sezione lavoro; sentenza 22 agosto 2003, n. 12363; Pres. Trezza, Est. Balletti, P.M. Abbritti(concl. diff.); Soc. Ferrovie dello Stato (Avv. De Luca Tamajo, Abignente) c. Vasaturo (Avv.Colucci), Soc. Sogaf. Conferma Trib. Benevento 16 maggio 2000Source: Il Foro Italiano, Vol. 126, No. 11 (NOVEMBRE 2003), pp. 2941/2942-2957/2958Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23197858 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
è stato osservato «a propagarsi secondo lo schema della reazio
ne a catena».
4.2. - Nel dibattito va ancora considerato che anche l'art. 81
(ex art. 85) del trattato, che vieta gli accordi tra imprese che ab
biano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare
il gioco della concorrenza e ne statuisce la nullità, non discipli na la legittimazione all'azione e che sul tema della legittimazio ne ad agire in via risarcitoria è intervenuta la Corte di giustizia delle Comunità europee (sentenza Courage, del 20 settembre
2001, causa C-453/99, id., 2002, IV, 75). Osserva la Corte di giustizia che «in mancanza di una disci
plina comunitaria in materia, spetta all'ordinamento giurìdico di
ciascuno Stato membro designare i giudici competenti e stabili
re le modalità procedurali dei ricorsi intesi a garantire la tutela
dei diritti spettanti ai singoli in forza dell'effetto diretto del di
ritto comunitario, purché dette modalità non siano meno favore
voli di quelle che riguardano ricorsi analoghi di natura interna
(principio di equivalenza) né rendano praticamente impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti conferiti dal
l'ordinamento giuridico comunitario (principio di effettività)»
(v. n. 29). Ad integrazione di questa affermazione di carattere
generale, la corte non manca di osservare che «la piena efficacia
dell'art. 85 del trattato e, in particolare, l'effetto utile del divieto
sancito dal n. 1 di detto articolo sarebbero messi in discussione
se chiunque non potesse chiedere il risarcimento del danno cau
satogli da un contratto o da un comportamento che possono re
stringere o falsare il gioco della concorrenza. Un siffatto diritto
rafforza, infatti, il carattere operativo delle regole di concorren
za comunitarie ed è tale da scoraggiare gli accordi e le pratiche,
spesso dissimulate, che possono restringere o falsare il gioco della concorrenza. In quest'ottica le azioni di risarcimento danni
dinanzi ai giudici nazionali possono contribuire sostanzialmente
al mantenimento di un'effettiva concorrenza nella Comunità»
(v. nn. 26 e 27). 4.3. - In conclusione, ove dovesse ritenersi che il consumato
re è legittimato ad agire a norma dell'art. 33, 2° comma, 1. n.
287 del 1990, dovrebbe poi pervenirsi alla conclusione della
competenza della corte d'appello. 5. - Per completezza può osservarsi che la questione appare
estranea all'ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, così come delineata dalla lett. a) dell'art. 33
d.Ieg. 31 marzo 1988 n. 80 (nel testo sostituito dall'art. 7 1. 21
luglio 2000 n. 205). Per un verso la controversia investe infatti
direttamente il rapporto individuale tra l'assicuratore e l'assicu
rato che contesta il diritto del primo a pretendere un premio di
un certo ammontare, per altro verso le azioni di nullità e di ri
sarcimento di cui al 2° comma dell'art. 33 1. n. 287 del 1990
non riguardano attività e prestazioni rese nell'espletamento di
pubblici servizi. 6. - Avuto riguardo alle implicazioni conseguenti alla solu
zione della questione di competenza, che peraltro, sotto i vari
profili prospettabili, è idonea a riproporsi in numerose altre cau
se con medesimo oggetto, ritiene il collegio che il ricorso pre senti una questione di massima di particolare importanza a nor
ma dell'art. 374, 2° comma, c.p.c. e che, dunque, gli atti vadano
rimessi al primo presidente perché valuti l'opportunità della ri
messione alle sezioni unite.
Il Foro Italiano — 2003.
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 22 ago sto 2003, n. 12363; Pres. Trezza, Est. Balletti, P.M. Ab
britti (conci, diff.); Soc. Ferrovie dello Stato (Avv. De Luca
Tamajo, Abignente) c. Vasaturo (Avv. Colucci), Soc. Sogaf.
Conferma Trib. Benevento 16 maggio 2000.
Lavoro (rapporto di) — Appalto di servizi endoaziendale —
Inidoneità ad autonomo risultato produttivo —
Interposi zione ed intermediazione nelle prestazioni di lavoro (L. 23
ottobre 1960 n. 1369, divieto di intermediazione ed interposi zione nelle prestazioni di lavoro e nuova disciplina dell'im
piego di mano d'opera negli appalti di opere e di servizi, art.
1, 3).
Sussiste interposizione illecita di manodopera nell'ipotesi in cui
l'organizzazione imprenditoriale dell'appaltatore consista
nella mera gestione del personale, finalizzata alla sua messa
a disposizione del committente. (1)
II
CORTE D'APPELLO DI NAPOLI; sentenza 26 settembre
2003; Pres. Buonajuto, Est. Musella; Dell'Annunziata
(Avv. Spedaliere, Alfieri) c. Soc. Ferrovie dello Stato (Avv. De Luca Tamajo, Abignente), Soc. Sogaf (Avv. Rizzo).
Lavoro (rapporto di) — Appalto di servizi endoaziendale —
Sdoppiamento delle funzioni datoriali — Interposizione ed
intermediazione nelle prestazioni di lavoro (L. 23 ottobre
1960 n. 1369, art. 1,3).
Incorre nel divieto d'interposizione di manodopera il contratto
di appalto endoaziendale che determini lo sdoppiamento delle
funzioni datoriali, affidando la gestione amministrativa del
rapporto all'appaltatore e la direzione tecnica al committen
te. (2)
(1-2) I. - Le pronunce in epigrafe affrontano la medesima questione, che risolvono nella stessa maniera, sia pure con percorsi argomentativi almeno in parte differenti.
Cass. 12363/03 è conforme a Cass. 30 ottobre 2002. n. 15337, Foro
it., 2003, I, 815, della quale sviluppa alcuni temi. App. Napoli esclude
l'esistenza dell'organizzazione d'impresa dell'appaltatore di servizi fa
cendo leva sullo sdoppiamento delle funzioni datoriali, tratto distintivo
delle ipotesi d'intermediazione; richiama, sul punto, l'elaborazione giu
risprudenziale sulla distinzione tra il distacco lecito e quello che si
ponga in violazione del divieto d'intermediazione. In tema, v. i precedenti contenuti nella nota di richiami a Cass.
15337/02, cui adde Cass. 5 ottobre 2002, n. 14302, id., Rep. 2002, voce
Lavoro (rapporto), n. 652; Trib. Firenze 9 marzo 2001, ibid., voce La
voro e previdenza (controversie), n. 55, nonché, da ultimo, Cass. 19 di
cembre 2002, n. 18098, ibid.. Lavoro (rapporto), n. 648, citata in moti
vazione da Cass. 12363/03. Cfr. però Trib. Napoli 11 agosto 2001, ibid., n. 665, che esclude la
violazione del divieto d'interposizione nell'ipotesi in cui l'apporto del
l'appaltatore consista nel conferimento di capitale, know-how, softwa
re, e beni immateriali aventi rilievo preminente nell'economia dell'ap
palto. II. - In dottrina, da ultimo, v. M. Marinelli, Appalto di manodopera
e lavoro autonomo, in Riv. it. dir. lav., 2001, II, 402; V. Di Spirito,
L'appalto di manodopera: profili giuridici ed interpretativi, in Lavoro
e prev. oggi, 2001, 241; P. Rausei, Appalto di manodopera, in Dir. e
pratica lav., 2002, inserto n. 30; Id., Lavoro interinale e appalto di ma
nodopera - Limiti del divieto di interposizione, ibid., inserto n. 47; R.
Del Punta, Problemi attuali e prospettive in tema di interposizione di
manodopera, in Argomenti dir. lav., 2002. 289, e, con attenzione alle
novità introdotte dalla legge delega 30/03, O. Mazzotta, Il mondo al di
là dello specchio: la delega sul lavoro e gli incerti confini della liceità
nei rapporti interpositori, in Riv. it. dir. lav., 2003,1, 265.
III. - Sulla distinzione tra il distacco lecito e quello che viola il di
vieto d'intermediazione, v. Cass. 3 agosto 2001, n. 10771, Foro it.,
Rep. 2002, voce cit., n. 923; 7 novembre 2000, n. 14458, id.. Rep. 2001, voce cit., n. 938; 3 novembre 2000, n. 14383, id., Rep. 2000, vo
ce cit., n. 1420; 7 giugno 2000, n. 7743, ibid., n. 1055; 2 novembre
1999, n. 12224, ibid., n. 1056; 10 agosto 1999, n. 8567, id., Rep. 1999, voce cit., n. 1131; 10 giugno 1999, n. 5721, id.. Rep. 2000, voce cit., n.
1057; 21 maggio 1998, n. 5102, id., Rep. 1999, voce cit., n. 1140; 17
marzo 1998, n. 2880. id., 1998, I, 3582, con nota di richiami, cui adde,
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2943 PARTE PRIMA 2944
I
Svolgimento del processo. — Con ricorso ex art. 414 c.p.c. Antonio Vasaturo conveniva in giudizio dinanzi al Pretore
giudice del lavoro di Solopaca la s.p.a. Ferrovie dello Stato e la
s.r.l. Sogaf esponendo di essere dipendente della società Sogaf s.r.l. (aggiudicataria dell'appalto dei servizi di vigilanza, mano
vra, pulizia e manutenzione dei passaggi a livello di tutta la rete
ferroviaria) e di aver svolto mansioni di «guardia passaggio a li
vello o barriere», addetto alla sorveglianza e manutenzione dei
posti di blocco.
Il ricorrente chiedeva, quindi, all'adito giudice del lavoro di
accertare e dichiarare la natura illecita e fittizia dell'interposi zione della s.r.l. Sogaf nel rapporto di lavoro che si sarebbe ve
nuto a costituire direttamente tra lo stesso ricorrente e la s.p.a. Ferrovie dello Stato, effettiva datrice di lavoro e, per l'effetto, condannare detta società, ai sensi dell'art. 1 1. 1369/60, a prov vedere alla ricostruzione della sua posizione lavorativa ed a cor
rispondergli, in solido con la s.r.l. Sogaf le differenze retributive
conseguenti all'applicazione del c.c.n.l. «per i dipendenti delle
ferrovie», da quantificarsi in separato giudizio. Si costituivano in giudizio le società convenute che, sotto di
versi profili, impugnavano la domanda attorea e ne chiedevano
il rigetto; in particolare, la s.p.a. Ferrovie dello Stato rilevava
che la s.r.l. Sogaf non era soggetto contraente di alcun contratto
di appalto per il servizio riferito dal lavoratore (essendosi piut tosto stipulato un contratto di tal genere soltanto con la «società
consortile per la gestione dei servizi ferroviari a.r.l.», mandata
ria di un'associazione temporanea di imprese) ed eccepiva che il
cennato servizio era sempre stato reso dalla società contraente o
da una sua associata in piena autonomia organizzativa e funzio
nale, con assunzione del rischio imprenditoriale a proprio cari
co, in conformità alle pattuizioni del contratto di appalto. L'adito giudice del lavoro —
dopo aver ammesso ed espletato
prova testimoniale — accoglieva la domanda e — su impugna
tiva di entrambe le società soccombenti e ricostituitosi il con traddittorio — il Tribunale di Benevento (quale giudice del la
voro di secondo grado) respingeva gli appelli e condannava le
società appellanti al pagamento, in solido, delle spese del grado. Per quello che rileva in questa sede il giudice d'appello ha
rimarcato che: a) «non basta sostenere che la Sogaf s.r.l. non è un finto imprenditore, [in quanto] il giudice è chiamato ad ac certare non soltanto l'esistenza di una reale organizzazione
per la giurisprudenza di merito, Pret. Torino 8 giugno 1998, id., Rep. 1999, voce cit., n. 1173; Pret. Brescia 12 maggio 1998, ibid., n. 1174.
IV. - In dottrina, su distacco e divieto d'intermediazione, F. Perretti, Il distacco o comando fra trasferimento, appalto, interposizione di ma
nodopera e lavoro interinale, in Lavoro e prev. oggi, 2000, 209; M.
Caro, Distacco illegittimo, violazione del divieto di interposizione e trattamento spettante al lavoratore, in Riv. it. dir. lav., 2000, II, 36; M.T. Carinci, Sulla distinzione tra distacco lecito e interposizione: ha rilievo la natura dell'interesse del distaccante?, id., 2001, II, 407; M. Esposito, La mobilità del lavoratore a favore del terzo, Napoli, 2002, 175.
V. - I criteri distintivi affermati dalla Cassazione sono destinati a conservare margini di vitalità anche a seguito dell'abrogazione della 1. 1369/60, ad opera della I. delega 30/03, e della sua sostituzione con una nuova disciplina.
La bozza di decreto legislativo (ora d.leg. 10 settembre 2003 n. 276, Le
leggi, 2003, I, 3584) di attuazione della legge delega, pur individuando come tratto peculiare del contratto di appalto di servizi «l'esercizio pieno da parte dell'appaltatore del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell'appalto e il possesso da parte sua, o di suo
personale utilizzato nell'appalto della professionalità specifica corrispon dente alle esigenze tecniche del servizio dedotto in contratto» (art. 29), prevede l'adozione di un decreto (da pane del ministro del lavoro e delle
politiche sociali) che contenga indici presuntivi di distinzione tra interpo sizione illecita e appalto genuino «che tengano conto della rigorosa veri fica della reale organizzazione dei mezzi e dell'assunzione effettiva del rischio tipico di impresa da parte dell'appaltatore» (art. 84, 2° comma).
VI. - Sulla legge delega 30/03, v. M.T. Carinci (a cura di), La legge delega in materia di occupazione e mercato del lavoro, Milano, 2003; A. Bellavista, Alcune osservazioni sulla I. 30/03, in Lavoro giur., 2003, 705; M.G. Garofalo, La legge delega sul mercato del lavoro: prime osservazioni, in Riv. giur. lav., 2003, I, 359; A.M. Perrino, Pri me note a margine della legge delega 30/03: in particolare, le modifi che del «part-time» e l'introduzione di figure di lavoro flessibile, in Foro it., 2003,1, 1031.
Il Foro Italiano — 2003.
d'impresa in capo all'appaltatore, ma anche la natura delle pre stazioni appaltate per verificare se, trattandosi di mere presta zioni di lavoro, si sia avuto l'inserimento del prestatore nella
struttura organizzativa dell'azienda appaltante»; b) «per fare
ciò, non è indispensabile accertare se i mezzi necessari per ese
guire il contratto (capitali, macchine, attrezzature) appartengano
all'appaltatore o se siano stati forniti dall'appaltante, occorren
do invece verificare se l'appaltatore possa rendere la sua presta zione con autonomia di organizzazione e di gestione»; c) «non
serve, per questo, invocare le clausole e la struttura del contratto
stipulato [in quanto] il nomen iuris utilizzato dal legislatore, ol
tre che dalle parti, è vincolante per l'interprete nei limiti in cui
le concrete caratteristiche del rapporto non contraddicano il
dettato legale: [per cui] non rileva il dato formale, sebbene
l'aspetto sostanziale, costituito dalla comparazione della posi zione assunta di fatto dal dipendente dell'appaltatore a fronte
degli altri lavoratori direttamente assunti dall'appaltante»; d)
«quando, come nel caso in esame, l'appalto prevede uno scarso
apporto di mezzi materiali e di capitali ed in gran parte si risol
ve nell'organizzazione del lavoro, è determinante indagare a chi
siano subordinati i lavoratori e cioè se siano effettivamente di
retti dallo stesso appaltatore ed agiscano realmente alle dipen denze e nel suo interesse»; e) «ne deriva che lecito è l'appalto di
mere prestazioni di lavoro se esse determinano un risultato utile, diverso ed ulteriore rispetto all'attività dell'appaltante, [mentre] non lo è se queste prestazioni sono strettamente connesse col
processo produttivo specifico dell'imprenditore committente»;
f) «questo inserimento nel ciclo produttivo del lavoratore finto
dipendente altrui si ha quando l'erogazione del servizio da parte
dell'imprenditore appaltante non è possibile neppure parzial mente senza l'apporto produttivo dell'appaltatore»; g) «in punto di fatto il pretore ha correttamente applicato i suddetti principi in relazione alle risultanze delle prove raccolte non travisate,
[evidenziando che] 1) il 'dipendente Sogaf', di fatto, non è stato
addetto ad un servizio collaterale e/o complementare nell'am
bito dell'organizzazione complessiva delle Ferrovie dello Stato, ma ad un servizio indispensabile per la marcia regolare e sicura dei treni, il che costituisce lo scopo principale delF'azienda Fer
rovie dello Stato'; 2) inoltre, egli ha fatto quello che fa un ope raio dipendente delle ferrovie addetto al servizio medesimo (at teso che non è dato distinguere, sul piano delle concrete man
sioni, cosa vi sia di diverso tra il ricorrente ed un altro addetto
ad un identico passaggio a livello che però sia dipendente delle
Ferrovie dello Stato); 3) non trattasi soltanto di una conseguen za dettata dalla necessità di coordinare l'esercizio dell'impresa Sogaf con quella dell'impresa Ferrovie dello Stato', perché nel
caso concreto l'autonomia organizzativa diversa dal fattore la
voro è risultata inconsistente e quella gestionale praticamente insussistente; 4) in buona sostanza, la Sogaf si limitava ad assi curare i turni di presenza e presidio del passaggio a livello ma,
per il resto, il 'suo' dipendente 'dipendeva' in tutto da altri e cioè dal capostazione, ed adeguava i tempi ed i modi della sua
prestazione lavorativa alle esigenze delle Ferrovie dello Stato, senza nessuna seria e concreta possibilità per la Sogaf di inge rirsi in questo, modificando ovvero contraddicendo oppure re vocando le istruzioni altrui né tampoco incidendo sull'altrui or
ganizzazione del servizio, di cui pure quella prestazione costi tuiva un momento indefettibile: [e conclusivamente] a questo non può ridursi un datore di lavoro».
Per la cassazione di tale sentenza la s.p.a. Ferrovie dello Stato ha proposto ricorso affidato ad un unico complesso motivo e so stenuto da memoria ex art. 378 c.p.c.
L'intimato Antonio Vasaturo resiste con controricorso. L'altra intimata s.r.l. Sogaf non si è costituita in giudizio. Motivi della decisione. — I. - Con l'unico motivo di ricorso
la s.p.a. Ferrovie dello Stato — denunziando «violazione, falsa
applicazione ed errata applicazione degli art. 1 e 3 1. 1369/60, dell'art. 2049 c.c. e dell'art. 115 c.p.c., nonché omessa, insuffi ciente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della con troversia» — addebita al Tribunale di Benevento «di avere del tutto omesso una verifica degli atti di causa ed un esame critico delle conclusioni a cui il giudice di prime cure era pervenuto nella valutazione delle emergenze probatorie, risolvendosi ogni delibazione sul concreto rapporto dedotto in giudizio in mere af fermazioni apodittiche e generiche» e, al fine di censurare nella
presente sede di legittimità la sentenza impugnata, assume che la motivazione di tale sentenza «è carente, contraddittoria ed
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
illogica ed assolutamente non esaustiva delle questioni di fatto e di diritto prospettate nel ricorso in appello che vengono tra
scritte non soltanto al fine di ottemperare al principio di 'auto
sufficienza' del ricorso, ma anche per ribadirle e con ciò porre in evidenza come le conclusioni a cui perviene il giudice di ap pello integrano una violazione della lettera e della ratio dell'art. 1 1. 1369/60». Di seguito la ricorrente riporta espressamente il
testo del «ricorso in appello» con riferimento: «I) alla genuinità
economica-imprenditoriale ed al rischio assunto nell'esecuzione
dell'appalto ... [asserendo sul punto quale autonoma censura
che] nulla viene detto dal collegio di appello che, confondendo
tra l'altro ancora una volta la Sogaf con il soggetto contraente
l'appalto, si limita ad osservare in modo apodittico ed acritico
che 'nel caso concreto l'autonomia organizzativa diversa dal
fattore lavoro è risultata inconsistente e quella gestionale prati camente insussistente', omettendo di motivare tale affermazione
soprattutto in relazione ai profili di rischio imprenditoriale as
sunti direttamente dall'appaltatore; II) all'apporto di mezzi
strumentali da parte dell'appaltatore ed all'insussistenza di una
fornitura di capitali, macchine ed attrezzature da parte dell'ap
paltante ... [asserendo sul punto quale autonoma censura che] assoluto è in questo caso il silenzio del collegio che ha del tutto
omesso di motivare sul punto il suo convincimento e di corrobo
rarlo con le emergenze istruttorie; III) quanto all'autonomia or
ganizzativa e datoriale dell'impresa appaltatrice nel rapporto con i propri dipendenti ... [asserendo sul punto che] ove il giu dice d'appello avesse ottemperato all'onere sancito dall'art. 115
c.p.c., ponendo a fondamento della decisione le emergenze istruttorie ed una loro valutazione critica, certamente la motiva
zione non si sarebbe rivelata carente e contraddittoria nel frain
tendere e confondere l'oggetto specifico dell'appalto, la pulizia e custodia dei passaggi a livello, con il normale esercizio ferro
viario e certamente avrebbe evitato di misconoscere che le Fer
rovie dello Stato hanno in gestione un servizio di pubblica uti
lità, disciplinato da una normativa in gran parte pubblicistica, e
che, pertanto, in nessun modo potevano eludere la funzione di
vigilanza istituzionalmente ad esse demandata dallo Stato, estrinsecatasi nell'esercizio di un potere di direttiva e controllo, che è di per sé certamente compatibile con la etero
organizzazione del personale e pertanto con ogni appalto di ser
vizi genuino». II.a. - Le cennate censure — esaminabili congiuntamente in
quanto intrinsecamente connesse — si appalesano infondate, te
nuto anche conto che la stessa ricorrente riconosce — in sede di
memoria difensiva ex art. 378 c.p.c. e di discussione orale —
che «le statuizioni 'in diritto' (contenute nella sentenza impu
gnata) sono in linea di massima (ma non interamente) condivi
sibili» salvo, poi, aggiungere inesattamente che «il Tribunale di
Benevento le contraddice attribuendo rilievo, ai fini del decide
re, a circostanze assolutamente non riconducibili ai criteri di
scretivi tra appalto (lecito) e interposizione (illecita)». II.b. - Sulla questione dibattuta in giudizio è da premettere in
linea generale
che — al fine di distinguere tra l'appalto, lecito, e
la mera somministrazione di manodopera, vietata dall'art. 1,1°
comma, 1. 1369/60 — l'orientamento classico punta sull'accer
tamento della natura imprenditoriale dell'attività del fornitore
dedotta nel contratto concluso con il committente (Cass. 13 lu
glio 1998, n. 6860, Foro it.. Rep. 1999, voce Lavoro (rapporto), n. 748; 16 aprile 1996, n. 3560, id., Rep. 1996, voce cit., n.
478): principio questo che è applicato anche con riguardo all'i
potesi in cui fornitore sia un'impresa cooperativa munita di au
tonoma struttura imprenditoriale (Cass. 16 settembre 1987, n.
7259, id., 1988, I, 827; 28 ottobre 1985, n. 5301, id., 1987, I,
897). Il criterio ha radice nella definizione del contratto di appalto,
che presuppone un'organizzazione ad impresa dell'appaltatore, la quale pone in secondo piano la prestazione di lavoro di que st'ultimo (Relazione al codice civile, nn. 700 e 914); il tipo «appalto» richiede l'organizzazione dei mezzi necessari al com
pimento dell'opera o del servizio, che l'appaltatore cura e gesti sce a proprio rischio.
Esso, tuttavia, è impreciso e generico.
L'imprecisione deriva dal fato che, per aversi appalto, è ne
cessari^ soltanto l'organizzazione ad impresa dell'appaltatore, ma non è anche indispensabile che il fornitore sia munito dei
requisiti che identificano l'imprenditore. L'organizzazione di
mezzi può infatti essere predisposta anche per l'esecuzione, oc
1l Foro Italiano — 2003.
casionale, di un singolo contratto di appalto, non richiedendo, in
conseguenza, l'esercizio in forma professionale dell'attività
dell'appaltatore. La genericità discende dalla labilità della nozione di organiz
zazione.
La definizione legislativa d'imprenditore fissata dall'art.
2082 c.c. non sempre è utile guida per l'interprete. Anzitutto, questa norma non fissa l'unica nozione giuridica
d'impresa e d'imprenditore, ma soltanto la nozione civilistica, che si giustappone ad altre, come quelle tributaria e comunita
ria, dettate a sistemazione di specifici interessi e a disciplina di
particolari aspetti normativi. L'attività organizzata d'impresa, inoltre, soltanto normalmente prevede la creazione di un appa rato produttivo stabile e complesso.
La definizione più seguita di organizzazione nella scienza
economica la ravvisa nell'impiego di fattori produttivi e nel loro
coordinamento per un fine produttivo da parte dell'imprendito re.
Perché si configuri appalto endoaziendale lecito, dunque, oc
corre che le attività che ne" costituiscono oggetto siano in grado di fornire un autonomo risultato produttivo: soltanto in questo caso è individuabile una gestione autonoma dell'appaltatore, con l'assunzione dei relativi rischi economici in ordine al risul
tato pattuito. Chiare indicazioni sul punto sono fornite dall'art.
3 1. 1369/60, che espressamente richiede che l'esecuzione degli
appalti endoaziendali avvenga «con organizzazione e gestione
propria dell'appaltatore» (Cass. 30 ottobre 2002, n. 15337, id.,
2003, I, 815; 12 dicembre 2001, n. 15665, id., Rep. 2002, voce cit., n. 658; 16 settembre 2000, n. 12249, id.. Rep. 2000, voce
cit., n. 693; 9 giugno 2000, n. 7917, ibid., n. 698; 16 settembre
1987, n. 7259, cit.; 20 aprile 1985, n. 2643, id., Rep. 1986, voce cit., n. 445). D'altronde, il divieto d'intermediazione posto dal
l'art. 1, 1° comma, della legge ha portata quantomai ampia, ri
sultando irrilevanti:
1) «il tipo di contratto» stipulato tra utilizzatore e fornitore
della manodopera: il rapporto può assumere la forma dell'ap
palto di servizi, che può essere preceduto da una cessione di
strumenti ed attrezzature mediante contratto di vendita, locazio
ne o comodato; oppure può assumere la forma di contratto di la
voro tra interponente ed interposto; oppure ancora la forma di
contratto di agenzia o di somministrazione di semilavorati pro dotti con macchinari e know-how dell'acquirente;
2) «il tipo di contratto di lavoro»: il divieto si applica al lavo
ro subordinato a domicilio (secondo l'espressa previsione del
l'art. 2 1. n. 877 del 1973), al lavoro svolto dal socio e dedotto a
contenuto di conferimento societario ed all'attività lavorativa
espletata dal socio-lavoratore della cooperativa;
3) «l'intento negoziale» fraudolento delle parti: è sufficiente
l'esistenza di una relazione giuridica di lavoro subordinato tra
lavoratori assunti dal c.d. interposto ed effettivo utilizzatore
delle prestazioni [Cass., sez. un., 21 marzo 1997, n. 2517, id.,
1997, I, 3318, che esprime l'orientamento prevalente (è, infatti, da ritenere del tutto minoritaria, e non condivisibile, la tesi so
stenuta da Cass. 16 settembre 2000, n. 12249, cit., che afferma
la necessità di verifica dell'esistenza dell'intento fraudolento)]. Non si può allora ravvisare organizzazione, nell'accezione
indicata, qualora l'apporto dell'appaltatore si esaurisca nella ge stione del personale, finalizzata alla sua messa a disposizione in
favore del committente, giacché manca un autonomo risultato
produttivo. Né sono sufficienti, ad integrare il tipo appalto, gli elementi di rischio relativi alle vicende dei rapporti di lavoro del
personale messo a disposizione: questi elementi sono proprio inerenti alla fattispecie vietata di somministrazione di manodo
pera, che ha ad oggetto appunto «l'esecuzione di mere presta zioni di lavoro mediante impiego di manodopera assunta e retri
buita dall'appaltatore o dall'intermediario».
La necessaria sussistenza dell'autonoma organizzazione del
l'appaltatore è affermata anche dal 3° comma dell'art. 1 1.
1369/60, che fissa la presunzione d'illiceità dell'appalto in caso
d'impiego, da parte dell'appaltatore di capitali, macchine o at
trezzature forniti dal committente.
Pur con i necessari adattamenti della presunzione all'ipotesi di appalto endoaziendale, si possono ritenere irrilevanti, ai fini
dell'applicazione della norma, soltanto quei contributi logistico
organizzativi, forniti dal committente, che siano inevitabilmente
connessi con la collocazione dell'attività appaltata all'interno
degli ambienti di pertinenza dell'appaltante. Qualora, invece, il
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2947 PARTE PRIMA 2948
personale posto a disposizione dall'appaltatore sia proprio adi
bito al funzionamento o al controllo di apparati del committente, diviene inevitabile l'applicazione della presunzione fissata dal
3° comma dell'art. 1 cit.
E poi da escludere che la 1. 24 giugno 1997 n. 196, che ha di
sciplinato la fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo, inci
da sull'identificazione dell'appalto lecito e della somministra
zione di manodopera vietata dalla 1. 1369/60. In particolare, l'i
potesi che la normativa in questione ammetta che l'organizza zione dell'appaltatore si possa esaurire nella gestione del perso nale è smentita dall'art. 10 1. 196/97, che espressamente prevede
l'applicazione della 1. 1369/60 in caso di «fornitura di prestatori di lavoro dipendente» da parte di soggetti non abilitati all'atti
vità di fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo, oppure con
violazione di una delle norme di cui all'art. 1, 2°, 3°, 4° e 5°
comma.
Infine — sempre in linea generale
— è significativo conside
rare che la recentissima legge delega 14 febbraio 2003 n. 30, in
materia di «occupazione e mercato del lavoro», pur prevedendo
l'abrogazione della 1. 1369/60 e l'ammissibilità della sommini
strazione di manodopera (art. 1, 2° comma, lett. m, nn. 1, 2 e 3), ribadisce che la distinzione concreta tra interposizione illecita
ed appalto genuino debba comunque tener conto «della rigorosa verifica della reale organizzazione dei mezzi e dell'assunzione
effettiva del rischio di impresa da parte dell'appaltatore» (art. 1, 2° comma, lett. m, n. 7).
U.c. - Più in particolare, con riferimento ai rapporti di appalto instaurati dalla s.p.a. Ferrovie dello Stato relativi a vari settori
ed aree geografiche della sua sfera operativa, si rileva — come
già ritenuto da questa corte con la sentenza 18098/02 (id.. Rep. 2002, voce cit., n. 648) in fattispecie del tutto analoga alla pre sente — che la differenza fra l'ipotesi formulata nel 1° comma
dell'art. 3 1. 1369/60 e quella dell'art. 1 stessa legge sta in ciò:
la prima concerne un vero contratto d'appalto, avente ad og
getto opere o servizi da eseguire nell'interno dell'azienda del
l'appaltante, con un'organizzazione ed una gestione propria
dell'appaltatore, mentre la seconda, come risulta espressamente dal 3° comma dell'art. 1, esclude la detta organizzazione. La
differenza degli effetti è indicata dallo stesso 1° comma dell'art.
3, che stabilisce la responsabilità solidale, verso i lavoratori,
dell'appaltatore e dell'appaltante, e dal 5° comma dell'art. 1, che costituisce il rapporto di subordinazione tra lavoratori e im
prenditore interponente. Nel primo caso, ma non nel secondo, l'assuntore dei lavoratori è provvisto di autonomia organizzati va e gestionale, nell'ambito, benvero. dell'organizzazione e
della gestione delle prestazioni lavorative concretamente affi
date.
In particolare, è il contenuto precettivo dell'art. 3 cit. a preci sare gli elementi per interpretare l'effettiva portata dell'art. 1 ed
a fornire indicazioni ai fini dell'indagine diretta ad accertare se, nel caso concreto, i dipendenti dell'appaltatore siano stati effet tivamente organizzati e gestiti dal committente.
Da esso si ricava che, in astratto, l'imprenditore può affidare in appalto (lecito) tutte le attività in grado di fornire un autono mo risultato produttivo, senza che sia consentito escludere l'i
potesi in cui l'organizzazione del committente sarebbe in grado di eseguire direttamente la lavorazione, sfuggendo al sindacato
giurisdizionale l'esistenza di valide ragioni per il ricorso alla
convenzione di appalto. Come ha precisato la giurisprudenza di questa corte, la disci
plina posta per i contratti di appalto di cui all'art. 3 della legge indicata — secondo cui il committente e l'appaltatore sono te
nuti in solido a corrispondere ai dipendenti del secondo un trat
tamento non inferiore a quello dei dipendenti del primo — è ap
plicabile in relazione ad attività che l'appaltatore debba svolge re all'interno dello stabilimento o degli stabilimenti, espressione che va letta non come un limite topografico, ma come qualifica zione della natura degli interventi dell'appaltatore, concernenti
un settore dell'organizzazione tecnica propria dell'attività del
l'impresa concedente l'appalto, ossia uno dei servizi principali o ausiliari predisposti ai fini della realizzazione del suo ciclo
produttivo (Cass., sez. un., 20 gennaio 1996, n. 446, id., 1996, I,
1720). Del resto, l'espressa menzione dei lavori di manutenzione
degli impianti si spiega con l'esigenza di chiarire che la norma tiva di tutela della parità di trattamento trova applicazione anche
Il Foro Italiano — 2003.
per gli appalti aventi ad oggetto attività non direttamente ine
renti al ciclo produttivo.
Proprio in ragione del fatto che i lavori appaltati si svolgono all'interno dell'azienda committente, la speciale fattispecie di
appalto di cui all'art. 3 si differenzia dalla figura ordinaria del
l'appalto ex art. 1655 c.c., in quanto può comportare più stretti
collegamenti tra appaltante e appaltatore per il necessario inse
rimento dell'attività di quest'ultimo nel ciclo produttivo del
l'impresa appaltante (Cass. 26 giugno 1998, n. 6347, id., Rep. 1999, voce cit., n. 749).
Ne consegue che il problema posto dagli appalti endoazien
dali è di accertare, secondo i criteri sopra precisati, se, in con
creto, vi sia stata organizzazione e gestione dell'appaltatore, con
specifico riferimento alle prestazioni lavorative concretamente
affidate, dovendosi in caso contrario escludere la fattispecie le
cita e ritenere la sussistenza dell'infrazione al divieto di cui al
l'art. 1.
Poiché il divieto d'intermediazione nelle prestazioni di lavoro
è posto al fine di impedire che il datore di lavoro effettivo possa sottrarsi agli obblighi discendenti dalla titolarità dei rapporti di
lavoro, formalmente imputandoli ad altro soggetto che provvede alle assunzioni e alla gestione amministrativa dei dipendenti, es
so opera oggettivamente, prescindendo da un intento fraudo
lento o simulatorio delle parti, allorquando un lavoratore distac
cato presso un'organizzazione diversa da quella del suo datore
di lavoro renda le sue prestazioni al servizio esclusivo del sog
getto di destinazione. Ne segue che l'infrazione al divieto non
resta esclusa dal fatto che l'appalto sia stato conferito al titolare
di un'effettiva organizzazione imprenditoriale, dotata di capita li, macchine e attrezzature, e neppure dalla stipulazione di un
contratto le cui clausole contemplino l'organizzazione e gestio ne autonoma dell'appaltatore, potendo verificarsi nella fase ese
cutiva, anche relativamente ad un solo segmento del complessi vo servizio appaltato, la messa a disposizione del committente
di uno o più dipendenti (cfr. Cass., sez. un., 2517/97, cit.). II.d. - Dalle cennate considerazioni deriva la conferma dell'o
rientamento della giurisprudenza della corte, secondo cui non è
lecito l'appalto il cui oggetto consista nel mettere a disposizione del committente una prestazione lavorativa, lasciando all'ap
paltatore-datore di lavoro i soli compiti di gestione amministra
tiva del rapporto (retribuzione, assegnazione delle ferie, assicu
razione della continuità della prestazione mediante le opportune sostituzioni), ma senza una reale organizzazione della presta zione stessa finalizzata ad un risultato produttivo autonomo (cfr. Cass. 29 maggio 2000, n. 7089, id., Rep. 2000, voce cit., n. 699; 9 giugno 2000, n. 7917, cit.; 23 agosto 2000, n. 11040, ibid., n. 696).
Nella specie il Tribunale di Benevento ha correttamente ap
plicato siffatto principio, precisando — in base alle risultanze
istruttorie specificamente indicate — che «l'adibizione del lavo
ratore ad un servizio indispensabile per la marcia regolare e si cura dei treni . . . non costituiva soltanto una conseguenza det tata dalla necessità di coordinare l'esercizio dell'impresa So
gaf' con quella dell'impresa Ferrovie dello Stato', perché nel caso concreto l'autonomia organizzativa diversa dal fattore la
voro è risultata inconsistente e quella gestionale praticamente insussistente» ed ancora, in modo ancora più pregnante e deci
sivo, che «in buona sostanza la Sogaf si limitava ad assicurare i turni di presenza e presidio del passaggio a livello ma. per il re
sto, il "suo' dipendente 'dipendeva' in tutto da altri e cioè dal
capostazione, ed adeguava i tempi ed i modi della sua prestazio ne lavorativa alle esigenze delle Ferrovie dello Stato senza nes
suna seria e concreta possibilità per la Sogaf di ingerirsi in que sto, modificando ovvero contraddicendo oppure revocando le
istruzioni altrui né tampoco incidendo sull'altrui organizzazione del servizio di cui pure quella prestazione costituiva un mo
mento indefettibile».
Conclusivamente, con riferimento alle cennate risultanze fat
tuali ed in relazione al principio summenzionato, così come ap
plicato da questa corte in merito alla corretta interpretazione della 1. 1369/60, le censure proposte dalla ricorrente si appale sano infondate in quanto non era sufficiente verificare che l'ap palto fosse stato concluso con un soggetto dotato di una propria ed effettiva organizzazione; mentre con i motivi di ricorso non è
stato affatto dedotto — giacché non sussistente nella specie sic
come escluso dalla sentenza impugnata — se, a termini di con
tratto, la prestazione lavorativa dovesse essere specificamente
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
resa nell'ambito di un'organizzazione e gestione propria del
l'appaltatore, riferiti espressamente al servizio appaltato. Co
munque, anche in tale ipotesi — nella specie, peraltro, esclusa
—, sarebbe stato pure necessario prospettare, da parte della ri
corrente, la concreta esecuzione del contratto e, quindi, l'esi
stenza anche in fatto dell'autonomia gestionale dell'appaltatore che si esplicava nella conduzione aziendale, nella direzione del
personale, nella scelta delle modalità e dei tempi di lavoro; es
sendo, al riguardo, del tutto ininfluente quanto dedotto nel ricor
so in cui sono stati valorizzati elementi privi di rilievo, quali la
permanenza dei poteri di gestione amministrativa in capo alla
società appaltatrice (che era in effetti connaturale alle ipotesi di
intermediazione vietata), mentre non è stato conferito il dovuto
rilievo su quale fosse, nella fattispecie, l'autonomia gestionale
dell'appaltatore, su quale fosse l'attività organizzativa espletata nella disposizione del servizio, in che cosa si esplicasse la sua
attività di direzione nei confronti del personale impiegato nel
l'appalto, in che modo l'appaltatore avesse esperito autonoma
mente un complesso di operazioni costituenti un servizio auto
nomo. Tutte circostanze queste motivatamente escluse dalla
sentenza del Tribunale di Benevento, che ha ritenuto — come
già si è rilevato e che qui vale rimarcare espressamente — che
non esisteva la possibilità di «coordinare l'esercizio
dell'impresa Sogaf con quello dell'impresa 'Ferrovie dello
Stato', poiché, nel caso concreto, l'autonomia organizzativa di
versa dal fattore lavoro è risultata inconsistente e quella gestio nale praticamente insussistente»; mentre, invece, sarebbe stato
necessario — ipotesi non verificata nella specie
— che la so
cietà appaltatrice avesse assunto il rischio di impresa con ri
guardo alle prestazioni lavorative in concreto affidate: rischio
inteso in relazione alla gestione dei mezzi di produzione o del
servizio (idest, attinente all'organizzazione concreta delle pre
stazioni, alla direzione effettiva del personale, alla scelta delle
modalità di lavoro, in modo da garantirne efficienza ed econo
micità in relazione al costo). III. - Circa i vizi di motivazione denunziati dalla ricorrente,
tale doglianza è da considerarsi inammissibile, in quanto il vizio
di omessa o errata motivazione deducibile in sede di legittimità sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale ri
sulti dalla sentenza, sia riscontrabile il deficiente esame di punti decisivi della controversia e non può, invece, consistere in un
apprezzamento in senso difforme da quello preteso dalla parte,
perché l'art. 360, n. 5, c.p.c. non conferisce alla corte il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di
controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza
giuridica, l'esame e la valutazione fatta dal giudice del merito,
al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convin
cimento e, all'uopo, valutare le risultanze processuali, control
larne l'attendibilità e la concludenza e scegliere, tra le stesse,
quelle ritenute più idonee per la decisione (Cass. 685/95, id.,
1995, I, 3253; 8653/94, id., Rep. 1994. voce Cassazione civile,
n. 70; 10503/93, id.. Rep. 1993, voce Sentenza civile, n. 44).
Nella specie non si evince, dalla disamina della sentenza im
pugnata, l'esistenza di un errato o deficiente esame di punti de
cisivi della controversia, dato che il tribunale, con completa e
congrua motivazione in relazione alle risultanze processuali, ha
correttamente ed esattamente deciso sull'illegittimità dell'ap
palto di manodopera in contestazione.
In particolare — a conferma dell'inammissibilità delle censu
re proposte ora in sede di legittimità — vale sintetim ribadire, al
fine della verifica (negativa) della ricorrenza dei principi perti nenti ai profili essenziali della dedotta impugnativa, che: a) il
difetto di motivazione, nel senso d'insufficienza di essa, può ri
scontrarsi soltanto quando dall'esame del ragionamento svolto
dal giudice e quale risulta dalla sentenza stessa emerga la totale
obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diver
sa decisione ovvero l'obiettiva deficienza, nel complesso di es
sa, del procedimento logico che ha indotto il giudice, sulla base
degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già, in
vece — come per le censure mosse, nella specie, dalla ricorrente
—, quando vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni
della parte sul valore e sul significato attribuiti dal giudice del
merito agli elementi delibati e, in sostanza, all'apprezzamento delle risultanze processuali effettuato, secondo i suoi compiti, dal giudice medesimo (Cass. 2114/95, id., Rep. 1995, voce cit.,
nn. 54, 57); b) il vizio di motivazione sussiste unicamente quan do le motivazioni del giudice non consentano il ripercorrere
Il Foro Italiano — 2003.
Yiter logico da questi seguito o esibiscano al loro interno un in
sanabile contrasto ovvero quando nel ragionamento sviluppato nella sentenza sia mancato l'esame di punti decisivi della con
troversia (Cass. 3928/00, id., Rep. 2000, voce Cassazione civil ,
n. 120) — irregolarità queste che non connotano di certo la
sentenza impugnata —; c) per poter considerare la motivazione
adottata dal giudice di merito adeguata e sufficiente, non è ne
cessario che nella stessa vengano prese in esame (al fine di con
futarle o condividerle) tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma è sufficiente che il giudice indichi — come sicuramente ha
fatto il Tribunale di Benevento — le ragioni del proprio convin
cimento, dovendosi in questo caso ritenere implicitamente ri
gettate tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con
esse (Cass. 13342/99, ibid., n. 128). IV. - In definitiva, alla stregua delle considerazioni svolte, il
ricorso proposto dalla s.p.a. Ferrovie dello Stato deve essere
integralmente respinto.
II
Svolgimento del processo e conclusioni. — Con ricorso depo sitato il 21 ottobre 1997, l'attuale appellante ha chiesto:
— l'accertamento dell'intercorrenza tra Sogaf e Ferrovie
dello Stato s.p.a. di un rapporto di illecita intermediazione in
violazione della 1. 1369/60; — l'accertamento che il rapporto di lavoro subordinato del
ricorrente si è costituito direttamente con le Ferrovie dello Stato
con il profilo di ausiliario di cui al c.c.n.l. per i dipendenti Fer rovie dello Stato;
— ordinare alle Ferrovie dello Stato di ricostruire la posizio ne lavorativa del ricorrente e condannare le Ferrovie dello Stato
al pagamento delle differenze retributive, con interessi legali e
rivalutazione da determinarsi in separata sede.
Il lavoratore, assunto dalla Sogaf dal 26 giugno 1995 ed adi
bito a svolgere le proprie mansioni presso il passaggio a livello,
da ultimo, di Montoro Superiore, ha dedotto che le convenute
Ferrovie dello Stato (appaltante) e Sogaf (appaltata) hanno sti
pulato un contratto di appalto per l'esecuzione del complessivo servizio di vigilanza, manovra, pulizia e manutenzione di alcuni
passaggi a livello; che, in vista dell'assunzione, il lavoratore è
stato avviato ad un corso di formazione presso la stazione ferro
viaria di Benevento tenuto da istruttori dirigenti delle Ferrovie
dello Stato; che ha sostenuto l'esame di idoneità con commis
sione formata da personale Ferrovie dello Stato e svolto tiroci
nio pratico presso le Ferrovie dello Stato; che, successivamente
assegnato al passaggio a livello, il lavoratore ha svolto mansioni
di chiusura e apertura dei passaggi a livello in stretto contatto
con le Ferrovie dello Stato, di comunicazione mediante fono
grammi alle stazioni interessate, dell'avvenuta chiusura, di se
gnalazione di guasto e pericolo, e provvedendo all'annotazione
di operazioni e fonogrammi su apposita modulistica Ferrovie
dello Stato, sita nel posto di guardia e sottoposta a periodico controllo da parte delle Ferrovie dello Stato (M30PL, M100B,
M36PL, M45 rosso e M45A, M53PL, ecc.); che tutto il mate
riale adoperato (palette, bandierine, ecc.) oltre ovviamente il po sto di guardia e le apparecchiature sono di proprietà delle Ferro
vie dello Stato; che le direttive sono impartite dal personale Fer
rovie dello Stato mentre la Sogaf è assente dal posto di lavoro e
suo unico compito è quello di erogare la retribuzione mensile;
che quotidianamente firma i registri del personale Ferrovie dello
Stato con i ferrovieri dello stesso impianto; che tutte le direttive
sono fornite dalle Ferrovie dello Stato e che personale Ferrovie
dello Stato si reca periodicamente a compiere ispezioni del pas
saggio a livello.
Il ricorrente ha affermato quindi la natura di intermediazione
illecita sottolineando che l'addestramento è stato curato dalle
Ferrovie dello Stato; l'attività lavorativa si svolge alle dipen denze e sotto il controllo delle Ferrovie dello Stato s.p.a., con
inserimento nell'attività lavorativa delle Ferrovie dello Stato ed
utilizzazione di beni strumentali delle Ferrovie dello Stato senza
l'apporto di alcunché da parte della Sogaf. La convenuta Ferrovie dello Stato, ritualmente costituita, ha
contestato la domanda affermando di aver sottoscritto un con
tratto di appalto avente ad oggetto «lo svolgimento dei servizi di
pulizia delle stazioni dei relativi uffici e dei servizi di stazione
in ambito compartimentale» con la Società consortile per la ge
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PARTE PRIMA 2952
stione dei servizi ferroviari a r.l., mandataria di un'associazione
temporanea di imprese, nell'ambito di un accordo-quadro sti
pulato con alcune organizzazioni imprenditoriali. I servizi di pulizia oggetto dell'appalto comprendevano: puli
zia del materiale treni viaggiatori; pulizia rotabili presso i depo siti locomotive, pulizia uffici, servizi igienici, spogliatoi, rimes se e deposito locomotive, officine, sale di attesa, atrii, sottopas
saggi, scale, marciapiedi, piazzali, strade, viali, aree verdi, ecc.
I servizi di stazione comprendevano: deposito bagagli, car
rellini self-service, parcheggi, facchinaggio di stazione, carico e
scarico di auto al seguito, accesso ai treni e relativa vendita dei
biglietti, reperimento oggetti rinvenuti, assistenza ai clienti, in
formazioni, manipolazione effetti letterecci carrozze cuccette, accudienza delle centrali termiche e del bestiame in transito,
giardinaggio, ecc.
II 2 maggio 1994, nell'ambito del processo di ristrutturazione
ed esternalizzazione, concordato con le organizzazioni impren ditoriali, il rappresentante dello stesso «servizio produzione» Ferrovie dello Stato stipulava, con la stessa società consortile
sopra indicata, un atto di appendice al medesimo contratto per l'affidamento in appalto «in via straordinaria, temporanea e pre caria del complessivo servizio di vigilanza, manovra, pulizia e
manutenzione di alcuni passaggi a livello della rete ferroviaria»
dettagliatamente indicato nel progetto/scheda tecnica. Tale pro
getto/scheda prevede che per ciascun passaggio a livello affi
dato in appalto, il servizio costituisce prestazione unitaria per la
cui esecuzione l'impresa appaltatrice deve apprestare idonea ed
efficiente organizzazione imprenditoriale volta ad assicurare un
complessivo e coordinato espletamento delle singole attività che
concorrono al servizio medesimo, nel rispetto dei regolamenti e
delle prescrizioni contrattuali. L'impresa appaltatrice s'impe
gnava ad eseguire con organizzazione e mezzi propri e con as
sunzione del rischio di impresa. Il 14 marzo 1996 si concordava
l'estensione dell'appalto ad altre linee della rete ferroviaria di
giurisdizione del servizio di produzione di Napoli. La Ferrovie dello Stato s.p.a. ha, quindi, affermato la genui
nità del contratto di appalto e l'insussistenza dell'ipotesi di in
termediazione vietata, sottolineando che l'attività di vigilanza e
manovra dei passaggi a livello costituisce un aspetto quantitati vamente e qualitativamente marginale del servizio appaltato e
che l'attività del dipendente Sogaf è sempre direttamente con trollata da un caposquadra presente sul luogo di lavoro per cui alcun controllo gerarchico è stato mai espletato dalla Ferrovie
dello Stato nei confronti dei dipendenti Sogaf. La Sogaf, ritualmente costituita, ha chiesto il rigetto della
domanda sulla base della genuinità dell'appalto intercorso con le Ferrovie dello Stato ed ha affermato che i ricorrenti operano alle dipendenze di un caposquadra della Sogaf. All'esito delle
prove espletate, con sentenza del 13 dicembre 2001 il giudice a dìto ha respinto la domanda compensando le spese del giudizio.
Con separato ricorso depositato in data 16 aprile 1999, nelle more del giudizio sopra indicato, il lavoratore ha impugnato il licenziamento intimato dalla Sogaf in data 17 dicembre 1998 con lettera ricevuta in data 20 dicembre 1998 nella quale si in timava il recesso per l'abolizione da parte delle Ferrovie dello Stato del servizio di vigilanza, manovra e manutenzione del
passaggio a livello custodito dal lavoratore stesso, nell'impossi bilità di reimpiego in altri posti. 11 Dell'Annunziata ha chiesto,
previo accertamento della sussistenza di un appalto vietato, l'accertamento della nullità ed illegittimità del licenziamento intimato e la reintegra nel posto di lavoro presso le Ferrovie dello Stato; in via gradata ha chiesto la reintegra presso la So
gaf. All'esito delle prove espletate, il giudice con sentenza del 3
luglio 2002 ha respinto anche l'impugnativa di licenziamento. Con ricorsi separati depositati 1' 11 febbraio 2002 e 3 dicem
bre 2002, successivamente riuniti, il lavoratore propone appello avverso le sentenze sopraindicate chiedendo l'integrale acco
glimento delle domande e richiamando l'art. 1 1. 1369/60 e la
giurisprudenza formatasi al riguardo, nonché precedenti di me rito relativi allo stesso oggetto favorevoli alla tesi sostenuta; sottolinea la mancanza di un'organizzazione d'impresa da parte della Sogaf in grado di fronteggiare la gestione del servizio dei
passaggi a livello. In particolare l'appellante sostiene che la funzione assolta dal personale Sogaf, emersa dall'istruttoria, du rante la «corsa» dei treni, quali il controllo delle porte chiuse, delle ruote e l'assenza di anomalie, non rientravano nell'oggetto
Il Foro Italiano — 2003.
sociale della Sogaf che non esercitava potere direttivo e di con
trollo sui lavoratori addetti ai passaggi a livello.
Le Ferrovie dello Stato chiedono il rigetto degli appelli e la
conferma delle sentenze impugnate deducendo la carenza di in
teresse ad agire quanto all'impugnativa di licenziamento in
quanto, in ipotesi di riconosciuta illegittimità dell'appalto, il li
cenziamento intimato dalla Sogaf dovrebbe ritenersi giuridica mente inesistente. Le Ferrovie dello Stato deducono, in ogni ca
so, l'erroneità dell'inquadramento della vicenda volto a prefigu rare un'insussistente illecita interposizione di manodopera, la
piena legittimità del contratto di appalto intercorrente non con la
Sogaf ma con la società consortile, in relazione alla genuinità
economico-imprenditoriale della Sogaf e l'irrilevanza del pre sunto ridotto apporto di mezzi strumentali da parte dell'appal tatore che ha comunque fornito tutto quanto necessario per il
preponderante impegno operativo ad essa richiesto.
La Sogaf, costituitasi, chiede il rigetto di entrambi gli appelli. All'udienza odierna, sulle conclusioni delle parti, la causa,
previa riunione degli appelli, viene discussa e decisa come da
dispositivo. Motivi della decisione. — Gli appelli sono fondati e vanno,
pertanto, riformate le sentenze impugnate.
1) Le risultanze istruttorie hanno pienamente confermato la
tesi dell'appellante. Questi i dati di fatto emersi:
a) la società Ferrovie dello Stato, nell'ambito di un accordo
quadro stipulato con un'associazione temporanea di impresa, ha
affidato in appalto alla Sogaf dapprima i servizi di pulizia delle
stazioni, dei relativi uffici, e dei servizi di stazione in ambito
compartimentale e poi, successivamente, anche «il complessivo servizio di vigilanza, manovra, pulizia, manutenzione e riscal
damento dei passaggi a livello (P.L.) della rete ferroviaria di
giurisdizione del servizio produzione Napoli»;
b) per tale servizio ricevuto in appalto dalla Sogaf, il lavora
tore, poi assunto da tale società, ha effettivamente svolto il cor
so di formazione professionale tenuto dalle Ferrovie dello Stato
ed una visita medica presso il servizio sanitario Ferrovie dello
Stato;
c) le prestazioni lavorative del lavoratore consistevano nel
presidiare il posto di guardia, nelle annotazioni sui registri del
l'inizio e fine turno e così via, nonché nella pulizia del casotto.
Nell'attività di presidio al passaggio a livello il lavoratore face
va capo alle Ferrovie dello Stato, così come faceva capo alle
Ferrovie dello Stato per tutte le questioni riguardanti la circola
zione dei treni (cfr. teste Paradiso);
d) nell'esecuzione del servizio relativo al passaggio a livello
il lavoratore ha usato strutture (casotto annesso a ciascun pas
saggio a livello con i relativi arredi), attrezzature (bandiera,
lanterna, tromba, razzi per segnalazioni, telefono, ecc.) moduli
stica (registri e modelli vari) di proprietà delle Ferrovie dello
Stato e la Sogaf ha fornito le tute ai lavoratori e i materiali di
pulizia (detersivi) (teste Siniscalchi e Formicola);
e) come affermato molto chiaramente dal teste Formicola
(caposquadra Sogaf), il quale ha precisato «non era mio compito controllare la circolazione dei treni» per tutto quanto riguarda l'attività lavorativa (circolazione treni, impianti) il dipendente
Sogaf si rivolgeva direttamente alle Ferrovie dello Stato, invece
per quanto riguarda le questioni di stipendio, turni, ferie, sosti
tuzioni, occorreva far capo alla Sogaf (cfr. teste Loffredo);
j) presso ciascun passaggio a livello operava stabilmente solo il dipendente Sogaf di turno; il caposquadra Sogaf passava pe riodicamente con una frequenza di circa due volte al mese (cfr. teste Loffredo);
g) le Ferrovie dello Stato hanno pagato un importo giornalie ro come corrispettivo per ciascun passaggio a livello. La Sogaf ha prestato cauzione mediante polizza assicurativa a garanzia dell'esatto adempimento del contratto.
Deve ritenersi accertato, secondo quanto afferma lo stesso
giudice di primo grado, sulla base delle concordi dichiarazioni
dei testi, che la direzione tecnica delle prestazioni dei lavoratori
addetti ai passaggi a livello era di competenza esclusiva delle Ferrovie dello Stato, mentre alla Sogaf era demandata la gestio ne dei turni, la corresponsione della retribuzione, la gestione delle ferie e, in genere, l'amministrazione del personale. Ciò
posto, il collegio non condivide l'interpretazione che di tali ri sultanze ha fornito il giudice di primo grado per negare la sussi stenza dell'ipotesi vietata di intermediazione e ritiene, invece,
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
che si sia verificata un'ipotesi d'intermediazione vietata di ma
nodopera. Le prestazioni lavorative degli addetti ai passaggi a livello
sono state, infatti, dirette in via gerarchica esclusivamente dalle
Ferrovie dello Stato (art. 2094 c.c.) ed inserite nel ciclo produt tivo delle Ferrovie dello Stato, dopo apposita formazione con
dotta dalle Ferrovie dello Stato, mentre la Sogaf, coerentemente
con il proprio oggetto sociale di cui si dirà in prosieguo, non ha
fornito alcun apporto di beni ed organizzativo, di gestione reale
delle prestazioni lavorative svolte dagli appellanti. Ed in propo sito occorre subito richiamare la motivazione della sentenza
della Cassazione 3196/00 (Foro it., Rep. 2000, voce Lavoro
(rapporto), n. 705), ove in relazione ad una fattispecie analoga di appalti Ferrovie dello Stato anche dei passaggi a livello, la
Suprema corte ha accolto il ricorso dei lavoratori, sottolineando
come «il lavoratore, prima di essere destinato ad operazioni di
addetto ai passaggi a livello, aveva frequentato un apposito cor
so di abilitazione presso la scuola professionale delle Ferrovie
dello Stato e la sua attività si era poi svolta sotto il controllo e la
supervisione del dirigente movimento Ferrovie dello Stato sotto
la cui giurisdizione era ubicato il passaggio a livello, utilizzando
per tutte le comunicazioni di servizio con il suddetto dirigente,
apposita modulistica predisposta dalle ferrovie» (così, in moti
vazione, Cass. 3196/00).
2) La 1. 1369/60 era ancora vigente all'epoca dei fatti, pur
dopo l'introduzione nel nostro ordinamento della legge sul lavo
ro interinale, che ha lasciato operante, con esplicita previsione
(art. 10 1. 196/97), la 1. 1369/60 (cfr., in proposito, Cass. 5232/01, id., Rep. 2001, voce cit., n. 623).
Attualmente recependo la tendenza dell'organizzazione del
lavoro verso il decentramento, la legge delega 30/03 ha abro
gato la 1. 1369/60 prevedendo, peraltro, la sua sostituzione con
nuova disciplina basata su una serie di criteri direttivi ove è an
cora presente la distinzione tra appalto e interposizione nonché
è espressamente prevista la figura della interposizione illecita ed
è demandata alla contrattazione collettiva la determinazione dei
casi di ammissibilità alla somministrazione di manodopera, in
dividuando le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organiz zativo che la consentono (v. art. 1 1. 30/03).
Tuttavia, i fatti sono avvenuti quando era vigente la legge sulla intermediazione di manodopera e, pur nel mutato quadro
dell'organizzazione di impresa, va considerato certamente quale
punto di partenza il dato normativo e, quindi, la struttura e fun
zione della norma dell'art. 1 1. n. 1369.
Essa vietava, sotto qualsiasi forma, la somministrazione di
lavoro altrui, la quale si realizza ogniqualvolta taluno, anziché
fruire direttamente delle prestazioni dei propri dipendenti, si li
miti a porre a disposizione di terzi l'attività lavorativa dei me
desimi: il somministrante (interposto) retribuisce la manodope
ra; il somministratario (interponente) la dirige e ne ottiene le
prestazioni. L'interesse illecito perseguito dall'interponente è
evidente: costui tende al conseguimento di prestazioni lavorati
ve necessarie all'impresa senza assunzione di responsabilità di
retta nei confronti dei lavoratori; cioè tende all'utilizzazione
della prestazione lavorativa senza assumere la posizione obbli
gatoria e, conseguentemente, la responsabilità connessavi per
legge. La funzione della normativa in esame è quindi quella di
escludere l'ammissibilità di un rapporto di lavoro che possa
operare al di fuori dello schema contrattuale che vuole il credi
tore delle opere direttamente responsabile nei confronti del pre statore di esse.
La fattispecie dell'appalto di manodopera vietato si realizza
va nelle ipotesi in cui l'appaltatore utilizza capitali, attrezzature,
macchine fornite dall'appaltante ex art. 1, 3° comma, 1.
1369/60, con presunzione legale assoluta (Cass. 10183/90, id.,
1992,1, 523; 2740/89, id., Rep. 1989, voce cit., n. 452; 7259/87, id., 1988, I, 827). In ogni caso, anche laddove non sia identifi
cabile la fattispecie sopra indicata, la genuinità dell'appalto pre
supponeva l'esistenza, in capo all'azienda appaltatrice, di
un'organizzazione autonoma di impresa da verificarsi con ri
guardo alle prestazioni oggetto dell'appalto, per verificare se
esse siano riconducibili a mere prestazioni di lavoro o se riguar dino invece anche altri fattori produttivi tali che le prestazioni stesse dei lavoratori rimangono attratte nell'organizzazione del
l'impresa appaltatrice (cfr. Cass. 5185/01, id., Rep. 2001, voce
cit., n. 624).
Il Foro Italiano — 2003.
In tale ultima decisione si è sottolineato che, per aversi inter
mediazione vietata, non è necessario che l'impresa appaltatrice sia un'impresa fittizia, priva di una reale organizzazione im
prenditoriale, ma vuol dire semplicemente che, in relazione a
quel particolare servizio appaltato, essa non fornisce una sua
propria organizzazione di mezzi.
In proposito costante è l'orientamento della giurisprudenza sulla necessità di verificare l'esistenza dell'organizzazione di
impresa con riguardo alle prestazioni affidate all'appaltatore
(cfr. Cass. 5087/98, id., Rep. 1999, voce cit., n. 750; 10858/96, id., Rep. 1998, voce cit., n. 667; 6092/96, id., Rep. 1996, voce cit., n. 476; 2014/96, ibid., n. 480); organizzazione di impresa che, del resto, costituisce l'altra faccia della medaglia del potere direttivo e gerarchico del datore di lavoro nelle prestazioni lavo
rative.
Sostenere lo sdoppiamento lecito delle funzioni datoriali, ge stione amministrativa del rapporto affidata alla Sogaf e direzio
ne tecnica alle Ferrovie dello Stato, significa tralasciare di con
siderare che questo è il risultato non consentito dalla legge, dal
momento che è proprio questo sdoppiamento che si realizza in
tutte le ipotesi di intermediazione, in cui da una parte c'è il sog
getto che retribuisce e correlativamente sopporta gli oneri pre videnziali ed assistenziali (se non è un imprenditore «al nero») e
che in misura più o meno accentuata — a seconda delle fattispe cie concrete —
dispone direttamente dei turni e delle ferie e/o
malattia, dall'altra, vi è il soggetto a favore del quale viene ero
gata la prestazione, che la dirige e la controlla dal punto di vista
tecnico, che impartisce le istruzioni ai lavoratori.
Questa situazione è legittima solo nelle ipotesi di lavoro inte
rinale disciplinato dalla 1. 196/97 in cui si realizza, appunto, le
gittimamente lo sdoppiamento tra chi amministra la manodopera e chi la utilizza.
E, in proposito, va osservato che, da sempre, nell'individua
zione del contenuto tipico della subordinazione si è dato rilievo
predominante proprio all'espletamento delle prestazioni lavora
tive «sotto la direzione» del datore di lavoro, intendendo, con
tale locuzione, non certo gli aspetti esteriori del rapporto di la
voro, quali il rispetto di un orario di lavoro e le modalità dei
turni, ma, appunto, la ingerenza tecnica nella prestazione lavo
rativa ed il controllo delle modalità di espletamento delle sin
gole prestazioni lavorative. La causa del contratto di lavoro è la
collaborazione all'impresa e cioè la messa a disposizione del
proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la
direzione dell'imprenditore (art. 2094 c.c.). Non vi è dubbio che il solo fatto di lavorare sotto la direzione
di un imprenditore determini l'insorgenza di un rapporto di la
voro subordinato con tale imprenditore che dirige le prestazioni del lavoratore.
In altri termini, lo sdoppiamento tra la direzione tecnica delle
Ferrovie dello Stato e la gestione amministrativa della Sogaf, ci
conduce proprio ad affermare che il rapporto di lavoro si è in
staurato con il titolare della gestione tecnica e non certo con
quello che si limitava ad amministrare i turni dei lavoratori e a
retribuirli. E ciò sulla base di un'interpretazione sistematica
della 1. 1369/60 che tenga conto della nozione stessa di rapporto di lavoro subordinato.
Del resto, seguendo la tesi del giudice di primo grado, si ver
rebbe ad affermare che un'impresa con qualsiasi oggetto sociale
può condurre in appalto qualsiasi servizio od opera, dalla co
struzione di un immobile alla gestione di un servizio di assisten
za ai malati con pulizia delle camere, alla gestione di un albergo e quant' altro, sempre che questa impresa, assumendo manodo
pera (istruita dal committente) si limiti poi ad organizzarla (per
quanto riguarda i turni, le ferie e così via), senza però esercizio
del potere gerarchico di controllo della prestazione. In tal caso
arriviamo a concepire come lecito proprio l'effetto vietato dalla
1. 1369/60 e cioè a scindere completamente l'organizzazione «amministrativa» del lavoro (retribuzione, turni, ferie, obblighi
previdenziali) dalla direzione tecnica, dall'utilizzazione con
creta del medesimo ed in definitiva dalle responsabilità che
l'ordinamento collega proprio all'utilizzazione del lavoro.
La tendenza dell'impresa postfordista a destrutturarsi, decen
trando alcune attività e servizi, e la parallela espansione del
concetto d'impresa e di rischio non possono, ovviamente, porta re ad un'interpretazione abrogatrice della legge sull'intermedia
zione di manodopera.
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2955 PARTE PRIMA 2956
Anzi proprio l'interpretazione evolutiva della 1. 1369/60, te
nendo conto della sua abrogazione e sostituzione con una disci
plina nuova ma non ancora varata dal legislatore delegato, com
porta il superamento di una visione ancorata al dato storico de
gli anni '60 e alla diffusione delle tipiche ipotesi di «caporala to», che spinsero il legislatore a sanzionarle. La legge aveva, in
fatti, una formulazione molto ampia, che vietava proprio il fe
nomeno dello sdoppiamento a prescindere dalle modalità con
crete con cui esso si realizza. E non vi è dubbio che il fenomeno
del prestito di manodopera si realizza nella forma classica del
caporalato, così come in tutte le altre ipotesi in cui si realizzi la
messa a disposizione delle prestazioni lavorative dei lavoratori
nell'ambito della struttura organizzativa dell'impresa appaltan te.
In proposito giova sottolineare come lo sdoppiamento di fun
zioni, la gestione amministrativa del rapporto e la direzione tec
nica e cioè la gestione formale del rapporto di lavoro, da un la
to, e l'utilizzazione delle prestazioni dall'altro, dall'altro, si
realizza proprio attraverso lo schema del lavoro interinale disci
plinato dalla 1. 196/97 che vede appunto, da un lato, l'impresa fornitrice di manodopera che è titolare del rapporto di lavoro
formale e che provvede ad erogare la retribuzione, a versare i
contributi, ecc. e ad amministrare il personale, dall'altra, l'im
presa utilizzatrice che invece utilizza concretamente il personale avviato dall'impresa fornitrice, senza peraltro essere titolare del
rapporto di lavoro, secondo uno schema triangolare. E non è un
caso che questo sdoppiamento di funzioni sia stato consentito, fino all'entrata in vigore della 1. 30/03 solo dalla legge sul lavo
ro interinale che prevede, in primo luogo, rigorosi controlli sulle
imprese fornitrici di manodopera. Si devono inoltre sottolineare che anche nella figura del «di
stacco del lavoratore», ove si realizza questa scissione, spesso
può ravvisarsi una intermediazione (cfr. Cass. 12224/99, id.,
Rep. 2000, voce cit., n. 1056; 5721/99, ibid., n. 1057). Nel di stacco genuino lo sdoppiamento di funzioni delle imprese (di staccante e distaccata) è temporaneo perché al distacco è con
naturato il rientro del lavoratore presso l'impresa distaccante
(cfr. Cass., sez. un., 1751/89, id., 1989,1, 2494). Quando invece
questo sdoppiamento si verifica in via stabile, spesso si ha pro
prio, anche in ipotesi di distacco, l'ipotesi di intermediazione
vietata.
Assolutamente privi di fondamento sono gli argomenti soste
nuti dalle Ferrovie dello Stato, e recepiti dal giudice di primo
grado, sulla natura pubblicistica dell'attività delle Ferrovie dello
Stato e sulla necessità, quindi, che essa diriga operazioni come
quelle dei passaggi a livello che concernono la circolazione dei
treni, data l'esistenza di minuziose normative regolamentari, nonché quello sul retaggio pubblicistico per cui alle Ferrovie
dello Stato sono conferite funzioni di addestramento del perso nale impiegato per il pubblico esercizio ferroviario, e compiti di
controllo sanitario del personale autoferrotranviario. L'esistenza di regolamenti pubblicistici sulla circolazione dei treni e sull'i
doneità fisica del personale impiegato in servizi attinenti a tale
circolazione, non elimina il fatto pacifico che «il servizio di cu
stodia, manovra e manutenzione dei passaggi a livello» costitui
sca una parte dell'attività imprenditoriale che, del resto, la so
cietà Ferrovie dello Stato, in una logica propria dell'impresa
privata, quale essa è, ha decentrato secondo le tendenze, richia
mate dalla stessa difesa della s.p.a. Ferrovie dello Stato, di una
moderna impresa che opera nel regime di diritto comune. Nes
suno dubita della legittimità del controllo da parte del commit
tente sull'idoneità del personale e sulla regolarità del servizio, tanto più che si tratta di circolazione dei treni, di passaggi a li
vello e quindi, in definitiva di un servizio di grande rilevanza
per la sicurezza delle persone. Ma ciò non esonera l'imprenditore appaltatore, se reale, dal
l'effettuare, a sua volta, un costante e integrale controllo sulle
prestazioni rese dai propri dipendenti, a mezzo di un'idonea or
ganizzazione di uomini e/o mezzi in grado di verificare l'ope rato degli addetti ai passaggi a livello e rispondere, quindi, con
sapevolmente, di eventuali mancanze o deficienze nella condu
zione dell'appalto. Certamente nulla vieta alle Ferrovie dello Stato s.p.a. di de
centrare parti della propria attività, ma il punto è che se tali atti
vità vengono date in appalto, il controllo «pubblicistico» delle
Ferrovie dello Stato deve rimanere un controllo esterno sul ser vizio complessivamente appaltato ed arrestarsi quindi ad un
Il Foro Italiano — 2003.
controllo sui risultati. Comunque il controllo e la direzione tec
nica delle prestazioni lavorative non può che spettare, in primo
luogo, all'impresa che ha appaltato il servizio. Nel caso di spe
cie, invece, l'impresa che ha condotto l'appalto non ha com
piuto in alcun modo tale direzione tecnica ed è significativa, in
tal senso, la concordanza di tutte le dichiarazioni testimoniali
sulla totale mancanza di ingerenza della Sogaf nelle prestazioni lavorative degli addetti ai passaggi a livello che dalla formazio
ne ed istruzione professionale all'espletamento del lavoro è
stata interamente demandata alle Ferrovie dello Stato. Particolar
rilievo assume, in tal senso, il fatto che il caposquadra Sogaf, e
quindi, in ipotesi, il superiore gerarchico dei lavoratori, non
controllava in alcun modo le prestazioni lavorative della mano
vra delle barre e tutto quanto aveva un'attinenza con l'espleta mento del servizio ma si limitava a fornire i materiali di pulizia, le divise e la retribuzione (cfr. testi Formicola, Loffredo e Sini
scalchi). Questo non tanto e non solo perché il detto caposqua dra passava periodicamente (due volte al mese circa) presso il
passaggio a livello, ma perché anche quando vi andava non
compiva alcun atto di controllo del regolare espletamento del
servizio, visionando, ad esempio, i vari registri presenti nel po sto di guarda o verificando, sia pure a posteriori, l'esecuzione
di quanto avvenuto in sua assenza, onde poter valutare la pre stazione lavorativa svolta dai turnisti e relazionare in proposito ai propri superiori, ma si limitava a verificare la pulizia e ma
nutenzione del passaggio a livello. Né erano previste modalità
alternative di contatto tra gli addetti ai passaggi a livello e la di
rigenza Sogaf e tutto il rapporto di lavoro si svolgeva, dall'ini
zio di ciascun turno, in esclusivo e continuo contatto con il per sonale di stazione Ferrovie dello Stato.
Ed anche sul potere disciplinare non si possono condividere
le tesi delle Ferrovie dello Stato. Il potere disciplinare è stretta
mente collegato a quello gerarchico direttivo e costituisce, co
munque, un momento patologico nello svolgimento del rapporto di lavoro. Nel caso di specie, dalla prova testimoniale non è
emerso con chiarezza come fosse esercitato il potere disciplina re da parte della Sogaf. In ogni caso data la particolarità del
rapporto, il fatto che anche in materia di sanzioni disciplinari il
potere era della Sogaf, non è rilevante, quanto lo è il fatto certo
che tale potere era esercitato e, non poteva del resto essere di
versamente, solo sulla base della segnalazione delle Ferrovie
dello Stato, in quanto, la Sogaf poiché non controllava in alcun
modo né la concreta e quotidiana presenza di ciascun turnista, né tantomeno lo svolgimento regolare delle prestazioni richieste
ai lavoratori — che erano invece controllate solo dalle Ferrovie
dello Stato — non poteva autonomamente esercitare neppure il
potere disciplinare. Ed anche a tale proposito non può che sottolinearsi la singola
re analogia con quanto avviene nel lavoro interinale, ove la ti
tolarità del potere disciplinare spetta all'impresa fornitrice, ma è
quella utilizzatrice che deve comunicare, come è ovvio, gli ele
menti che formano oggetto della contestazione disciplinare. I ri
chiami sin qui svolti alla figura del lavoro interinale servono ad
indicare come l'esternalizzazione del servizio dei passaggi a li
vello, sia stata compiuta con modalità concrete che richiamano
in molti aspetti, proprio quelle esigenze tutelate dalla 1. 196/97.
L'indicazione peraltro evidenzia, al tempo stesso, come le
esigenze economiche sottese all'esternalizzazione dei passaggi a livello non siano state legittimamente esercitate attraverso gli strumenti giuridici che l'ordinamento prevedeva per esse.
3) Del tutto irrilevanti sono le considerazioni «formali» sui
soggetti che hanno stipulato il contratto di appalto e sul fatto
che l'interlocutore negoziale della s.p.a. Ferrovie dello Stato
non è la Sogaf, bensì l'associazione temporanea di imprese della quale la Sogaf è uno dei componenti. Quel che rileva, ai
fini dell'individuazione delle ipotesi di intermediazione, non è tanto l'organizzazione imprenditoriale della società appaltata e
il fatto che questa abbia o meno un'organizzazione produttiva e
sia o meno una società fittizia, quanto piuttosto la natura delle
prestazioni appaltate: nel caso esse siano riconducibili a mere
prestazioni di lavoro si ha l'inserimento del prestatore nella
struttura organizzativa dell'azienda appaltante; nel caso in cui
invece le prestazioni appaltate riguardino anche altri fattori pro duttivi (capitali, macchine, attrezzature, know-how, ecc.), i rap
porti di lavoro gestiti dall'appaltata rimangono attratti nella
struttura organizzativa di quest'ultima (cfr. Cass. 5185/01, cit.). In ogni caso va considerato che, come sottolineato dalla stes
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sa società appaltata anche formalmente, l'appalto relativo alla
custodia, manovra, manutenzione e pulizia dei passaggi a livel
lo, ha formato oggetto di un'appendice autonoma stipulata con
la stessa Ati in data diversa e comunque di fatto affidata da que sta Ati alla Sogaf, impresa il cui oggetto sociale come ricono
sciuto dalle stesse Ferrovie dello Stato, non ha nulla a che vede
re con la circolazione dei treni, con manovre a passaggi a livel
lo, essendo un'impresa di pulizia e manutenzione.
In proposito non si possono condividere le considerazioni
dell'appellata sull'irrilevanza dell'oggetto sociale della Sogaf e
sul fatto che, comunque, almeno alcune delle attività appaltate avevano attinenza con tale oggetto. E assorbente il rilievo che, dall'istruttoria svolta, è emerso che le mansioni prevalenti, nel
senso che comunemente si dà a tale locuzione anche ai fini del
l'art. 2103 c.c., esercitate dagli addetti ai passaggi a livello, ri
guardassero appunto la manovra di apertura e chiusura delle
barre, l'annotazione sui registri molteplici delle Ferrovie dello
Stato delle varie attività, le segnalazioni alle stazioni limitrofe, il controllo dei treni in transito, mentre rilievo del tutto margi nale hanno assunto mansioni di pulizia del casotto che mai
avrebbero giustificato un turno di sei ore giornaliere. Il lavoro prevalente dell'addetto ai passaggi a livello era,
quindi, quello attinente la circolazione dei treni ed era unica
mente soggetto alla direzione delle Ferrovie dello Stato, e le
prestazioni di lavoro di ciascun turnista si svolgevano con una
continua interazione con il personale delle Ferrovie dello Stato
ed i capi servizio delle stazioni limitrofe. Del tutto marginale era invece l'attività di pulizia del casotto, quella sì svolta con il
controllo del caposquadra Sogaf e con i mezzi (detersivi) forniti
dalla Sogaf. In ogni caso l'oggetto sociale di una società ha una cospicua
rilevanza giuridica essendo per legge indicato nell'atto costitu
tivo della società (art. 2475 c.c. in tema di s.r.l.); essenziale ai
fini della sussistenza delle autorizzazioni governative e per le
altre condizioni richieste dalla legge (art. 2329 c.c. richiamato
dall'art. 2495 c.c.); idoneo a determinare la nullità della società
per sua illiceità o contrarietà all'ordine pubblico (art. 2332, n. 4,
c.c. richiamato dall'art. 2475 c.c.); determinante nel delimitare i
poteri di rappresentanza degli amministratori della società (art. 2384 c.c. e 2384 bis c.c. richiamati dall'art. 2487 c.c. per la
s.r.l.), sicché, per quanto non essenziale ai fini dell'individua
zione dell'ipotesi di intermediazione vietata, certamente anche
l'oggetto sociale della Sogaf, sopra riportato, non concorre a
delineare una ipotesi di appalto genuino, ma costituisce proprio la prova del nove della mancanza di ogni potere di gestione del
rapporto di lavoro da parte della società Sogaf che non ha im
piegato un'organizzazione di mezzi necessari all'espletamento
dell'appalto; appalto, che il codice civile (art. 1655 c.c.) defini sce come il contratto con il quale una parte assume, con orga nizzazione di mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il
compimento di un'opera o di un servizio.
Diventano quindi irrilevanti le argomentazioni difensive del
l'appellata sull'esistenza reale della società consortile e della
Sogaf, una volta appurato che né l'una né l'altra avevano una
propria struttura imprenditoriale idonea a dirigere e gestire, se
non dal punto di vista meramente amministrativo, le prestazioni di lavoro degli addetti ai passaggi a livello.
Assume invece rilevanza, ai fini della configurabilità della
intermediazione vietata, il fatto che le risultanze istruttorie han
no evidenziato che la Sogaf non solo non ha le minime strutture
così come correttamente afferma l'appellata, relative all'oggetto
principale del servizio appaltato (custodia e manovra dei pas
saggi a livello), perché queste, ovviamente, sono attrezzature
inevitabilmente di proprietà delle Ferrovie dello Stato o dello
Stato (barriere, binari, palette, casotto, ecc.). Ma essa, soprat
tutto, non ha, il know-how o il savoir-faire rispetto all'oggetto
principale dell'appalto, non ha cioè quel bagaglio di conoscenze
necessarie in materia di circolazione dei treni che consenta di
individuare, con riferimento allo specifico lavoro svolto dagli addetti ai passaggi a livello, un'organizzazione di impresa in
grado di fornire manodopera opportunamente formata e diretta
per lo svolgimento del servizio.
Certamente tale impresa non poteva possedere i binari, i ca
sotti, le barre, le torce e quant'altro necessario allo svolgimento delle attività. Ma doveva almeno avere un'organizzazione ido
nea al controllo dell'attività lavorativa, non complesse attrez
zature, perché quelle sono di proprietà Ferrovie dello Stato, ma
Il Foro Italiano — 2003.
quantomeno qualcosa che vada al di là delle attrezzature di puli zia del casotto (detersivi), del tutto marginali rispetto all'attività
lavorativa appaltata. L'appellata richiama in proposito signifi cativamente l'apporto, da parte dell'appaltatore, del momento
organizzativo-immateriale rispetto all'attività materialmente
svolta e agli impianti utilizzati che attribuisce valore aggiunto alla prestazione lavorativa proprio in quanto essa è fornita in
modo organizzato. Pertanto, afferma l'appellata, «si è certa
mente fuori dall'ipotesi vietata dalla 1. 1369/60 allorché, nel
l'organizzazione del servizio, l'appaltatore utilizzi capacità, co
noscenze, reti di relazioni tali che senza di essi la prestazione del singolo dipendente avrebbe minor valore produttivo intrin
seco per l'impresa appaltante». Ma è agevole constatare che, nel
caso di specie, alcun valore aggiunto ha apportato la Sogaf e/o
la società consortile, non potendo impiegare alcuna conoscenza
specifica, alcuna rete di relazione, alcuna conoscenza tecnica
del servizio, in conformità al suo. oggetto sociale e non avendo
comunque, di fatto, impiegato tali conoscenze tecniche nella
conduzione dell'appalto, tant'è che non solo non ha formato o
concorso a formare professionalmente il lavoratore, ma non lo
ha neppure diretto né ha concorso a dirigerlo unitamente alle
Ferrovie dello Stato tenute per legge al controllo della circola
zione dei treni.
La rete di conoscenze e l'apporto organizzativo-immateriale, cui fa riferimento l'appellata, non può consistere soltanto nel
l'organizzazione amministrativa (turni, ferie, retribuzioni) della
manodopera perché tale organizzazione amministrativa costitui
sce il minimo comune denominatore generico di ogni impresa che abbia dipendenti, ma non rappresenta certamente un apporto di conoscenze specifiche in relazione al servizio appaltato. Se
guendo tale concezione, come si è già evidenziato, un'impresa come la Sogaf con oggetto sociale riconducibile, in linea di
massima, ad attività di pulizia e facchinaggio, potrebbe condur
re appalti di manodopera in qualsivoglia settore, dalla costru
zione di immobili alla gestione di una casa per anziani o di un
albergo, senza esercitare alcun controllo diretto sulle prestazioni lavorative dei propri dipendenti, formati professionalmente e di
retti dall'appaltante. Si consideri, richiamando ancora una volta
la disciplina del lavoro interinale, come la possibilità che
un'impresa si occupi esclusivamente di gestione di personale si
deve tradurre nell'adozione di un oggetto sociale che sia esclu
sivamente quello «dell'attività di fornitura di manodopera» con
indicazione anche nella denominazione sociale (1. 196/97, art.
2). In tale contesto, tenuto conto che l'oggetto sociale di una so
cietà delimita anche i poteri di coloro che ne hanno la rappre sentanza (art. 2487 c.c. che richiama gli art. 2384 e 2384 bis
c.c.), si spiega perché il contratto di assicurazione per i danni ar
recati ai terzi sia stato sottoscritto dalle Ferrovie dello Stato e
non dalla Sogaf, perché i suoi amministratori non avrebbero
potuto neppure validamente assicurare la società, in quanto privi di potere di rappresentanza, in un campo come quello della cir
colazione dei treni, del tutto avulso dall'oggetto sociale. Ed an
che l'esistenza di tale contratto di assicurazione conferma che il
rischio connesso all'attività appaltata era interamente rimasto a
carico delle Ferrovie dello Stato.
4) Il rapporto di lavoro deve quindi ritenersi costituito ab ori
gine con le Ferrovie dello Stato s.p.a. a norma dell'art. 1 1.
1369/60. Al lavoratore spetta l'inquadramento nel profilo di au
siliario di stazione di cui al c.c.n.l. In proposito le Ferrovie dello
Stato hanno eccepito l'inammissibilità di tale domanda, ma
l'eccezione è infondata avendo l'appellante allegato il c.c.n.l.,
considerato che la declaratoria richiesta è la più bassa prevista dal c.c.n.l. Piuttosto va dichiarata l'inammissibilità della do
manda di condanna ad eventuali differenze retributive che non
sono neppure dedotte con chiarezza dall'appellante.
5) Una volta appurata l'esistenza di un appalto illegittimo, ne
consegue a norma dell'art. 1, ultimo comma, 1. 1369/60 che il
rapporto di lavoro non può dirsi legittimamente interrotto dal li
cenziamento intimato dalla Sogaf; che, pertanto, il licenzia
mento deve ritenersi illegittimo in quanto posto in essere dal
soggetto interposto. Le conseguenze di tale illegittimità sono
quelle indicate dall'art. 18 statuto dei lavoratori. Va pertanto ordinata la reintegra del lavoratore nel posto di lavoro e con
dannate le Ferrovie dello Stato al risarcimento del danno pari a
tutte le mensilità di retribuzione dalla data del licenziamento
alla reintegra, con gli interessi legali e la rivalutazione moneta
ria a norma dell'art. 429 c.p.c.
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