sezione lavoro; sentenza 20 marzo 1987, n. 2798; Pres. Nocella, Est. Trezza, P.M. La Valva (concl.conf.); I.n.p.s. (Avv. Maresca, Bartoli) c. Napolitano. Cassa Trib. Napoli 31 marzo 1984Source: Il Foro Italiano, Vol. 110, No. 9 (SETTEMBRE 1987), pp. 2413/2414-2415/2416Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23179003 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 20 marzo
1987, n. 2798; Pres. Nocella, Est. Trezza, P.M. La Valva
(conci, conf.); I.n.p.s. (Aw. Maresca, Bartoli) c. Napolita
no. Cassa Trib. Napoli 31 marzo 1984.
Lavoro e previdenza (controversie in materia di) — Appello —
Mancata notificazione all'appellato del ricorso e del decreto
di fissazione dell'udienza di discussione — Irregolarità sanabile
con il rimedio della rinnovazione (Cod. proc. civ., art. 291,
421, 435).
La omessa notificazione del ricorso e del decreto di fissazione
dell'udienza di discussione nel giudizio di appello secondo il rito del lavoro integra una irregolarità degli atti che può essere
sanata assegnando all'appellante un termine perentorio entro
cui rinnovare la notificazione, in applicazione degli art. 291
e 421 c.p.c. (1)
Fatto. — Esperito negativamente l'iter amministrativo previsto
dalla legge, Napolitano Maria, con ricorso del 3 marzo 1981, con
veniva davanti al Pretore di Napoli l'I.n.p.s., perché fosse con
dannato a corrisponderle la pensione di invalidità con la decorrenza
di legge. Instauratosi il contraddittorio, il giudice adito, espletata consu
lenza tecnica medico-legale, con sentenza del 23 novembre 1982,
rigettava la domanda.
Con ricorso depositato il 5 maggio 1982 l'assicurata proponeva
appello avverso la suddetta decisione ed il Tribunale di Napoli,
con sentenza del 31 marzo 1984, accoglieva il gravame e dichiara
va il diritto della Napolitano alla pensione di invalidità a decorre
re dal luglio 1981.
Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione l'I.n.p.s.,
deducendo un solo motivo di annullamento, mentre la contropar
te non si è costituita in giudizio. Diritto. - Il ricorrente lamenta, in particolare, violazione degli
art. 101 e 435 c.p.c., in relazione all'art. 360, nn. 3 e 4, c.p.c.,
deducendo che il ricorso di appello della Napolitano non gli era
stato mai notificato, onde esso istituto non era stato posto in
grado di difendersi nel giudizio di secondo grado; per tale motivo
la sentenza del Tribunale di Napoli andava certamente annullata.
Il ricorso è fondato. Non esistendo, invero, agli atti la prova
della notifica all'I.n.p.s. del ricorso di appello con il pedissequo
decreto presidenziale di fissazione dell'udienza di discussione (e
del resto la Napolitano, cui incombeva di dare la prova di tale
notifica, non ha neanche ritenuto di costituirsi nel presente giudi
zio), può tranquillamente affermarsi che la notifica medesima non
è mai avvenuta, onde, non essendo neanche comparso l'appellato
(1) La Cassazione torna ancora una volta sulla vexata quaestio relativa
alle conseguenze della mancata notificazione del ricorso e del decreto di
fissazione dell'udienza di discussione nel giudizio di appello secondo il
rito del lavoro.
Contrariamente alle speranze espresse da A. Proto Pisani, (Ancora sui vizi della fase introduttiva del processo del lavoro, in Foro it., 1986,
I, 1849), la decisione presa dalla precedente Cass. 14 aprile 1986, n. 2637,
ibid., non è stata sufficiente a sistemare «un altro tassello della comples
sa fase introduttiva del processo del lavoro». Permane, infatti, la situa
zione di contrasto all'interno della sezione del lavoro: v. in senso conforme
alla sentenza in epigrafe Cass. 21 aprile 1986, n. 2780 e 24 febbraio 1986,
n. 1145, id., Mass., 481 e 215; contra, la cit. Cass. 2637/86, alla cui
nota si rinvia per i richiami dei precedenti ed una rivisitazione di tutto
il complesso problema. Non si può fare a meno di osservare che neppure
è stata colta l'occasione, sebbene in questo senso esplicitamente sollecita
ta (v. Proto Pisani, cit.), per far intervenire le sezioni unite, ai sensi
dell'art. 374, 2° comma, c.p.c., su una questione giunta ad un punto
tale per cui un intervento chiarificatore del massimo consesso della Corte
di cassazione sembra improcrastinabile. In dottrina da ultimo v. C.M. Barone (Andrioli, G. Pezzano, A.
Proto Pisani), Le controversie in materia di lavoro2, Bologna-Roma,
Zanichelli-Foro italiano, 1987, 879 ss.; v. inoltre Schiaffino, Violazione
dei termini a difesa nel processo de! lavoro per tardiva notifica degli atti
introduttivi del giudizio, in Riv. dir. proc., 1984, 351 ss.
Per quanto riguarda lo stato della giurisprudenza sull'analogo proble
ma relativo alla introduzione del giudizio di primo grado, v. Trib. Napoli
14 maggio 1986, Foro it., 1986, I, 2909, con nota di richiami, nel senso
che il mancato rispetto dei termini a comparire a causa di ritardo della
notifica imputabile all'attore determini la nullità della sentenza e dell'in
tero procedimento di primo grado; v. però Cass. 15 aprile 1986, n. 2673,
id., Mass., 461, secondo la quale vizi della notifica si possono sanare
applicando gli art. 162 e 291 c.p.c. [M. Orsenigo]
Il Foro Italiano — 1987.
spontaneamente davanti al Tribunale di Napoli, la sentenza im
pugnata deve essere annullata per violazione dell'art. 101 c.p.c.,
che sancisce la inviolabilità del principio del contraddittorio.
Deve, peraltro, la corte occuparsi a questo punto della ulterio
re questione relativa alle conseguenze processuali, ed eventual
mente sostanziali, della mancata notifica alla controparte da parte
dell'appellante del ricorso di appello.
Va al riguardo oservato che nello speciale rito del lavoro le
conseguenze di tale omissione non possono essere quelle che di
scendono dalla mancata notifica dell'atto d'appello nel rito or
dinario. Nel processo del lavoro, invero, atto necessario e sufficiente
per la rituale proposizione dell'appello e, quindi, per non incor
rere nella inammissibilità della impugnazione è, per giurispruden
za costante, il deposito del ricorso nella cancelleria del giudice
competente: nel rito ordinario, invece, la impugnazione deve rite
nersi proposta quando è notificata alla controparte, onde la tem
pestività del gravame e la sua ammissibilità vanno determinate
in relazione al giorno della notifica del relativo atto.
Mentre, dunque, la mancata notifica dell'atto di appello in que
st'ultimo rito determina la decadenza dal diritto relativo ed il
passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, è da ritene
re, stante la consolidata giurisprudenza citata, che una tale omis
sione nel rito speciale del lavoro non incida sull'atto di
impugnazione, già perfetto — come si è detto — con il deposito,
con la conseguenza che il processo di appello non possa conclu
dersi in tale evenienza con una pronuncia in rito di improcedibili
tà e tanto meno di nullità del relativo atto introduttivo.
Non è neanche, peraltro, possibile ritenere che la parte appel
lante possa indefinitamente mantenere aperto il processo, trasci
nando la decisione di udienza in udienza a suo arbitrio,
contrastando tale soluzione con il principio di speditezza caratte
rizzante il nuovo processo del lavoro (vedi anche art. 420, ultimo
comma, c.p.c.). Vi è a questo punto da aggiungere, prima di esprimere il giudi
zio di questa corte sull'argomento, che, per il caso di nullità della
notifica dell'atto di citazione nel rito ordinario, l'art. 291 c.p.c.,
applicabile pacificamente anche in sede di appello (per tutte cfr.
Cass. n. 5577/84, Foro it., 1985, I, 1110), dispone che «se il
convenuto non si costituisce ed il giudice istruttore rilevi un vizio
che importi nullità nella notificazione..., fissa all'attore un termi
ne perentorio per rinnovarla. La rinnovazione impedisce ogni de
cadenza».
Tale disposizione è ritenuta dalla giurisprudenza ormai costan
te di questa corte applicabile anche nel caso di nullità della noti
fica del ricorso di primo o di secondo grado nel processo del
lavoro (Cass. n. 1145/86, id., Mass., 215; n. 1926/85, id., Rep.
1985, voce Lavoro e previdenza (controversie), 378; n. 5577/84,
cit.; n. 2789/82, id., Rep. 1982, voce cit., n. 466). Orbene, quando in tale rito la notifica del ricorso di secondo
grado manchi del tutto, nel silenzio della legge, la quale non pre
vede espressamente il caso, ritiene la corte, in coerenza con quan
to prima evidenziato circa il momento perfezionativo dell'atto di
impugnazione del tutto autonomo rispetto alla successiva notifi
ca, che la predetta omissione integri «una irregolarità degli atti»,
la quale, ai sensi dell'art. 421, 1° comma, c.p.c., da ritenersi
applicabile anche al giudizio di secondo grado, può essere sanata
nel termine assegnato all'uopo dal giudice (cfr. n. 5054/79, id.,
Rep. 1979, voce cit., nn. 420, 426; n. 1145/86, cit.); tale termine
è perentorio, in applicazione estensiva della disposizione di cui
all'art. 291 c.p.c. più sopra riportato (per il caso di mancata no
tifica del ricorso in primo grado, Cass. 9 gennaio 1981, n. 194;
per il medesimo caso in sede di appello, Cass. 24 febbraio 1986,
n. 1145 cit.). Per i motivi suddetti non si ritiene di condividere, come si è
più sopra accennato, quell'orientamento, decisamente minorita
rio, secondo il quale, se l'appellante non provvede affatto alla
notifica all'appellato del ricorso e del decreto di fissazione dell'u
dienza di discussione (o se detta notifica sia giuridicamente insus
sistente), si realizza una impossibilità giuridica di proseguire la trattazione del processo, il quale deve essere definito con pronun
cia di mero rito, senza che ricorra la possibilità di provvedere
alla rinnovazione ex art. 162 c.p.c. o alla assegnazione di un ter
mine perentorio ai sensi e agli effetti di cui all'art. 291 c.p.c.
(Cass. 14 aprile 1986, n. 2637, id., 1986, I, 1849). In conclusione, annullata la sentenza del Tribunale di Napoli,
la causa va rinviata ad altro giudice di pari grado, il quale prov
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2415 PARTE PRIMA 2416
vederà, conformemente al principio sopra enunciato, a fissare una
nuova udienza di discussione con termine perentorio per la noti
fica del ricorso e dell'emanando decreto presidenziale di cui al
l'art. 435, 1° comma, c.p.c.; il nuovo giudice, che si designa nel
Tribunale di S. Maria Capua Vetere.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 11 marzo
1987, n. 2524; Pres. Granata, Est. Caturani, P.M. Amiran
te (conci, parz. diff.); Capriolo C. (Avv. Capriolo, Di Majo) c. Soc. Grassetto (Avv. Gambino); Capriolo G. (Avv. Di Giu
ro) c. Soc. Grassetto. Cassa App. Roma 4 giugno 1984.
Contratto in genere — Contratti collegati — Indagine sulla sussi
stenza del collegamento funzionale o genetico — Omissione —
Difetto di motivazione.
Va cassata, per difetto di motivazione, la sentenza di rinvio che,
in presenza di una pluralità di contratti non rientranti, secondo
la pregressa pronuncia di legittimità, nello schema del contrat
to a favore di terzo, ometta, ritenendola preclusa dal giudica
to, qualsiasi indagine diretta a stabilire se fra i suddetti negozi vi fosse, o non, un nesso idoneo a far sì che le vicende dell'uno
potessero reagire sull'altro. (1)
Svolgimento del processo. — Con citazione del 19 novembre
1966, i germani Giuseppe e Teresa Candia, premesso che il 28
settembre 1961 avevano alienato l'intero pacchetto azionario del
la SIP (Società immobiliare Petrarca) alla s.a.s. impresa Grasset
to, la quale in corrispettivo (oltre a pagare una somma di danaro) si era obbligata a costruire una palazzina di cento vani da conse
gnare a persona o società che sarebbe stata indicata dal Candia,
convenivano davanti al Tribunale di Napoli la suddetta impresa
e, assumendo che questa non aveva adempiuto all'obbligazione, chiedevano che fosse condannata al pagamento di una somma
pari al valore della palazzina ed al risarcimento dei danni.
La società convenuta eccepiva il difetto di legittimazione ad
agire degli attori, in quanto l'appalto per la palazzina le era stato
commesso da altro soggetto e precisamente dalla SPE (società Petrarca edile); nel merito, deduceva, comunque, l'impossibilità della costruzione per il fatto, a lei non imputabile, del mancato
rilascio della licenza edilizia. In via riconvenzionale chiedeva che
Giuseppe Candia, suo debitore per 70 milioni di lire, fosse con
dannato a pagarle tale importo. Interveniva in giudizio volontariamente Concetta Prota la qua
(1) La sentenza 260/78 — con cui la Cassazione, rilevando difetto di motivazione ed errore di diritto nella pronuncia della Corte d'appello di Napoli (sentenza 27 ottobre 1975, Foro it., Rep. 1978, voce Contratto in genere, n. 217, e riprodotta per esteso in Giur. merito, 1977, 1087), ha escluso che i rapporti intercorsi tra le parti in causa potessero rientrare nello schema del contratto a favore di terzo, negando, quindi, che il sog getto qualificato come stipulante dal giudice d'appello fosse legittimato ad agire nei confronti dell'impresa assunta promittente per ottenere la
prestazione dovuta al terzo — si legge in Foro it., 1978, I, 1998, con osservazioni critiche di A. Lener.
Con la pronuncia su riportata i giudici di legittimità, ritenendo che la Corte d'appello di Roma non abbia effettuato, nell'erronea convinzio ne che fosse preclusa dalla sentenza suddetta, alcuna indagine tendente a stabilire se tra l'intera vicenda contrattuale potesse scorgersi un'unità
funzionale, hanno disposto un ulteriore rinvio. Per quanto riguarda il profilo relativo al collegamento negoziale, la
sentenza in esame sembra aderire all'indirizzo della giurisprudenza domi nante secondo cui il collegamento si verifica ogni qual volta vi sia una
pluralità di contratti distinti tra i quali, secondo l'intenzione delle parti contraenti, esista un nesso tale che le vicende dell'uno si ripercuotono sull'altro, condizionandone la validità e l'efficacia.
Sul punto cfr., fra le altre, Cass. 25 luglio 1984, n. 4350, id., Rep. 1985, voce cit., n. 108; 17 novembre 1983, n. 6864, id., Rep. 1984, voce
cit., n. 175 (annotata da G.P. Cirillo, Sul collegamento negoziale di
contratti, in Giur. it., 1984, I, 1, 1459); 2 luglio 1981, n. 4291, Foro
it., 1982, I, 467, con nota di richiami. Nel senso che il collegamento possa determinare, anziché il condizionamento, la subordinazione di un
negozio rispetto all'altro, v. Cass. 3 aprile 1983, n. 2520, id., 1983, I, 1900. Per ulteriori riferimenti cfr. la rassegna di giurisprudenza e dottrina
curata da G. Ferrando, I contratti collegati, in Nuova giur. civ., 1986, II, 256, 432.
Il Foro Italiano — 1987.
le, assumendosi creditrice di lire 20.775.000 nei confronti di Giu seppe Candia e di essersi resa cessionaria del credito vantato da
questi nei confronti dell'impresa Grassetto, chiedeva che questa ultima fosse condannata al pagamento della somma suddetta.
L'adito tribunale, con sentenza del 16 dicembre 1970, respinge va tutte le domande.
In riforma di tale decisione, la Corte d'appello di Napoli, con
sentenza non definitiva del 27 ottobre 1975, dichiarava Teresa
e Giuseppe Candia legittimati alla domanda proposta contro l'im
presa Grassetto e, ritenuto la inadempienza di quest'ultima, la
condannava a pagare ai suddetti Candia l'equivalente pecuniario della palazzina di cento vani che essa avrebbe dovuto costruire
«sul suolo di proprietà della s.p.a. SPE» e consegnare entro il
30 settembre 1963 «per effetto dell'obbligo assunto con la scrittu
ra del 28 settembre 1961» somma da quantificare nel prosieguo del giudizio. In accoglimento poi dell'appello incidentale condi
zionato dell'impresa Grassetto, e come riflesso della legittimazio ne ad causarti riconosciuta a Giuseppe Scandia, la stessa corte
condannava costui a pagare all'impresa l'importo di lire 55.232.450
(che doveva essere restituito per eccesso delle anticipazioni rispet to al corrispettivo in danaro convenuto con la scrittura del 28
settembre 1961). La corte infine, osservava che la domanda ri
proposta dalla appellante Prota Sorrentino, cessionaria del credi
to di Candia verso la società Grassetto, non poteva allo stato
essere accolta perché il suo esame era condizionato all'accerta
mento definitivo del credito dei Candia.
Contro questa sentenza proponeva ricorso per cassazione l'im
presa Grassetto che sostanzialmente si doleva che la Corte d'ap
pello di Napoli avesse riconosciuto la legittimazione attiva dei
Candia. Con sentenza del 20 gennaio 1978, n. 260 (Foro it., 1978, I,
1998) questa corte accoglieva il ricorso presentato dall'impresa Grassetto e dichiarava che erroneamente la Corte d'appello di
Napoli aveva ricollegato ad unità i negozi intervenuti tra i Candia
e la suddetta impresa, fra questa e la società SPE e fra la società
SPE e la società SIP, configurando come contratto a favore di
terzi i vari contratti su indicati. Questa corte quindi rimetteva
la causa avanti alla Corte d'appello di Roma perché, previo riesa
me degli atti stabilisse se si potesse configurare la legittimazione attiva dei Candia, con ricorso ad una costruzione giuridica diver
sa da quella tratteggiata dalla Corte d'appello di Napoli. Con atto del 23 febbraio 1979, Teresa Candia, in proprio e
quale coerede del fratello Giuseppe, nel frattempo deceduto, rias
sumeva il giudizio, assumendo che la situazione giuridica risul
tante dalla successione dei contratti intervenuti fra le parti in causa
andava ricompresa nella figura giuridica della delegazione. Dele
gazione promissoria attiva, l'accordo in base al quale il Candia, creditore verso l'impresa Grassetto della costruzione di una pa lazzina di cento vani utili, assegnava al suo debitore (impresa
Grassetto) un nuovo creditore, la società SPE. Delegazione pro missoria passiva, l'accordo in base al quale il Candia, che a sua
volta era debitore dell'impresa Grassetto di circa cinquanta mi
lioni, assegnava al suo creditore (impresa Grassetto) un nuovo
debitore, la società SPE. Rilevava altresì' la Candia che, essendo
entrambe le delegazioni cumulative, i Candia avevano uno speci fico interesse da tutelare che giustificava la proposizione della
domanda nei confronti dell'impresa Grassetto. Concludeva quin di chiedendo dichiararsi la propria legittimazione attiva e pertan to accogliersi tutte le domande spiegate con l'atto di appello.
Costituitasi in giudizio l'impresa Grassetto si opponeva alla do
manda ed in ipotesi di suo accoglimento chiedeva condannare
Teresa Candia e gli altri eredi del defunto Giuseppe Candia a
corrisponderle la somma di lire 55.232.450 oltre agli interessi ed
alla svalutazione monetaria a decorrere dal 3 febbraio 1967.
Si costituiva in giudizio Concetta Prota che aderiva all'appello della Candia, mentre non si costituivano le società SPE e SIP,. Giovanna Capriolo e l'avv. Vittorio Botti, quale legale rappre sentante del minore Bruno Botti, questi ultimi due quali eredi
del defunto Giuseppe Candia.
La Corte d'appello di Roma, con sentenza del 4 giugno 1984,
respingeva gli appelli in base alle seguenti considerazioni: a) a
seguito della sentenza di cassazione con rinvio n. 260/78, deve
escludersi la possibilità di ricercare la legittimazione dei Candia
sul presupposto di una unità funzionale di tutta la vicenda con
trattuale dedotta in giudizio, dato che in quella sede si è definiti
vamente accertato che i contratti stipulati il 16 giugno 1962 fra
la società SIP e la società SPE, relativi alla cessione di un terreno
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