Sezione lavoro; sentenza 21 gennaio 1984, n. 530; Pres. Afeltra, Est. Della Terza, P. M. Gazzara(concl. conf.); Monte dei Paschi di Siena (Avv. Scognamiglio) c. Camaiti (Avv. Comporti).Conferma Trib. Siena 23 maggio 1979Source: Il Foro Italiano, Vol. 107, No. 10 (OTTOBRE 1984), pp. 2563/2564-2567/2568Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23178091 .
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2563 PARTE PRIMA 2564
diritto comune. Essa concreta piuttosto un'offerta al destinatario
di realizzare l'eventuale interesse a consolidare nella propria
persona impresa agricola e proprietà del fondo mediante il tipico
congegno negoziale agrario, inteso alla promozione della proprietà coltivatrice, che — se da un lato postula il dovere del proprieta rio di effettuare quell'offerta — condiziona all'esistenza di quel ben preciso interesse l'attribuzione al coltivatore del potere di
accettarla. E non è fuor di luogo rilevare che è proprio questo interesse del lavoratore ad impiegare nel fondo l'attività lavorati
va propria e della famiglia il dato che giustifica — sul piano della legittimità costituzionale — il sacrificio della libertà contrat
tuale e di iniziativa economica, posto che lo fa rientrare nei
confini dei limiti che possono essere imposti ai poteri del
proprietario allo scopo di assicurare — anche con la tutela del lavoro del coltivatore — la realizzazione della funzione sodale della proprietà nonché (con specifico riferimento alla proprietà terriera) di conseguire il più razionale sfruttamento del suolo. Ed è infatti l'individuazione di questo preciso limite causale, nel
quale dalla legge si è inteso circoscrivere la sfera di applicazione della prelazione agraria, che consente di riconoscere che il
legislatore — nel soddisfare ideali eli giustizia sociale — ha anche
rispettato la Costituzione. In definitiva — senza disattendere i validi rilievi contenuti nelle citate sentenze in ordine al difetto di
legittimazione, intesa come competenza a regolare il complesso di interessi contemplati nell'atto, come rapporto tra soggetto ed
oggetto del negozio il cui difetto viene « ad incidere su di esso viziandone la causa » — può affermarsi che l'inesistenza dello
specifico interesse privilegiato dal legislatore importa addirittura l'inesistenza dell'ipotizzato contratto giacché implica inesistenza dell'atto di accettazione tipico, in ogni caso difformità tra propo sta ed accettazione, dunque mancata realizzazione del consenso.
A convergenti conclusioni si perviene anche se si configura unitariamente la prelazione agraria come diritto potestativo di cui
è investito il coltivatore di un fondo che dal proprietario sia stato già venduto ed anche soltanto promesso ad altri.
La configurazione, invero, può trovare base nel rilievo che il 4° comma dell'art. 8 1. 26 maggio 1965 n. 590 è stato con l'art. 8 1. 14 agosto 1971 n. 817 modificato nel senso che oggetto della denuntiatio non è più la mera determinazione del proprietario di
alienare l'immobile bensì la già avvenuta stipulazione con un terzo di un contratto preliminare avente ad oggetto l'alienazione del fondo; onde può prospettarsi che — come per il retratto —
la dichiarazione negoziale effettuata dal coltivatore in conseguen za della denuntiatio trova nel contratto già stipulato il suo
presupposto e deriva la vis traslativa non già dal consenso —
realizzatosi inter alios — ma direttamente dalla legge, che attri
buisce al coltivatore il potere di renderlo inoperante fra gli
stipulanti — sostituendosi alla parte acquirente — e di realizzare
per tal via l'interesse a consolidare l'attività lavorativa con i
poteri dominicali.
Se si accoglie tale configurazione dell'istituto non può non
rilevarsi che la causa — fondamento e limite di ogni potere — lo
è maggior ragione del cennato diritto potestativo, il cui contenuto è appunto il potere di riunire nella propria persona la proprietà del fondo e l'impresa agricola di coltivazione diretta. Essa (come
per qualsiasi altro potere) è momento inseparabile dalla nozione
di tale potestà, attenendo alla sua funzione e condizionando
quindi la congruenza del suo esercizio col modello legale. Onde è
la stessa giuridica esistenza che dev'essere negata in ordine ad un
atto che soltanto in apparenza costituisca esercizio di quel potere ma che in realtà ne diverga sotto il profilo funzionale {per l'inattuazione del peculiare interesse alla cui realizzazione è
finalizzata la protezione prevista dall'ordinamento) ed integri inve
ce un negozio ontologicamente diverso (immeritevole della specifica
tutela) posto che stravolge ad operazione mercantile uno strumen
to preordinato alla difesa del lavoro.
La sentenza impugnata, che ha ritenuto esistente e valido l'atto
di esercizio della prelazione senza indagare se — nel momento in
cui lo ha compiuto — il mezzadro fosse portatore dell'interesse
tutelato dalla legge va pertanto annullata con rinvio ad altro
giudice, che si designa nella Corte d'appello di Perugia, anche
per la pronunzia sulle spese del presente giudizio di cassazione.
Assorbita è la censura, sostanzialmente subordinata, riguardante la mancata declaratoria — quanto meno — della nullità del
contratto col quale il Della Valle ha rivenduto il fondo prima che fosse trascorso il decennio dell'acquisto. E resta, ovviamente,
salva ogni questione diversa da quella decisa dalla Corte d'appel lo di Ancona.
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione lavoro; sentenza 21 gen naio 1984, n. 530; Pres. Afeltra, Est. Della Terza, P. M.
Gazzara (conci, conf.); Monte dei Paschi di Siena (Avv. Sco
gnamiglio) c. Camaiti (Avv. Comporti). Conferma Trib. Siena
23 maggio 1979.
Lavoro (rapporto) — Dirigente di istituto di credito — Nozione — Capo ufficio studi — Promozione — Spettanza — Fattispe cie (Cod. civ., art. 2095, 2103).
L'appartenenza alla categoria dei dirigenti del preposto all'ufficio studi di istituto di credito può derivare tanto dalla investitura
formale operata dalla banca in virtù del potere discrezionale ad
essa attribuito dalla contrattazione collettiva, quanto dalla na
tura e dalle modalità di espletamento delle funzioni attribuite
al dipendente, allorché esse implicano un particolare tipo di
collaborazione con il vertice dell'azienda. (1)
Motivi della decisione. — 1. - Con l'unico motivo di gravame, il Monte dei Paschi di Siena, istituto di credito di diritto pubblico, denunciando violazione e falsa applicazione degli art. 2095, 2103, 1362 ss. c.c. e dell'art. 1 e allegati del d.p.r. 2 gennaio 1962 n.
668, nonché carenza e contraddittorietà di motivazione su un
punto essenziale della controversia, con riferimento all'art. 360, on. 3 e 5, c.p.c., si duole il giudice di appello, decidendo la
questione se competesse al dipendente che espletava le mansioni di
« capo d'ufficio studi » la qualifica di « dirigente », anziché quella
attribuitagli, di « funzionario - direttore di 1" classe », abbia
violato le norme vigenti e, comunque, abbia emesso una pronun cia non sorretta da congrua motivazione.
In particolare, il tribunale avrebbe sottovalutato la rilevanza
incisiva degli elementi indicati dalla contrattazione collettiva, secondo i quali il « direttore di 1" classe » (grado IV) è, di
regola, funzionario, a meno che non gli sia stata discrezionalmen
te attribuita da qualifica di « dirigente », indipendentemente dalle
mansioni espletate (cioè quelle di funzionario), tanto da rendere
il grado IV un grado della carriera comune ai funzionari ed ai
dirigenti. La sentenza impugnata, inoltre, di fronte al problema di
accertare la partecipazione diretta dell'ufficio studi e del suo
direttore alla formazione degli indirizzi di base della politica
imprenditoriale, avrebbe inutilmente divagato sul significato del
l'ingerenza dei provveditore del Monte dei Paschi nella gestione
(1) Nel senso che, ove esistano precise disposizioni contrattuali, non
sia consentito al giudice — ai fini dell'attribuzione della qualifica di
dirigente — ricorrere a criteri diversi da quelli stabiliti nel contratto
collettivo v., da ultimo, Cass. 8 agosto 1983, n. 5295, Foro it., Rep.
1983, voce Lavoro (rapporto), n. 941, nonché Cass. 14 maggio 1983, n.
3353, ibid., voce Lavoro (contratto), n. 50; 12 gennaio 1983,
n. 217, ibid., n. 105, e in Riv. it. dir. lav., 1984, ill, 178, con nota di
(P. Fabris; 29 aprile 1981, n. 2637, Foro it., 1981, I, 1558.
Tali decisioni puntualizzano peraltro che ciò avviene solo allorquan do l'appartenenza alla categoria dei dirigenti sia espressamente e
puntualmente regolata dalla norma contrattuale attraverso la indicazio ne dei gradi cui viene attribuita detta qualifica.
L'inquadramento del dirigente attraverso il grado anziché attraverso la qualifica è caratteristica comune di diversi contratti collettivi (cfr., emblematicamente, art. 77 ed ali. 7 c.c.n.l. 7 luglio 1983 per il
personale direttivo delle aziende di credito e finanziarie), attesa la
peculiarità della posizione professionale di tale soggetto, la quale non
consente, nella gran parte dei casi, rigidi ancoraggi a determinate mansioni.
'Per converso, la mancanza di una nozione legale della categoria dei
dirigenti fa si che, in assenza di una espressa e puntuale definizione
contrattuale, la individuazione dei requisiti di appartenenza alla cate
goria in parola vada rinvenuta — come nella decisione in epigrafe —
nella preposizione del prestatore di lavoro alla direzione dell'intera
organizzazione aziendale o ad una branca o settore autonomo della
stessa, quando esso sia in concreto investito di attribuzioni che, per la loro ampiezza, gli consentano — sia pure nell'osservanza delle direttive
programmatiche del datore di lavoro — di imprimere un indirizzo ed un orientamento al governo complessivo dell'azienda.
Conformemente Cass. 8 giugno 1983, n. 3922, id., Rep. 1983, voce Lavoro (rapporto), n. 1148, nonché Cass. 5 giugno 1981, n. 3651, id., Rep. 1982, voce cit., n. 477.
Nel senso della nullità delle clausole dei contratti collettivi che subordinano al mero riconoscimento aziendale la qualifica di dirigente, Cass. 14 luglio 1976, n. 2738, id., Rep. 1976, voce cit., n. 212.
In dottrina, di recente, Vallebona, Sui criteri per la identificazione del dirigente, in Dir. lav., 1983, II, 191; Guido, Ancora sulla nozione di dirigente d'azienda, id., 1981, lì, 175; Panzarani, Il dirigente d'azienda nella odierna realtà sociale: profili giurisprudenziali e con
trattuali, in Cooperaz. di credito, 1981, 543; Lyon Caen, Quand cesse -t-on d'ètre salarié?, in Recueil Dalloz Sirey, 1977, Chr., 109, sulla
individuazione delle tappe della diversificazione « quadri »-« dirigenti » nel sistema giuridico francese.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
dell'ufficio predetto ed avrebbe esposto elementi istruttori con
troproducenti rispetto al punto di questione. Nel senso che i dati
enunciati a sostegno della decisione si risolverebbero in attività
pertinenti alla informazione ed alla consulenza, le quali non sono, né potrebbero essere, decisioni rilevanti nella gestione dell'attività bancaria.
Né, a tal fine, avrebbero implicazioni le attività parallele svolte dal Carnai ti, come la collaborazione a riviste scientifiche, la
partecipazione a congressi, e la rappresentanza dell'istituto in
taluni organi (di limitata importanza), poiché tutto ciò non dimostrerebbe che, nell'ambito dell'ufficio studi, « si elaborassero
direttamente decisioni imprenditoriali a livello dirigenziali ».
Sicché, in definitiva, conclude il ricorrente, la sentenza impu
gnata avrebbe disapplicato sostanzialmente la nozione legislativa di dirigente, attribuendo tale qualifica al Camaiti in base alla
sola considerazione che costui era preposto come direttore ad un
ufficio strettamente inserito nella direzione generale, e, oltre tutto, ad un ufficio non operativo. Mentre, da tali circostanze, avrebbe dovuto trarsi la conseguenza che le mansioni del Camaiti erano
quelle tipiche del direttore di un ufficio, operante con un certo
margine di iniziativa e discrezionalità (quali sono, appunto, le
mansioni dei funzionari), indipendentemente dalla qualifica che
avrebbero conseguito, o potuto conseguire, i direttori degli uffici
del Monte dei Paschi oppure i preposti agli uffici studi di altre banche.
2. - Osserva la corte che la doglianza del ricorrente, nei suoi vari aspetti, e le ulteriori argomentazioni svolte nella memoria
difensiva non hanno giuridico fondamento.
Invero, il complesso motivo di ricorso non si sviluppa coeren
temente sul piano logico-giuridico laddove, una volta premesso che
i compiti qualificanti dell'ufficio studi del Monte dei Paschi, e,
quindi, del suo direttore, ineriscono alla raccolta, allo studio ed
alla elaborazione di dati di natura economico-finanziaria, idonei a
delincare un quadro completo ed a formulare prospettive sull'an damento del mercato e delle attività bancarie, conclude in sostan
za, ponendo una rigorosa frattura tra la raccolta degli elementi
obiettivi e lo studio e la elaborazione di essi: come se, soltanto
agli organi destinatari dei dati raccolti, fosse attribuita la sanzio
ne di studiarne il significato e le prospettive, e quindi di
promuovere adeguate decisioni per la gestione imprenditoriale. Se cosi fosse; se, cioè, l'ufficio studi fosse solo un centro di
raccolta e di smistamento di indicazioni tecniche provenienti dall'esterno e dall'interno dell'impresa bancaria, si porrebbe, ra
gionevolmente, in discussione, rispetto alla qualifica spettante al
direttore dell'ufficio predetto, lo stesso status di funzionario, o
direttore di prima classe (grado IV), pacificamente attribuita al
Camaiti, trattandosi, in concreto, di mansioni che potrebbero sfiorare quelle del semplice impiegato di concetto. Ma, cosi, non
è: poiché il giudice del merito, con apprezzamento insindacabile
in sede di legittimità, ha delineato chiaramente l'apporto del
l'ufficio studi alla vita dell'azienda di credito, attribuendo al
direttore di esso il compito e la responsabilità di studiare i mezzi
per orientare la clientela; di riferire sui provvedimenti congiuntu rali, sui fatti monetari e finanziari a raggio internazionale e sulla
liquidità interna, nazionale ed internazionale degli istituti di
credito; di stipulare contratti con le associazioni industriali e le camere di commercio al fine di cogliere l'andamento economico dei vari settori dell'industria e del commercio. Il giudice del
merito ha, quindi, definito il contenuto concettuale dell'attività
svolta dal Camaiti, cui si aggiungeva alla responsabilità di organiz zare l'ufficio con il numero dei dipendenti da lui ritenuto idoneo
alle orescentd esigenze del programma produttivo, anche mediante
l'aggiornamento scientifico sui problemi in materia economico finanziaria.
Cosi' facendo, il tribunale ha collocato l'attività di studio e di
consulenza svolta dal Camaiti (peraltro non contestata dal ricor
rente) nell'iter delle scelte imprenditoriali; ha posto, cioè, con un
ragionamento immune da vizi logici, un antecedente qualificato nel processo formativo della volontà deliberante, rilevando che, in
quanto tale, esso non può essere, ragionevolmente, avulso dal
quadro della struttura concettuale volta all'indirizzo della politica dell'azienda di credito.
3. - Dalla base del contenuto dell'attività lavorativa si diparte, tuttavia, la censura giuridicamente più penetrante in quanto volta a
dimostrare che, la sentenza impugnata avrebbe omesso di applica re, in tema di avanzamento alla categoria di dirigente, la contrat
tazione collettiva e le norme vincolanti erga omnes. Si afferma, in
sostanza, che tutti i contratti collettivi corporativi e postcorporativi relativi al personale delle aziende di credito sancirebbero il
criterio di considerare « dirigenti » i dipendenti che, in relazione
al grado gerarchico (ivi compresi i funzionari di grado IV) e
alla natura ed importanza delle funzioni svolte, siano qualificati « come dirigenti » dalle rispettive aziende. E, deduce il ricorrente, siccome l'ordinamento del Monte dei Paschi di Siena attribuisce anche ai dirigenti {inizialmente) il grado quarto, finiscono per traviarsi in tale collocazione della scala gerarchica sia il funziona rio che abbia raggiunto l'ultimo livello (grado IV), sia il dipen dente che, a criterio della banca, venga inquadrato al grado più basso della categoria dirigenziale.
Osserva la corte che tale ragionamento non può essere condivi so in quanto tende a configurare come mera aspettativa all'avan zamento a dirigente, e, come tale, sfornita di tutela giuridica, una
posizione che, invece, va valutata nello schema dell'art. 2103 c.c., conformemente al procedimento logico^giuridico compiuto dalla sentenza impugnata. Infatti, secondo il criterio legislativo vigente, ribadito in più occasioni da questa Corte suprema, il prestatore di lavoro subordinato ha diritto all'inquadramento nella organiz zazione aziendale, e, quindi, al riconoscimento del proprio status, e di tutto ciò che ad esso si riconnette, in corrispondenza alle
concrete mansioni da lui svolte, indipendentemente dalla qualifica a lui attribuita dall'imprenditore oppure da una qualsiasi formale attribuzione della qualifica stessa.
La tesi del ricorrente contrasta, quindi, con il cennato princi pio, di carattere assoluto, poiché seguendone il filo logico, si
arriverebbe, al limite, a sostenere che, sebbene il personale svolga effettivamente le funzioni dirigenziali, esso ha diritto all'avanza
mento, da funzionario a dirigente, solo se abbia avuto il formale e discrezionale riconoscimento della qualifica di dirigente da parte
dell'imprenditore interessato. Questo criterio, della scelta discre
zionale, inviero, in tanto ha valore — come si verifica, d'altronde, in ogni criterio di qualifica convenzionale — in quanto il
dipendente esplichi le mansioni tipiche di una delle tre categorie o sotto categorie previste dall'art. 2095 c.c. e igli venga, discrezio
nalmente, attribuita una qualifica superiore alle mansioni in
concreto esplicate. Sotto tale riflesso, il diritto all'avanzamento da
funzionario a dirigente non è certamente garantito dalla disciplina del rapporto come effetto immediato e diretto del collocamento in
una determinata posizione della scala gerarchica dell'impresa. La
questione si pone, invece, in termini diversi ove il dipendente chieda, come nel caso di specie, di essere inquadrato in una
determinata categoria (quella dei dirigenti) per effetto dell'attività svolta in concreto in attuazione delle direttive dell'imprenditore,
prescindendo dalla scelta o dall'investitura formale da parte di
quest'ultimo.
Pertanto, non è censurabile la motivazione della sentenza
impugnata laddove essa, utilizzando i criteri ermeneutici di cui
agli art. 1362 s. c.c., nei contratti collettivi privi di efficacia erga omnes, ed applicando le disposizioni che tale efficacia hanno
(c.c.n.l. 1° settembre 1941; 11 febbraio 1958; 30 novembre 1970; 18 febbraio 1974, per il personale delle aziende di credito) stabilisce che, presso il Monte dei Paschi di Siena, l'appartenenza alla categoria dei « dirigenti » — la quale, a sua volta, si articola
in quattro distinte qualifiche — si desume o da una investitura
formale, che rispecchia il potere discrezionale attribuito alla
banca dalla norma collettiva e dalla volontà contrattuale; ovvero
riguarda uno status che il prestatore d'opera deve provare con
riferimento alla natura e modalità delle funzioni svolte, tali da
implicare un particolare tipo di collaborazione con il vertice dell'azienda di eredito.
4. - Su tal punto, il giudice del merito ha dato ampia e
corretta ragione dell'apprezzamento compiuto, rilevando ohe, nel
confronto tra le mansioni tipiche del funzionario, anche di grado elevato, e quelle iti concreto svolte dal Gamaiti, esisteva una
differenza che comportava, per le seconde, una valutazione di
maggiore importanza, sia per l'esigenza di una preparazione tecnico-professionale specialistica, e ad alto livello, sia per il
grado di iniziativa, di autonomia e di responsabilità che da essa
derivava, trattandosi di controllare e di coordinare un lavoro di
gruppo (ufficio studi) diretto a promuovere le scelte 'fondamentali
della banca in materia economico-finanziaria.
Ciò posto, il giudice del merito, non .potendo trarre la defini
zione giuridica di «dirigente», né dalla disposizione legislativa (art. 2095 c.c.), né dalla contrattazione collettiva, ha correttamen
te considerato i requisiti che ponevano la nozione tradizionale, la
particolare struttura dell'impresa ed il comportamento contrattuale
dell'impresa medesima. In particolare, quanto al rapporto che deve intercorrere tra imprenditore e dirigente, il tribunale ha
spiegato, sulla base delle risultanze probatorie, che tra il Camaiti ed il vertice della struttura organizzativa del Monte dei Paschi
(provveditore - comitato esecutivo - presidente) si articolava una collaborazione immediata che consentiva al direttore del
l'ufficio studi (né avrebbe potuto concepirsi una collaborazione
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2567 PARTE PRIMA 2568
di-versa) di influenzare, con le sue meditate ed approfondite
determinazioni, l'intera vita dell'azienda in tutti i suoi aspetti di
sviluppo produttivo, tanto nell'interno dell'impresa, dove opera una molteplicità di reparti, quanto nei rapporti con i terzi,
mediante la pubblicazione di apposite riviste scientifiche e la
partecipazione, in rappresentanza della banca, alla vita di relazio
ne dei vari istituti nazionali ed internazionali. Orbene, una volta
accertato che il Camaiti era l'unico direttore responsabile del
l'ufficio studi del Monte dei Paschi, il quale, secondo la struttura
istituzdonale, era chiamato a dare un apporto squisitamente quali
tativo all'orientamento della banca sul piano delle scelte pro
grammatiche ed operative, v'è quanto basta per ritenere, confor
memente all'indirizzo consolidato di questa Corte suprema (sent,
n. 3454/76, Foro it., Rep. 1976, voce Lavoro (rapporto), n. 211; n. 5242/77, id., Rep. 1977, voce cit., in. 330; il. 2996/77, ibid., n.
331), che la cennata partecipazione integri la figura del dirigente nell'ordinamento gerarchico del Monte dei Paschi. Né vale a
diminuire il significato dell'attività in parola il fatto che questa si
svolgesse nella misura e con le modalità stabilite dai vertici della
complessa organizzazione aziendale, essendo normale che la vo
lontà deliberante fosse espressa dagli organi preposti ad assumere
il rischio economico conseguente ad un dato indirizzo della pro duzione. Né, infine, impedisce l'insorgenza della figura del
dirigente preposto all'ufficio studi la presenza di altri dirigenti addetti ai vari settori della vita aziendale: anzi, tale situazione
corrisponde alla logica di una organizzazione complessa dove
opera una pluralità di dirigenti, le cui attività, tendendo al
raggiungimento dello stesso fine economico, confluiscono nella
sfera di un coordinamento generale, che, per quanto riguarda il
Monte dei Paschi, è affidata alla responsabilità del provveditore dell'istituto (il quale, in contrasto con l'accertamento compiuto dal giudice di appello, ha rivendicato il merito del funzionamento
dell'ufficio cui era preposto il Camaiti).
D'altro canto, l'apprezzamento del tribunale circa la natura
dirigenziale delle mansioni svolte dal Camaiti trova conferma nella circostanza (pacifica) che il personale preposto alla direzio
ne degli altri uffici componenti il vertice della banca, cosi come i
dipendenti che avevano preceduto il Camaiti nella direzione
dell'ufficio studi, fossero stati inquadrati nella categoria dei « diri
genti ». Perciò, trattandosi di mansioni identiche o equivalenti, il
giudice del merito ha correttamente rivolto l'indagine anche al com
portamento delle parti, quale criterio previsto per l'interpretazione dei contratti in genere (art. 1362 c.c.), per desumerne che le
decisioni fondamentali della politica imprenditoriale venivano
promosse ed influenzate dai direttori dei vari settori della vita
aziendale, i quali erano tutti inquadrati nella categoria dei
dirigenti, la quale, a maggior ragione, si confaceva alle mansioni del direttore dell'ufficio studi, che, per destinazione, influenzava la formulazione dei programmi analitici e sintetici della vita aziendale.
Pertanto, il fatto di aver colto nelle prestazioni concretamente
espletate dal Camaiti un tipo di collaborazione con l'istituto Monte dei Paschi che lo pone ad un livello superiore a quello del funzionario di grado IV della scala gerarchica, tanto da slittare nella categoria dei dirigenti, costituisce un apprezzamento di merito, congniamente motivato, che, in quanto tale, non è censu rabile in questa sede di legittimità.
Le argomentazioni esposte comportano il rigetto del ricorso.
(Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione lavoro; sentenza 19 dicem
bre 1983, n. 7495; Pres. Dondona, Est. Tropea, P.M. Valente
(conci, conf.); Piccolo e Franceschetti (Avv. Santulli) c. Soc.
fili Rosa (Aw. Arnaboldi, Menichino). Cassa Trib. Milano
22 febbraio 1979.
Lavoro (rapporto) — Lavoratori infraventunenni — Indennità di
contingenza — Diritto alla corresponsione in misura intera —
Sussistenza — Clausola difforme del contratto collettivo per i
metalmeccanici — Illegittimità (Cost., art. 3, 36, 37).
È nullo l'art. 4, lett. d), della disciplina generale sez. Ili del
c.c.n.l. 19 aprile 1973 per i dipendenti delle aziende metalmec
caniche private, nella parte in cui dispone la corresponsione dell'indennità di contingenza in misura ridotta per i lavoratori
infraventunenni, a nulla rilevando che i medesimi godano di un
superminimo individuale tale da coprire la differenza fra la
minor misura di indennità di contingenza loro attribuita e
quella percepita dai lavoratori di oltre ventun anni. (1)
Svolgimento del processo. — Con sentenza 9 maggio 1978 il
Pretore di Rho accoglieva la domanda che Roberto Piccolo ed
Emilio Franceschetti avevano proposto contro la s.rJ. fili Rosa
<loro datrice di lavoro per ottenere l'accertamento del diritto alla
corresponsione dell'indennità di contingenza in misura non ridotta
bensì eguale a quella stabilita e corrisposta agli altri dipendenti
di pari grado di età superiore ai ventuno anni.
Contro tale decisione la soccombente proponeva appello in
accoglimento del quale il Tribunale di Milano nel ricostituito
contraddittorio delle parti con sentenza 23 gennaio-22 febbraio
1979 rigettava le domande proposte dai lavoratori.
11 tribunale milanese, premesso che gli attuali ricorrenti gode vano di un superminimo di importo tale da coprire la differenza
di contingenza percepita in meno per effetto della minore età,
osservava ohe sotto il profilo della conformità alla Costituzione
del trattamento ad essi fatto la questione doveva essere esaminata
partendo dal concetto di retribuzione di cui all'art. 36 Cost, e
dall'individuazione del collegamento di detto articolo con la
successiva disposizione dell'art. 37 nel senso che quest'ultima
(1) Facendo seguito e confermando l'indirizzo inaugurato da Cass.
5 aprile 1982, n. 2594, Foro it., Rep. 1982, voce Lavoro (rapporto), n. 1256, la Cassazione respinge l'ultima insidia alla piena rilevanza del
principio di parità di trattamento minori/adulti, riferita alla correspon sione dell'indennità di contingenza. Conformemente alla decisione che
si riporta v. anche la successiva Cass. 3 gennaio 1984, n. 2, id.,
Mass., 3. Se si vuole, comunque, ed anche tale aspetto della problematica è
colto, sia pure di sfuggita, nella decisione che si riporta, la conclusione
attinta si pone non solo quale conseguenza del principio di non
discriminazione in ragione dell'età, da tempo acquisito in giurispruden za e sotto i più vari profili, ma anche e soprattutto quale logico effetto della natura di necessaria integrazione del salario minimo
propria dell'indennità di contingenza. Cosicché — se ben si guarda —
la discriminazione minori-adulti relativa all'indennità di contingenza vulnera, prima che l'art. 37 Cost., la stessa norma che garantisce al
lavoratore una retribuzione « sufficiente » ai propri bisogni di vita (art.
36), se solo si pensa che i meccanismi di indicizzazione del salario
altro non sono che meccanismi storicamente vigenti — in un sistema
che affida alle parti sociali contrapposte la determinazione della
retribuzione considerata equa in un determinato momento — di
fissazione del salario minimo vitale. Della correttezza dell'approccio interpretativo appena abbozzato fa
fede un panorama giurisprudenziale che omogeneamente scandisce la
vigenza di tali principi. Cfr., infatti, per la generale affermazione della impossibilità di
costruire sulla differenza di età discriminazioni di trattamento: Cass. 29 marzo 1983, n. 2269, id., Rep. 1983, voce cit., n. 1547; per l'affermazione più specifica dell'illegittimità delle discriminazioni circa la decorrenza dell'anzianità agli effetti degli aumenti periodici, v. Cass. 26 maggio 1983, n. 3642, ibid., n. 1602; 4 febbraio 1983, n. 929, ibid., n. 1605; 16 giugno 1982, n. 3663, id., 1983, I, 1047, con nota di
richiami, cui adde Cass. 5 gennaio 1983, n. 60, id., Rep. 1983, voce
cit., n. 1607; 30 novembre 1982, n. 6509, id., Rep. 1982, voce cit., n.
1221; 4 ottobre 1982, n. 5100, ibid., n. 1222; 18 agosto 1982, n. 4650, ibid., n. 1223; 16 giugno 1982, n. 3663, ibid., n. 1224; 13 febbraio
1982, n. 916, ibid., n. 1227.
Colgono specificamente la connessione fra disparità di trattamento
relative all'indennità di contingenza (fra minori ed adulti) e lesione del
principio di retribuzione sufficiente; Trib. Milano 10 aprile 1981, id.,
Rep. 1981, voce cit., n. 1212; Trib. Milano 27 ottobre 1979, id., Rep.
1980, voce cit., n. 984; Pret. Gardone Val Trompia 4 dicembre 1980,
id., Rep. 1981, voce cit., n. 1129. Più in generale per l'affermazione della natura retributiva dei
meccanismi di indicizzazione del salario e di adeguamento al costo
della vita v. l'ampia motivazione di Cass., sez. un., 16 febbraio 1984, n. 1148, id., 1984, I, 383, con nota di richiami e osservazioni di C. M.
Barone. Nel senso che per « minori » ai sensi dell'art. 37 Cost, devono
intendersi anche gli infraventunenni, a nulla rilevando l'attribuzione di una specifica capacità d'agire agli ultradiciottenni, in materia di lavoro, a mente dell'art. 3 c.c. (l'affermazione è incidentalmente svolta anche
dalla sentenza che si riporta), v., fra le più recenti, Cass. 26 maggio 1983, n. 3642, cit. e 16 giugno 1982, n. 3663, cit. Contra, Pret. Genova 23 giugno 1978, id., Rep. 1979, voce cit., n. 902.
Per la illegittimità delle clausole contrattuali collettive discriminanti i minori in relazione all'indennità di contingenza, v. già nella giuris prudenza di merito; Pret. Lodi 18 febbraio 1978, id., Rep. 1979, voce
cit., n. 907; Pret. Bologna 12 novembre 1979, id., Rep. 1980, voce
cit., n. 988; Pret. Milano 19 aprile 1978, id., 1979, I, 1069. In dottrina v. fra i più recenti contributi: M. V. Ballestrero,
Tutela e parità di fanciulli, adolescenti e giovani nel rapporto di
lavoro, in Dir. famiglia, 1982, 11; Antignani, Riflessioni su retribu
zione, parità di trattamento, automatismi e art. 56, 1° comma,
Cost., in Riv. giur. lav., 1981, I, 277.
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