sezione lavoro; sentenza 21 luglio 1998, n. 7161; Pres. Panzarani, Est. Foglia, P.M. Leo (concl.conf.); Soc. Nuovo Pignone (Avv. Cavaliere) c. Zanobini (Avv. Manfredini, Bacci). ConfermaTrib. Firenze 28 giugno 1995Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 5 (MAGGIO 1999), pp. 1547/1548-1555/1556Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23193481 .
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1547 PARTE PRIMA 1548
l'art. 1117 c.c., va identificata con la porzione di terreno su
cui poggia l'intero edificio, cioè con la parte inferiore della co
struzione posta al di sotto del piano cantinato più basso (Cass. 29 giugno 1985, n. 3882, id., Rep. 1985, voce cit., n. 24).
Rispetto all'edificio soggetto al regime del condominio, il sot
tosuolo non si identifica, come di consueto, con la zona al di
sotto del piano di campagna, sibbene con la porzione di terreno
in profondità, posta al di sotto dell'area che sta alla base del
fabbricato, nella quale poggiano le fondamenta.
2.4. - In linea generale, a norma dell'art. 1117 c.c. cit., costi
tuiscono oggetto di proprietà comune, in favore dei proprietari dei piani o delle porzioni di piano siti nell'edificio, le cose, gli
impianti ed i servizi, elencati specificamente o enunciati per re
lationem, che sono necessari per l'esistenza o funzionalmente
sono destinati all'uso o al servizio delle loro unità immobiliari.
L'attribuzione del condominio ex lege non opera quando un
bene tra quelli contemplati dall'art. 1117, per le sue obiettive
caratteristiche materiali e funzionali, si presenti dotato di una
propria individualità economica e, quindi, non risulti legato dalla
relazione di accessorietà rispetto ai piani e alle porzioni di pia no. L'attribuzione in comune viene meno, cioè «quando il be
ne, per le sue obiettive caratteristiche strutturali, si presenti do
tato di una propria autonomia e indipendenza e quindi non le
gato ad una destinazione di servizio rispetto all'edificio
condominiale» (Cass. 29 giugno 1985, n. 3882, cit.). Come in tutti i diritti reali, nel condominio l'interesse svolge
la funzione di fondamento, di limite «interno» e di criterio per l'individuazione dell'oggetto della tutela giuridica. Poiché il di
ritto subiettivo (di natura reale) rappresenta il mezzo preordina to per garantire, in modo immediato, la relazione quae inter est tra il soggetto ed il bene, cui rigorosamente è proporziona to, il diritto esiste in funzione dell'interesse e all'interesse ade
gua la tutela.
Nella relazione oggettiva (quae inter est) tra il soggetto ed il bene, la posizione favorevole del soggetto rispetto all'oggetto viene garantita in quanto soddisfa i bisogni, alla stregua delle
possibilità concrete di utilizzazione offerte dal bene ed in con
formità alla natura del diritto. Dove non esiste l'utile, non esi ste l'interesse e non v'è ragione per la tutela giuridica.
Per conseguenza, relativamente al terreno posto al di sotto del piano di campagna, quando in esso viene costruito un locale
che, per le sue caratteristiche materiali e funzionali, si presenti come vano a sé, suscettibile di autonomo godimento e, come
tale, non necessario per l'esistenza o per il servizio dei piani o delle porzioni di piano e, in sintesi, dell'intero edificio (per ché non è destinato, per esempio, al passaggio delle tubazioni o alla collocazione degli impianti pertinenti all'edificio), il dirit to di condominio non nasce ex lege come conseguenza del fra zionamento dell'unica proprietà sul fabbricato. In questo caso, infatti, non sussiste un interesse comune, connesso con l'utiliz zazione ed il godimento del bene in funzione di tutte le unità immobiliari (in sintesi, dell'intero edificio), che giustifichi l'at tribuzione della proprietà comune. Il bene, perciò, resta sogget to al diritto preesistente.
2.6. - Alla luce dei principi esposti appare corretta la qualifi cazione compiuta dalla corte, secondo cui la fattispecie viene ad essere disciplinata non dalle norme, che riguardano l'esten sione della proprietà del suolo al sottosuolo, sibbene dagli art.
952, 2° comma, e 955 c.c., avendo la società alienato — in un edificio soggetto al regime del condominio (fabbricato esafa
miliare) — la sola proprietà della costruzione esistente fino al solaio dell'unità immobiliare posta all'altezza del piano di cam
pagna (terra), e non anche la proprietà del bene autonomo po sto al di sotto.
Perciò, ai fini della decisione non è rilevante il fatto che la società venditrice non si sia espressamente riservata la proprietà del sottosuolo e che non l'abbia alienata a terzi. Avuto riguar do al ricordato oggetto del contratto di vendita, la collocazione del locale al di sotto del piano di campagna non esclude il per durare della titolarità, in capo alla venditrice, della proprietà dell'unità immobiliare dotata di autonoma funzionalità e venu ta ad esistenza prima della vendita ai coniugi Cauti e Vitali.
Il primo ed il secondo motivo devono essere disattesi. 3. - Non può essere accolto neppure il terzo. Poiché la funzione della trascrizione della domanda giudizia
le è di assicurare all'attore gli effetti della pronunzia favorevole sulla domanda proposta in un determinato giudizio, se la do
li. Foro Italiano — 19S9.
manda viene rigettata, viene meno anche la funzione della tra
scrizione e cessano gli effetti della pubblicità che risulta inutil
mente compiuta, senza possibilità di utilizzare tali effetti in un
giudizio autonomo.
Pertanto, con la pronunzia di rigetto della domanda, dal giu dice del merito deve essere ordinata, anche d'ufficio, la cancel
lazione della trascrizione della domanda giudiziale effettuata ai
sensi degli art. 2652 e 2653 c.c. (Cass. 21 febbraio 1991, n.
1859, id., Rep. 1991, voce Trascrizione, nn. 29, 33). 4. - Al rigetto del ricorso segue la condanna dei ricorrenti
in solido alla rifusione delle spese.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 21 luglio 1998, n. 7161; Pres. Panzarani, Est. Foglia, P.M. Leo (conci,
conf.); Soc. Nuovo Pignone (Avv. Cavaliere) c. Zanobini
(Avv. Manfredini, Bacci). Conferma Trib. Firenze 28 giu gno 1995.
Brevetti per invenzioni industriali — Invenzione di servizio e
invenzione d'azienda — Differenza (R.d. 29 giugno 1939 n.
1127, testo delle disposizioni legislative in materia di brevetti
per invenzioni industriali, art. 23). Brevetti per invenzioni industriali — Invenzioni d'azienda —
Diritto all'equo premio (R.d. 29 giugno 1939 n. 1127, art. 23). Brevetti per invenzioni industriali — Invenzioni d'azienda —
Equo premio — Determinazione (R.d. 29 giugno 1939 n. 1127, art. 23).
Quando l'attività inventiva non costituisce l'oggetto del con tratto di lavoro subordinato e non è prevista una retribuzione a compenso della stessa, l'invenzione del dipendente fatta du rante lo svolgimento delle sue mansioni si configura come
invenzione d'azienda e non come invenzione di servizio per la quale invece è prevista una specifica retribuzione in com
penso dell'attività inventiva. (1)
(1) Oggetto della sentenza in epigrafe è l'adozione di un criterio di stintivo tra invenzione di servizio e invenzione d'azienda, entrambe con template dall'art. 23 r.d. 29 giugno 1939 n. 1127. Queste due figure sono accomunate dal fatto che l'invenzione di cui è autore un lavorato re subordinato «è fatta nell'esecuzione o nell'adempimento di un con tratto o di un rapporto di lavoro». In entrambi i casi il lavoratore, pur se riconosciuto autore dell'invenzione, viene spogliato dei diritti economici sulla stessa, a favore del datore di lavoro; si verifica cioè un'eccezionale dissociazione tra la persona titolare del diritto al brevet to e la figura dell'inventore.
Numerose sono state le pronunce sull'argomento, peraltro, in linea abbastanza uniforme (cfr., da ultimo, Cass. 5 novembre 1997, n. 10851, Foro it., 1998, I, 490). Ciò che distingue le due fattispecie consiste nella previsione o meno di una retribuzione specifica quale compenso di un'at tività inventiva contemplata dal contratto di lavoro. Se l'attività inven tiva non è né prevista contrattualmente né retribuita, il lavoratore ha diritto a ricevere un «equo premio».
Spesso, tuttavia, la volontà contrattuale non è chiara e diventa diffi cile capire se esiste effettivamente una correlazione specifica tra com penso retributivo, aumentato rispetto alla categoria di appartenenza, e obbligo inventivo assunto dal lavoratore; vengono pertanto fissati cri teri interpretativi diversi, che a volte — come nel caso surriportato —
considerano l'elemento retributivo determinante ai fini della distinzione (cfr. Cass. 5 dicembre 1985, n. 6117, id., Rep. 1986, voce Brevetti, nn. 102, 103, e, per esteso, Nuova giur. civ., 1986, I, 556, con nota di Angiello), altre volte lo considerano indice utilizzabile per la quali ficazione della fattispecie, ma non in via preminente ed esclusiva (cfr. Cass. 6 marzo 1992, n. 2732, Foro it., Rep. 1992, voce cit., n. 102, e Dir. lav., 1993, II, 139, con nota di Bettini; Pret. Modena 4 novem bre 1994, Foro it., Rep. 1996, voce cit., nn. 175-180, e, per esteso, Giur. dir. ind., 1995, 645); in questo secondo caso la retribuzione do vrebbe costituire la chiave di lettura solo qualora né dal contratto, né
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Il dipendente autore della c.d. invenzione d'azienda ha il diritto
di ricevere dal datore di lavoro un equo premio quale inden
nizzo per l'espropriazione del diritto di utilizzazione econo
mica dell'invenzione stessa. (2)
L'equo premio va determinato tenendo conto sia del valore eco
nomico dell'invenzione, commisurato agli utili prevedibili in
relazione al tipo di attività esercitata dall'impresa, sia della
retribuzione percepita dal dipendente in relazione al tempo
impiegato per conseguire il risultato inventivo, sia del tipo di attività svolta dall'inventore e del contributo aziendale al
conseguimento dell'invenzione (c.d. formula tedesca). (3)
dall'esame delle mansioni in concreto svolte dal lavoratore sia possibile inquadrare la fattispecie (cfr. Cass. 5 marzo 1993, n. 2711, Foro it.,
Rep. 1994, voce cit., n. 124). Non si può, peraltro, nemmeno affermare che la «mancata corresponsione di uno speciale compenso per l'attività inventiva» escluda <da ricorrenza della fattispecie di cui al 1° comma dell'art. 23 r.d. 1127/39», quando invece le mansioni effettivamente svolte dal lavoratore consistono nell'espletamento di attività a carattere
prevalentemente inventivo (cfr. Cass. 6 marzo 1992, n. 2732, cit.; Pret. Milano 11 settembre 1987, id., Rep. 1988, voce Lavoro e previdenza (controversie), nn. 63, 64, e Dir. lav., 1988, II, 214).
Il giudice deve accertare se «esiste una specifica correlazione causale tra la prestazione lavorativa ed il corrispettivo», se cioè l'aumento retri
butivo, rispetto alla categoria di appartenenza, sia effettivamente desti nato a compensare un'attività inventiva (cfr. Cass. 13 aprile 1991, n.
3991, Foro it., Rep. 1994, voce Brevetti, nn. 121, 125-129); tale indagi ne va effettuata mediante uno «specifico esame delle clausole contrat tuali». L'interpretazione della volontà negoziale deve, tuttavia, ispirarsi a «rigorosi criteri restrittivi» nell'inquadramento del rapporto nell'am bito della fattispecie contemplata nel 1° comma dell'art. 23 (cfr. Cass. 13 aprile 1991, n. 3991, cit.; 16 gennaio 1979, n. 329, id., 1979, I,
1416), in quanto tale norma deroga al principio generale dell'attribuzio
ne all'inventore dei diritti derivanti dall'invenzione, per trasferirli ad
altro soggetto, senza alcun corrispettivo patrimoniale. Per parte della dottrina, nell'interpretazione del contratto di lavoro,
il ruolo assunto dalla clausola contenente la previsione di una specifica retribuzione dell'attività inventiva va ridimensionato, nel senso che essa
può costituire l'indizio nell'identificazione della sussistenza in concreto della fattispecie contemplata dal 1° comma dell'art. 23, ma non l'«uni
co elemento differenziatore» (così Perugini, Validità del brevetto e «diritti
quesiti» del dipendente inventore, in Riv. dir. ind., 1993, II, 360). In
realtà, l'elemento rilevante ai fini della qualificazione deve esser l'og
getto del rapporto di lavoro, e in particolare la relazione tra lavoro
prestato e invenzione realizzata (cfr. Bettini, Le invenzioni del lavora
tore, in Dir. lav., 1993, II, 139). Della stessa opinione, Cottino (Dirit to commerciale, Padova, 1993, vol. I, tomo I, 3a ed., aggiornata con
il d.l. 4 dicembre 1992 n. 480, 351) che identifica l'elemento differen
ziatore tra il 1° e il 2° comma dell'art. 23 nel fatto che nel 1° comma, l'attività inventiva è in obligatione.
(2) Altro problema ampiamente dibattuto è quello riguardante l'indi
viduazione della natura giuridica dell'equo premio. La corte, nella sen
tenza in rassegna, lo definisce una prestazione a carattere indennitario; la sua finalità è quella di compensare una prestazione straordinaria del
lavoratore (l'invenzione) né dovuta, né retribuita dal datore di lavoro;
quest'ultimo, infatti, in base al dettato legislativo, diviene titolare del
diritto di sfruttamento economico sull'invenzione del lavoratore, a sua
volta espropriato del suddetto e pertanto avente diritto ad una qualche forma di compenso.
Già in passato la Cassazione aveva definito l'equo premio «contro
prestazione straordinaria di carattere indennitario, corrisposta una tan
tum» a fronte di una «prestazione straordinaria, rappresentata dal ri
sultato inventivo», escludendo sia la definizione di prezzo, che presup
porrebbe l'esistenza di un negozio traslativo, sia quella di retribuzione
che invece dovrebbe esser supportata da una previsione contrattuale di
un'attività lavorativa a carattere inventivo (cfr. Cass. 16 gennaio 1979, n. 329, cit.; 13 aprile 1991, n. 3991, cit.; Trib. Milano 16 dicembre
1994, Foro it., Rep. 1995, voce Brevetti, n. 230, e, per esteso, Orient,
giur. lav., 1994, 818; Trib. Napoli 30 luglio 1984, Foro it., Rep. 1985, voce cit., n. 107, e Giur. it., 1985, I, 2, 496, con nota di Balletti).
Malgrado gran parte della dottrina abbracci la definizione fornita
dalla giurisprudenza maggioritaria (cfr. Vidiri, Le invenzioni dei lavo
ratori dipendenti, id., 1989, IV, 95), non è mancato chi ha visto nell'e
quo premio il prezzo pagato al lavoratore per lo sfruttamento dei diritti
economici sull'invenzione, inquadrando il rapporto nella vendita di co
sa futura (cfr. Auletta e Mangini, Delle invenzioni industriali, in Com
mentario Scialoja-Branca, 1973, 89, sub art. 2584-2601); oppure, chi
l'ha definita prestazione a carattere retributivo, affermando che in en
trambe le ipotesi disciplinate dall'art. 23 il risultato inventivo sarebbe
contrattualmente contemplato, solo che per l'invenzione di servizio il
contratto prevede anche la corresponsione di un contributo speciale a
fronte dell'obbligo assunto dal lavoratore (cfr. Romagnoli, L'art. 24
della legge sui brevetti è una norma da rifare?, in Riv. trim. dir. e
Il Foro Italiano — 1999.
Svolgimento del processo. — Con sentenza dell'11 novembre
1994 il Pretore di Firenze condannava la soc. Nuova Pignone
s.p.a. al pagamento della somma di lire 112.000.000, oltre ac
cessori, in favore dell'ing. Alessandro Zanobini a titolo di equo
premio, in base all'art. 23, 2° comma, r.d. 29 giugno 1939 n.
1127, in relazione all'invenzione, effettuata dal ricorrente, di
una macchina denominata «condensatore perfezionato di vapo-' re con raffreddamento ad aria» — poi brevettata dall'azienda — nel corso del rapporto di lavoro protrattosi tra le parti dal
novembre 1972 al 1991, che aveva visto il dipendente impegna
to, con diverse qualifiche ed inquadramenti contrattuali via via
proc. civ., 1964, 1499; Sciarra, Invenzioni industriali (invenzioni del
lavoratore), voce dell' Enciclopedia giuridica Treccani, Roma, 1989, XVII); o chi addirittura ha parlato di integrazione retributiva, individuando una sorta di premio, volto a rispettare il principio di proporzionalità che deve sussistere tra lavoro e retribuzione ex art. 36 Cost. (cfr. Loca
telo, Invenzione del dipendente, in Contratto e impr., 1989, 746). Alla prima delle succitate teorie (vendita di cosa futura) si è obiettato
che i diritti economici sull'invenzione il datore di lavoro li acquista a titolo originario in virtù della legge, e ciò si evince dal tenore letterale dell'art. 23 1. brevetti che parla di «appartenenza» dei «diritti derivanti dall'invenzione» in capo al datore di lavoro (cfr. Greco-Vercellone, Le invenzioni e i modelli industriali, in Trattato diretto da Vassalli, Torino, 1968, 227).
In merito alla subordinazione del pagamento dell'equo premio alla condicio iuris del conseguimento del brevetto, cfr. Cass. 16 gennaio 1979, n. 329, cit.; 5 dicembre 1985, n. 6117, cit.; 10 gennaio 1989, n. 30, Foro it., Rep. 1989, voce cit., nn. 109-112, e Giust. civ., 1989, I, 1389, con nota di Trerè; 13 aprile 1991, n. 3991, cit.; Trib. Firenze 3 luglio 1989, Foro it., Rep. 1989, voce cit., nn. 113, 114, e Riv. dir.
ind., 1990, II, 619, con nota di Andreucci; Pret. Modena 4 novembre
1994, cit.; contra, Pret. Milano 30 aprile 1981, Foro it., Rep. 1984, voce cit., nn. 67-71.
Il diritto del lavoratore al premio è assoggettato alla prescrizione or dinaria decennale, con decorrenza dalla data di concessione del brevet
to (cfr. Cass. 16 gennaio 1979, n. 329, cit.; 10 gennaio 1989, n. 30, cit.). (3) Il legislatore, individuando «nell'importanza dell'invenzione» il
criterio per determinare l'ammontare dell'equo premio, non ha tuttavia offerto precisi parametri di commisurazione dello stesso; l'ambiguità di detta formula ha indotto dottrina e giurisprudenza a elaborare diver si criteri per stabilire tale premio.
In alcuni casi si è teso a sminuire l'importanza delle concrete possibi lità del singolo datore di lavoro nello sfruttamento economico dell'in
venzione (cfr. Cass. 16 gennaio 1979, n. 329, cit.) per evitare che il
valore dell'invenzione e conseguenzialmente quello dell'equo premio fos
sero rimessi al mero arbitrio del datore di lavoro (cfr. Bernini, Sulla
determinazione dell'equo premio dovuto al lavoratore ai sensi dell'art.
23, 2° comma, r.d. 1127/39, in Riv. critica dir. lav., 1997, 346); si
è invocata pertanto l'adozione di parametri astratti quali gli utili preve dibili, con riferimento al genere di attività esercitata dall'impresa. Ed
è allo stesso criterio che si è ispirata la corte nella sentenza in epigrafe
per determinare il valore economico dell'invenzione. Non sono mancate, tuttavia, pronunce che hanno ritenuto fondamen
tale tenere in considerazione, nella quantificazione del premio, l'effetti
vo «beneficio economico apportato al datore di lavoro dall'invenzione
del lavoratore», sottolineando l'importanza dei profitti e dei risparmi realmente conseguiti mediante l'invenzione (cfr. Trib. Milano 30 aprile 1996, Foro it., Rep. 1997, voce Lavoro (rapporto), n. 1329, e Riv. it. dir. lav., 1997, II, 462, con nota di Pizzoferrato, e Riv. critica dir.
lav., 1997, 346, con nota di Bernini; Trib. Como 11 maggio 1989, Foro it., Rep. 1994, voce Brevetti, nn. 123, 130-133). Del medesimo
orientamento, Cass. 13 aprile 1991, n. 3991, cit., che ha adottato come
indice di validità dell'invenzione, l'elemento temporale legato alla dura
ta dello sfruttamento economico del bene, prescindendo totalmente sia
dal prezzo dell'invenzione sia da un rapporto di proporzionalità con
la retribuzione percepita dall'inventore. La giurisprudenza dominante, tuttavia, come ribadisce la sentenza
in epigrafe, ha ritenuto opportuno prendere in considerazione, oltre al
valore obiettivo dell'invenzione, altri fattori quali la retribuzione perce
pita dal lavoratore, il tipo di attività a cui era adibito quest'ultimo e
il rapporto tra il livello dell'invenzione e il grado di sviluppo tecnico
aziendale. Per tener conto di tutti questi fattori, le corti hanno adottato una
formula appartenente al sistema legislativo tedesco secondo la quale il valore del premio è uguale al valore dell'invenzione moltiplicato per un fattore proporzionale espresso in percentuale risultante da tre ad
dendi: l'iniziativa dell'inventore nella realizzazione dell'invenzione, il
suo contributo creativo e la posizione professionale e retributiva rico
perta dal dipendente nell'azienda (cfr. Cass. 2 aprile 1990, n. 2646,
id., Rep. 1990, voce cit., n. 131; 12 maggio 1990, n. 4091, id., Rep.
1992, voce cit., n. 103; Pret. Ferrara 21 giugno 1986, id., Rep. 1986, voce cit., nn. 105, 106, e, per esteso, Giust. civ., 1986, I, 3232). In
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1551 PARTE PRIMA 1552
più elevati, ma che, al momento dell'invenzione, prevedevano le sole mansioni e compiti di progettista.
Proposto appello da parte della società, e costituitosi il con
traddittorio, il Tribunale di Firenze, con sentenza del 28 giugno 1995 confermava la decisione pretorile.
Premessa l'indubbia «novità» dell'invenzione, del resto con
fermata dalla concessione del brevetto in data 27 agosto 1986, su richiesta della società inoltrata nel febbraio 1981, il tribunale
osservava che all'epoca dell'invenzione lo Zanobini era inqua drato nella categoria A, in relazione alla quale — secondo l'ac
cordo sindacale sull'inquadramento unico del giugno 1971 —
il lavoratore in possesso di tale livello, pur fornito di elevata
preparazione e capacità professionale, non concorre alle attività
lavorative di tipo ideativo. Inoltre, considerato che lo stesso
dipendente solo nel gennaio 1982 era stato inquadrato nella ca
tegoria superiore Al, e che neppure in questo periodo gli veni
vano corrisposti elementi retributivi connessi all'attività inventi
va esplicata, il tribunale rinveniva nel caso in esame l'ipotesi dell'«invenzione di azienda», ex art. 23, 2° comma, cit., da
cui deriva l'obbligo di corrispondere un equo premio, per la
cui quantificazione giudicava corretto il criterio adottato dal giu dice di primo grado (c.d. «formula tedesca» consistente nel pro dotto del valore dell'invenzione moltiplicato per la quantità rap
portata alle caratteristiche lavorative del dipendente inventore, diviso cento).
Avverso la sentenza del Tribunale di Firenze la società ha
proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui repli ca lo Zanobini con controricorso.
Motivi della decisione. — Col primo motivo si denunzia la
violazione e falsa applicazione dell'art. 12 preleggi, dell'art. 23
r.d. 1127/39 e dell'art. 1362 c.c., nonché vizio di motivazione, anche in ordine alla valutazione delle prove (art. 360, nn. 3
e 5, c.p.c.). Si duole la società che il tribunale ha ritenuto ricor
rere nella specie l'invenzione di azienda (anziché l'invenzione
di servizio, di cui al 1° comma dell'art. 23 cit.), senza avere
considerato il contenuto del contratto di lavoro, da cui risulta
va, sin dall'atto di assunzione, che lo Zanobini era stato inseri
to nel settore progettuale delle apparecchiature di scambio ter
questo modo l'equo premio non potrà mai uguagliare il valore econo mico dell'invenzione, ma costituirà sempre una quota parte dello stes
so; ciò in quanto, tutti i fattori adottati per calcolare, mediante la for mula tedesca, il suo ammontare incideranno negativamente sul suo va lore (cfr. Pret. Milano 30 aprile 1981, cit.).
L'adozione della formula tedesca è stata accolta positivamente anche dalla dottrina in quanto ispirata a criteri oggettivi (cfr. Vanzetti-Di
Cataldo, Manuale di diritto industriale, Milano, 1993, 340). La legge sui quadri (1. 13 maggio 1985 n. 190), segnalando l'emersio
ne di una nuova categoria di lavoratori subordinati, introduce alcune novità nella disciplina delle invenzioni: in riferimento alle invenzioni d'azienda e a quelle «di rilevante importanza nei metodi o nei processi di fabbricazione ovvero nell'organizzazione del lavoro», rinvia alla con trattazione collettiva la valutazione dell'invenzione e la definizione del
«corrispettivo economico dell'utilizzazione da parte dell'impresa». Tale normativa rappresenta la prima manifestazione di disciplina convenzio nale ancorata all'autonomia collettiva che tuttavia non ha ancora tro vato riscontro nella contrattazione collettiva (cfr. Sci arra, Invenzioni industriali, cit., 5).
Un cenno infine sul problema processuale del giudice competente a definire l'equo premio, le cui controversie sono state concordemente attribuite alla competenza del pretore in funzione di giudice del lavoro sia dalla dottrina (cfr. Sarti, Appunti sulle invenzioni dei dipendenti, in Riv. dir. ind., 1984, II, 75 ss.; Locatelli, Invenzione del dipenden te, cit., 757) che dalla giurisprudenza (cfr. Cass. 23 aprile 1979, n. 2276, Foro it., 1979, I, 1416; Pret. Milano 11 settembre 1987, cit.; contra, Pret. Torino 7 gennaio 1975, id., 1975, I, 1021).
Anteriormente alla sentenza 14 luglio 1977, n. 127 (id., 1977, I, 1849), con la quale la Corte costituzionale dichiarò illegittimo il 1° comma dell'art. 25 r.d. 1127/39, nella parte in cui non riconosceva al dipen dente né al datore di lavoro la facoltà di adire l'autorità giudiziaria ordinaria nelle controversie riguardanti il premio, il canone e le rispetti ve modalità, l'autorità dotata di competenza esclusiva in tali casi era il collegio arbitrale previsto ed imposto dalla legge (cfr. Coli. arb. 25
gennaio 1974, id., Rep. 1974, voce cit., n. 35; Cass. 23 luglio 1965, n. 1724, id., 1966, I, 96; 5 ottobre 1964, n. 2517, id., Rep. 1964, voce Privative per invenzioni industriali, n. 35; 5 dicembre 1972, n. 3509, id., 1973, I, 2898; App. Milano 13 maggio 1975, id., Rep. 1975, voce
Brevetti, nn. 12, 13, che considerano la competenza del collegio arbitra le esclusiva ed assoluta). [G. Menasci]
Il Foro Italiano — 1999.
mico e dei sistemi di condensazione a vapore e della progetta zione meccanica di scambiatore a fasce tubiero e recipienti a
pressione, e che lo stesso era incaricato dall'azienda di studiare
una soluzione tecnica che evitasse la formazione di ghiaccio nei
condensatori destinati ai paesi freddi. Lo stesso dipendente, de
dicata la sua attività alla ricerca, aveva elaborato un progetto finale brevettabile, nella consapevolezza che l'invenzione si in
quadrava tra quelle «di servizio» e che l'indicazione del suo
nominativo — amministrativamente necessaria — come autore
della macchina, non gli conferiva alcun diritto. Secondo la so
cietà, tutt'al più poteva essere riconosciuto al dipendente un
quid pluris di retribuzione, ma non l'equo premio che si riferi
sce alla diversa fattispecie del lavoratore non specificamente as
sunto per la ricerca.
Con il secondo motivo si deduce la violazione e falsa applica zione degli art. 23 r.d. 1127/39, 416, 2° comma, c.p.c. e 2677
c.c., nonché omessa motivazione su un punto decisivo della con
troversia (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.), avendo il tribunale ritenu
to la macchina dello Zanobini una vera e propria invenzione
industriale, pur in difetto di un accertamento tecnico, in pre senza di un brevetto nullo e in assenza di ogni prova, da parte del dipendente, in ordine alla natura di invenzione industriale
del macchinario da lui progettato. Col terzo motivo si denunzia la violazione e falsa applicazio
ne dell'art. 23 cit. relativamente alla determinazione dell'equo
compenso, nonché l'insufficiente motivazione sul punto (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.) dal momento che, anziché applicare la «for
mula tedesca» che utilizza parametri che danno per risultato
il prezzo dell'invenzione in conformità del diritto tedesco, si
sarebbe dovuto tener conto dell'importanza oggettiva dell'in
venzione stessa.
Tutti e tre i motivi di ricorso sono infondati.
Cominciando dal secondo motivo, logicamente precedente il
primo in quanto pone in questione la stessa natura di invenzio
ne industriale del risultato ottenuto dall'attività lavorativa dello
Zanobini, quale presupposto di fatto della pretesa oggetto del
giudizio, è sufficiente rilevare che la società ricorrente non può disconoscere quella natura, avendo essa stessa riconosciuto i ca
ratteri della originalità ed industrialità, tipici della brevettabili
tà, del condensatore ideato dal resistente, e ciò non solo nella
memoria di costituzione in primo grado, ma anche, già in pre
cedenza, con la stessa richiesta di concessione di brevetto, poi
regolarmente ottenuto.
Né è opponibile l'eventuale vizio del medesimo brevetto, stante
l'acquiescenza che la società vi ha prestato realizzando l'inven
zione e sfruttandone i relativi diritti.
Il primo motivo di ricorso rende necessaria una sintetica rico
struzione del significato dell'art. 23 r.d. 21 giugno 1939 n. 1127, della sua posizione nel sistema e della sua inerenza con il rap
porto individuale di lavoro.
La norma stabilisce al 1° comma che quando l'invenzione
«è fatta nell'esecuzione o nell'adempimento di un contratto o
di un rapporto di lavoro o d'impiego, in cui l'attività inventiva
è prevista come oggetto del contratto o del rapporto e a tale
scopo retribuita, i diritti derivanti dall'invenzione stessa appar
tengono al datore di lavoro . . .».
Il 2° comma aggiunge che, «se non è prevista una retribuzio
ne, in compenso dell'attività inventiva, e l'invenzione è fatta
nell'esecuzione o nell'adempimento di un contratto o di un rap
porto di lavoro o d'impiego, i diritti derivanti dall'invenzione
appartengono al datore di lavoro, ma all'inventore . . . spetta un equo premio per la determinazione del quale si terrà conto
dell'importanza dell'invenzione».
Leggendo i due commi in connessione tra loro e con riferi
mento ai principi generali dell'ordinamento (secondo quanto im
pone l'art. 12 disp. prel. c.c.), si rileva che essi hanno in comu
ne almeno due elementi: da una parte la circostanza che l'in
venzione è avvenuta nell'ambito dell'esecuzione del contratto di lavoro subordinato, dall'altra la conseguenza dell'apparte nenza al datore di lavoro dei diritti patrimoniali derivanti dal
l'invenzione — fermo restando, in ogni caso, il diritto morale
del dipendente ad essere considerato autore dell'invenzione.
L'attribuzione (a titolo originale) al datore di lavoro dei dirit ti patrimoniali rappresenta un sensibile scostamento rispetto al
principio fondamentale in materia brevettuale secondo cui è l'au tore dell'invenzione ad essere titolare dei diritti di utilizzazione economica (art. 1 e 18 r.d. cit.). Tale scostamento — compren
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
sibile per l'apporto, a volte decisivo, che l'organizzazione del
l'impresa conferisce alla genesi ed all'attuazione dell'invenzione — giustifica la necessità (già avvertita da Cass. 16 gennaio 1979, n. 329, Foro it., 1979, I, 1416) di un'interpretazione restrittiva
delle regole che escludono il diritto del dipendente all'equo
premio. La previsione del beneficio che il 2° comma dell'art. 23 rico
nosce al dipendente (espropriato del diritto di utilizzazione eco
nomica) risponde infatti ad una logica indennitaria che si coglie valorizzando lo specifico contenuto del contratto individuale di
lavoro voluto dalle parti. Ed infatti il dato nettamente differen
ziale tra le fattispecie previste dai due commi, risiede nell'essere
o non «prevista una retribuzione» in compenso dell'attività in
ventiva: solo nel 1° comma, infatti, l'attività inventiva, o, co
munque il suo perseguimento (Cass. 6 marzo 1992, n. 2732,
id., Rep. 1992, voce Brevetti, n. 102) è prevista come oggetto del contratto o del rapporto e «a tale scopo» retribuita.
Emerge, allora, con chiarezza il connotato distintivo della fat
tispecie del 2° comma dell'art. 23 (la c.d. «invenzione d'azien
da») rispetto a quella di cui al 1° comma (la c.d. «invenzione
di servizio»): nell'invenzione d'azienda la prestazione del dipen dente non consiste nel perseguimento di un risultato inventivo,
sicché il conseguimento di questo non rientra nell'oggetto del
l'attività dovuta, anche se resta pur sempre collegata a questa stessa attività.
Certo, l'invenzione non deve essere del tutto occasionale o
spontanea, né completamente estranea all'oggetto, in senso tec
nico del contratto (ma non è questa l'ipotesi in esame) perché in tal caso essa rientrerebbe piuttosto nella previsione dell'art.
24 della stessa legge brevetti, che, come noto, conferisce al da
tore di lavoro soltanto un diritto di prelazione sull'utilizzazione
economica dell'invenzione, la cui titolarità appartiene, in origi
ne, al lavoratore inventore.
Presupposto essenziale dell'art. 23 è — come già si è detto
più sopra — che l'invenzione sia stata realizzata «nell'esecuzio
ne o nell'adempimento» del contratto, mentre ciò che manca,
rispetto all'invenzione di servizio, è lo specifico corrispettivo
in cui luogo la legge prevede, appunto, l'equo compenso.
Naturalmente, il discrimine in concreto tra le due fattispecie
a confronto può essere difficile, se non addirittura paradossale,
atteso che ogni prestazione di lavoro subordinato è in sé di mezzi,
mentre l'invenzione è un risultato, per di più aleatorio o meglio
incerto, come invece tende a non essere la retribuzione. Ma a
parte l'ammissibilità, in via di principio, di forme o comunque
di voci o componenti retributive legate al risultato, la previsio
ne del 1° comma dell'art. 23, rispetto a quella del 2° comma,
sta proprio nel fatto che oggetto del contratto sia l'attività in
ventiva, cioè il particolare impegno per raggiungere un risultato
prefigurato dalle parti, dotato dei requisiti della brevettabilità
stabiliti dalla legge, e che, a tale scopo sia prevista una retri
buzione.
Del resto, sul piano interpretativo evolutivo, va tenuto pre
sente che la tecnica legislativa utilizzata dall'art. 23, 2° comma,
trova, sia pure a distanza di parecchi anni, una suggestiva eco
nell'art. 4 1. 13 maggio 1985 n. 190 sui «quadri», il quale stabi
lisce che i contratti collettivi «possono definire le modalità tec
niche di valutazione e l'entità del corrispettivo dell'utilizzazio
ne» (in sostanza, l'equo premio), tra l'altro, per le invenzioni
che «non costituiscano oggetto della prestazione di lavoro de
dotta in contratto, ammettendo, dunque, che l'invenzione, ben
ché costituente risultato, possa a tal punto caratterizzare la pre
stazione da divenirne l'oggetto» (Cass. 6117/85, id., Rep. 1986,
voce cit., n. 102). Altra assonanza del citato art. 23, 2° comma, è possibile scor
gere, sia pure per grandi linee, con le regole relative al patto
di non concorrenza disciplinato dall'art. 2125 c.c. in cui l'e
spropriazione di diritti fondamentali del lavoratore (alla libertà
di lavoro e di iniziativa privata) è valida a condizione che sia riconosciuto un equo compenso. Con la differenza, derivante
dalla diversa struttura dei fatti, che il patto di non concorrenza
è nullo se non è previsto il compenso, mentre, nel caso dell'in
venzione — che essendo già nella sfera del datore di lavoro,
per diretta disposizione di legge, non può essere retrocessa al
dipendente inventore — la tutela dell'interesse del dipendente
è meramente economica e segue l'alternativa o del riconosci
mento della specifica e distinta remunerazione (che è un'alea
per il datore di lavoro, ma esclude il più gravoso equo premio)
Il Foro Italiano — 1999.
ovvero del riconoscimento dell'equo premio che si ha solo nel
caso di invenzione.
Una volta precisato, per quanto sopra esposto, il discrimine
tra le due fattispecie disciplinate dal 1 ° e dal 2° comma dell'art.
23, compito del giudice di merito è quello di accertare — sulla
base dell'interpretazione del contratto basata sui criteri dettati
dall'art. 1362 c.c. — se le parti hanno voluto in effetti pattuire una retribuzione che sia pure in parte si collochi come corri
spettivo dell'obbligo del dipendente di svolgere un'attività in
ventiva.
In proposito questa corte ha, anche di recente (sent. 5 no
vembre 1997, n. 10851, id., 1998, I, 490) sottolineato che si
tratta di indagare sulla volontà delle parti, non operando ex
post, quando l'invenzione è stata conseguita, perché con questo criterio si dovrebbe considerare pattuita l'attività inventiva in
tutti i casi in cui la prestazione lavorativa abbia dato luogo,
comunque, ad un'invenzione, ma indagando ex ante sull'effetti
vo intendimento delle parti (conf. Cass. 329/79 cit.). Né può assumere rilievo la maggiore o minore probabilità
che dall'attività lavorativa pattuita scaturisca l'invenzione, di
tal che, ogniqualvolta sia probabile quel risultato si dovrebbe
automaticamente considerare come rientrante nella previsione contrattuale. Ed infatti, delle due l'una: o le parti hanno espres samente previsto l'invenzione come oggetto dell'attività lavora
tiva, ovvero non l'hanno prevista, ed allora l'elemento probabi
listico, che può essere connaturato alla diversa attività pattuita, non assume rilevanza e non può considerarsi integrata la fatti
specie di cui al 1° comma dell'art. 23.
Se ne trae un'ulteriore conferma dalla dizione del 2° comma
di tale norma il quale riguarda, appunto, l'ipotesi in cui l'in
venzione non è stata prevista come oggetto del contratto, ma
sia stata conseguita nel corso dell'esecuzione del contratto o
del rapporto di lavoro, sicché proprio per questo le parti non
hanno pattuito alcuna retribuzione per l'attività inventiva.
Orbene, il Tribunale di Firenze, attraverso una compiuta in
dagine, ha potuto escludere del tutto che una tale retribuzione
fosse stata prevista dalle parti, considerando — tra l'altro —
che il trattamento economico dello Zanobini non si differenzia
va affatto rispetto a quello riservato ai suoi colleghi di pari
grado e svolgenti identica attività. Lo stesso giudice, inoltre,
ha persino escluso che l'attività lavorativa cui era tenuto il di
pendente, per contratto e in relazione al suo livello (A) ricoper to all'epoca dell'invenzione (ante febbraio 1981) potesse ricom
prendere un impegno diretto ad un risultato creativo: dall'esa
me delle modalità concrete di svolgimento del rapporto, nonché
delle deposizioni testimoniali, ha tratto la conclusione — in questa sede non sindacabile perché esente da vizi logici — che l'attività
dedotta in contratto era una mera attività di progettazione ter
modinamica e meccanica su macchine già acquisite e realizzate
e non già un'attività finalizzata alla ricerca di soluzioni tecniche
di tipo inventivo. Con ciò è rimasto quindi dimostrato che il
risultato inventivo raggiunto dallo Zanobini non rientrava tra
gli obiettivi prefigurati dalle parti, attraverso le mansioni affi
date, il che spiega anche il motivo per cui non era stato previsto
alcun corrispettivo per compensare un tale risultato inventivo.
A queste conclusioni non contraddice la circostanza che tra
quelle mansioni fossero ricomprese anche le attività di progetta zione: secondo la dottrina e la giurisprudenza (specialmente quella
sviluppatasi in sede arbitrale) rispetto ad attività genericamente dette di progettazione o di sviluppo, o di studio, occorre in
concreto accertare se le medesime siano dedite precipuamente a compiti in cui possa ravvisarsi attività inventiva. Del tutto
correttamente, quindi, il tribunale ha orientato in questa dire
zione la sua indagine di merito, giungendo alla conclusione che
l'impostazione di complessi progetti, di per sé esaustivamente
innovativi, rientrava nelle competenze di chi ricopriva il livello
di A/1, superiore a quello rivestito dallo Zanobini il quale era
invece tenuto, per contratto, a fornire un singolo impulso tecni
co, consiglio, o parere, attività, questa che si traduceva nell'ap
plicazione dei progetti di sviluppo sull'esistente, ovvero nel per
fezionamento di macchinari già acquisiti dalla società al fine
di adattarne la funzionalità ad esigenze nuove, anche di natura
ambientale.
Per quanto precede, questo collegio ritiene di dover confer
mare sul punto la sentenza impugnata che ha riconosciuto al
resistente non il diritto ad un quid pluris della retribuzione in
applicazione dell'art. 36 Cost, (che sembrerebbe disposta a rico
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1555 PARTE PRIMA 1556
noscere la società ricorrente nel ricorso per cassazione), ma il
diritto all'equo premio previsto dal 2° comma dell'art. 23.
Esaminando il terzo ed ultimo motivo di ricorso, riguardante la liquidazione di tale premio, va ricordato che già il giudice di appello aveva rilevato come la doglianza espressa dalla socie
tà in quel grado si era limitata ad una critica generica non se
guita dall'indicazione di specifici motivi di irragionevolezza o
errori nel calcolo operato dal primo giudice. L'art. 23, 2° comma, come già ricordato sopra, stabilisce che
l'equo premio si determina in base all'importanza dell'invenzio
ne. Questa rappresenta, come si è visto, un risultato ulteriore
rispetto alla prestazione promessa dal lavoratore e, dunque, è
logico che sia compensata a parte.
L'importanza del prodotto creativo può consistere nel valore
obiettivo del trovato, non posto in correlazione alle possibilità concrete di sfruttamento da parte dell'imprenditore. Si deve te
ner conto degli utili prevedibili in relazione al tipo di attività
esercitata dall'impresa, senza alcuna possibilità di sostituire alla
prevedibilità la concreta quantità degli utili conseguiti (Cass.
329/79). Una volta stabilito il valore economico dell'invenzio
ne, occorre tener conto di altri fattori quali la retribuzione per
cepita dal dipendente in relazione al tempo impiegato per con
seguire il risultato inventivo, il tipo di attività svolta dall'inven
tore, e il contributo aziendale al conseguimento dell'invenzione.
Seguendo l'orientamento seguito anche dalla giurisprudenza
arbitrale, e condiviso da questa corte (sent. 2 aprile 1990, n.
2646, id., Rep. 1990, voce cit., n. 131) la sentenza impugnata ha adottato una formula analoga a quella adottata in Germania
(c.d. «formula tedesca»), rispetto alla quale la scelta compiuta dal giudice di merito non si espone a censure in questa sede.
Per le ragioni che precedono, il ricorso va, quindi, respinto.
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 21 lu
glio 1998, n. 7128; Pres. Corda, Est. A. Finocchiaro, P.M. Morozzo Della Rocca (conci, conf.); Ghibaudi (Avv. Ca
stana) c. Associazione italiana ospedalità privata (Avv. Zan
chini). Dichiara inammissibile ricorso avverso Pret. Torino 19 febbraio 1994.
Esecuzione forzata in genere — Opposizione all'esecuzione —
Istanza di sospensione — Rigetto — Rimessione al giudice competente per il merito — Ricorso per cassazione — Inam missibilità.
Competenza civile —r Opposizione all'esecuzione — Provvedi
menti del giudice dell'esecuzione — Regolamento — Inam missibilità (Cost., art. Ill; cod. proc. civ., art. 42, 616, 642).
È inammissibile il ricorso straordinario per cassazione avverso
l'ordinanza con cui il giudice, investito di opposizione all'ese
cuzione, respinga l'istanza di sospensione e rimetta le parti dinanzi al giudice che gli appaia competente per il merito. (1)
Il provvedimento adottato dal giudice dell'esecuzione — sia es so di prosecuzione innanzi a sé del procedimento di opposi zione all'esecuzione, sia esso di rimessione al giudice ritenuto
competente — ove non contenga un 'espressa pronuncia sulla
competenza, costituisce atto ordinatorio di direzione del pro cesso esecutivo, non avente contenuto decisorio implicito sul la competenza, vi sia stato o meno contrasto tra le parti in ordine al giudice competente, con la conseguenza che avverso lo stesso non è proponibile il ricorso per regolamento di com
petenza. (2)
(1-2) Con la pronuncia in rassegna le sezioni unite — decidendo un ricorso proposto dal debitore esecutato, attore in opposizione ai sensi dell'art. 615, 2° comma, c.p.c., avverso il provvedimento del pretore, quale giudice dell'esecuzione, che, denegata la sospensione dell'esecu zione, ha rimesso le parti dinanzi al giudice del lavoro per il prosieguo del giudizio di opposizione — hanno composto il seguente contrasto
Il Foro Italiano — 1999.
Svolgimento del processo. — Con atto di precetto notificato
il 19 maggio 1993, l'Associazione italiana ospedalità privata
(Aiop) intimava a Bruno Ghibaudi la restituzione della somma
di lire 23.462.264 (di cui lire 13.933.079 quale sorte capitale, lire 9.589.185 per interessi e lire 2.940.000 per spese e diritti) indebitamente percepita dallo stesso in esecuzione di sentenza
del Tribunale di Roma 15 maggio 1989, n. 6179, poi riformata
dalla Corte d'appello di Roma, con decisione confermata dalla
Corte di cassazione con sentenza n. 801 del 1993 (Foro it., Rep.
1993, voce Diritti d'autore, n. 77).
di giurisprudenza: «se il provvedimento con il quale il giudice dell'ese
cuzione, cui sia stato proposto ricorso in opposizione ex art. 615 c.p.c., disponga per il prosieguo della causa ai sensi del successivo art. 616
c.p.c., facendo luogo all'istruzione (se l'ufficio giudiziario al quale ap partiene è competente per il merito) ovvero rimettendo le parti davanti all'ufficio competente per valore, integri o meno una decisione sulla
competenza suscettibile di ricorso per regolamento». Prima di arrivare alla soluzione la Suprema corte dichiara, nel caso
di specie, inammissibile il ricorso per cassazione ai sensi dell'art. Ili Cost. — così decidendo sui primi due motivi basati sulla violazione di legge derivante dall'indebita ingerenza dei profili di merito nella fase di giudizio sulla chiesta sospensione dell'esecuzione e dell'erronea inter
pretazione del titolo esecutivo —, richiamando la giurisprudenza co stante in tema di provvedimenti del giudice dell'esecuzione ex art. 612
c.p.c. secondo cui la determinazione del mezzo di gravame proponibile avverso una determinata statuizione è in funzione del contenuto della stessa [è risalente l'orientamento per il quale nell'ambito dell'esecuzione
degli obblighi di fare e disfare i provvedimenti che non siano meramen te ordinatori — poiché dirimono una controversia insorta fra le parti in ordine alla portata sostanziale del titolo — assumono la natura di sentenza impugnabile con l'appello: Cass. 10 aprile 1992, n. 4407, Foro
it., 1994, I, 2864, con nota di richiami; 20 settembre 1990, n. 9584, id., Rep. 1991, voce Esecuzione forzata in genere, n. 48, e Riv. giur. lav., 1991, II, 248, con nota di Prasca; ovvero che decidono su un'ec cezione di litispendenza o continenza, nonché questioni pregiudiziali re lative al diritto di procedere all'esecuzione, contenendo un'implicita di chiarazione di legittimazione, sono impugnabili con il regolamento di
competenza: Cass. 9 marzo 1983, n. 1781, Foro it., Rep. 1983, voce
Competenza civile, n. 190. Il principio in oggetto è stato ribadito anche
per il provvedimento relativo all'istanza di sospensione riconoscendo ad esso natura ordinatoria con conseguente inammissibilità del regola mento (Cass. 11 dicembre 1990, n. 11776, id., Rep. 1990, voce Esecu zione forzata in genere, n. 71), che però torna ad essere proponibile se il giudice dell'esecuzione declina la competenza a decidere su tale istanza (v. Cass. 9 dicembre 1993, n. 12149, id., Rep. 1993, voce Com
petenza civile, n. 115; 14 maggio 1979, n. 2775, id., Rep. 1979, voce Esecuzione forzata in genere, n. 93)].
Di poi le sezioni unite, decidendo in ordine al terzo motivo, relativo all'erronea individuazione del giudice cui rimettere la trattazione del
l'opposizione, che è da ritenere eventuale oggetto di regolamento di
competenza e non di ricorso straordinario (per il costante orientamento secondo il quale un ricorso in Cassazione può essere, anche d'ufficio, convertito in un regolamento di competenza se di questo ha tutti i re quisiti formali e sostanziali, in particolare il rispetto del termine di cui all'art. 47, 2° comma, c.p.c., v. Cass. 22 agosto 1996, n. 7751, id., Rep. 1996, voce Competenza civile, n. 159; 29 marzo 1995, n. 3742, id., Rep. 1995, voce cit., nn. 150, 188; 4 giugno 1994, n. 5431, id., 1995, I, 2948; 14 aprile 1993, n. 4442, id., Rep. 1993, voce cit., n. 113; 7 agosto 1990, n. 7968, id., Rep. 1990, voce cit., n. 138; 11 luglio 1985, n. 4125, id., Rep. 1985, voce cit., n. 139), negano la conversione del ricorso in regolamento di competenza, ritenendo che uno dei pre supposti necessari per tale conversione è che si sia in presenza di una pronuncia sulla competenza, che nella specie non è individuabile; inve ro dopo approfondita disamina di non univoci precedenti, concludono che «il provvedimento impugnato . . . non contiene alcuna pronuncia esplicita sulla competenza del giudice adito, ma è puramente delibato rio della competenza di altro giudice, con la conseguenza che il ricorso per cassazione avverso lo stesso proposto non è convertibile in ricorso con regolamento di competenza». Il contrasto interpretativo va risolto nel senso che i provvedimenti di cui all'art. 616 sono adottati sempre dal giudice cui compete la direzione del processo esecutivo, sicché la sua è una semplice indicazione del giudice competente, e quindi non
assoggettabile a regolamento. Pure condividendo la tesi secondo cui in presenza di una contestazione delle parti sulla competenza del giudice dell'esecuzione sussiste l'obbligo di quest'ultimo di affrontare e decide re la questione, si osserva che l'inosservanza di tale obbligo genera sol tanto un'omissione di pronuncia che dà al soggetto interessato la facol tà di farla valere, nei limiti previsti dall'ordinamento, come violazione dell'art. 112 c.p.c., ma non consente di ravvisare una decisione implici ta sulla competenza (diverso problema — che per la Suprema corte non si pone nella specie in esame e quindi non si esamina — è quello del rimedio esperibile quando il giudice dell'esecuzione abbia la pote st as decidendi).
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