sezione lavoro; sentenza 21 luglio 2000, n. 9617; Pres. Grieco, Est. Castiglione, P.M. Martone(concl. parz. diff.); Associazione teatro Biondo stabile di Palermo (Avv. Equizzi) c. Carollo (Avv.Morsillo, Chimera). Conferma Trib. Palermo 7 ottobre 1997Source: Il Foro Italiano, Vol. 123, No. 12 (DICEMBRE 2000), pp. 3487/3488-3495/3496Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23194677 .
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3487 PARTE PRIMA 3488
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 21 luglio
2000, n. 9617; Pres. Grieco, Est. Castiglione, P.M. Mar
tone (conci, parz. diff.); Associazione teatro Biondo stabile
di Palermo (Avv. Equizzi) c. Carollo (Avv. Morsillo, Chi
mera). Conferma Trib. Palermo 7 ottobre 1997.
Lavoro (rapporto di) — Contratto a tempo determinato — Con
tratto a termine stipulato ex art. 23 1. 56/87 — Disciplina
generale prevista dalla I. 230/62 — Applicabilità (L. 18 aprile 1962 n. 230, disciplina del contratto di lavoro a tempo deter
minato, art. 1, 2; 1. 28 febbraio 1987 n. 56, norme sull'orga nizzazione del mercato del lavoro, art. 23).
Le disposizioni dell'art. 23 l. 56/87, che consentono la stipula zione di nuove ipotesi di contratto di lavoro a termine, si
inseriscono nel sistema generale delineato dalla l. 230/62, per cui la loro violazione comporta la conversione in rapporto a tempo indeterminato stabilita in via sanzionatoria dall'art.
2 l. 230/62. (1)
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 10 luglio
2000, n. 9174; Pres. De Musis, Est. Castiglione, P.M. Nar di (conci, conf.); Aliprandi (Avv. Leon) c. Soc. Saes Getters
(Avv. Scognamiglio, Trifirò, Fa valli). Conferma Trib. Mi
lano 5 luglio 1997.
Lavoro (rapporto di) — Contratto a tempo determinato — Con
tratto a termine previsto dall'art. 8 I. 223/91 — Riferibilità
al sistema delineato dalla I. 230/62 — Esclusione (L. 18 apri le 1962 n. 230, art. 1, 2; I. 23 luglio 1991 n. 223, norme
in materia di cassa integrazione, mobilità, trattamenti di di
soccupazione, attuazione di direttive della Comunità europea, avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mer
cato del lavoro, art. 8).
La fattispecie di contratto a termine prevista dall'art. 81. 223/91 è del tutto nuova ed autonoma, sia sul piano dei presupposti, sia su quello della disciplina, rispetto alle ipotesi fissate dalla
I. 230/62, con la conseguenza che è consentita alla volontà
delle parti la proroga del termine iniziale del contratto, anche
in assenza dei presupposti oggettivi previsti dalla l. 230/62,
purché sia mantenuta entro il limite dei dodici mesi. (2)
(1-2) I. - Per Cass. 9617/00, l'art. 23 1. 56/87, che ha consentito, «oltre che nelle ipotesi di cui all'art. 1 1. n. 230 del 1962 e successive modificazioni e integrazioni nonché all'art. 8 bis d.l. 17/83, convertito in 1. 79/83», l'apposizione di un termine al contratto di lavoro nelle
ipotesi individuate nei contratti collettivi stipulati con i sindacati nazio nali o locali aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale, si pone in linea di continuità con la disciplina ge nerale stabilita per il contratto di lavoro a tempo determinato dalla 1. 230/62. Gli argomenti, recte, i passaggi dell'unico argomento addot to dalla corte possono così sintetizzarsi: a) la 1. 56/87, non dettando
regole specifiche in ordine al regime del rapporto da instaurare, non contiene alcuna norma incompatibile con le regole generali fissate dalla 1. 230/62; b) nessuna tutela differenziata è prevista dalla 1. 56/87 per i lavoratori assunti con i contratti a termine stipulati ai sensi dell'art. 23.
Conforme, Cass., sez. un., 19 ottobre 1993, n. 10343, Foro it., Rep. 1993, voce Lavoro (rapporto), n. 531.
Sul tema, v. A.M. Persino, Contratto a termine: evoluzione norma tiva ed elaborazione giurisprudenziale, id., 1999, I, 142-144, che dà conto anche della giurisprudenza di merito contraria.
II. - Il contratto a termine previsto dal 2° comma dell'art. 8 1. 223/91, invece, costituisce, secondo Cass. 9174/00, un'ipotesi del tutto nuova ed autonoma rispetto a quelle fissate dalla legge del 1962. La corte valorizza la ratio della norma, che, offrendo ai datori non soltanto incentivi economici, ma anche la possibilità di sottrarsi ai vincoli nor mativi della 1. 230/62, mira ad incentivare l'assunzione di lavoratori in mobilità; ne sottolinea anche l'inutilità, qualora si segua la tesi con traria.
Non constano precedenti nella giurisprudenza di legittimità. Per l'opinione, divisa, della giurisprudenza di merito, v. A.M. Per
rino, Contratto a termine: evoluzione normativa ed elaborazione giuris prudenziale, cit., 144.
III. - Per altri aspetti della disciplina del contratto a termine, v. Cass. 26 settembre 1998, n. 9658, 27 febbraio 1998, n. 2211, e Trib. Monza 25 febbraio 1998, ibid., 134.
Il Foro Italiano — 2000.
I
Svolgimento del processo. — La sig. Laura Cardio, assunta — con contratto a termine in data 1° novembre 1990 e successi
vamente rinnovato — dall'Associazione teatro Biondo stabile
di Palermo, con ricorso del 7 ottobre 1994, chiese al pretore di quella città, in funzione di giudice del lavoro, l'accertamento
della natura subordinata del rapporto di lavoro inter partes e
declaratoria di nullità del termine di durata ad esso apposto
per violazione della 1. n. 230 del 1962, con conseguente conver
sione in contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato
e condanna del teatro stabile al ripristino di detto rapporto e
alla corresponsione delle retribuzioni nel frattempo maturate.
Nella resistenza dell'Associazione teatro Biondo stabile di Pa
lermo, la quale, in via riconvenzionale, chiese la condanna della
ricorrente a restituire la somma di lire 8.000.000, il pretore adi
to, con sentenza del 21 settembre 1995, ritenuta la natura su
bordinata del rapporto di lavoro de quo e dichiarata la nullità
del termine apposto al medesimo, condannò l'associazione con
venuta al pagamento «delle retribuzioni maturate, oltre interes
si e rivalutazione», ponendo a carico della soccombente le spese del grado.
Con decisione del 25 settembre 1997, il tribunale del luogo, adito — con appello — dal teatro Biondo, in parziale accogli mento del gravame, dichiarò che tra le parti era intercorso, dal
29 ottobre 1991, un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato e, per l'effetto, condannò il teatro Biondo appel lante al pagamento — in favore della Carollo — di tutte le
retribuzioni maturate dalla data (4 luglio 1994) di risoluzione
del rapporto, con gli accessori di legge. Il tribunale osservò in motivazione che, sebbene il testo delle
lettere di incarico del 10 giugno 1991, del 29 ottobre 1991, dell'8
gennaio 1992, del 1° luglio 1992, del 18 dicembre 1992, del 19
maggio 1993 e del 28 dicembre 1993, «lasci presumere» che la
volontà delle parti era orientata verso la stipulazione di un con
tratto di lavoro autonomo, tuttavia — alla luce degli elementi
probatori acquisiti — il rapporto aveva concretamente assunto
i connotati di un rapporto di lavoro subordinato, giacché la
Carollo: 1) aveva sempre (e senza soluzione di continuità) espli cato compiti di attrezzeria riguardante tutta l'attività del teatro;
2) anche se non obbligata a timbrare il cartellino, doveva rispet tare il medesimo orario lavorativo dei tecnici attrezzisti, rispon dendo — della sua osservanza — al capo reparto e al direttore
esecutivo; 3) doveva essere autorizzata da costui per potersi al
lontanare temporaneamente dal posto di lavoro e doveva, in
ogni caso, giustificare le eventuali assenze; 4) prestava la sua
attività sulla base delle disposizioni impartite dal capo dei servi
zi tecnici e dal direttore artistico dell'ente teatrale; 5) aveva sem
pre utilizzato strumenti e materiali di proprietà del teatro ed
aveva percepito (nel periodo dal mese di gennaio al mese di
giugno 1994) il compenso pattuito, nonostante la sua assenza
dal lavoro per gravidanza; 6) aveva prestato, continuativamente
e senza soluzione di continuità, la sua attività dal 29 ottobre
1991, e ciò in violazione dell'art. 2 1. n. 230 del 1962; 7) nondi
meno, aveva diritto al riconoscimento di un rapporto di lavoro
a tempo indeterminato dal 29 ottobre 1991.
La cassazione della sentenza di appello è chiesta dall'Associa
zione teatro Biondo stabile di Palermo con ricorso articolato
su quattro motivi.
Carollo Laura resiste con controricorso.
Motivi della decisione. — (Omissis). Con il secondo motivo, l'associazione ricorrente denuncia la violazione e falsa applica zione dell'art. 1, 2° comma, lett. a), 1. 18 aprile 1962 n. 230, dell'art. 49 d.p.r. 7 ottobre 1963 n. 1525, dell'art. 23, 1° com
ma, 1. 28 febbraio 1987 n. 56; nonché la violazione e falsa ap
plicazione degli art. 1362, 1363 ss. c.c. in relazione agli art.
7, 1° comma, e 48 c.c.n.l. per impiegati e dipendenti dai teatri
stabili e dai teatri gestiti dall'Eti del 9 gennaio 1989 e del suc
cessivo in data 31 marzo 1992, ed omessa e insufficiente moti
vazione circa punti decisivi della controversia (art. 360, nn. 3
e 5, c.p.c.). L'associazione ricorrente sostiene che il tribunale ha errato
nel ritenere che il termine apposto al contratto con la Carollo
era nullo, poiché non ha considerato come la contrattazione
collettiva applicabile ne consentisse la stipulazione anche in for
za del rinvio alla normativa legale e, in specie, all'art. 23, 1°
comma, 1. n. 56 del 1987, secondo cui l'apposizione di un ter
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
mine alla durata del contratto è ammessa anche «nelle ipotesi individuate nei contratti collettivi di lavoro stipulati con i sinda
cati nazionali o locali aderenti alle confederazioni maggiormen te rappresentative sul piano nazionale».
I giudici di appello, in ossequio alla disposizione di cui al
l'art. 1363 c.c., dovevano affermare che la contrattazione col
lettiva, a motivo della specialità dell'attività teatrale, considera
ammissibile un contratto a tempo determinato per una sola gior
nata, rinnovabile di giorno in giorno anche per più giornate consecutive.
Anche il secondo motivo non ha fondamento.
Secondo l'associazione ricorrente, dunque, prevedendo la con
trattazione collettiva del settore (in omaggio alla crescente ten
denza espansiva della legislazione in favore del contratto a ter
mine) ipotesi di rapporti con apposizione di termine rinnovabi
li, il tribunale ha erroneamente dichiarato la nullità ex lege n.
230 del 1962 del termine apposto al contratto stipulato con l'at
tuale resistente.
L'opinione di parte ricorrente non può essere condivisa.
Come è stato osservato in dottrina, nel nostro ordinamento
la legislazione in materia di assunzioni a tempo determinato,
dopo un periodo piuttosto lungo di stabilizzazione normativa, incentrata attorno all'idea di promozione del principio di stabi
lità dell'impiego, espressa dal complesso delle previsioni della 1. 18 aprile 1962 n. 230, con la quale lo sfavore dell'ordinamen
to stesso per i rapporti di lavoro a termine aveva «raggiunto
l'apice», ha conosciuto, nel corso degli anni successivi, un cre
scendo di innovazioni regolamentari, tale da alterarne sensibil
mente la fisionomia di fondo.
Cosicché, a fronte di processi di innovazione tecnologica, sem
pre più diffusi, e dei connessi mutamenti nella struttura della
domanda (ma anche dell'offerta) di lavoro, nei più svariati si
stemi di relazioni industriali, si è accentuata l'esigenza a con
sentire un uso sempre più ampio del contratto di lavoro a
termine.
L'opportunità del tentativo di contrastare, peraltro, estesi fe
nomeni di disoccupazione anche favorendo «l'equilibrio spon taneo del mercato del lavoro mediante l'introduzione di alcuni
criteri di maggiore flessibilità nella stessa tipologia del rapporto di lavoro» è stata, poi, significativamente riconosciuta, ormai
da tempo, dalle parti sociali. Gli espliciti impegni in tal senso, contenuti in una clausola «dell'accordo trilaterale» del mese di
gennaio del 1983 (punto 9, lett. b), hanno ricevuto prontamente
attuazione, per quanto riguarda la materia del lavoro tempora
neo, attraverso l'estensione, a tutti i settori economici, della
possibilità di stipulare contratti a termine in occasione di punte
stagionali di attività (art. 8 bis 1. n. 79 del 1983), sino ad allora
concessa soltanto ad aziende turistiche o commerciali.
La normativa in questione, peraltro, è parte di una trama
più complessa, la cui evoluzione è stata segnata da una evidente
interrelazione fra orientamenti giurisprudenziali e scelte del le
gislatore. È noto, invero, che le previsioni dettate dalla 1. n. 230 del
1962 furono influenzate da indirizzi giurisprudenziali emersi nella
prassi applicativa dell'art. 2097 c.c. (ora abrogato), soprattutto in ordine alle attività cui riconoscere il requisito della specialità
(ai fini della legittimità dell'apposizione del termine ai contratti
di lavoro) e alla presunzione di frode alla legge ricollegata all'i
potesi di ripetute assunzioni, a tempo determinato.
Nell'esperienza più recente, però, è dato cogliere un tratto
di specificità, individuabile in una sorta di «rovesciamento» dei
termini del rapporto fra giurisprudenza e legislazione: le reitera
te innovazioni normative di cui si è fatto cenno risultano, infat
ti, comprensibili alla luce della premessa, implicita, che lo sfa
vore, sicuramente presente nell'ordinamento nei confronti del
ricorso del lavoro a termine, sia stato accentuato da opzioni
interpretative della giurisprudenza in misura (ormai) incompati bile con una situazione di crisi economica e di squilibrio del
mercato del lavoro e tale da porsi in insanabile conflitto con
le esigenze di flessibilità organizzativa fatte valere dalle imprese. La legislazione degli ultimi anni ha, quindi, enucleato una
serie ulteriore di fattispecie normative, in presenza delle quali è possibile dare corso ad assunzioni a tempo determinato af
fiancandole a quelle già previste dalla 1. n. 230 del 1962, le
cui disposizioni — va marcato — restano tuttora in vigore. È opportuno, a questo punto, sottolineare come, allo stato
attuale dell'ordinamento, sia possibile procedere ad assunzioni
Il Foro Italiano — 2000.
temporanee, oltre che nelle ipotesi disegnate dalla 1. n. 230 suc
citata, anche: a) in relazione alla fattispecie delle c.d. punte
stagionali di attività, introdotta dapprima con riguardo ai soli
settori del commercio e del turismo (dalla 1. 3 febbraio 1978
n. 18) e poi — come precisato — generalizzata a tutti i settori
economici (dall'art. 8 bis 1. 25 marzo 1983 n. 79); b) quando l'assunzione «venga effettuata da aziende di trasporto aereo o
da aziende esercenti i servizi aeroportuali ed abbia luogo per lo svolgimento dei servizi operativi di terra e di volo, di assi
stenza a bordo ai passeggeri e merci, per un periodo massimo
complessivo di sei mesi, compresi tra aprile ed ottobre di ogni
anno, e di quattro mesi per periodi diversamente distribuiti»
(1. 25 marzo 1986 n. 84); c) «nelle ipotesi individuate nei con
tratti collettivi di lavoro stipulati con i sindacati nazionali o
locali aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentati ve sul piano nazionale» (a norma dell'art. 23 1. 28 febbraio
1987 n. 56); d) infine, nell'ipotesi di lavoratori iscritti nelle liste
di mobilità, la cui assunzione a termine — introdotta dall'art. 8 1. 23 luglio 1991 n. 223 — è consentita per periodi non supe riori a dodici mesi, senza alcuna limitazione di natura oggettiva.
Dall'analisi della disciplina legale deriva che le disposizioni in materia di contratto a termine, dettate dall'art. 23 1. 28 feb
braio 1987 n. 56, si pongono in una prospettiva di continuità,
poiché la possibilità di ricorrere ad assunzioni a termine al di
là delle ipotesi espressamente ammesse dalla legislazione prece dente riflette, accentuandola, la mutata valutazione dell'ordina
mento nei confronti del lavoro a tempo determinato, sempre
più positivamente apprezzato come strumento di flessibilità per le organizzazioni aziendali e, ad un tempo, come misura — sia
pure precaria — di «allentamento» della pressione sul versante
dell'offerta di lavoro.
Con la conseguenza che, libera nell'individuazione di nuove
ipotesi di legittima apposizione del termine al rapporto di lavo
ro, la contrattazione collettiva non può, però, apportare dero
ghe ai requisiti previsti nelle fattispecie tipizzate dalla legge e,
quel che più conta, non può dettare regole proprie sul piano della disciplina sostanziale del lavoro temporaneo, neanche in
relazione alle fattispecie da essa definite, sicché, sul piano san
zionatorio e, in particolare, della conversione in sede giudiziale del rapporto a termine in rapporto a tempo indeterminato in
caso di illegittima apposizione del termine stesso, occorre far
riferimento — anche per le ipotesi dettate dalla 1. 56/87 — alla
1. n. 230 del 1962 (cfr. Cass., sez. un., 10343/93, Foro it., Rep.
1993, voce Lavoro (rapporto), n. 531). La 1. n. 56 del 1987 non contiene norme speciali di deroga
alla disciplina stabilita dalla 1. n. 230 del 1962.
In primo luogo, l'ipotesi di una deroga alla disciplina genera le dettata in materia di contratti di lavoro a tempo determinato
dalla 1. 230/62 postula che, all'interno della specifica disciplina
considerata, avente ad oggetto il collocamento ordinario, sia
dato rinvenire una norma incompatibile con la regola generale,
posta dalla citata legge del 1962, della durata indeterminata del
contratto di lavoro (essendo consentita l'apposizione del termi
ne soltanto in specifiche ipotesi: cfr. Cass. 3345/98, id., 1998,
I, 2157, in motivazione). L'esistenza di una simile norma deve
essere, però, esclusa, dal momento che la disciplina contenuta
nella 1. n. 56 del 1987 non detta alcuna regola (specifica) in
ordine al regime del rapporto di lavoro da instaurare.
Va, poi, osservato che l'art. 23 della citata legge del 1987
non prospetta certo una tutela differenziata tra lavoratori as
sunti temporaneamente ex art. 1 1. n. 230 del 1962 ed art. 8
bis d.l. n. 17 del 1983, convertito, con modificazioni, dalla 1.
n. 79 del 1983, e lavoratori assunti con contratti a termine per le ipotesi «individuate nei contratti collettivi di lavoro stipulati con i sindacati nazionali o locali aderenti alle confederazioni
maggiormente rappresentative sul piano nazionale».
Dunque, sul piano sanzionatorio e delle relative conseguenze, nel caso dell'illegittimità della clausola di apposizione del termi
ne, occorre far riferimento alla legge (generale) n. 230 del 18
aprile 1962; sicché va considerato a tempo indeterminato il con
tratto stipulato al di fuori dei casi da essa previsti (art. 1, 1°
comma) o quando si tratti — come nella specie — di assunzioni
successive a termine (in sé legittime, ma nel loro insieme) intese
a eludere le disposizioni di essa legge. Tale è il caso in questione, per il quale i giudici di merito,
allineandosi all'insegnamento di questa corte, hanno sottolinea
to — interpretando correttamente le norme di legge e la con
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3491 PARTE PRIMA 3492
trattazione collettiva, con un apprezzamento valutativo incen
surabile in sede di legittimità — come «le disposizioni di cui
all'art. 23 1. 28 febbraio 1987 n. 56 operano sul medesimo pia no della disciplina generale dettata in materia dalla 1. 18 aprile 1962 n. 230 e si inseriscono nel sistema da questa delineata»; ed hanno, poi, rilevato che la Carollo «è stata utilizzata in man
sioni di attrezzeria, non limitate alle manifestazioni artistiche
menzionate nei vari contratti ma concernenti tutta l'attività del
teatro Biondo» e che l'attività fosse stata resa dalla stessa Ca
rollo «ininterrottamente dal 29 ottobre 1991» e ciò, in violazio
ne dell'art. 2 1. 230/62. Con la conseguenza che, ai sensi di
tale legge, il rapporto di lavoro in esame doveva essere conside
rato a tempo indeterminato. (Omissis)
II
Svolgimento del processo. — Il sig. Fabio Aliprandi fu as sunto dalla Saes Getters s.p.a., con contratto a termine di sei
mesi, in data 9 maggio 1994, ai sensi degli art. 8 e 25 1. n.
223 del 1991.
Il 7 novembre 1994, la società comunicò al lavoratore di ave
re prorogato il contratto sino al 30 aprile 1995; ma, il 19 aprile
1995, rese nota allo stesso lavoratore l'intenzione (di non volere
proseguire e, quindi) di voler risolvere il rapporto. Ritenendo che, in realtà, gli fosse stato intimato un licenzia
mento, l'Aliprandi, ottenuto un provvedimento cautelare ex art.
700 c.p.c., con cui venne dichiarata la nullità della clausola ap
positiva del termine ed ordinata la reintegrazione nel posto di
lavoro, con ricorso del 7 luglio 1995 convenne in giudizio, di
nanzi il Pretore di Milano, in funzione di giudice del lavoro, la società datrice e, reiterata l'istanza di declaratoria di nullità
della clausola contenente il termine, chiese la condanna della
convenuta al pagamento — in suo favore ed a titolo di penale — di una somma pari a cinque mensilità di retribuzione.
Resistente la società Saes Getters, il pretore adito rigettò la
domanda con sentenza del 28 febbraio 1996, che, appellata dal
lavoratore soccombente, fu confermata dal Tribunale di Milano
con decisione 8 maggio-5 luglio 1997.
Osservò il tribunale che le disposizioni di cui all'art. 8 1. n.
223 del 1991 sono dirette a favorire il reimpiego, anche tempo
raneo, dei lavoratori in mobilità e prevedono un'autonoma fat
tispecie di contratto a termine, che trova la sua disciplina e i
suoi limiti (non nella 1. n. 230 del 1962, bensì) nella 1. n. 223
del 1991, appunto.
Aggiunse il tribunale che la normativa di quest'ultima legge è speciale e che dovevano essere esclusi limiti ulteriori rispetto a quanto previsto dall'art. 3 della stessa per il diritto di prela zione a favore dell'imprenditore, che abbia assunto la gestione di un'azienda fallita.
Sotto un diverso profilo, rilevò, ancora, il tribunale che, fer
mo restando il principio generale della durata a tempo indeter
minato del rapporto di lavoro subordinato e dell'eccezionalità
del contratto a termine, la 1. n. 230 del 1962 non poteva consi derarsi una specie di «carta costituzionale» del contratto a ter
mine, con la conseguenza che ogni legge successiva «dovrebbe
comunque muoversi entro i limiti della suddetta legge», e che
il contratto con l'Aliprandi, lavoratore in mobilità, era stato
stipulato per la durata di sei mesi e, quindi, prorogato per altri
sei mesi, nell'ambito della durata massima di dodici mesi, pre vista dall'art. 8 1. n. 223 del 1991.
Avverso la sentenza di appello, il sig. Fabio Aliprandi ha pro
posto ricorso per cassazione, articolato su due motivi, cui resi
ste, con controricorso e memoria ex art. 378 c.p.c., la Saes Get
ters s.p.a. Motivi della decisione. — Con il primo motivo, il ricorrente
denuncia la violazione dell'art. 23 1. 28 febbraio 1987 n. 56, in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c.
Il ricorrente, premesso di condividere l'opinione del tribuna
le, secondo cui l'art. 8 1. n. 223 del 1991 ha inteso configurare una fattispecie «nuova e aggiuntiva» rispetto a quelle previste dalla 1. n. 230 del 1962, censura, tuttavia, la sentenza impugna ta per non avere tenuto conto «del silenzio assoluto che caratte
rizza la norma dell'art. 8 in questione» con riferimento alla le
gislazione previgente. Il ricorrente sostiene che il menzionato art. 8 rappresenta una
norma minus quam perfecta, la quale deve essere integrata dal
li. Foro Italiano — 2000.
l'art. 23 1. n. 56 del 1987, che è norma di chiusura e consente
soltanto alla contrattazione collettiva la possibilità di introdurre
nuovi casi (aggiuntivi) di contratto a termine.
Il ricorrente conclude, osservando che, non avendo conside
rato che detti casi ulteriori dovevano essere recepiti dalla con
trattazione collettiva, i giudici di merito hanno, conseguente mente, violato la norma di cui all'art. 23 1. 28 febbraio 1987
n. 56.
Il motivo non è fondato.
Va, anzitutto, rilevato che questa corte è chiamata — per la prima volta — a pronunciarsi sulla questione relativa all'in
dividuazione dei rapporti tra l'art. 8 1. 23 luglio 1991 n. 223
(che regola l'ipotesi di contratto di lavoro a termine per i lavo
ratori in mobilità) e la 1. 18 aprile 1962 n. 230, che contiene
la disciplina generale del contratto di lavoro a tempo determinato.
In particolare, è sottoposto all'esame del Supremo collegio il problema interpretativo della disposizione di cui all'art. 8 1.
223/91, citato (problema che è destinato ad interessare un nu
mero sempre maggiore di lavoratori, posto che la più recente
1. 27 novembre 1996 n. 608 ha prorogato fino al 31 dicembre
1997 la possibilità di iscrizione nelle liste di mobilità per i lavo
ratori licenziati per riduzione del personale non in possesso dei
requisiti per fruire dell'indennità di mobilità e per quelli prove nienti da imprese con meno di quindici dipendenti licenziati per
giustificato motivo oggettivo connesso a riduzione, trasforma
zione e cessazione di attività o di lavoro), se, cioè, detto artico
lo — come ritenuto dal tribunale lombardo — configuri una
fattispecie di assunzione (di lavoratori) a termine svincolata dal
le limitazioni e dalle disposizioni contenute nella 1. n. 230 del
1962; oppure, come dedotto dal ricorrente, esso debba essere
rapportato e coordinato con quest'ultima legge (e, quindi, an
che con l'art. 23 1. 28 febbraio 1987 n. 56). Il 2° comma dell'art. 8 1. 23 luglio 1991 n. 223 dispone che
i «lavoratori in mobilità possono essere assunti con contratto
di lavoro a termine di durata superiore a dodici mesi».
Questa corte ritiene che il legislatore, con la norma di cui
all'art. 8 citato, abbia inteso configurare una fattispecie ulterio
re rispetto alla 1. n. 230 del 1962 e successive modifiche ed inte
grazioni; una fattispecie ulteriore di apposizione lecita di un
termine finale al contratto di lavoro, per ampliare le possibilità di assunzioni a tempo determinato dei lavoratori in mobilità
(al fine di incentivarne il reimpiego — sia pure in occupazioni
temporanee — e di agevolare la successiva trasformazione di
tali contratti in rapporti di lavoro a tempo indeterminato), con
la previsione di ulteriori agevolazioni contributive in favore del
datore di lavoro. Sicché il contratto a termine di cui all'art.
8 succitato rappresenta una fattispecie nuova, che si aggiunge a quelle elencate nell'art. 1, 2° comma, 1. 230/62, ma che si
distingue nettamente dalle stesse, sotto il profilo della sua speci fica regolamentazione. Ne consegue che l'assunzione a termine
per le cause oggettive contemplate dalla 1. 230/62 è diversa dal
l'assunzione a termine introdotta con l'art. 8, 2° comma, 1.
223/91, fattispecie — si ripete — particolare di rimozione delle limitazioni a costituire rapporti di lavoro non a tempo indeter
minato e, pertanto, autonoma e distinta dalla disciplina della
1. 230/62. Del resto, la dottrina, in generale, appare orientata
a ritenere che l'unica interpretazione dell'art. 8, 2° comma, com
patibile con la ratio che appare sottesa al complesso delle nor
me, dedicate dalla 1. 223/91 ai lavoratori in mobilità, tutte va riamente volte a favorirne il reingresso all'interno del circuito
produttivo, sia quella che individua nella norma in questione una nuova ed autonoma ipotesi di legittima apposizione del ter
mine al contratto di lavoro, come tale indipendente dalle fatti
specie già previste dalla normativa precedente. La stessa dottri
na sottolinea, poi, come l'assunzione a termine dei lavoratori in mobilità sia un'ipotesi di assunzione con termine finale priva di ogni connessione con una qualsiasi causale oggettiva (ed è,
quindi, di carattere prettamente «soggettivo», poiché unicamente
legata allo status di lavoratore iscritto nelle liste di mobilità), e come sia stata introdotta, nell'ordinamento, per esclusive ra
gioni di politica del reimpiego. Quindi, l'assunzione a termine di cui all'art. 8 1. 223/91 è del tutto svincolata dalle limitazioni
previste dall'art. 1 1. 230/62, nel senso che la legittimità dell'ap
posizione del termine deriva solo ed esclusivamente da una si
tuazione soggettiva del lavoratore, e cioè dall'iscrizione nelle
liste di mobilità, mentre prescinde totalmente da ogni riferimen
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
to ad ipotesi collegate ad oggettive esigenze dell'azienda. Con
la conseguenza che, nei confronti dei lavoratori in mobilità, si
è realizzata un'assoluta liberalizzazione del lavoro temporaneo, che incontra un unico limite di carattere temporale, riferito alla
sua durata massima, che non potrà essere superiore a dodici mesi.
Condizione necessaria e sufficiente, dunque, che giustifica la
stipulazione del contratto a tempo determinato è — come già cennato — lo status di lavoratore in mobilità, senza che sia
richiesta la ricorrenza di specifiche circostanze di ordine tecnico
organizzativo, che, per altro verso, legittimano il ricorso al la
voro a termine da parte del singolo datore di lavoro. E la di
sposizione di cui all'art. 8, 2° comma, suddetto, si va ad ag
giungere alla previsione di una possibile utilizzazione tempora nea dei lavoratori in mobilità in opere e servizi di pubblica utilità
ex art. 6, 4° comma, stessa 1. 223/91, con un risparmio in ter
mini di oneri sociali.
L'interpretazione seguita è certamente la più conforme alla
ratio della nuova previsione legale (significativamente recepita
peraltro dalla circolare n. 55/92 del 23 aprile 1992 del ministero
del lavoro e della previdenza sociale), essendo evidente che, con
tale previsione, si sia inteso perseguire l'obiettivo di stimolare
l'assunzione di lavoratori in mobilità non solo con incentivi di
carattere economico, ma anche consentendo ai datori di lavoro
di sottrarsi ai vincoli normativi propri del rapporto di lavoro
a tempo indeterminato ed alle limitazioni oggettive della 1.
230/62. La nuova ipotesi risulta caratterizzata da una causale
soggettiva, anziché oggettiva, e, cioè, l'iscrizione in mobilità del
lavoratore. E, sotto il profilo esegetico, va marcato che, se il
legislatore avesse voluto incentivare l'assunzione a termine dei
soggetti in mobilità esclusivamente con benefici di carattere eco
nomico, non approntando una fattispecie ulteriore a quelle pre viste dalla 1. 230/62, non avrebbe disciplinato espressamente la
possibilità di assumere lavoratori in mobilità a termine, in quanto tale facoltà sarebbe già esistita in base ai principi generali. Con
seguentemente, si sarebbe limitato a prevedere soltanto benefici
economici per l'ipotesi appunto di esercizio di tale facoltà.
È vero che la giurisprudenza (di merito) che si è sinora occu
pata del problema, invece, appare divisa, ritenendo, una parte, che la fattispecie di contratto a tempo determinato ex art. 8, 2° comma, 1. 223/91 vada ricondotta alla preesistente normati
va in tema di contratto a termine e sia, quindi, subordinata
alla sussistenza di un vincolo «causale» oggettivo, ed escluden
do, un'altra, tale riconducibilità alla 1. 230/62, in conformità
con l'orientamento delineatosi in dottrina.
Ma è altrettanto vero che, dal tenore letterale della norma
di cui al 2° comma dell'art. 8 succitato e dalla mancanza in
essa di riferimenti espliciti alla 1. n. 230 del 1962, non sembra
che si possano trarre argomenti decisivi in un senso o nell'altro:
infatti, se da una parte si è sostenuto (v. circolare ministeriale
n. 55/92) che la norma «non avrebbe alcun significato ove l'as
sunzione mediante contratto a termine dei lavoratori in mobili
tà costituisse oggetto di una facoltà già propria del datore di
lavoro in forza del diritto vigente», si è anche affermato, dal
l'altra, che un simile intento derogatorio rispetto all'impianto normativo preesistente dovrebbe trovare riscontro in una espli cita manifestazione di volontà in tal senso da parte del legisla
tore, che, al contrario, manca del tutto dalla disposizione di
cui all'art. 8, 2° comma.
Appare, quindi, necessario ribadire l'opzione interpretativa
qui seguita, che consente, peraltro, di colmare le lacune legisla tive del sistema, introdotto dall'art. 8 1. 223/91, in base ai prin
cipi ispiratori della nuova disciplina e non attraverso il com
plesso delle norme contenute nella 1. 230/62 o nella 1. n. 56
del 1987.
A quest'ultimo proposito, va puntualizzato che l'art. 23 1.
56/87, appena richiamata, non costituisce — contrariamente al
la prospettazione del ricorrente — il mezzo attraverso il quale
approdare alla disciplina sanzionatoria prevista — per il con
tratto di lavoro a tempo determinato — dalla 1. 230/62 (con
riferimento, tra gli altri, ai casi della proroga del contratto stesso).
Infatti, ad avviso di questa corte, non vi è alcun elemento
desumibile, dal tenore letterale della disposizione dell'art. 23
citato o dalla ratio ad esso sottesa, che consenta di ritenere che
il legislatore del 1987 abbia operato una specie di delega, per manente (ed irrevocabile), alla contrattazione collettiva del po tere di individuare nuove ipotesi di legittima costituzione di rap
porto di lavoro subordinato a termine. Sì che appare quanto
Il Foro Italiano — 2000.
meno discutibile l'opinione che la 1. n. 56 del 1987 e, in partico
lare, l'art. 23 sarebbero una «norma di chiusura del microsiste
ma dei casi di ammissibilità dei contratti a tempo determinato».
Né tale opinione può essere suffragata dal richiamo all'orien
tamento espresso dalla sentenza n. 10343 del 1993 delle sezioni
unite di questa corte {Foro it., Rep. 1993, voce Lavoro (rappor to), n. 531), giacché le stesse sezioni unite (seguite da Cass.
7519/98, id., Rep. 1999, voce cit., n. 796) non hanno inteso
estendere la disciplina dell'art. 23 1. 56/87 e della 1. 230/62 all'i
potesi di contratto a termine, cui ha riguardo l'art. 8, 2° com
ma, 1. 223/91, atteso che «la norma dell'art. 23 non è particola re rispetto a quella generale di cui all'art. 1 (1. 230/62), ma
non ha modificato la disciplina generale del contratto a termi
ne, che è sempre quella di cui alla 1. n. 230, inclusi gli effetti
di conversione, a carattere sanzionatorio, di cui all'art. 2» (Cass., sez. un., 10343/93, cit.). Dal che consegue che, con l'art. 23
1. n. 56 del 1987, il legislatore ha voluto attribuire alla contrat
tazione collettiva esclusivamente la possibilità di individuare nuo
ve o diverse fattispecie di lavoro a termine, legittimando le parti sociali a determinare congiuntamente situazioni che permettano la stipulazione di tali contratti.
Sulla base delle suesposte considerazioni, va mantenuta fer
ma la statuizione del tribunale nella parte in cui ha corretta
mente affermato che l'art. 8 I. 223/91 ha introdotto una ulte
riore ed autonoma fattispecie di contratto a termine «che trova
la sua disciplina ed i suoi limiti nelle apposite previsioni». Con il secondo motivo, il ricorrente, denunciando la violazio
ne dell'art. 2 1. n. 230 del 1962 in relazione all'art. 360, n.
3, c.p.c., ed insufficiente motivazione su un punto decisivo in
relazione all'art. 360, n. 5, c.p.c., censura la sentenza impugna ta per non avere considerato che il contratto a termine di cui
si discute era stato prorogato fuori dai casi e dalle regole previ sti dal succitato art. 2 1. n. 230, con conseguente conversione
del medesimo in contratto a tempo indeterminato.
Il ricorrente osserva che l'art. 8, 2° comma, 1. 223/91, sul
quale il giudice dell'appello ha fondato la sua decisione, non
preveda affatto la proroga del contratto a termine, onde il con
tratto di esso (attuale) ricorrente non avrebbe, in ogni caso,
potuto essere prorogato e, sebbene fosse stato stipulato per una
durata inferiore a quella massima (di dodici mesi), ogni proro
ga sarebbe stata illegittima. Anche il secondo motivo è infondato.
Infatti, una volta affermata la diversità della ratio fra le ipo tesi di cui alla 1. n. 230 del 1962 e la fattispecie introdotta con
l'art. 8 1. n. 223 del 1991, non può non concludersi per l'appli cabilità all'ipotesi regolamentata dall'art. 8 citato del regime giu ridico approntato dalla 1. n. 230 del 1962 in materia di proroga.
Ed invero, se si riconosce che l'art. 8 succitato contiene una
disposizione ritagliata in considerazione del reinserimento tem
poraneo dei lavoratori in un momento particolare di difficoltà
occupazionale del paese, sarebbe allora arbitrario ed illogico cer
care di «omologare» il contenuto della nuova previsione legisla tiva ai principi di una legge, quella del 1962, emanata in circo
stanze (storiche, politiche e sociali) non assimilabili e con diver
se finalità. Appare, quindi, evidente che la proroga del contratto
a termine intercorso con un lavoratore in mobilità deve ritenersi
lecita nei limiti dei dodici mesi stabiliti dalla I. n. 223 del 1991, a prescindere dalla sussistenza di particolari ragioni oggettive inerenti all'azienda — già irrilevanti ai fini della stipulazione del contratto —, purché chiaramente permangano quelle condi
zioni soggettive (stato di disoccupazione e iscrizione nelle liste
di mobilità), che ne hanno, invero, reso possibile l'originaria
stipulazione. Per completezza argomentativa, va ancora ricordato — se
condo l'unanime opinione della dottrina — che, attraverso l'art.
8, 2° comma, 1. 223/91, il legislatore ha consentito al datore
di lavoro di fare liberamente ricorso al contratto a termine, in
centivandone, nel contempo, la successiva eventuale trasforma
zione a tempo indeterminato, con il riconoscimento del benefi
cio contributivo apprestato per tali ipotesi. Proprio tale tratta
mento incentivante consente di affermare che il legislatore non
ha visto con disfavore lo schema del contratto a tempo determi
nato, di modo che è logico ritenere che la situazione di precarie tà — nei casi di lavoratori in mobilità — non è (più) considera
ta come un disvalore normativo, perché essa propone un'ap
prezzabile contropartita sul piano occupazionale. Così risulta un'evidente incompatibilità tra il fatto che l'as
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3495 PARTE PRIMA 3496
sunzione iniziale prescinda da un'occasione di lavoro precaria,
potendosi utilizzare il lavoratore anche per attività di carattere
continuativo, e le esigenze imprenditoriali contingenti ed impre vedibili che dovrebbero condizionare la proroga, esigenze che
implicano un lavoro a termine ammesso solo in presenza di un'oc
casione di lavoro limitata nel tempo. Se così non è, consegue allora che l'istanza di liberalizzazione — sia pure nell'ambito
del termine massimo di dodici mesi — sottesa alla disciplina dell'art. 8, 2° comma, 1. 223/91, si riflette anche nei confronti
della proroga, nel senso che la proroga è rimessa alla volontà
delle parti, purché rimanga entro tale limite temporale. In definitiva, risulta sufficientemente motivato dal tribunale
il passaggio logico-giuridico in forza del quale, ritenendosi che
le disposizioni dell'art. 8 1. 223/91 abbiano introdotto un'auto
noma previsione di contratto a termine, che trova la sua disci
plina ed i suoi limiti nell'apposita normativa, tale previsione non può essere assoggettata — anche con riferimento alla pro
roga del contratto — ad alcun'altra limitazione o disciplina, contenuta in diversa legge per altra ipotesi di contratto.
A questo punto, la corte ritiene di dovere affermare il se
guente principio di diritto: «l'art. 8, 2° comma, 1. 23 luglio 1991 n. 223, il quale dispone che i lavoratori in mobilità posso no essere assunti con contratto di lavoro a termine di durata
superiore a dodici mesi, ha introdotto una fattispecie di assun
zione a termine autonoma ed ulteriore rispetto alle ipotesi con
template nella 1. 18 aprile 1962 n. 230.
La nuova fattispecie di cui all'art. 8, 2° comma, 1. 223/91
prescinde da ogni riferimento a cause oggettive, richieste, inve
ce, per il contratto a termine in generale dalla 1. 230/62, richie
dendo solamente, per la sua legittimità, un requisito soggettivo
(stato di disoccupazione del lavoratore e sua iscrizione nelle li
ste di mobilità), e trovando la sua disciplina ed i suoi limiti
esclusivamente nell'apposita previsione contenuta nel suddetto
art. 8, 2° comma.
È, quindi, consentita alla volontà delle parti la proroga del
termine iniziale del contratto concluso con un lavoratore in mo
bilità, purché mantenuta entro il limite massimo di dodici mesi, stabilito dall'art. 8, 2° comma, 1. n. 223 del 1991».
In conclusione, il ricorso va rigettato.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 14 luglio
2000, n. 9321; Pres. Altieri, Est. Salme, P.M. Maccarone
(conci, diff.); Sieni (Avv. Serra) c. Credit Suisse First Bo
ston (Avv. Cecchetti, Gamna). Cassa App. Milano 15 luglio 1997.
Contratti bancari — Apertura di credito a tempo determinato — Recesso per giusta causa — Esercizio arbitrario — Fatti
specie (Cod. civ., art. 1375, 1845).
Nell'ambito di un contratto di apertura di credito a tempo de
terminato, la banca, pur in presenza di una giusta causa tipiz zata dalle parti, non può recedere con modalità del tutto im
previste ed arbitrarie, tali da contrastare con la ragionevole
aspettativa del cliente che, in base ai rapporti usualmente te
nuti dalla banca ed all'assoluta normalità commerciale dei rap
porti in atto, abbia fatto conto di poter disporre della provvi sta redditizia per il tempo previsto. (1)
(1) La pronuncia in epigrafe — in corso di pubblicazione anche in
Contratti, con nota di Di Ciommo — ha ad oggetto l'abuso del diritto di recesso nel rapporto di apertura di credito; questione rispetto alla
Il Foro Italiano — 2000.
Svolgimento del processo. — Con atto di citazione del 4 lu
glio 1995 Giuseppe Sieni ha convenuto in giudizio davanti al
Tribunale di Milano il Credito Svizzero s.a. (ora Credit Suisse
First Boston), filiale di Milano, esponendo che: a) il 22 feb
braio 1994 aveva stipulato un'apertura di credito fino ad un
massimo di sei miliardi di lire, da restituire entro cinque anni, concedendo in garanzia ipoteca su un terreno di sua proprietà fino a concorrenza di dodici miliardi; b) a ulteriore garanzia delle obbligazioni restitutorie eventualmente derivanti dall'aper tura di credito aveva sottoscritto un'assicurazione sulla vita a
favore della banca per un capitale di sei miliardi e aveva dato
in pegno dei titoli; c) aveva, infine, conferito alla banca il man
dato a gestire il proprio patrimonio mobiliare. Sul conto cor
rente relativo alla gestione patrimoniale la banca aveva accredi
tato la somma di tre miliardi, proveniente dall'apertura di cre
dito, che in tal modo si era ridotta all'importo di tre miliardi.
Avendo il Sieni contestato l'andamento negativo della gestione
patrimoniale, in relazione alla quale, in breve tempo, si erano
formate rilevanti passività, e avendo conseguentemente revoca
to il mandato a gestire, la banca aveva chiesto e ottenuto dal
cliente un'attestazione di avere bene operato e la riduzione del
l'apertura di credito a tre miliardi, ma ciò nonostante, con let
tera del 6 marzo 1995 aveva dichiarato risolto il contratto, so
stenendo di avere scoperto che il Sieni aveva falsamente dichia
rato di non far parte di società di persone, all'epoca della
stipulazione dell'apertura di credito e nei ventiquattro mesi pre
cedenti, mentre in realtà era stato prima socio ed era attual
mente liquidatore della Croce & Bugatti s.a.s. di Giuseppe Sieni
e c., in liquidazione. Tale motivazione, secondo l'attore, era
pretestuosa perché la società, da tempo in liquidazione e della
quale, negli ultimi anni, si è registrata un'evoluzione giurisprudenziale orientata nel senso di scoraggiare l'assunzione di atteggiamenti abusivi da parte degli istituti di credito.
11 precedente cruciale è dato da Cass. 21 maggio 1997, n. 4538, Foro
it., 1997, I, 2479, con nota di Caputi, e Giusi, civ., 1998, I, 509, con nota di Costanza, nella quale per la prima volta si è affermato che, anche quando per recedere non necessiti una giusta causa — e dunque tanto nel rapporto di apertura di credito a tempo indeterminato, relati vamente al quale, ai sensi dell'art. 1845 c.c., la banca può sempre rece dere ad nutum, quanto nel rapporto a termine in cui le parti abbiano manifestato la volontà di escludere la necessità di giusta causa (per la vessatorietà della clausola con cui la banca impone al cliente tale esclu
sione, v. Trib. Roma 21 gennaio 2000, Contratti, 2000, 561, con com mento di Mariconda) —, non si può ritenere che il modo di esercizio del diritto di recesso sia assolutamente insindacabile, perché deve pur sempre essere rispettato il fondamentale ed inderogabile principio per cui il contratto va eseguito secondo buona fede. Nello stesso senso si era già espressa Pret. Torino 2 gennaio 1989, Foro it., Rep. 1990, voce Contratti bancari, n. 48, e, in extenso, Banca, borsa, ecc., 1990, II, 805, con nota di Tardivo; contra, Trib. Roma 4 dicembre 1989, Foro
it., Rep. 1991, voce cit., n. 51, e, in extenso, Banca, borsa, ecc., 1991, II, 672. L'insegnamento dei giudici di legittimità è stato seguito da Trib.
Foggia 9 aprile 1998 (pronuncia inedita — ma segnalata da Manes, Diritto di recesso dal contratto di apertura del credito a tempo indeter minato e violazione della buona fede, in Contratto e impr., 1999, 920 — le cui conclusioni, tuttavia, tradiscono l'impianto garantista per il cliente che caratterizza le motivazioni). V., anche, Cass. 23 luglio 1997, n. 6900, Foro it., 1998, I, 1582, e Giur. it., 1998, 889, con nota di Ronco.
La dottrina ha accolto con favore il risultato ermeneutico cui la giuris prudenza è pervenuta, e ha altresì osservato come la distinzione tra recesso per giusta causa e recesso ad nutum, considerata la base fattua le unitaria delle due figure, appaia oramai soltanto di ordine «proces suale», ed attenga esclusivamente alla distribuzione dell'onere della prova (cosi Galgano, Abuso del diritto: l'arbitrario recesso «ad nutum» della
banca, in Contratto e impr., 1998, 18; ma, per considerazioni parzial mente diverse, v. Di Ciommo, cit.). Sulla questione, v., da ultimo, R. Teti-P. Marano, I contratti bancari - Apertura di credito - Anticipa zione - Sconto, Milano, 1999.
L'odierna pronuncia aderisce all'orientamento in parola e — pur alle
prese con una fattispecie differente, in quanto le parti non avevano attribuito alla banca il diritto di recesso ad nutum — ribadisce l'esigen za per il giudice di valutare, indipendentemente da ogni sindacato rela tivo alla giusta causa, se il recesso sia stato esercitato in ossequio alla clausola di buona fede. Per una rapida panoramica sui recenti sviluppi in materia di utilizzazione giurisprudenziale delle c.d. clausole generali, anche per ulteriori rinvìi, v., da ultimo, Di Ciommo, Clausole generali e responsabilità civile dell'intermediario mobiliare (nota a Cass. 15 gen naio 2000, n. 426), in Foro it., 2000, I, 1161; Id., L'abuso di potere del preponente tra interesse legittimo privato e clausole generali (nota a Cass. 2 maggio 2000, n. 5467, id., Mass., 512), in Corriere giur., 2000, 1029.
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