+ All Categories
Home > Documents > Sezione lavoro; sentenza 21 gennaio 1984, n. 530; Pres. Afeltra, Est. Della Terza, P. M. Gazzara...

Sezione lavoro; sentenza 21 gennaio 1984, n. 530; Pres. Afeltra, Est. Della Terza, P. M. Gazzara...

Date post: 31-Jan-2017
Category:
Upload: vuongtu
View: 215 times
Download: 2 times
Share this document with a friend
4
Sezione lavoro; sentenza 21 gennaio 1984, n. 530; Pres. Afeltra, Est. Della Terza, P. M. Gazzara (concl. conf.); Monte dei Paschi di Siena (Avv. Scognamiglio) c. Camaiti (Avv. Comporti). Conferma Trib. Siena 23 maggio 1979 Source: Il Foro Italiano, Vol. 107, No. 10 (OTTOBRE 1984), pp. 2563/2564-2567/2568 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23178091 . Accessed: 25/06/2014 01:43 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.229.248.152 on Wed, 25 Jun 2014 01:43:47 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
Transcript

Sezione lavoro; sentenza 21 gennaio 1984, n. 530; Pres. Afeltra, Est. Della Terza, P. M. Gazzara(concl. conf.); Monte dei Paschi di Siena (Avv. Scognamiglio) c. Camaiti (Avv. Comporti).Conferma Trib. Siena 23 maggio 1979Source: Il Foro Italiano, Vol. 107, No. 10 (OTTOBRE 1984), pp. 2563/2564-2567/2568Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23178091 .

Accessed: 25/06/2014 01:43

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].

.

Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.

http://www.jstor.org

This content downloaded from 91.229.248.152 on Wed, 25 Jun 2014 01:43:47 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

2563 PARTE PRIMA 2564

diritto comune. Essa concreta piuttosto un'offerta al destinatario

di realizzare l'eventuale interesse a consolidare nella propria

persona impresa agricola e proprietà del fondo mediante il tipico

congegno negoziale agrario, inteso alla promozione della proprietà coltivatrice, che — se da un lato postula il dovere del proprieta rio di effettuare quell'offerta — condiziona all'esistenza di quel ben preciso interesse l'attribuzione al coltivatore del potere di

accettarla. E non è fuor di luogo rilevare che è proprio questo interesse del lavoratore ad impiegare nel fondo l'attività lavorati

va propria e della famiglia il dato che giustifica — sul piano della legittimità costituzionale — il sacrificio della libertà contrat

tuale e di iniziativa economica, posto che lo fa rientrare nei

confini dei limiti che possono essere imposti ai poteri del

proprietario allo scopo di assicurare — anche con la tutela del lavoro del coltivatore — la realizzazione della funzione sodale della proprietà nonché (con specifico riferimento alla proprietà terriera) di conseguire il più razionale sfruttamento del suolo. Ed è infatti l'individuazione di questo preciso limite causale, nel

quale dalla legge si è inteso circoscrivere la sfera di applicazione della prelazione agraria, che consente di riconoscere che il

legislatore — nel soddisfare ideali eli giustizia sociale — ha anche

rispettato la Costituzione. In definitiva — senza disattendere i validi rilievi contenuti nelle citate sentenze in ordine al difetto di

legittimazione, intesa come competenza a regolare il complesso di interessi contemplati nell'atto, come rapporto tra soggetto ed

oggetto del negozio il cui difetto viene « ad incidere su di esso viziandone la causa » — può affermarsi che l'inesistenza dello

specifico interesse privilegiato dal legislatore importa addirittura l'inesistenza dell'ipotizzato contratto giacché implica inesistenza dell'atto di accettazione tipico, in ogni caso difformità tra propo sta ed accettazione, dunque mancata realizzazione del consenso.

A convergenti conclusioni si perviene anche se si configura unitariamente la prelazione agraria come diritto potestativo di cui

è investito il coltivatore di un fondo che dal proprietario sia stato già venduto ed anche soltanto promesso ad altri.

La configurazione, invero, può trovare base nel rilievo che il 4° comma dell'art. 8 1. 26 maggio 1965 n. 590 è stato con l'art. 8 1. 14 agosto 1971 n. 817 modificato nel senso che oggetto della denuntiatio non è più la mera determinazione del proprietario di

alienare l'immobile bensì la già avvenuta stipulazione con un terzo di un contratto preliminare avente ad oggetto l'alienazione del fondo; onde può prospettarsi che — come per il retratto —

la dichiarazione negoziale effettuata dal coltivatore in conseguen za della denuntiatio trova nel contratto già stipulato il suo

presupposto e deriva la vis traslativa non già dal consenso —

realizzatosi inter alios — ma direttamente dalla legge, che attri

buisce al coltivatore il potere di renderlo inoperante fra gli

stipulanti — sostituendosi alla parte acquirente — e di realizzare

per tal via l'interesse a consolidare l'attività lavorativa con i

poteri dominicali.

Se si accoglie tale configurazione dell'istituto non può non

rilevarsi che la causa — fondamento e limite di ogni potere — lo

è maggior ragione del cennato diritto potestativo, il cui contenuto è appunto il potere di riunire nella propria persona la proprietà del fondo e l'impresa agricola di coltivazione diretta. Essa (come

per qualsiasi altro potere) è momento inseparabile dalla nozione

di tale potestà, attenendo alla sua funzione e condizionando

quindi la congruenza del suo esercizio col modello legale. Onde è

la stessa giuridica esistenza che dev'essere negata in ordine ad un

atto che soltanto in apparenza costituisca esercizio di quel potere ma che in realtà ne diverga sotto il profilo funzionale {per l'inattuazione del peculiare interesse alla cui realizzazione è

finalizzata la protezione prevista dall'ordinamento) ed integri inve

ce un negozio ontologicamente diverso (immeritevole della specifica

tutela) posto che stravolge ad operazione mercantile uno strumen

to preordinato alla difesa del lavoro.

La sentenza impugnata, che ha ritenuto esistente e valido l'atto

di esercizio della prelazione senza indagare se — nel momento in

cui lo ha compiuto — il mezzadro fosse portatore dell'interesse

tutelato dalla legge va pertanto annullata con rinvio ad altro

giudice, che si designa nella Corte d'appello di Perugia, anche

per la pronunzia sulle spese del presente giudizio di cassazione.

Assorbita è la censura, sostanzialmente subordinata, riguardante la mancata declaratoria — quanto meno — della nullità del

contratto col quale il Della Valle ha rivenduto il fondo prima che fosse trascorso il decennio dell'acquisto. E resta, ovviamente,

salva ogni questione diversa da quella decisa dalla Corte d'appel lo di Ancona.

CORTE DI CASSAZIONE; Sezione lavoro; sentenza 21 gen naio 1984, n. 530; Pres. Afeltra, Est. Della Terza, P. M.

Gazzara (conci, conf.); Monte dei Paschi di Siena (Avv. Sco

gnamiglio) c. Camaiti (Avv. Comporti). Conferma Trib. Siena

23 maggio 1979.

Lavoro (rapporto) — Dirigente di istituto di credito — Nozione — Capo ufficio studi — Promozione — Spettanza — Fattispe cie (Cod. civ., art. 2095, 2103).

L'appartenenza alla categoria dei dirigenti del preposto all'ufficio studi di istituto di credito può derivare tanto dalla investitura

formale operata dalla banca in virtù del potere discrezionale ad

essa attribuito dalla contrattazione collettiva, quanto dalla na

tura e dalle modalità di espletamento delle funzioni attribuite

al dipendente, allorché esse implicano un particolare tipo di

collaborazione con il vertice dell'azienda. (1)

Motivi della decisione. — 1. - Con l'unico motivo di gravame, il Monte dei Paschi di Siena, istituto di credito di diritto pubblico, denunciando violazione e falsa applicazione degli art. 2095, 2103, 1362 ss. c.c. e dell'art. 1 e allegati del d.p.r. 2 gennaio 1962 n.

668, nonché carenza e contraddittorietà di motivazione su un

punto essenziale della controversia, con riferimento all'art. 360, on. 3 e 5, c.p.c., si duole il giudice di appello, decidendo la

questione se competesse al dipendente che espletava le mansioni di

« capo d'ufficio studi » la qualifica di « dirigente », anziché quella

attribuitagli, di « funzionario - direttore di 1" classe », abbia

violato le norme vigenti e, comunque, abbia emesso una pronun cia non sorretta da congrua motivazione.

In particolare, il tribunale avrebbe sottovalutato la rilevanza

incisiva degli elementi indicati dalla contrattazione collettiva, secondo i quali il « direttore di 1" classe » (grado IV) è, di

regola, funzionario, a meno che non gli sia stata discrezionalmen

te attribuita da qualifica di « dirigente », indipendentemente dalle

mansioni espletate (cioè quelle di funzionario), tanto da rendere

il grado IV un grado della carriera comune ai funzionari ed ai

dirigenti. La sentenza impugnata, inoltre, di fronte al problema di

accertare la partecipazione diretta dell'ufficio studi e del suo

direttore alla formazione degli indirizzi di base della politica

imprenditoriale, avrebbe inutilmente divagato sul significato del

l'ingerenza dei provveditore del Monte dei Paschi nella gestione

(1) Nel senso che, ove esistano precise disposizioni contrattuali, non

sia consentito al giudice — ai fini dell'attribuzione della qualifica di

dirigente — ricorrere a criteri diversi da quelli stabiliti nel contratto

collettivo v., da ultimo, Cass. 8 agosto 1983, n. 5295, Foro it., Rep.

1983, voce Lavoro (rapporto), n. 941, nonché Cass. 14 maggio 1983, n.

3353, ibid., voce Lavoro (contratto), n. 50; 12 gennaio 1983,

n. 217, ibid., n. 105, e in Riv. it. dir. lav., 1984, ill, 178, con nota di

(P. Fabris; 29 aprile 1981, n. 2637, Foro it., 1981, I, 1558.

Tali decisioni puntualizzano peraltro che ciò avviene solo allorquan do l'appartenenza alla categoria dei dirigenti sia espressamente e

puntualmente regolata dalla norma contrattuale attraverso la indicazio ne dei gradi cui viene attribuita detta qualifica.

L'inquadramento del dirigente attraverso il grado anziché attraverso la qualifica è caratteristica comune di diversi contratti collettivi (cfr., emblematicamente, art. 77 ed ali. 7 c.c.n.l. 7 luglio 1983 per il

personale direttivo delle aziende di credito e finanziarie), attesa la

peculiarità della posizione professionale di tale soggetto, la quale non

consente, nella gran parte dei casi, rigidi ancoraggi a determinate mansioni.

'Per converso, la mancanza di una nozione legale della categoria dei

dirigenti fa si che, in assenza di una espressa e puntuale definizione

contrattuale, la individuazione dei requisiti di appartenenza alla cate

goria in parola vada rinvenuta — come nella decisione in epigrafe —

nella preposizione del prestatore di lavoro alla direzione dell'intera

organizzazione aziendale o ad una branca o settore autonomo della

stessa, quando esso sia in concreto investito di attribuzioni che, per la loro ampiezza, gli consentano — sia pure nell'osservanza delle direttive

programmatiche del datore di lavoro — di imprimere un indirizzo ed un orientamento al governo complessivo dell'azienda.

Conformemente Cass. 8 giugno 1983, n. 3922, id., Rep. 1983, voce Lavoro (rapporto), n. 1148, nonché Cass. 5 giugno 1981, n. 3651, id., Rep. 1982, voce cit., n. 477.

Nel senso della nullità delle clausole dei contratti collettivi che subordinano al mero riconoscimento aziendale la qualifica di dirigente, Cass. 14 luglio 1976, n. 2738, id., Rep. 1976, voce cit., n. 212.

In dottrina, di recente, Vallebona, Sui criteri per la identificazione del dirigente, in Dir. lav., 1983, II, 191; Guido, Ancora sulla nozione di dirigente d'azienda, id., 1981, lì, 175; Panzarani, Il dirigente d'azienda nella odierna realtà sociale: profili giurisprudenziali e con

trattuali, in Cooperaz. di credito, 1981, 543; Lyon Caen, Quand cesse -t-on d'ètre salarié?, in Recueil Dalloz Sirey, 1977, Chr., 109, sulla

individuazione delle tappe della diversificazione « quadri »-« dirigenti » nel sistema giuridico francese.

This content downloaded from 91.229.248.152 on Wed, 25 Jun 2014 01:43:47 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

dell'ufficio predetto ed avrebbe esposto elementi istruttori con

troproducenti rispetto al punto di questione. Nel senso che i dati

enunciati a sostegno della decisione si risolverebbero in attività

pertinenti alla informazione ed alla consulenza, le quali non sono, né potrebbero essere, decisioni rilevanti nella gestione dell'attività bancaria.

Né, a tal fine, avrebbero implicazioni le attività parallele svolte dal Carnai ti, come la collaborazione a riviste scientifiche, la

partecipazione a congressi, e la rappresentanza dell'istituto in

taluni organi (di limitata importanza), poiché tutto ciò non dimostrerebbe che, nell'ambito dell'ufficio studi, « si elaborassero

direttamente decisioni imprenditoriali a livello dirigenziali ».

Sicché, in definitiva, conclude il ricorrente, la sentenza impu

gnata avrebbe disapplicato sostanzialmente la nozione legislativa di dirigente, attribuendo tale qualifica al Camaiti in base alla

sola considerazione che costui era preposto come direttore ad un

ufficio strettamente inserito nella direzione generale, e, oltre tutto, ad un ufficio non operativo. Mentre, da tali circostanze, avrebbe dovuto trarsi la conseguenza che le mansioni del Camaiti erano

quelle tipiche del direttore di un ufficio, operante con un certo

margine di iniziativa e discrezionalità (quali sono, appunto, le

mansioni dei funzionari), indipendentemente dalla qualifica che

avrebbero conseguito, o potuto conseguire, i direttori degli uffici

del Monte dei Paschi oppure i preposti agli uffici studi di altre banche.

2. - Osserva la corte che la doglianza del ricorrente, nei suoi vari aspetti, e le ulteriori argomentazioni svolte nella memoria

difensiva non hanno giuridico fondamento.

Invero, il complesso motivo di ricorso non si sviluppa coeren

temente sul piano logico-giuridico laddove, una volta premesso che

i compiti qualificanti dell'ufficio studi del Monte dei Paschi, e,

quindi, del suo direttore, ineriscono alla raccolta, allo studio ed

alla elaborazione di dati di natura economico-finanziaria, idonei a

delincare un quadro completo ed a formulare prospettive sull'an damento del mercato e delle attività bancarie, conclude in sostan

za, ponendo una rigorosa frattura tra la raccolta degli elementi

obiettivi e lo studio e la elaborazione di essi: come se, soltanto

agli organi destinatari dei dati raccolti, fosse attribuita la sanzio

ne di studiarne il significato e le prospettive, e quindi di

promuovere adeguate decisioni per la gestione imprenditoriale. Se cosi fosse; se, cioè, l'ufficio studi fosse solo un centro di

raccolta e di smistamento di indicazioni tecniche provenienti dall'esterno e dall'interno dell'impresa bancaria, si porrebbe, ra

gionevolmente, in discussione, rispetto alla qualifica spettante al

direttore dell'ufficio predetto, lo stesso status di funzionario, o

direttore di prima classe (grado IV), pacificamente attribuita al

Camaiti, trattandosi, in concreto, di mansioni che potrebbero sfiorare quelle del semplice impiegato di concetto. Ma, cosi, non

è: poiché il giudice del merito, con apprezzamento insindacabile

in sede di legittimità, ha delineato chiaramente l'apporto del

l'ufficio studi alla vita dell'azienda di credito, attribuendo al

direttore di esso il compito e la responsabilità di studiare i mezzi

per orientare la clientela; di riferire sui provvedimenti congiuntu rali, sui fatti monetari e finanziari a raggio internazionale e sulla

liquidità interna, nazionale ed internazionale degli istituti di

credito; di stipulare contratti con le associazioni industriali e le camere di commercio al fine di cogliere l'andamento economico dei vari settori dell'industria e del commercio. Il giudice del

merito ha, quindi, definito il contenuto concettuale dell'attività

svolta dal Camaiti, cui si aggiungeva alla responsabilità di organiz zare l'ufficio con il numero dei dipendenti da lui ritenuto idoneo

alle orescentd esigenze del programma produttivo, anche mediante

l'aggiornamento scientifico sui problemi in materia economico finanziaria.

Cosi' facendo, il tribunale ha collocato l'attività di studio e di

consulenza svolta dal Camaiti (peraltro non contestata dal ricor

rente) nell'iter delle scelte imprenditoriali; ha posto, cioè, con un

ragionamento immune da vizi logici, un antecedente qualificato nel processo formativo della volontà deliberante, rilevando che, in

quanto tale, esso non può essere, ragionevolmente, avulso dal

quadro della struttura concettuale volta all'indirizzo della politica dell'azienda di credito.

3. - Dalla base del contenuto dell'attività lavorativa si diparte, tuttavia, la censura giuridicamente più penetrante in quanto volta a

dimostrare che, la sentenza impugnata avrebbe omesso di applica re, in tema di avanzamento alla categoria di dirigente, la contrat

tazione collettiva e le norme vincolanti erga omnes. Si afferma, in

sostanza, che tutti i contratti collettivi corporativi e postcorporativi relativi al personale delle aziende di credito sancirebbero il

criterio di considerare « dirigenti » i dipendenti che, in relazione

al grado gerarchico (ivi compresi i funzionari di grado IV) e

alla natura ed importanza delle funzioni svolte, siano qualificati « come dirigenti » dalle rispettive aziende. E, deduce il ricorrente, siccome l'ordinamento del Monte dei Paschi di Siena attribuisce anche ai dirigenti {inizialmente) il grado quarto, finiscono per traviarsi in tale collocazione della scala gerarchica sia il funziona rio che abbia raggiunto l'ultimo livello (grado IV), sia il dipen dente che, a criterio della banca, venga inquadrato al grado più basso della categoria dirigenziale.

Osserva la corte che tale ragionamento non può essere condivi so in quanto tende a configurare come mera aspettativa all'avan zamento a dirigente, e, come tale, sfornita di tutela giuridica, una

posizione che, invece, va valutata nello schema dell'art. 2103 c.c., conformemente al procedimento logico^giuridico compiuto dalla sentenza impugnata. Infatti, secondo il criterio legislativo vigente, ribadito in più occasioni da questa Corte suprema, il prestatore di lavoro subordinato ha diritto all'inquadramento nella organiz zazione aziendale, e, quindi, al riconoscimento del proprio status, e di tutto ciò che ad esso si riconnette, in corrispondenza alle

concrete mansioni da lui svolte, indipendentemente dalla qualifica a lui attribuita dall'imprenditore oppure da una qualsiasi formale attribuzione della qualifica stessa.

La tesi del ricorrente contrasta, quindi, con il cennato princi pio, di carattere assoluto, poiché seguendone il filo logico, si

arriverebbe, al limite, a sostenere che, sebbene il personale svolga effettivamente le funzioni dirigenziali, esso ha diritto all'avanza

mento, da funzionario a dirigente, solo se abbia avuto il formale e discrezionale riconoscimento della qualifica di dirigente da parte

dell'imprenditore interessato. Questo criterio, della scelta discre

zionale, inviero, in tanto ha valore — come si verifica, d'altronde, in ogni criterio di qualifica convenzionale — in quanto il

dipendente esplichi le mansioni tipiche di una delle tre categorie o sotto categorie previste dall'art. 2095 c.c. e igli venga, discrezio

nalmente, attribuita una qualifica superiore alle mansioni in

concreto esplicate. Sotto tale riflesso, il diritto all'avanzamento da

funzionario a dirigente non è certamente garantito dalla disciplina del rapporto come effetto immediato e diretto del collocamento in

una determinata posizione della scala gerarchica dell'impresa. La

questione si pone, invece, in termini diversi ove il dipendente chieda, come nel caso di specie, di essere inquadrato in una

determinata categoria (quella dei dirigenti) per effetto dell'attività svolta in concreto in attuazione delle direttive dell'imprenditore,

prescindendo dalla scelta o dall'investitura formale da parte di

quest'ultimo.

Pertanto, non è censurabile la motivazione della sentenza

impugnata laddove essa, utilizzando i criteri ermeneutici di cui

agli art. 1362 s. c.c., nei contratti collettivi privi di efficacia erga omnes, ed applicando le disposizioni che tale efficacia hanno

(c.c.n.l. 1° settembre 1941; 11 febbraio 1958; 30 novembre 1970; 18 febbraio 1974, per il personale delle aziende di credito) stabilisce che, presso il Monte dei Paschi di Siena, l'appartenenza alla categoria dei « dirigenti » — la quale, a sua volta, si articola

in quattro distinte qualifiche — si desume o da una investitura

formale, che rispecchia il potere discrezionale attribuito alla

banca dalla norma collettiva e dalla volontà contrattuale; ovvero

riguarda uno status che il prestatore d'opera deve provare con

riferimento alla natura e modalità delle funzioni svolte, tali da

implicare un particolare tipo di collaborazione con il vertice dell'azienda di eredito.

4. - Su tal punto, il giudice del merito ha dato ampia e

corretta ragione dell'apprezzamento compiuto, rilevando ohe, nel

confronto tra le mansioni tipiche del funzionario, anche di grado elevato, e quelle iti concreto svolte dal Gamaiti, esisteva una

differenza che comportava, per le seconde, una valutazione di

maggiore importanza, sia per l'esigenza di una preparazione tecnico-professionale specialistica, e ad alto livello, sia per il

grado di iniziativa, di autonomia e di responsabilità che da essa

derivava, trattandosi di controllare e di coordinare un lavoro di

gruppo (ufficio studi) diretto a promuovere le scelte 'fondamentali

della banca in materia economico-finanziaria.

Ciò posto, il giudice del merito, non .potendo trarre la defini

zione giuridica di «dirigente», né dalla disposizione legislativa (art. 2095 c.c.), né dalla contrattazione collettiva, ha correttamen

te considerato i requisiti che ponevano la nozione tradizionale, la

particolare struttura dell'impresa ed il comportamento contrattuale

dell'impresa medesima. In particolare, quanto al rapporto che deve intercorrere tra imprenditore e dirigente, il tribunale ha

spiegato, sulla base delle risultanze probatorie, che tra il Camaiti ed il vertice della struttura organizzativa del Monte dei Paschi

(provveditore - comitato esecutivo - presidente) si articolava una collaborazione immediata che consentiva al direttore del

l'ufficio studi (né avrebbe potuto concepirsi una collaborazione

This content downloaded from 91.229.248.152 on Wed, 25 Jun 2014 01:43:47 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

2567 PARTE PRIMA 2568

di-versa) di influenzare, con le sue meditate ed approfondite

determinazioni, l'intera vita dell'azienda in tutti i suoi aspetti di

sviluppo produttivo, tanto nell'interno dell'impresa, dove opera una molteplicità di reparti, quanto nei rapporti con i terzi,

mediante la pubblicazione di apposite riviste scientifiche e la

partecipazione, in rappresentanza della banca, alla vita di relazio

ne dei vari istituti nazionali ed internazionali. Orbene, una volta

accertato che il Camaiti era l'unico direttore responsabile del

l'ufficio studi del Monte dei Paschi, il quale, secondo la struttura

istituzdonale, era chiamato a dare un apporto squisitamente quali

tativo all'orientamento della banca sul piano delle scelte pro

grammatiche ed operative, v'è quanto basta per ritenere, confor

memente all'indirizzo consolidato di questa Corte suprema (sent,

n. 3454/76, Foro it., Rep. 1976, voce Lavoro (rapporto), n. 211; n. 5242/77, id., Rep. 1977, voce cit., in. 330; il. 2996/77, ibid., n.

331), che la cennata partecipazione integri la figura del dirigente nell'ordinamento gerarchico del Monte dei Paschi. Né vale a

diminuire il significato dell'attività in parola il fatto che questa si

svolgesse nella misura e con le modalità stabilite dai vertici della

complessa organizzazione aziendale, essendo normale che la vo

lontà deliberante fosse espressa dagli organi preposti ad assumere

il rischio economico conseguente ad un dato indirizzo della pro duzione. Né, infine, impedisce l'insorgenza della figura del

dirigente preposto all'ufficio studi la presenza di altri dirigenti addetti ai vari settori della vita aziendale: anzi, tale situazione

corrisponde alla logica di una organizzazione complessa dove

opera una pluralità di dirigenti, le cui attività, tendendo al

raggiungimento dello stesso fine economico, confluiscono nella

sfera di un coordinamento generale, che, per quanto riguarda il

Monte dei Paschi, è affidata alla responsabilità del provveditore dell'istituto (il quale, in contrasto con l'accertamento compiuto dal giudice di appello, ha rivendicato il merito del funzionamento

dell'ufficio cui era preposto il Camaiti).

D'altro canto, l'apprezzamento del tribunale circa la natura

dirigenziale delle mansioni svolte dal Camaiti trova conferma nella circostanza (pacifica) che il personale preposto alla direzio

ne degli altri uffici componenti il vertice della banca, cosi come i

dipendenti che avevano preceduto il Camaiti nella direzione

dell'ufficio studi, fossero stati inquadrati nella categoria dei « diri

genti ». Perciò, trattandosi di mansioni identiche o equivalenti, il

giudice del merito ha correttamente rivolto l'indagine anche al com

portamento delle parti, quale criterio previsto per l'interpretazione dei contratti in genere (art. 1362 c.c.), per desumerne che le

decisioni fondamentali della politica imprenditoriale venivano

promosse ed influenzate dai direttori dei vari settori della vita

aziendale, i quali erano tutti inquadrati nella categoria dei

dirigenti, la quale, a maggior ragione, si confaceva alle mansioni del direttore dell'ufficio studi, che, per destinazione, influenzava la formulazione dei programmi analitici e sintetici della vita aziendale.

Pertanto, il fatto di aver colto nelle prestazioni concretamente

espletate dal Camaiti un tipo di collaborazione con l'istituto Monte dei Paschi che lo pone ad un livello superiore a quello del funzionario di grado IV della scala gerarchica, tanto da slittare nella categoria dei dirigenti, costituisce un apprezzamento di merito, congniamente motivato, che, in quanto tale, non è censu rabile in questa sede di legittimità.

Le argomentazioni esposte comportano il rigetto del ricorso.

(Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; Sezione lavoro; sentenza 19 dicem

bre 1983, n. 7495; Pres. Dondona, Est. Tropea, P.M. Valente

(conci, conf.); Piccolo e Franceschetti (Avv. Santulli) c. Soc.

fili Rosa (Aw. Arnaboldi, Menichino). Cassa Trib. Milano

22 febbraio 1979.

Lavoro (rapporto) — Lavoratori infraventunenni — Indennità di

contingenza — Diritto alla corresponsione in misura intera —

Sussistenza — Clausola difforme del contratto collettivo per i

metalmeccanici — Illegittimità (Cost., art. 3, 36, 37).

È nullo l'art. 4, lett. d), della disciplina generale sez. Ili del

c.c.n.l. 19 aprile 1973 per i dipendenti delle aziende metalmec

caniche private, nella parte in cui dispone la corresponsione dell'indennità di contingenza in misura ridotta per i lavoratori

infraventunenni, a nulla rilevando che i medesimi godano di un

superminimo individuale tale da coprire la differenza fra la

minor misura di indennità di contingenza loro attribuita e

quella percepita dai lavoratori di oltre ventun anni. (1)

Svolgimento del processo. — Con sentenza 9 maggio 1978 il

Pretore di Rho accoglieva la domanda che Roberto Piccolo ed

Emilio Franceschetti avevano proposto contro la s.rJ. fili Rosa

<loro datrice di lavoro per ottenere l'accertamento del diritto alla

corresponsione dell'indennità di contingenza in misura non ridotta

bensì eguale a quella stabilita e corrisposta agli altri dipendenti

di pari grado di età superiore ai ventuno anni.

Contro tale decisione la soccombente proponeva appello in

accoglimento del quale il Tribunale di Milano nel ricostituito

contraddittorio delle parti con sentenza 23 gennaio-22 febbraio

1979 rigettava le domande proposte dai lavoratori.

11 tribunale milanese, premesso che gli attuali ricorrenti gode vano di un superminimo di importo tale da coprire la differenza

di contingenza percepita in meno per effetto della minore età,

osservava ohe sotto il profilo della conformità alla Costituzione

del trattamento ad essi fatto la questione doveva essere esaminata

partendo dal concetto di retribuzione di cui all'art. 36 Cost, e

dall'individuazione del collegamento di detto articolo con la

successiva disposizione dell'art. 37 nel senso che quest'ultima

(1) Facendo seguito e confermando l'indirizzo inaugurato da Cass.

5 aprile 1982, n. 2594, Foro it., Rep. 1982, voce Lavoro (rapporto), n. 1256, la Cassazione respinge l'ultima insidia alla piena rilevanza del

principio di parità di trattamento minori/adulti, riferita alla correspon sione dell'indennità di contingenza. Conformemente alla decisione che

si riporta v. anche la successiva Cass. 3 gennaio 1984, n. 2, id.,

Mass., 3. Se si vuole, comunque, ed anche tale aspetto della problematica è

colto, sia pure di sfuggita, nella decisione che si riporta, la conclusione

attinta si pone non solo quale conseguenza del principio di non

discriminazione in ragione dell'età, da tempo acquisito in giurispruden za e sotto i più vari profili, ma anche e soprattutto quale logico effetto della natura di necessaria integrazione del salario minimo

propria dell'indennità di contingenza. Cosicché — se ben si guarda —

la discriminazione minori-adulti relativa all'indennità di contingenza vulnera, prima che l'art. 37 Cost., la stessa norma che garantisce al

lavoratore una retribuzione « sufficiente » ai propri bisogni di vita (art.

36), se solo si pensa che i meccanismi di indicizzazione del salario

altro non sono che meccanismi storicamente vigenti — in un sistema

che affida alle parti sociali contrapposte la determinazione della

retribuzione considerata equa in un determinato momento — di

fissazione del salario minimo vitale. Della correttezza dell'approccio interpretativo appena abbozzato fa

fede un panorama giurisprudenziale che omogeneamente scandisce la

vigenza di tali principi. Cfr., infatti, per la generale affermazione della impossibilità di

costruire sulla differenza di età discriminazioni di trattamento: Cass. 29 marzo 1983, n. 2269, id., Rep. 1983, voce cit., n. 1547; per l'affermazione più specifica dell'illegittimità delle discriminazioni circa la decorrenza dell'anzianità agli effetti degli aumenti periodici, v. Cass. 26 maggio 1983, n. 3642, ibid., n. 1602; 4 febbraio 1983, n. 929, ibid., n. 1605; 16 giugno 1982, n. 3663, id., 1983, I, 1047, con nota di

richiami, cui adde Cass. 5 gennaio 1983, n. 60, id., Rep. 1983, voce

cit., n. 1607; 30 novembre 1982, n. 6509, id., Rep. 1982, voce cit., n.

1221; 4 ottobre 1982, n. 5100, ibid., n. 1222; 18 agosto 1982, n. 4650, ibid., n. 1223; 16 giugno 1982, n. 3663, ibid., n. 1224; 13 febbraio

1982, n. 916, ibid., n. 1227.

Colgono specificamente la connessione fra disparità di trattamento

relative all'indennità di contingenza (fra minori ed adulti) e lesione del

principio di retribuzione sufficiente; Trib. Milano 10 aprile 1981, id.,

Rep. 1981, voce cit., n. 1212; Trib. Milano 27 ottobre 1979, id., Rep.

1980, voce cit., n. 984; Pret. Gardone Val Trompia 4 dicembre 1980,

id., Rep. 1981, voce cit., n. 1129. Più in generale per l'affermazione della natura retributiva dei

meccanismi di indicizzazione del salario e di adeguamento al costo

della vita v. l'ampia motivazione di Cass., sez. un., 16 febbraio 1984, n. 1148, id., 1984, I, 383, con nota di richiami e osservazioni di C. M.

Barone. Nel senso che per « minori » ai sensi dell'art. 37 Cost, devono

intendersi anche gli infraventunenni, a nulla rilevando l'attribuzione di una specifica capacità d'agire agli ultradiciottenni, in materia di lavoro, a mente dell'art. 3 c.c. (l'affermazione è incidentalmente svolta anche

dalla sentenza che si riporta), v., fra le più recenti, Cass. 26 maggio 1983, n. 3642, cit. e 16 giugno 1982, n. 3663, cit. Contra, Pret. Genova 23 giugno 1978, id., Rep. 1979, voce cit., n. 902.

Per la illegittimità delle clausole contrattuali collettive discriminanti i minori in relazione all'indennità di contingenza, v. già nella giuris prudenza di merito; Pret. Lodi 18 febbraio 1978, id., Rep. 1979, voce

cit., n. 907; Pret. Bologna 12 novembre 1979, id., Rep. 1980, voce

cit., n. 988; Pret. Milano 19 aprile 1978, id., 1979, I, 1069. In dottrina v. fra i più recenti contributi: M. V. Ballestrero,

Tutela e parità di fanciulli, adolescenti e giovani nel rapporto di

lavoro, in Dir. famiglia, 1982, 11; Antignani, Riflessioni su retribu

zione, parità di trattamento, automatismi e art. 56, 1° comma,

Cost., in Riv. giur. lav., 1981, I, 277.

This content downloaded from 91.229.248.152 on Wed, 25 Jun 2014 01:43:47 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions


Recommended