+ All Categories
Home > Documents > sezione lavoro; sentenza 21 luglio 1998, n. 7161; Pres. Panzarani, Est. Foglia, P.M. Leo (concl....

sezione lavoro; sentenza 21 luglio 1998, n. 7161; Pres. Panzarani, Est. Foglia, P.M. Leo (concl....

Date post: 31-Jan-2017
Category:
Upload: hoangtram
View: 216 times
Download: 3 times
Share this document with a friend
6
sezione lavoro; sentenza 21 luglio 1998, n. 7161; Pres. Panzarani, Est. Foglia, P.M. Leo (concl. conf.); Soc. Nuovo Pignone (Avv. Cavaliere) c. Zanobini (Avv. Manfredini, Bacci). Conferma Trib. Firenze 28 giugno 1995 Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 5 (MAGGIO 1999), pp. 1547/1548-1555/1556 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23193481 . Accessed: 28/06/2014 13:37 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 193.142.30.32 on Sat, 28 Jun 2014 13:37:51 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
Transcript
Page 1: sezione lavoro; sentenza 21 luglio 1998, n. 7161; Pres. Panzarani, Est. Foglia, P.M. Leo (concl. conf.); Soc. Nuovo Pignone (Avv. Cavaliere) c. Zanobini (Avv. Manfredini, Bacci). Conferma

sezione lavoro; sentenza 21 luglio 1998, n. 7161; Pres. Panzarani, Est. Foglia, P.M. Leo (concl.conf.); Soc. Nuovo Pignone (Avv. Cavaliere) c. Zanobini (Avv. Manfredini, Bacci). ConfermaTrib. Firenze 28 giugno 1995Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 5 (MAGGIO 1999), pp. 1547/1548-1555/1556Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23193481 .

Accessed: 28/06/2014 13:37

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].

.

Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.

http://www.jstor.org

This content downloaded from 193.142.30.32 on Sat, 28 Jun 2014 13:37:51 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 2: sezione lavoro; sentenza 21 luglio 1998, n. 7161; Pres. Panzarani, Est. Foglia, P.M. Leo (concl. conf.); Soc. Nuovo Pignone (Avv. Cavaliere) c. Zanobini (Avv. Manfredini, Bacci). Conferma

1547 PARTE PRIMA 1548

l'art. 1117 c.c., va identificata con la porzione di terreno su

cui poggia l'intero edificio, cioè con la parte inferiore della co

struzione posta al di sotto del piano cantinato più basso (Cass. 29 giugno 1985, n. 3882, id., Rep. 1985, voce cit., n. 24).

Rispetto all'edificio soggetto al regime del condominio, il sot

tosuolo non si identifica, come di consueto, con la zona al di

sotto del piano di campagna, sibbene con la porzione di terreno

in profondità, posta al di sotto dell'area che sta alla base del

fabbricato, nella quale poggiano le fondamenta.

2.4. - In linea generale, a norma dell'art. 1117 c.c. cit., costi

tuiscono oggetto di proprietà comune, in favore dei proprietari dei piani o delle porzioni di piano siti nell'edificio, le cose, gli

impianti ed i servizi, elencati specificamente o enunciati per re

lationem, che sono necessari per l'esistenza o funzionalmente

sono destinati all'uso o al servizio delle loro unità immobiliari.

L'attribuzione del condominio ex lege non opera quando un

bene tra quelli contemplati dall'art. 1117, per le sue obiettive

caratteristiche materiali e funzionali, si presenti dotato di una

propria individualità economica e, quindi, non risulti legato dalla

relazione di accessorietà rispetto ai piani e alle porzioni di pia no. L'attribuzione in comune viene meno, cioè «quando il be

ne, per le sue obiettive caratteristiche strutturali, si presenti do

tato di una propria autonomia e indipendenza e quindi non le

gato ad una destinazione di servizio rispetto all'edificio

condominiale» (Cass. 29 giugno 1985, n. 3882, cit.). Come in tutti i diritti reali, nel condominio l'interesse svolge

la funzione di fondamento, di limite «interno» e di criterio per l'individuazione dell'oggetto della tutela giuridica. Poiché il di

ritto subiettivo (di natura reale) rappresenta il mezzo preordina to per garantire, in modo immediato, la relazione quae inter est tra il soggetto ed il bene, cui rigorosamente è proporziona to, il diritto esiste in funzione dell'interesse e all'interesse ade

gua la tutela.

Nella relazione oggettiva (quae inter est) tra il soggetto ed il bene, la posizione favorevole del soggetto rispetto all'oggetto viene garantita in quanto soddisfa i bisogni, alla stregua delle

possibilità concrete di utilizzazione offerte dal bene ed in con

formità alla natura del diritto. Dove non esiste l'utile, non esi ste l'interesse e non v'è ragione per la tutela giuridica.

Per conseguenza, relativamente al terreno posto al di sotto del piano di campagna, quando in esso viene costruito un locale

che, per le sue caratteristiche materiali e funzionali, si presenti come vano a sé, suscettibile di autonomo godimento e, come

tale, non necessario per l'esistenza o per il servizio dei piani o delle porzioni di piano e, in sintesi, dell'intero edificio (per ché non è destinato, per esempio, al passaggio delle tubazioni o alla collocazione degli impianti pertinenti all'edificio), il dirit to di condominio non nasce ex lege come conseguenza del fra zionamento dell'unica proprietà sul fabbricato. In questo caso, infatti, non sussiste un interesse comune, connesso con l'utiliz zazione ed il godimento del bene in funzione di tutte le unità immobiliari (in sintesi, dell'intero edificio), che giustifichi l'at tribuzione della proprietà comune. Il bene, perciò, resta sogget to al diritto preesistente.

2.6. - Alla luce dei principi esposti appare corretta la qualifi cazione compiuta dalla corte, secondo cui la fattispecie viene ad essere disciplinata non dalle norme, che riguardano l'esten sione della proprietà del suolo al sottosuolo, sibbene dagli art.

952, 2° comma, e 955 c.c., avendo la società alienato — in un edificio soggetto al regime del condominio (fabbricato esafa

miliare) — la sola proprietà della costruzione esistente fino al solaio dell'unità immobiliare posta all'altezza del piano di cam

pagna (terra), e non anche la proprietà del bene autonomo po sto al di sotto.

Perciò, ai fini della decisione non è rilevante il fatto che la società venditrice non si sia espressamente riservata la proprietà del sottosuolo e che non l'abbia alienata a terzi. Avuto riguar do al ricordato oggetto del contratto di vendita, la collocazione del locale al di sotto del piano di campagna non esclude il per durare della titolarità, in capo alla venditrice, della proprietà dell'unità immobiliare dotata di autonoma funzionalità e venu ta ad esistenza prima della vendita ai coniugi Cauti e Vitali.

Il primo ed il secondo motivo devono essere disattesi. 3. - Non può essere accolto neppure il terzo. Poiché la funzione della trascrizione della domanda giudizia

le è di assicurare all'attore gli effetti della pronunzia favorevole sulla domanda proposta in un determinato giudizio, se la do

li. Foro Italiano — 19S9.

manda viene rigettata, viene meno anche la funzione della tra

scrizione e cessano gli effetti della pubblicità che risulta inutil

mente compiuta, senza possibilità di utilizzare tali effetti in un

giudizio autonomo.

Pertanto, con la pronunzia di rigetto della domanda, dal giu dice del merito deve essere ordinata, anche d'ufficio, la cancel

lazione della trascrizione della domanda giudiziale effettuata ai

sensi degli art. 2652 e 2653 c.c. (Cass. 21 febbraio 1991, n.

1859, id., Rep. 1991, voce Trascrizione, nn. 29, 33). 4. - Al rigetto del ricorso segue la condanna dei ricorrenti

in solido alla rifusione delle spese.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 21 luglio 1998, n. 7161; Pres. Panzarani, Est. Foglia, P.M. Leo (conci,

conf.); Soc. Nuovo Pignone (Avv. Cavaliere) c. Zanobini

(Avv. Manfredini, Bacci). Conferma Trib. Firenze 28 giu gno 1995.

Brevetti per invenzioni industriali — Invenzione di servizio e

invenzione d'azienda — Differenza (R.d. 29 giugno 1939 n.

1127, testo delle disposizioni legislative in materia di brevetti

per invenzioni industriali, art. 23). Brevetti per invenzioni industriali — Invenzioni d'azienda —

Diritto all'equo premio (R.d. 29 giugno 1939 n. 1127, art. 23). Brevetti per invenzioni industriali — Invenzioni d'azienda —

Equo premio — Determinazione (R.d. 29 giugno 1939 n. 1127, art. 23).

Quando l'attività inventiva non costituisce l'oggetto del con tratto di lavoro subordinato e non è prevista una retribuzione a compenso della stessa, l'invenzione del dipendente fatta du rante lo svolgimento delle sue mansioni si configura come

invenzione d'azienda e non come invenzione di servizio per la quale invece è prevista una specifica retribuzione in com

penso dell'attività inventiva. (1)

(1) Oggetto della sentenza in epigrafe è l'adozione di un criterio di stintivo tra invenzione di servizio e invenzione d'azienda, entrambe con template dall'art. 23 r.d. 29 giugno 1939 n. 1127. Queste due figure sono accomunate dal fatto che l'invenzione di cui è autore un lavorato re subordinato «è fatta nell'esecuzione o nell'adempimento di un con tratto o di un rapporto di lavoro». In entrambi i casi il lavoratore, pur se riconosciuto autore dell'invenzione, viene spogliato dei diritti economici sulla stessa, a favore del datore di lavoro; si verifica cioè un'eccezionale dissociazione tra la persona titolare del diritto al brevet to e la figura dell'inventore.

Numerose sono state le pronunce sull'argomento, peraltro, in linea abbastanza uniforme (cfr., da ultimo, Cass. 5 novembre 1997, n. 10851, Foro it., 1998, I, 490). Ciò che distingue le due fattispecie consiste nella previsione o meno di una retribuzione specifica quale compenso di un'at tività inventiva contemplata dal contratto di lavoro. Se l'attività inven tiva non è né prevista contrattualmente né retribuita, il lavoratore ha diritto a ricevere un «equo premio».

Spesso, tuttavia, la volontà contrattuale non è chiara e diventa diffi cile capire se esiste effettivamente una correlazione specifica tra com penso retributivo, aumentato rispetto alla categoria di appartenenza, e obbligo inventivo assunto dal lavoratore; vengono pertanto fissati cri teri interpretativi diversi, che a volte — come nel caso surriportato —

considerano l'elemento retributivo determinante ai fini della distinzione (cfr. Cass. 5 dicembre 1985, n. 6117, id., Rep. 1986, voce Brevetti, nn. 102, 103, e, per esteso, Nuova giur. civ., 1986, I, 556, con nota di Angiello), altre volte lo considerano indice utilizzabile per la quali ficazione della fattispecie, ma non in via preminente ed esclusiva (cfr. Cass. 6 marzo 1992, n. 2732, Foro it., Rep. 1992, voce cit., n. 102, e Dir. lav., 1993, II, 139, con nota di Bettini; Pret. Modena 4 novem bre 1994, Foro it., Rep. 1996, voce cit., nn. 175-180, e, per esteso, Giur. dir. ind., 1995, 645); in questo secondo caso la retribuzione do vrebbe costituire la chiave di lettura solo qualora né dal contratto, né

This content downloaded from 193.142.30.32 on Sat, 28 Jun 2014 13:37:51 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 3: sezione lavoro; sentenza 21 luglio 1998, n. 7161; Pres. Panzarani, Est. Foglia, P.M. Leo (concl. conf.); Soc. Nuovo Pignone (Avv. Cavaliere) c. Zanobini (Avv. Manfredini, Bacci). Conferma

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Il dipendente autore della c.d. invenzione d'azienda ha il diritto

di ricevere dal datore di lavoro un equo premio quale inden

nizzo per l'espropriazione del diritto di utilizzazione econo

mica dell'invenzione stessa. (2)

L'equo premio va determinato tenendo conto sia del valore eco

nomico dell'invenzione, commisurato agli utili prevedibili in

relazione al tipo di attività esercitata dall'impresa, sia della

retribuzione percepita dal dipendente in relazione al tempo

impiegato per conseguire il risultato inventivo, sia del tipo di attività svolta dall'inventore e del contributo aziendale al

conseguimento dell'invenzione (c.d. formula tedesca). (3)

dall'esame delle mansioni in concreto svolte dal lavoratore sia possibile inquadrare la fattispecie (cfr. Cass. 5 marzo 1993, n. 2711, Foro it.,

Rep. 1994, voce cit., n. 124). Non si può, peraltro, nemmeno affermare che la «mancata corresponsione di uno speciale compenso per l'attività inventiva» escluda <da ricorrenza della fattispecie di cui al 1° comma dell'art. 23 r.d. 1127/39», quando invece le mansioni effettivamente svolte dal lavoratore consistono nell'espletamento di attività a carattere

prevalentemente inventivo (cfr. Cass. 6 marzo 1992, n. 2732, cit.; Pret. Milano 11 settembre 1987, id., Rep. 1988, voce Lavoro e previdenza (controversie), nn. 63, 64, e Dir. lav., 1988, II, 214).

Il giudice deve accertare se «esiste una specifica correlazione causale tra la prestazione lavorativa ed il corrispettivo», se cioè l'aumento retri

butivo, rispetto alla categoria di appartenenza, sia effettivamente desti nato a compensare un'attività inventiva (cfr. Cass. 13 aprile 1991, n.

3991, Foro it., Rep. 1994, voce Brevetti, nn. 121, 125-129); tale indagi ne va effettuata mediante uno «specifico esame delle clausole contrat tuali». L'interpretazione della volontà negoziale deve, tuttavia, ispirarsi a «rigorosi criteri restrittivi» nell'inquadramento del rapporto nell'am bito della fattispecie contemplata nel 1° comma dell'art. 23 (cfr. Cass. 13 aprile 1991, n. 3991, cit.; 16 gennaio 1979, n. 329, id., 1979, I,

1416), in quanto tale norma deroga al principio generale dell'attribuzio

ne all'inventore dei diritti derivanti dall'invenzione, per trasferirli ad

altro soggetto, senza alcun corrispettivo patrimoniale. Per parte della dottrina, nell'interpretazione del contratto di lavoro,

il ruolo assunto dalla clausola contenente la previsione di una specifica retribuzione dell'attività inventiva va ridimensionato, nel senso che essa

può costituire l'indizio nell'identificazione della sussistenza in concreto della fattispecie contemplata dal 1° comma dell'art. 23, ma non l'«uni

co elemento differenziatore» (così Perugini, Validità del brevetto e «diritti

quesiti» del dipendente inventore, in Riv. dir. ind., 1993, II, 360). In

realtà, l'elemento rilevante ai fini della qualificazione deve esser l'og

getto del rapporto di lavoro, e in particolare la relazione tra lavoro

prestato e invenzione realizzata (cfr. Bettini, Le invenzioni del lavora

tore, in Dir. lav., 1993, II, 139). Della stessa opinione, Cottino (Dirit to commerciale, Padova, 1993, vol. I, tomo I, 3a ed., aggiornata con

il d.l. 4 dicembre 1992 n. 480, 351) che identifica l'elemento differen

ziatore tra il 1° e il 2° comma dell'art. 23 nel fatto che nel 1° comma, l'attività inventiva è in obligatione.

(2) Altro problema ampiamente dibattuto è quello riguardante l'indi

viduazione della natura giuridica dell'equo premio. La corte, nella sen

tenza in rassegna, lo definisce una prestazione a carattere indennitario; la sua finalità è quella di compensare una prestazione straordinaria del

lavoratore (l'invenzione) né dovuta, né retribuita dal datore di lavoro;

quest'ultimo, infatti, in base al dettato legislativo, diviene titolare del

diritto di sfruttamento economico sull'invenzione del lavoratore, a sua

volta espropriato del suddetto e pertanto avente diritto ad una qualche forma di compenso.

Già in passato la Cassazione aveva definito l'equo premio «contro

prestazione straordinaria di carattere indennitario, corrisposta una tan

tum» a fronte di una «prestazione straordinaria, rappresentata dal ri

sultato inventivo», escludendo sia la definizione di prezzo, che presup

porrebbe l'esistenza di un negozio traslativo, sia quella di retribuzione

che invece dovrebbe esser supportata da una previsione contrattuale di

un'attività lavorativa a carattere inventivo (cfr. Cass. 16 gennaio 1979, n. 329, cit.; 13 aprile 1991, n. 3991, cit.; Trib. Milano 16 dicembre

1994, Foro it., Rep. 1995, voce Brevetti, n. 230, e, per esteso, Orient,

giur. lav., 1994, 818; Trib. Napoli 30 luglio 1984, Foro it., Rep. 1985, voce cit., n. 107, e Giur. it., 1985, I, 2, 496, con nota di Balletti).

Malgrado gran parte della dottrina abbracci la definizione fornita

dalla giurisprudenza maggioritaria (cfr. Vidiri, Le invenzioni dei lavo

ratori dipendenti, id., 1989, IV, 95), non è mancato chi ha visto nell'e

quo premio il prezzo pagato al lavoratore per lo sfruttamento dei diritti

economici sull'invenzione, inquadrando il rapporto nella vendita di co

sa futura (cfr. Auletta e Mangini, Delle invenzioni industriali, in Com

mentario Scialoja-Branca, 1973, 89, sub art. 2584-2601); oppure, chi

l'ha definita prestazione a carattere retributivo, affermando che in en

trambe le ipotesi disciplinate dall'art. 23 il risultato inventivo sarebbe

contrattualmente contemplato, solo che per l'invenzione di servizio il

contratto prevede anche la corresponsione di un contributo speciale a

fronte dell'obbligo assunto dal lavoratore (cfr. Romagnoli, L'art. 24

della legge sui brevetti è una norma da rifare?, in Riv. trim. dir. e

Il Foro Italiano — 1999.

Svolgimento del processo. — Con sentenza dell'11 novembre

1994 il Pretore di Firenze condannava la soc. Nuova Pignone

s.p.a. al pagamento della somma di lire 112.000.000, oltre ac

cessori, in favore dell'ing. Alessandro Zanobini a titolo di equo

premio, in base all'art. 23, 2° comma, r.d. 29 giugno 1939 n.

1127, in relazione all'invenzione, effettuata dal ricorrente, di

una macchina denominata «condensatore perfezionato di vapo-' re con raffreddamento ad aria» — poi brevettata dall'azienda — nel corso del rapporto di lavoro protrattosi tra le parti dal

novembre 1972 al 1991, che aveva visto il dipendente impegna

to, con diverse qualifiche ed inquadramenti contrattuali via via

proc. civ., 1964, 1499; Sciarra, Invenzioni industriali (invenzioni del

lavoratore), voce dell' Enciclopedia giuridica Treccani, Roma, 1989, XVII); o chi addirittura ha parlato di integrazione retributiva, individuando una sorta di premio, volto a rispettare il principio di proporzionalità che deve sussistere tra lavoro e retribuzione ex art. 36 Cost. (cfr. Loca

telo, Invenzione del dipendente, in Contratto e impr., 1989, 746). Alla prima delle succitate teorie (vendita di cosa futura) si è obiettato

che i diritti economici sull'invenzione il datore di lavoro li acquista a titolo originario in virtù della legge, e ciò si evince dal tenore letterale dell'art. 23 1. brevetti che parla di «appartenenza» dei «diritti derivanti dall'invenzione» in capo al datore di lavoro (cfr. Greco-Vercellone, Le invenzioni e i modelli industriali, in Trattato diretto da Vassalli, Torino, 1968, 227).

In merito alla subordinazione del pagamento dell'equo premio alla condicio iuris del conseguimento del brevetto, cfr. Cass. 16 gennaio 1979, n. 329, cit.; 5 dicembre 1985, n. 6117, cit.; 10 gennaio 1989, n. 30, Foro it., Rep. 1989, voce cit., nn. 109-112, e Giust. civ., 1989, I, 1389, con nota di Trerè; 13 aprile 1991, n. 3991, cit.; Trib. Firenze 3 luglio 1989, Foro it., Rep. 1989, voce cit., nn. 113, 114, e Riv. dir.

ind., 1990, II, 619, con nota di Andreucci; Pret. Modena 4 novembre

1994, cit.; contra, Pret. Milano 30 aprile 1981, Foro it., Rep. 1984, voce cit., nn. 67-71.

Il diritto del lavoratore al premio è assoggettato alla prescrizione or dinaria decennale, con decorrenza dalla data di concessione del brevet

to (cfr. Cass. 16 gennaio 1979, n. 329, cit.; 10 gennaio 1989, n. 30, cit.). (3) Il legislatore, individuando «nell'importanza dell'invenzione» il

criterio per determinare l'ammontare dell'equo premio, non ha tuttavia offerto precisi parametri di commisurazione dello stesso; l'ambiguità di detta formula ha indotto dottrina e giurisprudenza a elaborare diver si criteri per stabilire tale premio.

In alcuni casi si è teso a sminuire l'importanza delle concrete possibi lità del singolo datore di lavoro nello sfruttamento economico dell'in

venzione (cfr. Cass. 16 gennaio 1979, n. 329, cit.) per evitare che il

valore dell'invenzione e conseguenzialmente quello dell'equo premio fos

sero rimessi al mero arbitrio del datore di lavoro (cfr. Bernini, Sulla

determinazione dell'equo premio dovuto al lavoratore ai sensi dell'art.

23, 2° comma, r.d. 1127/39, in Riv. critica dir. lav., 1997, 346); si

è invocata pertanto l'adozione di parametri astratti quali gli utili preve dibili, con riferimento al genere di attività esercitata dall'impresa. Ed

è allo stesso criterio che si è ispirata la corte nella sentenza in epigrafe

per determinare il valore economico dell'invenzione. Non sono mancate, tuttavia, pronunce che hanno ritenuto fondamen

tale tenere in considerazione, nella quantificazione del premio, l'effetti

vo «beneficio economico apportato al datore di lavoro dall'invenzione

del lavoratore», sottolineando l'importanza dei profitti e dei risparmi realmente conseguiti mediante l'invenzione (cfr. Trib. Milano 30 aprile 1996, Foro it., Rep. 1997, voce Lavoro (rapporto), n. 1329, e Riv. it. dir. lav., 1997, II, 462, con nota di Pizzoferrato, e Riv. critica dir.

lav., 1997, 346, con nota di Bernini; Trib. Como 11 maggio 1989, Foro it., Rep. 1994, voce Brevetti, nn. 123, 130-133). Del medesimo

orientamento, Cass. 13 aprile 1991, n. 3991, cit., che ha adottato come

indice di validità dell'invenzione, l'elemento temporale legato alla dura

ta dello sfruttamento economico del bene, prescindendo totalmente sia

dal prezzo dell'invenzione sia da un rapporto di proporzionalità con

la retribuzione percepita dall'inventore. La giurisprudenza dominante, tuttavia, come ribadisce la sentenza

in epigrafe, ha ritenuto opportuno prendere in considerazione, oltre al

valore obiettivo dell'invenzione, altri fattori quali la retribuzione perce

pita dal lavoratore, il tipo di attività a cui era adibito quest'ultimo e

il rapporto tra il livello dell'invenzione e il grado di sviluppo tecnico

aziendale. Per tener conto di tutti questi fattori, le corti hanno adottato una

formula appartenente al sistema legislativo tedesco secondo la quale il valore del premio è uguale al valore dell'invenzione moltiplicato per un fattore proporzionale espresso in percentuale risultante da tre ad

dendi: l'iniziativa dell'inventore nella realizzazione dell'invenzione, il

suo contributo creativo e la posizione professionale e retributiva rico

perta dal dipendente nell'azienda (cfr. Cass. 2 aprile 1990, n. 2646,

id., Rep. 1990, voce cit., n. 131; 12 maggio 1990, n. 4091, id., Rep.

1992, voce cit., n. 103; Pret. Ferrara 21 giugno 1986, id., Rep. 1986, voce cit., nn. 105, 106, e, per esteso, Giust. civ., 1986, I, 3232). In

This content downloaded from 193.142.30.32 on Sat, 28 Jun 2014 13:37:51 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 4: sezione lavoro; sentenza 21 luglio 1998, n. 7161; Pres. Panzarani, Est. Foglia, P.M. Leo (concl. conf.); Soc. Nuovo Pignone (Avv. Cavaliere) c. Zanobini (Avv. Manfredini, Bacci). Conferma

1551 PARTE PRIMA 1552

più elevati, ma che, al momento dell'invenzione, prevedevano le sole mansioni e compiti di progettista.

Proposto appello da parte della società, e costituitosi il con

traddittorio, il Tribunale di Firenze, con sentenza del 28 giugno 1995 confermava la decisione pretorile.

Premessa l'indubbia «novità» dell'invenzione, del resto con

fermata dalla concessione del brevetto in data 27 agosto 1986, su richiesta della società inoltrata nel febbraio 1981, il tribunale

osservava che all'epoca dell'invenzione lo Zanobini era inqua drato nella categoria A, in relazione alla quale — secondo l'ac

cordo sindacale sull'inquadramento unico del giugno 1971 —

il lavoratore in possesso di tale livello, pur fornito di elevata

preparazione e capacità professionale, non concorre alle attività

lavorative di tipo ideativo. Inoltre, considerato che lo stesso

dipendente solo nel gennaio 1982 era stato inquadrato nella ca

tegoria superiore Al, e che neppure in questo periodo gli veni

vano corrisposti elementi retributivi connessi all'attività inventi

va esplicata, il tribunale rinveniva nel caso in esame l'ipotesi dell'«invenzione di azienda», ex art. 23, 2° comma, cit., da

cui deriva l'obbligo di corrispondere un equo premio, per la

cui quantificazione giudicava corretto il criterio adottato dal giu dice di primo grado (c.d. «formula tedesca» consistente nel pro dotto del valore dell'invenzione moltiplicato per la quantità rap

portata alle caratteristiche lavorative del dipendente inventore, diviso cento).

Avverso la sentenza del Tribunale di Firenze la società ha

proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui repli ca lo Zanobini con controricorso.

Motivi della decisione. — Col primo motivo si denunzia la

violazione e falsa applicazione dell'art. 12 preleggi, dell'art. 23

r.d. 1127/39 e dell'art. 1362 c.c., nonché vizio di motivazione, anche in ordine alla valutazione delle prove (art. 360, nn. 3

e 5, c.p.c.). Si duole la società che il tribunale ha ritenuto ricor

rere nella specie l'invenzione di azienda (anziché l'invenzione

di servizio, di cui al 1° comma dell'art. 23 cit.), senza avere

considerato il contenuto del contratto di lavoro, da cui risulta

va, sin dall'atto di assunzione, che lo Zanobini era stato inseri

to nel settore progettuale delle apparecchiature di scambio ter

questo modo l'equo premio non potrà mai uguagliare il valore econo mico dell'invenzione, ma costituirà sempre una quota parte dello stes

so; ciò in quanto, tutti i fattori adottati per calcolare, mediante la for mula tedesca, il suo ammontare incideranno negativamente sul suo va lore (cfr. Pret. Milano 30 aprile 1981, cit.).

L'adozione della formula tedesca è stata accolta positivamente anche dalla dottrina in quanto ispirata a criteri oggettivi (cfr. Vanzetti-Di

Cataldo, Manuale di diritto industriale, Milano, 1993, 340). La legge sui quadri (1. 13 maggio 1985 n. 190), segnalando l'emersio

ne di una nuova categoria di lavoratori subordinati, introduce alcune novità nella disciplina delle invenzioni: in riferimento alle invenzioni d'azienda e a quelle «di rilevante importanza nei metodi o nei processi di fabbricazione ovvero nell'organizzazione del lavoro», rinvia alla con trattazione collettiva la valutazione dell'invenzione e la definizione del

«corrispettivo economico dell'utilizzazione da parte dell'impresa». Tale normativa rappresenta la prima manifestazione di disciplina convenzio nale ancorata all'autonomia collettiva che tuttavia non ha ancora tro vato riscontro nella contrattazione collettiva (cfr. Sci arra, Invenzioni industriali, cit., 5).

Un cenno infine sul problema processuale del giudice competente a definire l'equo premio, le cui controversie sono state concordemente attribuite alla competenza del pretore in funzione di giudice del lavoro sia dalla dottrina (cfr. Sarti, Appunti sulle invenzioni dei dipendenti, in Riv. dir. ind., 1984, II, 75 ss.; Locatelli, Invenzione del dipenden te, cit., 757) che dalla giurisprudenza (cfr. Cass. 23 aprile 1979, n. 2276, Foro it., 1979, I, 1416; Pret. Milano 11 settembre 1987, cit.; contra, Pret. Torino 7 gennaio 1975, id., 1975, I, 1021).

Anteriormente alla sentenza 14 luglio 1977, n. 127 (id., 1977, I, 1849), con la quale la Corte costituzionale dichiarò illegittimo il 1° comma dell'art. 25 r.d. 1127/39, nella parte in cui non riconosceva al dipen dente né al datore di lavoro la facoltà di adire l'autorità giudiziaria ordinaria nelle controversie riguardanti il premio, il canone e le rispetti ve modalità, l'autorità dotata di competenza esclusiva in tali casi era il collegio arbitrale previsto ed imposto dalla legge (cfr. Coli. arb. 25

gennaio 1974, id., Rep. 1974, voce cit., n. 35; Cass. 23 luglio 1965, n. 1724, id., 1966, I, 96; 5 ottobre 1964, n. 2517, id., Rep. 1964, voce Privative per invenzioni industriali, n. 35; 5 dicembre 1972, n. 3509, id., 1973, I, 2898; App. Milano 13 maggio 1975, id., Rep. 1975, voce

Brevetti, nn. 12, 13, che considerano la competenza del collegio arbitra le esclusiva ed assoluta). [G. Menasci]

Il Foro Italiano — 1999.

mico e dei sistemi di condensazione a vapore e della progetta zione meccanica di scambiatore a fasce tubiero e recipienti a

pressione, e che lo stesso era incaricato dall'azienda di studiare

una soluzione tecnica che evitasse la formazione di ghiaccio nei

condensatori destinati ai paesi freddi. Lo stesso dipendente, de

dicata la sua attività alla ricerca, aveva elaborato un progetto finale brevettabile, nella consapevolezza che l'invenzione si in

quadrava tra quelle «di servizio» e che l'indicazione del suo

nominativo — amministrativamente necessaria — come autore

della macchina, non gli conferiva alcun diritto. Secondo la so

cietà, tutt'al più poteva essere riconosciuto al dipendente un

quid pluris di retribuzione, ma non l'equo premio che si riferi

sce alla diversa fattispecie del lavoratore non specificamente as

sunto per la ricerca.

Con il secondo motivo si deduce la violazione e falsa applica zione degli art. 23 r.d. 1127/39, 416, 2° comma, c.p.c. e 2677

c.c., nonché omessa motivazione su un punto decisivo della con

troversia (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.), avendo il tribunale ritenu

to la macchina dello Zanobini una vera e propria invenzione

industriale, pur in difetto di un accertamento tecnico, in pre senza di un brevetto nullo e in assenza di ogni prova, da parte del dipendente, in ordine alla natura di invenzione industriale

del macchinario da lui progettato. Col terzo motivo si denunzia la violazione e falsa applicazio

ne dell'art. 23 cit. relativamente alla determinazione dell'equo

compenso, nonché l'insufficiente motivazione sul punto (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.) dal momento che, anziché applicare la «for

mula tedesca» che utilizza parametri che danno per risultato

il prezzo dell'invenzione in conformità del diritto tedesco, si

sarebbe dovuto tener conto dell'importanza oggettiva dell'in

venzione stessa.

Tutti e tre i motivi di ricorso sono infondati.

Cominciando dal secondo motivo, logicamente precedente il

primo in quanto pone in questione la stessa natura di invenzio

ne industriale del risultato ottenuto dall'attività lavorativa dello

Zanobini, quale presupposto di fatto della pretesa oggetto del

giudizio, è sufficiente rilevare che la società ricorrente non può disconoscere quella natura, avendo essa stessa riconosciuto i ca

ratteri della originalità ed industrialità, tipici della brevettabili

tà, del condensatore ideato dal resistente, e ciò non solo nella

memoria di costituzione in primo grado, ma anche, già in pre

cedenza, con la stessa richiesta di concessione di brevetto, poi

regolarmente ottenuto.

Né è opponibile l'eventuale vizio del medesimo brevetto, stante

l'acquiescenza che la società vi ha prestato realizzando l'inven

zione e sfruttandone i relativi diritti.

Il primo motivo di ricorso rende necessaria una sintetica rico

struzione del significato dell'art. 23 r.d. 21 giugno 1939 n. 1127, della sua posizione nel sistema e della sua inerenza con il rap

porto individuale di lavoro.

La norma stabilisce al 1° comma che quando l'invenzione

«è fatta nell'esecuzione o nell'adempimento di un contratto o

di un rapporto di lavoro o d'impiego, in cui l'attività inventiva

è prevista come oggetto del contratto o del rapporto e a tale

scopo retribuita, i diritti derivanti dall'invenzione stessa appar

tengono al datore di lavoro . . .».

Il 2° comma aggiunge che, «se non è prevista una retribuzio

ne, in compenso dell'attività inventiva, e l'invenzione è fatta

nell'esecuzione o nell'adempimento di un contratto o di un rap

porto di lavoro o d'impiego, i diritti derivanti dall'invenzione

appartengono al datore di lavoro, ma all'inventore . . . spetta un equo premio per la determinazione del quale si terrà conto

dell'importanza dell'invenzione».

Leggendo i due commi in connessione tra loro e con riferi

mento ai principi generali dell'ordinamento (secondo quanto im

pone l'art. 12 disp. prel. c.c.), si rileva che essi hanno in comu

ne almeno due elementi: da una parte la circostanza che l'in

venzione è avvenuta nell'ambito dell'esecuzione del contratto di lavoro subordinato, dall'altra la conseguenza dell'apparte nenza al datore di lavoro dei diritti patrimoniali derivanti dal

l'invenzione — fermo restando, in ogni caso, il diritto morale

del dipendente ad essere considerato autore dell'invenzione.

L'attribuzione (a titolo originale) al datore di lavoro dei dirit ti patrimoniali rappresenta un sensibile scostamento rispetto al

principio fondamentale in materia brevettuale secondo cui è l'au tore dell'invenzione ad essere titolare dei diritti di utilizzazione economica (art. 1 e 18 r.d. cit.). Tale scostamento — compren

This content downloaded from 193.142.30.32 on Sat, 28 Jun 2014 13:37:51 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 5: sezione lavoro; sentenza 21 luglio 1998, n. 7161; Pres. Panzarani, Est. Foglia, P.M. Leo (concl. conf.); Soc. Nuovo Pignone (Avv. Cavaliere) c. Zanobini (Avv. Manfredini, Bacci). Conferma

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

sibile per l'apporto, a volte decisivo, che l'organizzazione del

l'impresa conferisce alla genesi ed all'attuazione dell'invenzione — giustifica la necessità (già avvertita da Cass. 16 gennaio 1979, n. 329, Foro it., 1979, I, 1416) di un'interpretazione restrittiva

delle regole che escludono il diritto del dipendente all'equo

premio. La previsione del beneficio che il 2° comma dell'art. 23 rico

nosce al dipendente (espropriato del diritto di utilizzazione eco

nomica) risponde infatti ad una logica indennitaria che si coglie valorizzando lo specifico contenuto del contratto individuale di

lavoro voluto dalle parti. Ed infatti il dato nettamente differen

ziale tra le fattispecie previste dai due commi, risiede nell'essere

o non «prevista una retribuzione» in compenso dell'attività in

ventiva: solo nel 1° comma, infatti, l'attività inventiva, o, co

munque il suo perseguimento (Cass. 6 marzo 1992, n. 2732,

id., Rep. 1992, voce Brevetti, n. 102) è prevista come oggetto del contratto o del rapporto e «a tale scopo» retribuita.

Emerge, allora, con chiarezza il connotato distintivo della fat

tispecie del 2° comma dell'art. 23 (la c.d. «invenzione d'azien

da») rispetto a quella di cui al 1° comma (la c.d. «invenzione

di servizio»): nell'invenzione d'azienda la prestazione del dipen dente non consiste nel perseguimento di un risultato inventivo,

sicché il conseguimento di questo non rientra nell'oggetto del

l'attività dovuta, anche se resta pur sempre collegata a questa stessa attività.

Certo, l'invenzione non deve essere del tutto occasionale o

spontanea, né completamente estranea all'oggetto, in senso tec

nico del contratto (ma non è questa l'ipotesi in esame) perché in tal caso essa rientrerebbe piuttosto nella previsione dell'art.

24 della stessa legge brevetti, che, come noto, conferisce al da

tore di lavoro soltanto un diritto di prelazione sull'utilizzazione

economica dell'invenzione, la cui titolarità appartiene, in origi

ne, al lavoratore inventore.

Presupposto essenziale dell'art. 23 è — come già si è detto

più sopra — che l'invenzione sia stata realizzata «nell'esecuzio

ne o nell'adempimento» del contratto, mentre ciò che manca,

rispetto all'invenzione di servizio, è lo specifico corrispettivo

in cui luogo la legge prevede, appunto, l'equo compenso.

Naturalmente, il discrimine in concreto tra le due fattispecie

a confronto può essere difficile, se non addirittura paradossale,

atteso che ogni prestazione di lavoro subordinato è in sé di mezzi,

mentre l'invenzione è un risultato, per di più aleatorio o meglio

incerto, come invece tende a non essere la retribuzione. Ma a

parte l'ammissibilità, in via di principio, di forme o comunque

di voci o componenti retributive legate al risultato, la previsio

ne del 1° comma dell'art. 23, rispetto a quella del 2° comma,

sta proprio nel fatto che oggetto del contratto sia l'attività in

ventiva, cioè il particolare impegno per raggiungere un risultato

prefigurato dalle parti, dotato dei requisiti della brevettabilità

stabiliti dalla legge, e che, a tale scopo sia prevista una retri

buzione.

Del resto, sul piano interpretativo evolutivo, va tenuto pre

sente che la tecnica legislativa utilizzata dall'art. 23, 2° comma,

trova, sia pure a distanza di parecchi anni, una suggestiva eco

nell'art. 4 1. 13 maggio 1985 n. 190 sui «quadri», il quale stabi

lisce che i contratti collettivi «possono definire le modalità tec

niche di valutazione e l'entità del corrispettivo dell'utilizzazio

ne» (in sostanza, l'equo premio), tra l'altro, per le invenzioni

che «non costituiscano oggetto della prestazione di lavoro de

dotta in contratto, ammettendo, dunque, che l'invenzione, ben

ché costituente risultato, possa a tal punto caratterizzare la pre

stazione da divenirne l'oggetto» (Cass. 6117/85, id., Rep. 1986,

voce cit., n. 102). Altra assonanza del citato art. 23, 2° comma, è possibile scor

gere, sia pure per grandi linee, con le regole relative al patto

di non concorrenza disciplinato dall'art. 2125 c.c. in cui l'e

spropriazione di diritti fondamentali del lavoratore (alla libertà

di lavoro e di iniziativa privata) è valida a condizione che sia riconosciuto un equo compenso. Con la differenza, derivante

dalla diversa struttura dei fatti, che il patto di non concorrenza

è nullo se non è previsto il compenso, mentre, nel caso dell'in

venzione — che essendo già nella sfera del datore di lavoro,

per diretta disposizione di legge, non può essere retrocessa al

dipendente inventore — la tutela dell'interesse del dipendente

è meramente economica e segue l'alternativa o del riconosci

mento della specifica e distinta remunerazione (che è un'alea

per il datore di lavoro, ma esclude il più gravoso equo premio)

Il Foro Italiano — 1999.

ovvero del riconoscimento dell'equo premio che si ha solo nel

caso di invenzione.

Una volta precisato, per quanto sopra esposto, il discrimine

tra le due fattispecie disciplinate dal 1 ° e dal 2° comma dell'art.

23, compito del giudice di merito è quello di accertare — sulla

base dell'interpretazione del contratto basata sui criteri dettati

dall'art. 1362 c.c. — se le parti hanno voluto in effetti pattuire una retribuzione che sia pure in parte si collochi come corri

spettivo dell'obbligo del dipendente di svolgere un'attività in

ventiva.

In proposito questa corte ha, anche di recente (sent. 5 no

vembre 1997, n. 10851, id., 1998, I, 490) sottolineato che si

tratta di indagare sulla volontà delle parti, non operando ex

post, quando l'invenzione è stata conseguita, perché con questo criterio si dovrebbe considerare pattuita l'attività inventiva in

tutti i casi in cui la prestazione lavorativa abbia dato luogo,

comunque, ad un'invenzione, ma indagando ex ante sull'effetti

vo intendimento delle parti (conf. Cass. 329/79 cit.). Né può assumere rilievo la maggiore o minore probabilità

che dall'attività lavorativa pattuita scaturisca l'invenzione, di

tal che, ogniqualvolta sia probabile quel risultato si dovrebbe

automaticamente considerare come rientrante nella previsione contrattuale. Ed infatti, delle due l'una: o le parti hanno espres samente previsto l'invenzione come oggetto dell'attività lavora

tiva, ovvero non l'hanno prevista, ed allora l'elemento probabi

listico, che può essere connaturato alla diversa attività pattuita, non assume rilevanza e non può considerarsi integrata la fatti

specie di cui al 1° comma dell'art. 23.

Se ne trae un'ulteriore conferma dalla dizione del 2° comma

di tale norma il quale riguarda, appunto, l'ipotesi in cui l'in

venzione non è stata prevista come oggetto del contratto, ma

sia stata conseguita nel corso dell'esecuzione del contratto o

del rapporto di lavoro, sicché proprio per questo le parti non

hanno pattuito alcuna retribuzione per l'attività inventiva.

Orbene, il Tribunale di Firenze, attraverso una compiuta in

dagine, ha potuto escludere del tutto che una tale retribuzione

fosse stata prevista dalle parti, considerando — tra l'altro —

che il trattamento economico dello Zanobini non si differenzia

va affatto rispetto a quello riservato ai suoi colleghi di pari

grado e svolgenti identica attività. Lo stesso giudice, inoltre,

ha persino escluso che l'attività lavorativa cui era tenuto il di

pendente, per contratto e in relazione al suo livello (A) ricoper to all'epoca dell'invenzione (ante febbraio 1981) potesse ricom

prendere un impegno diretto ad un risultato creativo: dall'esa

me delle modalità concrete di svolgimento del rapporto, nonché

delle deposizioni testimoniali, ha tratto la conclusione — in questa sede non sindacabile perché esente da vizi logici — che l'attività

dedotta in contratto era una mera attività di progettazione ter

modinamica e meccanica su macchine già acquisite e realizzate

e non già un'attività finalizzata alla ricerca di soluzioni tecniche

di tipo inventivo. Con ciò è rimasto quindi dimostrato che il

risultato inventivo raggiunto dallo Zanobini non rientrava tra

gli obiettivi prefigurati dalle parti, attraverso le mansioni affi

date, il che spiega anche il motivo per cui non era stato previsto

alcun corrispettivo per compensare un tale risultato inventivo.

A queste conclusioni non contraddice la circostanza che tra

quelle mansioni fossero ricomprese anche le attività di progetta zione: secondo la dottrina e la giurisprudenza (specialmente quella

sviluppatasi in sede arbitrale) rispetto ad attività genericamente dette di progettazione o di sviluppo, o di studio, occorre in

concreto accertare se le medesime siano dedite precipuamente a compiti in cui possa ravvisarsi attività inventiva. Del tutto

correttamente, quindi, il tribunale ha orientato in questa dire

zione la sua indagine di merito, giungendo alla conclusione che

l'impostazione di complessi progetti, di per sé esaustivamente

innovativi, rientrava nelle competenze di chi ricopriva il livello

di A/1, superiore a quello rivestito dallo Zanobini il quale era

invece tenuto, per contratto, a fornire un singolo impulso tecni

co, consiglio, o parere, attività, questa che si traduceva nell'ap

plicazione dei progetti di sviluppo sull'esistente, ovvero nel per

fezionamento di macchinari già acquisiti dalla società al fine

di adattarne la funzionalità ad esigenze nuove, anche di natura

ambientale.

Per quanto precede, questo collegio ritiene di dover confer

mare sul punto la sentenza impugnata che ha riconosciuto al

resistente non il diritto ad un quid pluris della retribuzione in

applicazione dell'art. 36 Cost, (che sembrerebbe disposta a rico

This content downloaded from 193.142.30.32 on Sat, 28 Jun 2014 13:37:51 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 6: sezione lavoro; sentenza 21 luglio 1998, n. 7161; Pres. Panzarani, Est. Foglia, P.M. Leo (concl. conf.); Soc. Nuovo Pignone (Avv. Cavaliere) c. Zanobini (Avv. Manfredini, Bacci). Conferma

1555 PARTE PRIMA 1556

noscere la società ricorrente nel ricorso per cassazione), ma il

diritto all'equo premio previsto dal 2° comma dell'art. 23.

Esaminando il terzo ed ultimo motivo di ricorso, riguardante la liquidazione di tale premio, va ricordato che già il giudice di appello aveva rilevato come la doglianza espressa dalla socie

tà in quel grado si era limitata ad una critica generica non se

guita dall'indicazione di specifici motivi di irragionevolezza o

errori nel calcolo operato dal primo giudice. L'art. 23, 2° comma, come già ricordato sopra, stabilisce che

l'equo premio si determina in base all'importanza dell'invenzio

ne. Questa rappresenta, come si è visto, un risultato ulteriore

rispetto alla prestazione promessa dal lavoratore e, dunque, è

logico che sia compensata a parte.

L'importanza del prodotto creativo può consistere nel valore

obiettivo del trovato, non posto in correlazione alle possibilità concrete di sfruttamento da parte dell'imprenditore. Si deve te

ner conto degli utili prevedibili in relazione al tipo di attività

esercitata dall'impresa, senza alcuna possibilità di sostituire alla

prevedibilità la concreta quantità degli utili conseguiti (Cass.

329/79). Una volta stabilito il valore economico dell'invenzio

ne, occorre tener conto di altri fattori quali la retribuzione per

cepita dal dipendente in relazione al tempo impiegato per con

seguire il risultato inventivo, il tipo di attività svolta dall'inven

tore, e il contributo aziendale al conseguimento dell'invenzione.

Seguendo l'orientamento seguito anche dalla giurisprudenza

arbitrale, e condiviso da questa corte (sent. 2 aprile 1990, n.

2646, id., Rep. 1990, voce cit., n. 131) la sentenza impugnata ha adottato una formula analoga a quella adottata in Germania

(c.d. «formula tedesca»), rispetto alla quale la scelta compiuta dal giudice di merito non si espone a censure in questa sede.

Per le ragioni che precedono, il ricorso va, quindi, respinto.

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 21 lu

glio 1998, n. 7128; Pres. Corda, Est. A. Finocchiaro, P.M. Morozzo Della Rocca (conci, conf.); Ghibaudi (Avv. Ca

stana) c. Associazione italiana ospedalità privata (Avv. Zan

chini). Dichiara inammissibile ricorso avverso Pret. Torino 19 febbraio 1994.

Esecuzione forzata in genere — Opposizione all'esecuzione —

Istanza di sospensione — Rigetto — Rimessione al giudice competente per il merito — Ricorso per cassazione — Inam missibilità.

Competenza civile —r Opposizione all'esecuzione — Provvedi

menti del giudice dell'esecuzione — Regolamento — Inam missibilità (Cost., art. Ill; cod. proc. civ., art. 42, 616, 642).

È inammissibile il ricorso straordinario per cassazione avverso

l'ordinanza con cui il giudice, investito di opposizione all'ese

cuzione, respinga l'istanza di sospensione e rimetta le parti dinanzi al giudice che gli appaia competente per il merito. (1)

Il provvedimento adottato dal giudice dell'esecuzione — sia es so di prosecuzione innanzi a sé del procedimento di opposi zione all'esecuzione, sia esso di rimessione al giudice ritenuto

competente — ove non contenga un 'espressa pronuncia sulla

competenza, costituisce atto ordinatorio di direzione del pro cesso esecutivo, non avente contenuto decisorio implicito sul la competenza, vi sia stato o meno contrasto tra le parti in ordine al giudice competente, con la conseguenza che avverso lo stesso non è proponibile il ricorso per regolamento di com

petenza. (2)

(1-2) Con la pronuncia in rassegna le sezioni unite — decidendo un ricorso proposto dal debitore esecutato, attore in opposizione ai sensi dell'art. 615, 2° comma, c.p.c., avverso il provvedimento del pretore, quale giudice dell'esecuzione, che, denegata la sospensione dell'esecu zione, ha rimesso le parti dinanzi al giudice del lavoro per il prosieguo del giudizio di opposizione — hanno composto il seguente contrasto

Il Foro Italiano — 1999.

Svolgimento del processo. — Con atto di precetto notificato

il 19 maggio 1993, l'Associazione italiana ospedalità privata

(Aiop) intimava a Bruno Ghibaudi la restituzione della somma

di lire 23.462.264 (di cui lire 13.933.079 quale sorte capitale, lire 9.589.185 per interessi e lire 2.940.000 per spese e diritti) indebitamente percepita dallo stesso in esecuzione di sentenza

del Tribunale di Roma 15 maggio 1989, n. 6179, poi riformata

dalla Corte d'appello di Roma, con decisione confermata dalla

Corte di cassazione con sentenza n. 801 del 1993 (Foro it., Rep.

1993, voce Diritti d'autore, n. 77).

di giurisprudenza: «se il provvedimento con il quale il giudice dell'ese

cuzione, cui sia stato proposto ricorso in opposizione ex art. 615 c.p.c., disponga per il prosieguo della causa ai sensi del successivo art. 616

c.p.c., facendo luogo all'istruzione (se l'ufficio giudiziario al quale ap partiene è competente per il merito) ovvero rimettendo le parti davanti all'ufficio competente per valore, integri o meno una decisione sulla

competenza suscettibile di ricorso per regolamento». Prima di arrivare alla soluzione la Suprema corte dichiara, nel caso

di specie, inammissibile il ricorso per cassazione ai sensi dell'art. Ili Cost. — così decidendo sui primi due motivi basati sulla violazione di legge derivante dall'indebita ingerenza dei profili di merito nella fase di giudizio sulla chiesta sospensione dell'esecuzione e dell'erronea inter

pretazione del titolo esecutivo —, richiamando la giurisprudenza co stante in tema di provvedimenti del giudice dell'esecuzione ex art. 612

c.p.c. secondo cui la determinazione del mezzo di gravame proponibile avverso una determinata statuizione è in funzione del contenuto della stessa [è risalente l'orientamento per il quale nell'ambito dell'esecuzione

degli obblighi di fare e disfare i provvedimenti che non siano meramen te ordinatori — poiché dirimono una controversia insorta fra le parti in ordine alla portata sostanziale del titolo — assumono la natura di sentenza impugnabile con l'appello: Cass. 10 aprile 1992, n. 4407, Foro

it., 1994, I, 2864, con nota di richiami; 20 settembre 1990, n. 9584, id., Rep. 1991, voce Esecuzione forzata in genere, n. 48, e Riv. giur. lav., 1991, II, 248, con nota di Prasca; ovvero che decidono su un'ec cezione di litispendenza o continenza, nonché questioni pregiudiziali re lative al diritto di procedere all'esecuzione, contenendo un'implicita di chiarazione di legittimazione, sono impugnabili con il regolamento di

competenza: Cass. 9 marzo 1983, n. 1781, Foro it., Rep. 1983, voce

Competenza civile, n. 190. Il principio in oggetto è stato ribadito anche

per il provvedimento relativo all'istanza di sospensione riconoscendo ad esso natura ordinatoria con conseguente inammissibilità del regola mento (Cass. 11 dicembre 1990, n. 11776, id., Rep. 1990, voce Esecu zione forzata in genere, n. 71), che però torna ad essere proponibile se il giudice dell'esecuzione declina la competenza a decidere su tale istanza (v. Cass. 9 dicembre 1993, n. 12149, id., Rep. 1993, voce Com

petenza civile, n. 115; 14 maggio 1979, n. 2775, id., Rep. 1979, voce Esecuzione forzata in genere, n. 93)].

Di poi le sezioni unite, decidendo in ordine al terzo motivo, relativo all'erronea individuazione del giudice cui rimettere la trattazione del

l'opposizione, che è da ritenere eventuale oggetto di regolamento di

competenza e non di ricorso straordinario (per il costante orientamento secondo il quale un ricorso in Cassazione può essere, anche d'ufficio, convertito in un regolamento di competenza se di questo ha tutti i re quisiti formali e sostanziali, in particolare il rispetto del termine di cui all'art. 47, 2° comma, c.p.c., v. Cass. 22 agosto 1996, n. 7751, id., Rep. 1996, voce Competenza civile, n. 159; 29 marzo 1995, n. 3742, id., Rep. 1995, voce cit., nn. 150, 188; 4 giugno 1994, n. 5431, id., 1995, I, 2948; 14 aprile 1993, n. 4442, id., Rep. 1993, voce cit., n. 113; 7 agosto 1990, n. 7968, id., Rep. 1990, voce cit., n. 138; 11 luglio 1985, n. 4125, id., Rep. 1985, voce cit., n. 139), negano la conversione del ricorso in regolamento di competenza, ritenendo che uno dei pre supposti necessari per tale conversione è che si sia in presenza di una pronuncia sulla competenza, che nella specie non è individuabile; inve ro dopo approfondita disamina di non univoci precedenti, concludono che «il provvedimento impugnato . . . non contiene alcuna pronuncia esplicita sulla competenza del giudice adito, ma è puramente delibato rio della competenza di altro giudice, con la conseguenza che il ricorso per cassazione avverso lo stesso proposto non è convertibile in ricorso con regolamento di competenza». Il contrasto interpretativo va risolto nel senso che i provvedimenti di cui all'art. 616 sono adottati sempre dal giudice cui compete la direzione del processo esecutivo, sicché la sua è una semplice indicazione del giudice competente, e quindi non

assoggettabile a regolamento. Pure condividendo la tesi secondo cui in presenza di una contestazione delle parti sulla competenza del giudice dell'esecuzione sussiste l'obbligo di quest'ultimo di affrontare e decide re la questione, si osserva che l'inosservanza di tale obbligo genera sol tanto un'omissione di pronuncia che dà al soggetto interessato la facol tà di farla valere, nei limiti previsti dall'ordinamento, come violazione dell'art. 112 c.p.c., ma non consente di ravvisare una decisione implici ta sulla competenza (diverso problema — che per la Suprema corte non si pone nella specie in esame e quindi non si esamina — è quello del rimedio esperibile quando il giudice dell'esecuzione abbia la pote st as decidendi).

This content downloaded from 193.142.30.32 on Sat, 28 Jun 2014 13:37:51 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions


Recommended