass. 23 luglio 1996, n. 6608, id., Rep. 1996, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 35; 21 febbraio 1996, n. 1342, ibid., n. 36; con particolare riferimento al danno morale, Cass. 3 novembre 1995, n. 11445, id., 1996, I, 2849.

Ove invece la domanda degli eredi è finalizzata a far valere specifica tamente la violazione dell'art. 2087 c.c., si è in presenza di controversia individuale di lavoro ex art. 409 c.p.c.: Cass. 2 settembre 1995, n. 9282, id., Rep. 1995, voce cit., n. 63; 12 luglio 1994, n. 6544, ibid., n. 65.

In ordine alla legittimazione delle rappresentanze sindacali aziendali a costituirsi parte civile nei procedimenti penali per reati comunque ri

collegabili a violazione di norme sulla prevenzione degli infortuni, v. Trib. Monza 29 gennaio 1992, id., Rep. 1992, voce Parte civile, n. 21; Pret. Brescia-Breno 28 giugno 1990, ibid., n. 23.

In ordine al differente onere probatorio incombente sul lavoratore e sul datore di lavoro, v. Cass. 21 ottobre 1997, n. 10361, id., Rep. 1997, voce Lavoro (rapporto), n. 1333; 26 ottobre 1995, n. 11120, id., Rep. 1995, voce cit., n. 1101; 17 novembre 1993, n. 11351, ibid., n. 1113. Peraltro, è stata esclusa la responsabilità del datore di lavoro laddove le lesioni siano state generate da un comportamento imprevedi bile da parte di chi ha predisposto le misure di prevenzione (Trib. Mila no 31 gennaio 1995, ibid., n. 1115), oppure da una condotta dolosa del lavoratore o da un'attività non avente rapporto con lo svolgimento del lavoro o esorbitante dai limiti di esso (Cass. 17 novembre 1993, n. 11351, cit.).

III. - In ordine al danno risarcibile, si è affermato che la violazione, da parte dell'imprenditore, dell'art. 2087 c.c., lo obbliga al risarcimen to sia dei danni di natura patrimoniale ex art. 1218 c.c., sia del danno

biologico, inteso come la menomazione dell'integrità psicofisica della

persona in sé e per sé considerata, poiché «il bene della salute costituì

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PARTE PRIMA

mento, per essere peraltro assegnato — presso la direzione ge nerale di Matino — a compiti dequalificanti; che la mancata

soddisfazione di ogni legittima aspettativa aveva favorito il pro trarsi del suo stato di malattia, sulla quale la banca aveva poi basato il licenziamento — comunicatogli con lettera del 28 maggio 1990 — per superamento del periodo di comporto e, comun

que, per inidoneità psico-fisica a svolgere le mansioni di funzio

nario di banca.

Tanto premesso, il Tortorella chiedeva al Pretore di Lecce

la declaratoria di illegittimità dell'intimato licenziamento, con

le conseguenti statuizioni: ordine di reintegra nel posto di lavo

ro, risarcimento del danno nella misura delle retribuzioni matu

rate dalla data di recesso, condanna della banca convenuta al

risarcimento del danno biologico e, eventualmente, di quello

patrimoniale ove fosse stata ritenuta la legittimità del licenzia

mento per sopravvenuta inidoneità psicofisica, da quantificarsi,

rispettivamente, in lire 400 milioni e lire 800 milioni, oltre lire

see oggetto di autonomo diritto primario assoluto (art. 32 Cost.)»: Pret. Torino 27 gennaio 1994, cit.; Cass. 6 luglio 1990, n. 7101, id., Rep. 1990, voce cit., n. 1389.

In particolare, «a seguito delle sentenze della Corte costituzionale 87/91, id., 1991, I, 1664; 356/91 ibid., 2967, e 485/91, id., 1993, I, 72, l'eso nero del datore di lavoro dalla responsabilità civile per i danni subiti dal lavoratore infortunato, e la limitazione dell'azione risarcitoria di

quest'ultimo al danno differenziale, non riguardano quelle componenti del danno che non formano oggetto della copertura assicurativa, quali il danno alla salute, o biologico, ed il danno morale di cui all'art. 2059

c.c., l'integrale risarcimento dei quali può essere richiesto autonoma

mente, e non a titolo differenziale, indipendentemente dall'entità del l'indennizzo assicurativo»: Cass. 15 settembre 1995, n. 9761, id., 1995,

I, 3140, con nota di Poletti; Pret. Milano 30 novembre 1994, id., Rep. 1995, voce cit., n. 1120; 14 dicembre 1993, n. 12333, id., Rep. 1994, voce Infortuni sul lavoro, n. 124.

Sul termine di decadenza dell'azione promossa ai fini del c.d. danno

differenziale, v. Cass. 2 settembre 1995, n. 9285, id., Rep. 1995, voce Lavoro (rapporto), n. 1103.

Nell'ipotesi di concorso di responsabilità contrattuale del datore di lavoro con quella aquiliana di terzi, è stato sostenuto che l'applicabilità dell'art. 2055 c.c. comporta un'obbligazione solidale in funzione di ga ranzia del credito del danneggiato: Cass. 4 marzo 1993, n. 2605, id., Rep. 1994, voce Responsabilità civile, n. 144.

Con riferimento alla responsabilità del dirigente o dell'amministrato re di una persona giuridica per gli infortuni sul lavoro occorsi ai dipen denti, v. Pret. Brescia 18 aprile 1994, id., Rep. 1995, voce Omicidio e lesioni personali colpose, n. 29; Cass. 25 giugno 1994, n. 6125, id., Rep. 1994, voce Responsabilità civile, n. 72; 3 novembre 1989, Trozzi, id., Rep. 1990, voce Infortuni sul lavoro, n. 220.

In ordine all'entità del risarcimento spettante al lavoratore per infor tunio subito ex art. 2087 c.c., v. Pret. Roma 25 luglio 1994, id., Rep. 1995, voce Lavoro (rapporto), n. 1123; Cass. 2 febbraio 1994, n. 1052, id., Rep. 1994, voce Danni civili, n. 104.

Sul concorso dell'azione extracontrattuale di responsabilità ex art. 2043 c.c. e di quella contrattuale basata sulla violazione degli obblighi di sicurezza ex art. 2087 c.c., v. Cass. 26 ottobre 1995, n. 11120, id., Rep. 1995, voce Lavoro (rapporto), n. 1101; 8 aprile 1995, n. 4078, ibid., n. 1106; 23 giugno 1994, n. 6064, id., 1995, I, 201.

IV. - Sul diritto del lavoratore ad essere assegnato a diverse mansio

ni, ove quelle per le quali è stato assunto o alle quali è stato in concreto destinato secondo le esigenze dell'impresa siano pregiudizievoli per la sua salute, Cass. 6 novembre 1996, n. 9684, id., Rep. 1996, voce cit., n. 1483; 10 novembre 1995, n. 11700, ibid., n. 1071; 12 giugno 1995, n. 6601, id., Rep. 1995, voce cit., n. 757; Pret. Pisa 17 ottobre 1994, ibid., n. 1121; sull'obbligo di risarcimento da parte del datore di lavoro che operi una dequalificazione in violazione degli art. 2103 e 2087 c.c., Pret. Firenze 8 aprile 1994, id., Rep. 1994, voce cit., n. 734.

In ordine alla non computabilità nel periodo di comporto dei periodi di assenza per malattia determinati dalle condizioni dell'ambiente di

lavoro, v. Cass. 10 aprile 1996, n. 3351, id., Rep. 1996, voce cit., n.

1067; 14 maggio 1994, n. 4723, id., Rep. 1994, voce cit., n. 1556; Pret.

Guspini 24 novembre 1992, ibid., n. 1594; Pret. Milano 23 aprile 1987, id., Rep. 1990, voce cit., n. 1826.

V. - Ai fini della configurabilità della responsabilità ai sensi dell'art. 2087 c.c., sotto il profilo soggettivo, giurisprudenza consolidata richie de profili di colpa, nella condotta del datore di lavoro, cui far risalire il danno all'integrità fisica patito dal dipendente, colpa ravvisabile nella violazione di obblighi di comportamento imposti da norme di legge o

suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento: Cass. 29 maggio 1997, n. 4774, id., Rep. 1997, voce cit., n. 1338; 29 maggio 1997, n. 4782, ibid., n. 1366; 21 ottobre 1997, n. 10361, ibid., n. 1333; Pret. Monza 2 maggio 1995, id., Rep. 1996, voce Infortuni sul lavoro, n. 165; Cass. 29 aprile 1994, Kuster, id., Rep. 1995, voce cit., n. 241;

li Foro Italiano — 1999.

50 milioni per danni morali, nonché la condanna della stessa

banca al pagamento di lire 12.240.000, a titolo di indennità so

stitutiva per settantadue giorni di ferie non godute, e di lire

4.900.000 quale premio fedeltà.

Nella resistenza della convenuta Banca popolare sud Puglia, il pretore adito condannava quest'ultima al pagamento della som

ma di lire 166.442.107, con gli accessori, a titolo di risarcimen

to del danno biologico e di quello patrimoniale e rigettava ogni altra domanda del ricorrente.

Avverso la decisione del pretore, entrambe le parti propone vano appello.

Con sentenza 14 marzo-18 maggio 1995, il tribunale, rinuniti

gli appelli, rigettava il gravame della banca e, in parziale acco

glimento dell'impugnazione proposta dal Tortorella, condanna

va la banca medesima al pagamento, con gli accessori di legge,

rispettivamente delle complessive somme di lire 254.177.820 e

di lire 50 milioni.

Pret. Brescia 18 aprile 1994, ibid., voce Omicidio e lesioni personali colpose, n. 15; 28 gennaio 1994, ibid., n. 16; Trib. Ascoli Piceno 8

luglio 1991, id., Rep. 1992, voce Infortuni sul lavoro, n. 145; Cass. 8 luglio 1992, n. 8325, id., 1992, I, 2965, con nota di Simone.

In particolare, con riferimento all'esonero da responsabilità del dato re di lavoro che abbia osservato direttive Ce non ancora recepite nel l'ordinamento interno, v. Cass. 29 marzo 1995, n. 3740, id., Rep. 1995, voce Lavoro (rapporto), n. 1107.

VI. - Più in generale, in materia di sicurezza del lavoro, è stato consi derato come violazione dell'art. 2087 c.c. il mancato impedimento di un superlavoro eccedente la normale tollerabilità (Cass. 1° settembre

1997, n. 8267, id., Rep. 1997, voce cit., n. 1337); è stata affermata la non necessarietà della presenza di medici specialisti presso uno stabi limento industriale (Cass. 16 novembre 1995, n. 11855, id., Rep. 1995, voce cit., n. 1099); sono state ritenute meramente applicative e non esaustive le misure di prevenzione previste in materia di costruzioni dal

d.p.r. 164/56 (Cass. 23 febbraio 1995, n. 2035, ibid., n. 1110); tra gli obblighi cui è tenuto il datore di lavoro ex art. 2087 c.c. vi è stato fatto rientrare anche quello di sottrarre i lavoratori alla presenza del fumo passivo (ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale di Trib. Torino 9 febbraio 1996, id., 1996, I, 2525; Pret. Torino 7 marzo 1995, ibid., con nota di richiami; Pret. Firenze 4 ottobre 1994, id., Rep. 1995, voce cit., n. 1122); sulla responsabilità solidale del datore di lavoro

per infortunio derivante da strumenti forniti e maneggiati da terzi, Trib.

Napoli 12 marzo 1993, id., Rep. 1993, voce Infortuni sul lavoro, n.

236; infine, è stata esclusa la responsabilità civile del datore di lavoro

per lesioni cagionate da comportamento illecito di un compagno di la voro (Pret. Milano 7 marzo 1991, id., Rep. 1992, voce cit., n. 147).

VII. - La Corte costituzionale è stata più volte chiamata a pronun ciarsi in materia di sicurezza del lavoro: Corte cost. 18 luglio 1991, n. 356, id., 1991, I, 2967, con nota di De Marzo; ibid., 3291, con nota di Poletti; id., 1992, I, 2340, con nota di Esposito, con riferi mento all'esonero da responsabilità civile del datore di lavoro, in rela zione al danno alla salute sofferto, a cagione del suo comportamento colpevole, ma non rilevante penalmente, dal lavoratore; 9 marzo 1989, n. 103, id., 1989, I, 2105, in ordine al diritto al medesimo inquadra mento dei lavoratori adibiti a mansioni identiche.

VIII. - In dottrina, Angiello, La responsabilità dell'amministratore di società di capitali per gli infortuni sul lavoro e la delega dei compiti antinfortunistici, in Resp. civ., 1995, 944; Bifulco, Inattività del lavo ratore e danno biologico, in Dir. e giur., 1993, 351; Dalmotto, Pro

spettazioni alternative in tema di infortuni sul lavoro e scelta del giudi ce competente (concorso di responsabilità contrattuale ed extracontrat

tuale), in Giur. it., 1995, I, 1, 867; Di Cola, Solidarietà dei debitori a titoli diversi di responsabilità e garanzia del credito, id., 1994, I, 1, 1605; Dubini, La sicurezza delle macchine tra leggi, regolamenti, giuris prudenza e norme tecniche, in Dir. e pratica lav., 1996, 2781; Gallica

ni, L'attuazione dell'obbligo di sicurezza di cui all'art. 2087 c.c., in Lavoro eprev. oggi, 1992, 1430; Lorusso, L'art. 2087 c.c. e la respon sabilità per danni all'integrità psico-fisica del lavoratore, in Mass. giur. lav., 1995, 359; Magno, Integrità psichica e personalità morale del la

voratore, in Dir. lav., 1994, I, 419; Marando, La sicurezza del lavoro nel sistema della giurisprudenza, Milano, 1992, XIX, 414; Montuschi, Problemi del danno alla persona nel rapporto di lavoro, in Riv. it. dir. lav., 1994, I, 317; Naletto, Il fumo nell'ambiente di lavoro - Per ora solo un equivoco?, id., 1995, II, 151; Ntuk, Diritto alla salute, «obbligo di sicurezza» da parte dell'imprenditore e «.fumo passivo» nei

luoghi di lavoro, in Giur. it., 1994, I, 2, 281; Salerno, Obbligo di sicurezza: affinità e discordanze tra diritto interno, diritto comunitario e legislazione degli Stati membri della Ce, in Lavoro e prev. oggi, 1993, 1078; Vallebona, Sicurezza del lavoro e insicurezza dell'impresa: la barbarie del diritto, in Mass. giur. lav., 1995, 790; Vitale, Aspetti si stematici e profili di novità della sicurezza del lavoro, in Dir. lav., 1996, I, 82. [D. Carbone]

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Rigettata la preliminare eccezione di ultra petizione, formula

ta dalla banca, secondo cui la sentenza di primo grado era fon

data su fatti non dedotti in giudizio dal ricorrente, osservava

innanzi tutto il tribunale che l'art. 10 dell'accordo integrativo aziendale 1° luglio 1988 (intitolato «garanzie volte alla sicurez

za sul lavoro»), alla lett. a), aveva previsto che «nel quadro delle garanzie volte alla sicurezza sul lavoro» l'azienda si era

impegnata ad adottare tutte le misure idonee a prevenire atti

criminosi nei confronti delle persone e del patrimonio azienda

le, «con particolare riferimento a tutte le possibilità di accesso

all'interno delle strutture della banca. Ogni dipendenza sarà for

nita di doppia porta con metal detector e di analoga misura

di sicurezza, in modo tale da garantire comunque gli standards

minimi di sicurezza esistenti nella piazza». Rilevava, quindi, il

tribunale che tale previsione non poteva esonerare la banca dal

la responsabilità civile nei confronti dei propri dipendenti per il solo fatto di avere adottato l'unica misura di sicurezza «tipiz zata» dall'accordo collettivo. Il controllo dell'accesso alla filiale

attraverso la c.d. porta a consenso con metal detector od altra

misura analoga era stato, difatti, espressamente indicato soltan

to quale misura minima (comunque) inderogabile, ma l'indicato

accordo aveva previsto a carico della banca l'obbligo di adotta

re «tutte le misure idonee a prevenire atti criminosi», un impe

gno, cioè, superiore all'onere dell'ordinaria diligenza che — ai

sensi degli art. 1176 e 2043 c.c. — segna il limite delle responsa bilità per danni. Dette misure — proseguiva il tribunale — do

vevano prevenire specificamente anche le aggressioni nei con

fronti delle persone, così che esattamente il pretore aveva deter

minato il complesso delle misure di sicurezza che, alla stregua di una valutazione ex ante e del criterio dell'ordinaria diligenza, la banca era tenuta ad adottare e, in mancanza delle quali, do

veva rispondere, ai sensi dell'art. 2087 c.c., dei danni derivati

al proprio dipendente dall'evento criminoso.

Le conclusioni cui, peraltro, era pervenuto il primo giudice

(il quale aveva ritenuto la necessità di adottare la «porta a con

senso con metal detector, piantonamento diurno con guardia

giurata o sorvegliante addetto ad una guardiola blindata, siste

ma d'allarme collegato con istituti di vigilanza o con le forze

dell'ordine») dovevano, quindi, essere pienamente condivise. Ciò

perché — secondo il tribunale — le misure di protezione poste in essere presso uno sportello bancario, tendendo ad evitare uno

specifico comportamento (la porta a consenso con metal detec

tor serve, infatti, ad impedire l'accesso in banca ad individui

armati) e, congiuntamente, a scoraggiare iniziative criminose con

tro la sede protetta, debbono avere un livello di sicurezza ade

guato. L'insufficienza del quale rende, invero, di per sé una

determinata filiale (e, nella fattispecie, quelle presso cui aveva

operato il Tortorella) obiettivo preferenziale per i rapinatori ed

espone, conseguentemente, i lavoratori a rischi maggiori per ef

fetto di colpose omissioni da parte dell'azienda.

Osservava altresì il tribunale che proprio le rapine, subite dal

Tortorella, non si sarebbero ragionevolmente verificate se, in

ciascuna delle filiali, vi fossero stati la vigilanza armata esterna

e un dispositivo d'allarme collegato con le forze dell'ordine o

con un istituto di vigilanza. Con la doverosa precisazione che

non si trattava (qui) di prevedere se una tutela armata della

filiale — da parte di una guardia esterna e delle forze dell'ordi

ne immediatamente allertabili — avrebbe, in via di mera ipote

si, potuto cagionare più gravi danni al dipendente, per essere

anche costui esposto all'eventualità di un conflitto armato.

Secondo il giudice d'appello, infatti, ai fini del nesso di cau

salità tra l'omissione — da parte della banca — delle misure

di sicurezza obbligatorie ex art. 2087 c.c. e l'evento dannoso

accaduto al dipendente era necessaria l'idoneità delle misure

omesse a prevenire l'evento criminoso, in quanto tali da scorag

giare i rapinatori, oltre che proteggere i lavoratori presenti in

filiale, idoneità oltretutto ricorrente nella specie in esame.

D'altra parte, una conferma dell'efficacia deterrente anche

della sola vigilanza fissa era desumibile, proprio per la filiale

di Guagnano, anche dalla circostanza che, nel periodo tra il

26 luglio 1985 e il 5 settembre 1986 (durante il quale era stata

adottata la vigilanza fissa), essa non aveva subito alcuna rapi

na, mentre — una volta eliminata detta vigilanza — era stata

oggetto di due rapine nel 1987 e nel 1988.

Aggiungeva, infine, il tribunale, in relazione ad una specifica

Il Foro Italiano — 1999.

deduzione della banca, che, pur in mancanza di una formale

richiesta scritta del Tortorella, era ben noto alla stessa banca

il desiderio del dipendente di prestare servizio presso una sede

diversa da quella di Guagnano e che l'attribuzione di tale desi

derio soltanto alla maggiore distanza di detta sede rispetto a

quella di Lizzanello sembrava un'illazione ingiustificata, aven

do la direzione della banca avuto piena cognizione dei disturbi

di natura psichica del Tortorella. Di modo che sarebbe stato

più conforme agli obblighi di correttezza e di tutela della salute

del dipendente (art. 1375 e 2087 c.c.) un impegnò aziendale per una diversa collocazione lavorativa dello stesso dipendente.

Osservava, in proposito, il tribunale che tale profilo di colpa della banca costituiva soltanto un elemento aggiuntivo, posto dal pretore a fondamento dell'affermazione di responsabilità per

danni, già sussistente per la violazione dell'art. 2087 c.c., e che

avrebbe certamente agevolato la guarigione ed il reinserimento

lavorativo del dipendente per effetto dell'immediata prospettiva di dover ritornare ad operare (non più nella sede di Guagnano,

ma) altrove.

Contro la pronuncia del Tribunale di Lecce, la Banca popo lare sud Puglia s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione, affida

to a nove motivi. Resiste con controricorso, Marcello Tortorel

la, che spiega, a sua volta, ricorso incidentale, fondato su un

unico motivo, cui resiste con controricorso, la banca.

Le parti hanno depositato memorie.

Motivi della decisione. — Deve, preliminarmente, essere di

sposta, ai sensi dell'art. 335 c.p.c., la riunione dei ricorsi princi

pale ed incidentale, in quanto proposti contro la stessa sentenza.

Il primo motivo del ricorso principale contiene la denuncia

di violazione e falsa applicazione dell'art. 2087 c.c. e degli art.

99, 112, 414, n. 4, 416, 429 e 421 c.p.c. in relazione all'art.

360, nn. 3 e 4, c.p.c., per avere il tribunale erroneamente affer

mato la responsabilità della banca per omessa adozione di mi

sure di sicurezza antirapina sulla base di fatti non allegati nel

ricorso introduttivo del Tortorella.

La ricorrente principale sostiene che il ricorso del lavoratore

al pretore non aveva invocato — a sostegno della domanda —

lo specifico fatto (omissione, cioè, di un «sistema di allarme

collegato con istituti di vigilanza o con le forze dell'ordine») su cui, invece, si fonda la sentenza impugnata.

Deduce, infatti, che, in questa situazione, all'udienza dell'8

gennaio 1992 il pretore aveva ordinato d'ufficio un'inammissi

bile istruttoria «esplorativa» e che il tribunale ha, però, rigetta to il motivo d'appello proposto (sul punto) dalla banca, sul ri

lievo generico che il Tortorella avrebbe «esposto analiticamente

i fatti posti a fondamento della sua domanda».

Ne trae che, in tal modo, la decisione denunciata ha commes

so un «gravissimo» errore di diritto consistente nella confusione

del potere del giudice del lavoro di istruire d'ufficio i fatti alle

gati dalle parti con il ben diverso potere, proprio di un processo sostanzialmente inquisitorio e sconosciuto al nostro ordinamen

to del processo civile e del lavoro, di acquisire al giudizio ed

utilizzare, per la decisione, qualsiasi fatto ritenuto rilevante dal

l'ufficio a, prescindere dalle allegazioni delle parti.

Perciò, conclude e denuncia, il tribunale ha violato ed appli cato falsamente le norme sopra richiamate poiché il combinato

disposto degli art. 414, n. 4, e 420 c.p.c. impone al ricorrente

di esporre — nell'atto introduttivo del giudizio — tutti i fatti

che ritiene rilevanti come fondamento della domanda, vietando

qualsiasi successiva aggiunta o modificazione delle allegazioni e senza che il giudice possa sostituirsi al ricorrente per l'intro

duzione in giudizio di fatti diversi da quelli contenuti nel ricorso.

La censura è infondata. Come è noto, il processo del lavoro

non diverge dal processo civile ordinario per quanto attiene al

rispetto integrale del principio della domanda. Elemento del quale

(art. 99 e 112 c.p.c.) è il c.d. onere dell'allegazione: l'onere,

cioè, dell'attore di dedurre i fatti costitutivi e, rispettivamente, del convenuto di dedurre i fatti impeditivi ed estintivi della si

tuazione sostanziale, oggetto del giudizio, ed il correlativo vin

colo del giudice a pronunciare soltanto sulla base di essi. Gli

art. 414, n. 4, e 416 c.p.c. impongono, quindi, di individuare

questi fatti sin dalle scritture introduttive (ricorso e memoria

difensiva), così che il thema decidendum e di conseguenza il

thema probandum siano fin d'allora determinati (cfr., ex pluri

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PARTE PRIMA

mis, Cass. 6381/81, Foro it., 1982, I, 2563; 2994/82, ibid., 2485, ed altre).

La regola dell'onere della prova, intesa come ripartizione tra

l'attore e il convenuto del rischio della prova ed il correlativo

principio di disponibilità della medesima, dunque, vigono an che nel processo del lavoro, sebbene, in esso, siano accentuati

i poteri istruttori del giudice, atteso che l'art. 421 c.p.c. non

dispensa la parte dall'onere di allegare i fatti né dall'orci» pro

bandi, ma abilita soltanto il giudice, nel rispetto della garanzia del contraddittorio, ad integrare, e non a sostituire, la prova dei fatti affermati.

Nell'ambito della direttiva di completezza delle difese, che

informa di sé l'intero processo del lavoro, è imposto, perciò, alle parti di indicare specificamente, sin dal ricorso introduttivo

(art. 414, n. 5) e dalla memoria di costituzione del convenuto

(art. 416, 3° comma) i mezzi di prova, dei quali intendono av

valersi.

Pertanto, il giudice del merito non può porre a fondamento

della sua decisione fatti non specificamente affermati dalle par

ti, essendogli, tuttavia, consentito, ai sensi del 1° comma del

l'art. 421 c.p.c., l'esercizio del potere-dovere di indicare alle

parti stesse «in ogni momento le irregolarità» dei loro atti che

possono essere sanate e di assegnare ad esse un termine per

provvedervi, salvi gli eventuali diritti quesiti. Per quanto riguarda il contenuto di detto potere-dovere, le

sezioni unite di questa corte hanno chiarito che il permanere

dell'incompletezza o determinerebbe l'inammissibilità della pro

va, in quanto il richiamato art. 421 tende ad evitare tale risulta

to «in un'ottica di collaborazione fra giudice e parte e di affida

mento al primo del compito di verificare che il buon andamen

to del processo non venga compromesso da vizi formali ai quali sia ancora possibile porre rimedio» (Cass., sez. un., n. 262 del

1997, id., 1997, I, 1506). Di guisa che, fermo restando che il

rito del lavoro tende a contemperare — in considerazione della

particolare natura dei rapporti controversi — il principio dispo sitivo (che obbedisce alla regola formale del giudizio fondata

sull'onere della prova) con quello della ricerca della verità ma

teriale, mediante una rilevante ed efficace azione del giudice nel processo (Cass. 6995/96, id., Rep. 1996, voce Lavoro e pre videnza (controversie), n. 155), sarebbe, tuttavia, inammissibile

una dilatazione di quel potere-dovere tale da consentire al giu dice di porre rimedio — con l'esercizio, appunto, della facoltà

ex officio — alle decadenze (maturate), cui è improntato il pro cesso del lavoro (cfr. Cass. 9550/94, id., Rep. 1994, voce cit., n. 138; 8020/96, id., Rep. 1996, voce cit., n. 122, ed altre).

Orbene, dall'impugnata sentenza si evince che il tribunale, esaminando lo specifico mezzo di impugnazione sul punto pro

posto dalla banca, ha messo in evidenza che «nel ricorso al

pretore depositato I'll luglio 1990, il Tortorella ha esposto . . .

analiticamente i fatti posti a fondamento della sua domanda, formulando espressamente una richiesta di risarcimento del danno

cagionato dalla mancata adozione di misure di sicurezza nelle

agenzie presso le quali egli aveva operato e citando numerose

circostanze in cui era stata rappresentata alla banca la carenza

verificata anche da soggetti qualificati, tra cui il comandante

della stazione dei carabinieri di Guagnano . . .; su tutti i fatti

articolati nel ricorso, poi, a differenza di quanto sostenuto dal

la banca appellante, il Tortorella ha chiesto nello stesso atto

introduttivo prova per testi, indicando già proprio coloro che

erano informati sulla dedotta mancanza di misure di sicurez

za». In tal modo, si deve escludere che il giudice dell'appello abbia fondato il proprio convincimento su fatti mai allegati,

giacché, sui medesimi, il ricorrente aveva già dedotto prova orale, che aveva trovato rituale ingresso sulla scorta del requisito della

deduzione dei fatti posti a suo fondamento. (Omissis) Il secondo ed il terzo motivo, per la loro evidente connessio

ne, debbono essere esaminati congiuntamente. Essi vanno peraltro rigettati. Le articolate censure, dedotte con i due motivi in esame, ri

propongono il quesito se anche i problemi relativi alla sicurezza del lavoratore non in senso strettamente igienico-sanitario, ma

collegati — pur sempre con riguardo alla sua integrità fisico

psichica — a situazioni di ordine pubblico e di criminalità, non esistenti, almeno nelle dimensioni successivamente assunte, al

lorché la norma di riferimento (art. 2087 c.c., ritenuta applica

li. Foro Italiano — 1999.

bile alla fattispecie dai giudici di merito) era stata posta, siano

ricomprensibili nel generico e, perciò, elastico campo di appli cazione della detta norma.

Il quesito è stato già esaminato e risolto positivamente da

questa corte con la decisione n. 5048 del 6 settembre 1988 {id.,

1988, I, 2849), che conviene richiamare nei suoi passaggi argo mentativi più significativi.

Con la sentenza 5048/88, cit., sull'indiscusso presupposto che

l'art. 2087 c.c. sia norma volta a tutelare il prestatore d'opera da rischi generici rispetto a quelli specificamente previsti dal

sistema di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul la

voro e, quindi, a coprire rischi comunque rientranti nel com

plessivo ambito di tale normativa protettiva (tant'è che lo stesso

art. 2087 è stato definito come norma di chiusura del sistema

antinfortunistico, posta a tutela di situazioni non direttamente

contemplate, ma in esso ricomprensibili, anche con responsabi lità diretta del datore di lavoro, non riversabile sull'assicurazio

ne obbligatoria), il Supremo collegio ha affermato i seguenti

principi: A) l'art. 2087 c.c. contiene un principio di autoresponsabilità

dell'imprenditore il quale, indipendentemente da specifiche di

sposizioni normative, è tenuto a porre in essere tutti gli accorgi menti e le misure necessarie ad evitare il verificarsi di lesioni

del bene primario (del lavoratore come di ogni persona), che

è la salute e l'integrità fisica;

B) l'esonero del datore di lavoro dalla responsabilità civile

per infortunio sul lavoro o malattia professionale opera esclusi

vamente nei limiti posti dall'art. 10 d.p.r. n. 1124 del 1965 e

per i soli eventi coperti dall'assicurazione obbligatoria (cfr. an

che Cass. 6282/96, id., Rep. 1996, voce Infortuni sul lavoro, n. 158); qualora, invece, eventi lesivi eccedenti tale copertura si verifichino, comunque, in pregiudizio del lavoratore e siano

causalmente ricollegabili alla nocività dell'ambiente di lavoro, «viene in rilievo, come fonte della suddetta responsabilità, la

norma dell'art. 2087». La quale, atteggiandosi come norma di

chiusura del sistema antinfortunistico, anche dove faccia difetto

una specifica misura preventiva, impone al datore di lavoro di

adottare tutte le cautele necessarie (e, comunque, le misure ge neriche di prudenza, diligenza ed osservanza delle norme tecni

che e di esperienza: così Cass. 7636/96, ibid., n. 156) a tutelare

l'integrità fisica dei dipendenti, anche quando essi siano stati

regolarmente assicurati;

Q l'obbligo di tutela sussiste esclusivamente nei confronti dei

dipendenti, e non anche nei confronti della indistinta massa del

pubblico che «in ragione dell'attività dell'impresa si trovi a fre

quentare i locali della stessa»;

D) la diffusione dell'attività criminosa è tale da far conside rare quella bancaria «nei locali cui accede il pubblico» un'atti vità «quanto meno occasione di rischio ... per i dipendenti», nei riguardi dei quali sussiste il suddetto obbligo «non in appli cazione della disciplina generale della responsabilità civile (art. 2043 o 2050 c.c.), bensì in applicazione di quella norma, pur sempre generale ma entro un più circoscritto ambito settoriale, che è costituita dall'art. 2087 c.c.»;

E) quest'ultimo, per le sue caratteristiche di norma aperta, vale a supplire alle lacune di una normativa «che non può pre vedere ogni fattore di rischio», assumendo, quindi, rispetto a

questa la funzione sussidiaria di adeguamento al caso concreto; F) l'ordinamento è in grado di sopperire alle inevitabili lacu

ne con la predisposizione di clausole generali, in cui l'interprete può cogliere nuove esigenze meritevoli di tutela, attribuendo lo

ro, «ove appaia consentito alla stregua dell'ordinamento, dal suo insieme e in primo luogo sulla base dei principi costituzio

nali», veste e dignità di posizioni soggettive tutelate;

G) una clausola generale, che si presta a ricevere nuovi conte

nuti, è appunto quella contenuta nell'art. 2087, che trova piena e concreta attuazione in relazione al diritto — costituzional

mente garantito — alla salute e all'integrità fisica, ormai acqui sito, per via di interpretazione giurisprundenziale, in molteplici applicazioni;

H) il valore primario assegnato al diritto alla salute dall'art. 32 Cost, comporta che la sua tutela debba spiegarsi non solo in ambito pubblicistico, ma anche nei rapporti fra privati, ove la salute rileva come posizione soggettiva autonoma, e che una tutela privilegiata spetta ai lavoratori, nei cui confronti essa si

svolge tanto sotto il profilo sanitario, quanto sotto quello eco

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

nomico, con l'imposizione — in particolare sotto quest'ultimo

profilo — «all'imprenditore di un rigoroso dovere di garantire la sicurezza dei lavoratori (art. 2087 c.c.), che si pone come

condizione per il legittimo esplicarsi dell'iniziativa economica

privata (art. 41, 2° comma, Cost.)». Sicché la tutela della salute

del lavoratore, nell'ambito del rapporto di lavoro, si realizza, tra l'altro, riversando entro certi limiti sull'imprenditore, il ri

schio (della malattia e, più in generale) dell'integrità fisica del dipendente;

7) la presenza, nell'ordinamento, di un tale diritto di così am

pio raggio consente di ritenere che una sua lesione in ambiente

0 in costanza di lavoro, pur se non collegata direttamente all'u

na o all'altro, «in quanto infetta da terzi estranei», possa rien

trare nell'ampia previsione dell'art. 2087 c.c., che non appresta una tutela complementare rispetto alla complessa normativa di

prevenzione antinfortunistica e igienico-sanitaria, che, però, non

prevede un caso «come quello in esame». Dal che si deduce

che l'ordinamento non può lasciare esclusivamente a carico del

lavoratore un danno alla sua salute, occasionato proprio dal

l'attività lavorativa, «senza che né la collettività attraverso il

sistema antinfortunistico, né il datore di lavoro contribuiscano

a risarcirlo»;

L) l'art. 2087 c.c. consente, perciò, «senza strappi ai princi

pi», di addossare quel rischio insieme ai vari altri che l'esercizio

di un'impresa in sé comporta. Conseguentemente, l'imprendito re ha il dovere di valutare se l'attività della sua azienda presenta rischi extralavorativi di fronte al cui prevedibile verificarsi in

sorga il suo obbligo di prevenzione. Obbligo, il contenuto del

quale è individuabile «nella realtà alla stregua delle tecniche di

sicurezza comunemente adottate»;

M) il contenuto degli obblighi a tutela dell'integrità fisica dei dipendenti di un istituto bancario deve essere individuato nella

predisposizione di misure di sicurezza idonee a salvaguardarli da possibili danni.

Le suesposte conclusioni, cui è pervenuta la richiamata deci

sione n. 5048 del 1988, e alle quali questo collegio presta con

vinta adesione, sono state oggetto di ampio dibattito. L'argo mento contrario, apparentemente insuperabile, scaturito da tale

dibattito è che, se è doveroso che l'imprenditore risponda «per sonalmente» dei rischi alla salute del lavoratore da lui stesso

creati (e non eliminati per imprudenza, negligenza, imperizia), in caso di rapina l'istituto di credito non «crea» direttamente

un pericolo di danno all'integrità fisica del proprio dipendente; così che verrebbe ad esso imputato un danno, pur in assenza

di nesso causale con la sua attività, nesso che sussiste invece

tra l'azione del rapinatore ed il ferimento (del dipendente dell'i

stituto), rispetto al quale l'esercizio del credito sarebbe mera

occasione.

L'obiezione, a parere di questa corte, è agevolmente supera

bile, ove si consideri che l'imprenditore deve valutare i rischi

che l'esercizio di un'impresa in sé comporta e che «nel momen

to attuale, la diffusione dell'attività criminosa è tale da far con

siderare quella bancaria, nei locali cui accede il pubblico, un'at tività quanto meno occasione di rischio (per il pubblico e) per 1 dipendenti, stante la prevedibilità dell'irruzione di terzi con

disegni criminosi nei locali aperti al pubblico» (Cass. 5048/88,

cit.). D'altra parte, se è vero che la responsabilità del datore, come

delineata dall'ampio contenuto della norma di cui all'art. 2087

c.c., non può essere dilatata fino a comprendere ogni ipotesi di danno verificatosi a carico dei dipendenti «pur se in conse

guenza di eventi criminosi non addebitabili per colpa al datore

di lavoro», giacché, altrimenti, sarebbe ipotizzabile, in subiecta

materia, una sorta di responsabilità oggettiva «ancorata al pre

supposto teorico che qualsiasi rischio possa essere evitato pur se esorbitante da ogni umana previsione o prevedibilità»; è an

che vero che l'art. 2087 c.c. non configura un caso di responsa bilità oggettiva, in quanto la responsabilità del datore di lavoro

va collegata alla violazione degli obblighi di comportamento im

posti da norme di fonte legale ovvero suggerito dalle conoscen

ze sperimentali e tecniche del momento (Cass. 3740/95, id., Rep.

1995, voce Lavoro (rapporto), n. 1107).

Le osservazioni finora assunte hanno trovato l'autorevole con

forto della Corte costituzionale, la quale, partendo dall'indefet

tibile presupposto che l'art. 2087 c.c. abbraccia ogni tipo di

Il Foro Italiano — 1999.

misura utile a garantire il diritto soggettivo del lavoratore ad

operare in un ambiente esente da rischi, ha ancora recentemen

te posto in rilievo come: «la salute è un bene primario che as

surge a diritto fondamentale della persona ed impone piena ed

esaustiva tutela, tale da operare sia in ambito pubblicistico che

nei rapporti di diritto privato ... La tutela della salute riguar da la generale e comune pretesa dell'individuo a condizioni (di vita, di ambiente e) di lavoro che non pongano a rischio questo suo bene essenziale». Conseguentemente, «non sono soltanto le norme costituzionali (art. 32 e 41) ad imporre ai datori di

lavoro la massima attenzione per la protezione della salute e

dell'integrità fisica dei lavoratori . . . L'art. 2087 c.c. stabilisce

che l'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'im

presa tutte le misure che, secondo le particolarità del lavoro,

l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro» (Corte cost. n. 399 del 1996, id., 1997, I, 3124).

Coerentemente, in adempimento del principio della massima

sicurezza «tecnologicamente possibile» vigente nel nostro ordi

namento ai sensi del più volte citato art. 2087 c.c. (peraltro, di recente riaffermato dal d.leg. 19 settembre 1994 n. 626), se

condo cui la sicurezza non può essere subordinata a criteri di

fattibilità economica o produttiva (Cass. 9 gennaio 1984, Gor

la, id., Rep. 1985, voce Infortuni sul lavoro, n. 257), lo stesso

datore di lavoro è tenuto a trovare le misure sufficienti a conse

guire il fine della protezione della salute e dell'integrità fisica

dei propri dipendenti in modo conforme al principio direttivo

costituzionale dell'art. 32.

Gli obblighi che l'art. 2087 c.c. impone all'imprenditore in

tema di tutela delle condizioni di lavoro non si riferiscono sol

tanto alle attrezzature, ai macchinari e ai servizi che il datore

di lavoro fornisce o deve fornire, ma si estendono, nella fase

dinamica dell'espletamento del lavoro, anche «all'ambiente di

lavoro, in relazione al quale le misure e le cautele da adottarsi

dall'imprenditore devono prevenire sia i rischi insiti in quell'am

biente, sia i rischi derivanti dall'azione di fattori ad esso esterni

e inerenti al luogo in cui tale ambiente si trova» (Cass. 9401/95,

id., Rep. 1995, voce Lavoro (rapporto), n. 1102). In questi termini, va quindi condiviso il canone interpretativo

suggerito dalla sentenza 5048/88, cit., laddove si è affermato

che «l'art. 2087, per le sue caratteristiche di norma aperta, vale

a supplire alle lacune di una normativa che non può prevedere

ogni fattore di rischio, ed ha una funzione sussidiaria rispetto a quest'ultima di adeguamento di essa al caso concreto», senza

che ciò costituisca «strappi ai principi», poiché il dovere di pro tezione (dei lavoratori) che grava sull'imprenditore — collega

to, del resto, al rischio di impresa — comporta che debba essere

10 stesso imprenditore a valutare se l'attività della sua azienda

presenti rischi extra-lavorativi «di fronte al cui prevedibile veri

ficarsi insorga il suo obbligo di prevenzione», giusta il principio

per cui ciascun datore, in riferimento alla particolarità del lavo

ro, da una parte, ed all'esperienza e alla tecnica, dall'altra, de

ve nella rappresentazione dell'evento (prevedibilità) prospettare a se stesso l'adozione delle misure (e, dunque, di tutte le misu

re) più consone e più aggiornate, al fine di scongiurare la sua

realizzazione (prevedibilità). Ne consegue che, proprio alla stregua dei dati di esperienza,

11 suddetto obbligo «avrà un contenuto non teorizzabile a prio

ri», ma ben individuabile nella realtà alla luce delle tecniche

di sicurezza comunemente adottate (Cass. 5048/88, cit.).

Trattasi, evidentemente, di un'obbligazione ex lege accessoria

e collaterale rispetto a quelle principali proprie del rapporto di

lavoro, involgente, quindi, la diligenza nell'adempimento ex art.

1176 c.c. (cfr. Cass. 7768/95, ibid., n. 1104) «eventualmente

correlata alla natura dell'attività esercitata, e comunque impron tata nella sua esecuzione a quei criteri di comportamento delle

parti di ogni rapporto obbligatorio costituiti, ex art. 1175 e 1375

c.c., dalla correttezza e buona fede, ormai ampiamente valoriz

zati dalla giurisprudenza» (Cass. 5048/88, cit.; 7768/95, cit.). Con specifico riferimento all'attività bancaria, il contenuto

degli obblighi a tutela dell'integrità fisica dei dipendenti deve,

dunque, essere individuato nella predisposizione di misure e mezzi

di sicurezza idonee a salvaguardare detti prestatori da possibili danni.

Rischi e mezzi di tutela, tenuti del resto, ben presenti dalle

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PARTE PRIMA

parti (sociali) contrattuali, alla cui attenzione — com'è desumi

bile anche nel caso concreto — già da tempo è dedicata, dai

contratti collettivi di categoria (che generalmente rimettono ai

contratti integrativi aziendali la concreta attuazione) la tratta

zione della relativa problematica; con ciò potendosi ritenere or

mai acquisito, anche nel convincimento delle parti sindacali, la

sussistenza di quel rilevante rischio per i dipendenti da azioni

criminose di terzi, che giustifica, in definitiva, l'applicazione dell'art. 2087 c.c.

Onde, deve ritenersi che il datore di lavoro, il quale, in una

simile situazione di rischio prevedibile ed accertabile alla stre

gua dei comuni criteri di diligenza «o addirittura disciplinata in sede collettiva nazionale o aziendale», non abbia predisposto

gli adeguati mezzi di tutela, debba rispondere ex art. 2087 c.c.

dell'evento lesivo nei confronti del dipendente (così, Cass.

5048/88, cit.). Dovendo, infatti, il datore di lavoro ispirare la

sua doverosa condotta alle acquisizioni della migliore scienza

ed esperienza per fare in modo che il lavoratore sia posto nelle

condizioni di operare con assoluta sicurezza, atteso che l'art.

2087 c.c. stimola obbligatoriamente il datore di lavoro ad aprir si alle nuove acquisizioni tecnologiche (Cass. 29 aprile 1994,

Kuster, ibid., voce Infortuni sul lavoro, n. 241).

Allorquando ricorra un tale inadempimento del datore, la con

seguenza della malattia o dell'infortunio del dipendente, che ab

biano origine e trovino causa in detto inadempimento, dunque, debbono essere sopportate dallo stesso datore, per essere stato

egli, appunto, inadempiente all'obbligazione contrattuale a lui

facente carico ai sensi dell'art. 2087, giacché l'impossibilità del

la prestazione lavorativa è imputabile al comportamento illecito

della stessa parte cui detta prestazione è destinata (Cass. 3559/84,

id., Rep. 1984, voce Lavoro (rapporto), n. 2128; 4723/94, id.,

Rep. 1994, voce cit., n. 1556; 6601/95, id., Rep. 1995, voce

cit., n. 1614). Ciò posto, si osserva che il giudice d'appello ha applicato

esattamente tale insegnamento, poiché, con logica e congrua mo

tivazione, collegata all'esercizio del potere istituzionale, che de

volve esclusivamente al giudice di merito l'interpretazione delle

disposizioni collettive di diritto comune, data la loro natura con

trattuale (Cass. 5930/96, id., Rep. 1996, voce Lavoro (contrat

to), n. 25) — come già precisato in narrativa — ha accertato

che l'art. 10 dell'accordo integrativo aziendale 1° luglio 1988, alla lett. a) aveva imposto alla banca, attuale ricorrente, l'ob

bligo di «adottare tutte le misure idonee a prevenire atti crimi

nosi nei confronti delle persone e del patrimonio aziendale, con

particolare riferimento a tutte le possibilità di accesso all'inter

no delle strutture della banca. Ogni dipendenza sarà fornita da

doppia porta con metal detector o di analoga misura di sicurez

za, in modo tale da garantire comunque gli standards minimi

di sicurezza esistenti nella piazza»; pervenendo alla (corretta) conclusione che la previsione contrattuale non aveva esaurito

l'obbligo della banca di tutelare i propri dipendenti, esoneran

dola — in tal modo — dalla responsabilità civile «per il solo

fatto di aver adottato l'unica misura di sicurezza tipizzata dal

l'accordo collettivo».

Invero, il tribunale, chiamato a verificare se la banca avesse

adempiuto o no l'obbligazione contrattuale ad essa facente cari

co ex art. 2087 c.c., ha dato risposta negativa, osservando che la clausola contrattuale su richiamata andava intesa «solo quale misura minima comunque inderogabile», con ciò però escluden

do che l'accordo integrativo aziendale del 1° luglio 1988 non

avesse posto a carico della banca (come, al contrario, sostenuto

con le censure in esame) «l'obbligo di adottare tutte le misure

idonee a prevenire atti criminosi, e cioè un impegno addirittura

superiore all'onere dell'ordinaria diligenza che, ai sensi degli art.

2043 e 1176 c.c., segna il limite della responsabilità per danni».

Impegno che lo stesso tribunale — con incensurabile, perché correttamente motivato, accertamento — (condividendo, sul pun

to, la determinazione del pretore) ha individuato, oltre che nel

la porta a consenso con metal detector, nel «piantonamento diurno con guardia giurata o sorvegliante addetto ad una guar diola blindata, sistema d'allarme collegato con istituti di vigi lanza o con le forze dell'ordine»; ossia, in quel complesso di

misure di sicurezza, che, lungi dall'essere inesigibili dal datore di lavoro, rientrano in quell'ambito di prevedibilità (dell'even

to) e di prevenibilità (mediante l'adozione di idonee e consone

Il Foro Italiano — 1999.

misure), ricollegabile certamente alla particolarità del lavoro (ban

cario). Misure che il datore, come cennato, è tenuto — alla

stregua di una valutazione ex ante e del criterio dell'ordinaria

diligenza — ad adottare al fine di scongiurare il verificarsi di

eventi dannosi per la salute dei propri dipendenti. Contro le affermazioni del tribunale, la cui statuizione riposa

su esatti e condivisibili principi di diritto, la ricorrente principa le ha, invece, formulato censure in parte infondate e, per altra

parte (laddove ha preteso di ribaltare l'accertamento di fatto

in ordine al verificarsi delle rapine), inammissibili nel giudizio di legittimità.

Esse, in definitiva, in relazione al punto ora precisato, decisi

vo nella presente controversia e, quindi, in ordine alla respon sabilità della ricorrente, non intaccano i precetti di logica e ra

zionalità, che sorreggono la motivazione della sentenza impu

gnata. (Omissis) Con il settimo motivo, si chiede l'annullamento della pronun

zia impugnata per violazione e falsa applicazione dell'art. 32

Cost, e degli art. 1223, 1226 e 2697 c.c., nonché dell'art. 414, n. 4, c.p.c., in relazione all'art. 360, nn. 3, 4 e 5, c.p.c. laddove

è stato erroneamente riformato il capo della statuizione del pre

tore, relativo alla quantificazione del danno biologico, liquida to (in lire 54 milioni) con il criterio a punti, anziché con il crite

rio del triplo della pensione sociale. Si denuncia, altresì, insuffi

ciente motivazione sul punto. La doglianza è infondata. Il tribunale, nella quantificazione

del danno biologico, richiesto dal Tortorella, si è correttamente

uniformato al prevalente insegnamento di questa corte, secondo

cui il risarcimento del danno biologico, inteso come menoma

zione dell'integrità psico-fisica del soggetto, costantemente pre sente in ogni fatto illecito che rechi danno alla persona, deve

essere liquidato anche, in difetto di criteri obiettivi per l'esatta

quantificazione del pregiudizio, stante il potere-dovere del giu dice di ricorrere ad una valutazione equitativa.

Sicché non può essere utilizzato il criterio indicato dall'art.

4 d.l. 23 dicembre 1996 n. 857 (convertito con 1. 26 febbraio

1977 n. 39), che si riferisce al pregiudizio patrimoniale conse

guente alla menomazione della capacità di produzione del red

dito personale (ex plurimis, Cass. 477/96, ibid., voce Danni ci

vili, n. 186), ben potendosi utilizzare — come, peraltro, ha fat

to il tribunale — il criterio della liquidazione c.d. per punti. Con l'ottavo motivo, la banca ricorrente denuncia violazione

e falsa applicazione degli art. 32 Cost., 1223, 1226 e 2697 c.c., in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c. per avere il giudice

d'appello erroneamente duplicato il risarcimento del danno me

desimo, considerandolo, una volta, come patrimoniale, e, una

volta, come biologico; nonché insufficiente e contraddittoria mo

tivazione sul punto. La ricorrente sostiene che la doppia detrazione della pensione

non era affatto frutto di un errore, poiché il pretore, operando correttamente su somme di denaro al netto delle imposte, aveva

tenuto conto di quella parte di reddito (pensione di invalidità) che il Tortorella percepiva proprio per le stesse ragioni (inido

neità), per le quali aveva perduto il reddito da lavoro. Di modo

che non può parlarsi di doppia detrazione, in quanto la pensio ne, già goduta in costanza di rapporto, rilevava sia al fine della

determinazione dell'effettivo reddito da lavoro, sia come incre mento di reddito compensativo, secondo il principio della com

pensa tio lucri cum damno.

La ricorrente deduce, infine, che deve essere evitata un'ingiu sta duplicazione del danno, mediante il risarcimento del danno

biologico e il risarcimento di quello patrimoniale. Il motivo va rigettato. Va premesso che — come si legge nella

sentenza impugnata — il tribunale, esaminando la specifica do

glianza del lavoratore, il quale aveva lamentato — a proposito della quantificazione del danno patrimoniale — l'erroneità del

la detrazione, dal reddito percepito nell'anno precedente il li

cenziamento, dell'assegno di invalidità «poiché gli stipendi a lui

versati dalla banca erano già decurtati dell'importo di tale asse

gno», ha considerato — con apprezzamento incensurabile —

che «negli statini mensili degli stipendi, esibiti dal Tortorella, risulta effettuata una specifica trattenuta pensionati dall'epoca successiva all'emissione (luglio 1989) del certificato di pensione

Inps pure esibito. Il calcolo del risarcimento dovuto per il dan

no patrimoniale subito andrà . . . nuovamente effettuato secondo

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

i criteri adottati dal pretore . . . ma senza operare la detrazione

relativa all'assegno di invalidità».

Ha, quindi, adottato un'esatta statuizione, poiché (il tribuna

le) ha mostrato di avere chiara la distinzione tra danno patri moniale (riferibile al pregiudizio conseguente alla menomazione

della capacità di produzione del reddito personale) e danno bio

logico (connesso ad una menomazione psico-fisica del sogget

to), che debbono essere (entrambi) risarciti, senza che ciò com

porti — come osservato dalla giurisprudenza di legittimità —

una duplicazione nella liquidazione di un elemento del danno

(cfr. Cass. 12911/92, id., Rep. 1992, voce cit., n. 129), atteso

che il danno biologico e quello patrimoniale attengono a sfere

distinte di riferimento (Cass. 3565/96, id., Rep. 1996, voce cit., n. 141; 3727/96, ibid., n. 127).

Con il nono motivo, la ricorrente principale deduce violazio

ne e falsa applicazione dell'art. 25 Cost, e degli art. 1218, 2059, 2087 e 2697 c.c., nonché degli art. 42, 43 e 590 c.p., degli art.

414, n. 4, 437, c.p.c. in relazione all'art. 360, nn. 3, 4 e 5,

c.p.c. ed omessa e/o insufficiente motivazione sul punto. Censura la sentenza impugnata per avere erroneamente con

dannato essa attuale ricorrente principale al risarcimento del dan

no morale, sostenendo che: a) il tribunale ha accolto una causa

petendi (reato di lesioni colpose) mai indicata in primo grado e «saltata fuori tardivamente solo in appello»; b) il tribunale

ha confuso i requisiti della responsabilità contrattuale del debi

tore (art. 1218 e 2087 c.c.), dai quali esula l'onere della prova della colpa dell'inadempimento, ed i requisiti della responsabili tà penale, per la quale è indispensabile la prova dell'elemento

soggettivo (art. 42 e 43 c.p.); c) l'inesistenza, nella specie, di

una predeterminata norma prevenzionistica, atteso che l'accer

tamento della responsabilità civile che era fondata solo su un'i

nammissibile forzatura del principio di cui all'art. 2087 c.c., esclude in radice la configurabilità di un reato.

Anche l'ultimo motivo è infondato. Si deve innanzitutto esclu

dere che il giudice d'appello si sia pronunziato in difetto di una

causa petendi, giacché il Tortorella — come si desume dalla

sentenza impugnata e dagli atti di causa — aveva chiesto l'af

fermazione della responsabilità della Banca popolare pugliese s.r.l. per tutti i danni patrimoniali e morali derivanti dalla de

dotta violazione dell'obbligo di sicurezza previsto dall'art. 2087

c.c.

E su tale indiscutibile presupposto si è conseguentemente de

terminato a condannare la stessa banca a risarcire i danni mo

rali subiti dal lavoratore, osservando (correttamente e coerente

mente con principi ripetutamente affermati dalla giurispruden

za, puntualmente richiamati nella decisione ora gravata), che

non può escludersi «il rilievo anche penale della colpa per man

cata adozione delle misure di sicurezza obbligatorie ex art. 2087

c.c., colpa posta a fondamento della responsabilità civile rico

nosciuta in sentenza» (v. Cass. 8 marzo 1988, Corbetta, id.,

Rep. 1989, voce Omicidio e lesioni personali colpose, n. 84; 13 gennaio 1989, Marrocco, ibid., n. 68).

E da siffatta premessa, lo stesso giudice d'appello è pervenu to all'esatta conclusione che le lesioni colpose costituiscono pro

prio quella fattispecie criminosa tipica, procedibile d'ufficio (art. 590 c.p.), che giustifica il risarcimento dei danni morali (art. 2059 c.c. e 185 c.p.).

In definitiva, il ricorso principale deve essere rigettato. Va rigettato anche il ricorso incidentale, con il cui unico mo

tivo Marcello Tortorella denuncia, a sua volta, violazione e fal

sa applicazione degli art. 2087, 2110 c.c., e 3 1. n. 604 del 1966,

nonché contraddittorietà ed insufficienza di motivazione su un

punto essenziale della controversia.

Il ricorrente incidentale, a sostegno della censura, osserva che

il tribunale, dopo avere correttamente affermato che, anche nella

disciplina del rapporto di lavoro, trova applicazione il principio

generale che l'autore di un comportamento contra legem non

può invocare a suo vantaggio l'evento dannoso cagionato (co

sicché non può essere intimato il licenziamento per superamen

to del periodo di comporto quando responsabile della malattia

del prestatore sia il datore di lavoro per violazione dell'art. 2087

c.c.), ha poi contraddittoriamente ritenuto legittimo il recesso

disposto dalla banca, assumendo che, se la malattia del dipen

dente contratta per colpa del datore non può determinare un

recesso per superamento del periodo di comporto, tale periodo,

Il Foro Italiano — 1999.

però, continua ad avere rilievo al diverso scopo di individuare

il momento in cui il licenziamento per causa diversa (nella fatti

specie: per inidoneità al lavoro) può essere efficacemente in

timato.

Il vizio e la contraddittorietà della motivazione appaiono evi

denti ove si consideri che l'inidoneità al lavoro del Tortorella

era stata determinata proprio dal fatto colposo della banca, con

la conseguente irrilevanza del decorso del periodo di comporto

e, in ogni caso o gradatamente, con la conseguente esigenza di stabilire prescindendo dal riferimento, che può avvenire solo

in via equitativa, al periodo complessivo di assenza dal lavoro

negli ultimi due anni, se effettivamente si fosse verificata, per il decorso di quel periodo, l'inidoneità al lavoro del Tortorella.

Sotto quest'ultimo profilo, quanto meno, doveva essere veri

ficato, sulla base di una motivazione congrua e coerente, il ca

rattere irreversibile in tempi ragionevoli dello stato di invalidità

psichica del Tortorella.

Occorre, innanzi tutto, osservare che il tribunale, partendo dal presupposto che il lavoratore era stato assente per malattia

per oltre ventidue mesi negli ultimi tre anni prima del recesso

datoriale, alla data del 28 maggio 1990 poteva essere «efficace

mente» licenziato, ha affermato che, sebbene la malattia con

tratta dal prestatore per colpa del datore non possa determinare

un licenziamento per superamento del periodo di comporto, tut

tavia «tale periodo continua ad avere rilievo al diverso scopo di individuare il momento in cui il licenziamento per causa di

versa (nella fattispecie in esame: per inidoneità al lavoro) può essere efficacemente intimato».

Si legge, poi, nella sentenza impugnata che il giudice d'appel lo — con riferimento alla consulenza medico-legale d'ufficio, volta all'accertamento se il Tortorella, alla data del licenzia

mento, fosse idoneo o no allo svolgimento delle mansioni di

funzionario di banca secondo le declaratorie contrattuali — ha

concluso nei seguenti termini: «... il Tortorella versava in con

dizioni di salute fisica e mentale tali da richiedere assoluto ripo

so; appare legittimo dedurne che in tali condizioni il ricorrente

non aveva la capacità e possibilità di svolgere alcuna attività

lavorativa e, di conseguenza, neppure quella di funzionario di

banca».

La statuizione del tribunale appare corretta e va mantenuta

ferma, posto che essa è conforme ai principi di diritto costante

mente affermati da questa corte, secondo cui la sopravvenuta inidoneità fisica del lavoratore, a causa di malattia, anche se

non è stato superato il periodo di comporto, giustifica la risolu

zione del rapporto di lavoro (v., da ultimo, Cass. 3040/96, id.,

Rep. 1996, voce Lavoro (rapporto), n. 1484), costituendo esso

un caso di giustificato motivo oggettivo di licenziamento (v. Cass. 5830/87, id., 1987, I, 3025, e altre; 7196/91, id., Rep. 1991, voce cit., n. 1521, e altre). Sicché, tenuto conto — come

rilevato dal tribunale — che, nell'ambito dell'organizzazione della

banca, attuale ricorrente, non «possono . . . individuarsi man

sioni» compatibili — in relazione alla qualifica di funzionario — con lo stato psico-fisico del Tortorella, la cui richiesta di

reintegra «non può, di conseguenza, essere accolta», allo stesso

Tortorella era consentita soltanto la tutela risarcitoria, peraltro riconosciuta dal giudice di merito.

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