sezione lavoro; sentenza 22 gennaio 1999, n. 612; Pres. Sommella, Est. Cataldi, P.M. Dettori(concl. conf.); Cassa nazionale del notariato (Avv. Pinnarò) c. Bonvicini (Avv. Cappellaro).Conferma Trib. Vicenza 9 maggio 1995Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 2 (FEBBRAIO 1999), pp. 469/470-475/476Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23192821 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
l'autorizzazione stessa da dichiarare, senza alcun margine di di
screzionalità, dall'Isvap con provvedimento da pubblicarsi nella
Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana, con la conseguenza che le domande dirette ad accertare l'avvenuto esercizio di tale
diritto, l'obbligo della dichiarazione di decadenza e le conse guenze derivanti da tale mancata dichiarazione sono devolute
alla giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria e con l'ulte riore conseguenza che sono devolute allo stesso giudice le do
mande con le quali si chiede la declaratoria di inesistenza del
decreto ministeriale di revoca dell'autorizzazione e di sottoposi zione dell'impresa alla liquidazione coatta amministrativa di cui
agli art. 67 ss. dello stesso decreto, pronunciato successivamen
te all'intervenuta rinuncia all'esercizio, nonché l'accoglimento di domande risarcitone dei danni subiti a seguito di tale decre
to, trattandosi di provvedimento adottato in assoluta carenza
di potere, non sussistendo il potere di revoca una volta manife
stata la volontà di rinunciare all'autorizzazione.
5. - Con la memoria, i ricorrenti hanno chiesto la condanna
dei controricorrenti per responsabilità aggravata ai sensi del
l'art. 96 c.p.c., nonché la cancellazione delle espressioni sconve
nienti ed offensive contenute nel controricorso e specificamente richiamate.
La domanda ex art. 96 c.p.c. va respinta non ravvisandosi, nella resistenza della difesa erariale, alcuna mala fede o colpa
grave, attesa la novità delle questioni prospettate. Va parimenti rigettata la domanda ex art. 89 c.p.c. non sussi
stendo nelle espressioni riportate dai ricorrenti gli estremi della
sconvenienza e della offensività, ma, al massimo, della loro estra
neità ai fini della decisione della questione sottoposta a questa corte.
6. - Va, pertanto, dichiarata la giurisdizione dell'autorità giu diziaria ordinaria e vanno rigettate le domande formulate dai
ricorrenti ai sensi degli art. 96 e 89 c.p.c.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 22 gen naio 1999, n. 612; Pres. Sommella, Est. Cataldi, P.M. Det
tori (conci, conf.); Cassa nazionale del notariato (Aw. Pin
narò) c. Bonvicini (Aw. Cappellaio). Conferma Trìb. Vi
cenza 9 maggio 1995.
Professioni intellettuali — Indennità di maternità — Astensione
iniziata prima dell'entrata in vigore della 1. 379/90 — Decor
renza (L. 11 dicembre 1990 n. 379, indennità di maternità
per le libere professioniste, art. 1). Professioni intellettuali — Indennità di maternità — Astensione
dal lavoro — Necessità — Esclusione (L. 11 dicembre 1990
n. 379, art. 1). Professioni intellettuali — Indennità di maternità — Partecipa
zione in associazione professionale — Determinazione (L. 11
dicembre 1990 n. 379, art. 1). Previdenza e assistenza sociale — Crediti previdenziali — Tar
divo pagamento — Interessi legali e rivalutazione — Cumulo — Limiti (L. 30 dicembre 1991 n. 412, disposizioni in materia di finanza pubblica, art. 16).
In caso di astensione iniziata prima dell'entrata in vigore della
l. 11 dicembre 1990 n. 379, l'indennità di maternità spetta alla libera professionista (nella specie, notaio) solo per la fra zione del periodo di maternità successivo all'entrata in vigore
(31 dicembre 1990) della legge che l'ha istituita. (1)
(1-4) I. - Sulla prima massima, cfr. Pret. Bologna 2 maggio 1995, Foro it., Rep. 1997, voce Avvocato, n. 222. Per la prassi amministrati
va, circ. ministero lav. prot. 10/93/50413. In dottrina, L. Carbone, La tutela previdenziale dei liberi professionisti, Torino, 1998, 279 ss.
Sul tema affrontato dalla riportata sentenza (prima massima), occor
II Foro Italiano — 1999.
L'indennità di maternità prevista dall'art. 11. 11 dicembre 1990
n. 379 spetta alla libera professionista (nella specie, notaio)
indipendentemente dalla effettiva astensione dal lavoro. (2) In caso di partecipazione ad un'associazione professionale, la
misura dell'indennità di maternità spettante alla libera pro
fessionista, è rapportata al reddito percepito e denunciato ai
fini fiscali dalla libera professionista nel secondo anno prece dente a quello della domanda. (3)
In caso di tardivo adempimento di crediti previdenziali maturati
anteriormente al 1° gennaio 1992, gli interessi legali si cumu
lano con la rivalutazione monetaria. (4)
re evidenziare come a decorrere dal 1° gennaio 1991 (art. 1 1. 375/90) i soggetti beneficiari dell'indennità di maternità sono le professioniste iscritte ad una delle casse di previdenza categoriali (agli effetti della
corresponsione dell'indennità di maternità si intendono iscritti alla cas sa categoriale le professioniste che abbiano fatto pervenire alla cassa medesima regolare domanda di iscrizione, alla condizione che la do manda sia accolta). L'indennità di maternità spetta anche nel caso di
presentazione di domanda di iscrizione alla cassa posteriore al momen to del parto, ma con effetto retroattivo (si deve avere riguardo al mo mento di efficacia dell'iscrizione e non al momento di presentazione della domanda: Pret. Vicenza 4 ottobre 1995, Foro it., Rep. 1997, voce
cit., n. 221). Il diritto all'indennità di maternità decorre dal 1° gennaio 1991, sem
preché la professionista sia iscritta alla cassa categoriale; perché in caso di ritardata iscrizione alla cassa, l'indennità di maternità può essere riconosciuta solo per la frazione di periodo posteriore alla data di iscri zione. Ne consegue che in caso di evento tutelabile verificatosi «a caval lo» dell'entrata in vigore della 1. 379/90 (com'è per la fattispecie esami nata dalla riportata sentenza), l'indennità di maternità spetta solo per la frazione del periodo di maternità tutelabile successivo all'entrata in
vigore della legge che l'ha istituita. II. - Con riferimento alla seconda massima, cfr. Pret. Piacenza 27
febbraio 1997, ibid., voce Notaio, n. 80. La Cassazione, con tre senten ze (oltre a quella in epigrafe, Cass. 21 novembre 1998, n. 11818, id., Mass., 1243, e 21 novembre 1998, n. 11817, ibid., 1242) emesse a breve distanza (e con identico collegio e relatore) ribadisce quanto affermato da Corte cost. 29 gennaio 1998, n. 3, id., 1998, I, 664, con nota di richiami (e Giust. civ., 1998, I, 1203, con nota critica di M. Cinelli, Indennità di maternità e lavoro libero professionale, il quale prospetta ulteriori «dubbi» di legittimità costituzionale della norma, in riferimen to all'art. 38 Cost.) in ordine al diritto, per le libere professioniste, all'indennità di maternità, anche in ipotesi di svolgimento di attività
professionale durante i due mesi precedenti la data presunta del parto ed i tre mesi successivi alla data effettiva del parto.
La riportata sentenza (e le altre due citate) si evidenzia perché fa
espresso riferimento — ai fini della erogazione dell'indennità di mater nità — a tutte le libere professioniste, affermando che la normativa
riguarda non solo le notaie, ma tutte le libere professioniste iscritte alle casse di previdenza e assistenza (le casse e gli enti di previdenza per gli avvocati, i farmacisti, i veterinari, i medici, i geometri, gli spor tivi, i dottori commercialisti, gli ingegneri, gli architetti, i ragionieri, i periti commerciali, i consulenti del lavoro) per le quali non può che valere un'unica interpretazione della legge.
In dottrina, sul tema affrontato nella seconda massima, L. Carbone, La tutela previdenziale dei liberi professionisti, cit., 282; G. Pera, In dennità di maternità senza danno?, in Riv. it. dir. lav., 1998, II, 231; M. Miscione, La maternità per le donne professioniste, in Lavoro giur., 1998, 465; V. Lipari, Una questione nuova in tema di indennità di maternità: libera professionista iscrittasi alla cassa di previdenza duran te il periodo tutelato, in Informazione prev., 1994, 591.
III. - Sulla terza massima non constano precedenti specifici. In ordi ne ai criteri di determinazione dell'indennità di maternità per le lavora trici autonome in generale, v. Cass. 7 ottobre 1997, n. 9733, Foro it.. Rep. 1997, voce Previdenza sociale, n. 667. In dottrina, L. Carbone, La tutela, cit., 281 ss.
In ordine ai criteri per la determinazione dell'indennità di maternità, occorre evidenziare che la misura dell'indennità di maternità di cui alla 1. 379/90, è pari all'ottanta per cento di cinque dodicesimi del reddito
percepito e denunciato ai fini fiscali dalla libera professionista nel se condo anno precedente quello della domanda (art. 1, 2° comma, 1.
379/90). In ogni caso l'indennità non può essere inferiore a cinque men silità di retribuzione calcolata nella misura pari all'ottanta per cento del salario minimo giornaliero stabilito dall'art. 1 1. 537/81, e successi ve modificazioni, nella misura risultante, per la qualifica di impiegato, dalla tabella A e dai successivi decreti ministeriali di cui al 2° comma del medesimo articolo (art. 1, 3° comma, 1. 379/90): trattasi, in pratica, della retribuzione minima imponibile ai fini contributivi dell'impiegato degli studi professionali.
Nel caso di contemporanea iscrizione a due enti di previdenza per liberi professionisti, è da ritenersi che qualora non sia possibile indivi duare il reddito derivante da ogni singola attività, l'importo complessi
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PARTE PRIMA
Svolgimento del processo. — Con ricorso al Pretore di Vi
cenza la notaia Francesca Bonvicini chiedeva la condanna della
Cassa nazionale del notariato al pagamento dell'indennità di
maternità ex art. 1 1. 11 dicembre 1990 n. 379.
La cassa del notariato, nel costituirsi in giudizio, rilevava che
la ricorrente aveva partorito il 4 dicembre 1990, prima dell'en
trata in vigore della 1. 379/90, e che la stessa, nel periodo per
il quale era prevista la richiesta indennità (due mesi precedenti
la data presunta del parto e tre mesi successivi all'evento), non
si era astenuta dallo svolgimento dell'attività professionale; con
testava inoltre il quantum della pretesa osservando che la ricor
rente faceva parte di un'associazione professionale.
Il pretore, con sentenza depositata il 9 novembre 1993, acco
glieva parzialmente la domanda riconoscendo il diritto della ri
corrente a percepire l'indennità solo per il periodo successivo
al 1° gennaio 1991, con interessi e rivalutazione dal centovente
simo giorno successivo alla data di presentazione della domanda.
Avverso la decisione di primo grado la cassa del notariato
proponeva appello al Tribunale di Vicenza che lo rigettava rile
vando che sussistevano i presupposti temporali richiesti dalla
norma per riconoscere, seppur parzialmente, il beneficio dalla
data di decorrenza prevista dalla 1. 379/90 (1° gennaio 1991)
sino al compimento dei tre mesi successivi al parto e che l'a
stensione dal lavoro non costituiva un presupposto per il rico
noscimento della richiesta indennità; in merito al quantum della
richiesta osservava che il reddito della professionista era pro
prio quello ricavato dall'attività notarile esercitata in forma as
sociata e denunciato ai fini fiscali.
Per la cassazione della sentenza del tribunale la Cassa nazio
nale del notariato propone ricorso fondandolo su sei motivi.
La Bonvicini resiste con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato successiva memoria.
Motivi della decisione. — Col primo motivo di ricorso, de
nunciando violazione e falsa applicazione dell'art. 1 1. 379/90
in relazione al n. 3 dell'art. 360 c.p.c., la cassa ricorrente censu
ra la sentenza impugnata per avere il tribunale ritenuto che a
partire dal 1° gennaio 1991 debba essere riconosciuto il diritto
all'indennità purché per il periodo successivo a tale data sussi
stano, anche parzialmente, i presupposti temporali richiesti dal
la norma; sostiene viceversa la ricorrente che la legge deve ap
plicarsi solo a quelle fattispecie per le quali, successivamente
al 1° gennaio 1991, sia intervenuto il parto, che è l'unico ele
mento che la legge prende in considerazione.
Il motivo è infondato.
L'evento tutelato dalla 1. 379/91 non è l'evento fisico «par
to», bensì la maternità, che «non si fonda solo sulla condizione
di donna che ha partorito, ma anche sulla funzione che essa
esercita nei confronti del bambino» (Corte cost. n. 1 del 1987,
Foro it., 1987, I, 313): sicché la norma tutela sia il diritto alla
salute della donna, gestante e puerpera, del nascituro e del bam
bino, sia il profondo collegamento esistente tra la protezione della maternità ed il ruolo fondamentale che la madre esercita
nel periodo cruciale della nascita del figlio, tanto che allo stesso
modo viene tutelato l'ingresso in famiglia del bambino in affi
damento provvisorio o in adozione. Pertanto, nel caso in esame
in cui la professionista si trovava, al 1° gennaio 1991, data di
decorrenza della 1. 379/90, nella situazione di puerperio protet to da tale legge in quanto compreso nell'evento maternità, non
v'è ragione di ritenere che non abbia diritto all'indennità (rico
nosciuta dal pretore in misura commisurata al periodo decor
rente dal 1° gennaio 1991 sino al termine dei tre mesi successivi
al parto). Del tutto inconsistente appare poi l'osservazione della ricor
rente secondo la quale l'interpretazione data dal tribunale pri verebbe di logico ed apprezzabile significato la previsione della
vo dell'indennità di maternità debba essere percepito dall'interessata una
sola volta, in quanto la prestazione è diretta a tutelare un unico evento
(l'importo è a carico, nella misura del cinquanta per cento, delle due casse cui la professionista è iscritta ed alle quali versa i relativi contri
buti: circ. min. lav. 29 novembre 1991, direz. generale della previdenza e assistenza sociale, div. X).
IV. - Sulla quarta massima, nel senso dell'esclusione del divieto di
cumulo di rivalutazione ed interessi legali per le fattispecie di ritardo
verificatesi anteriormente all'entrata in vigore dell'art. 16, 6° comma, 1. 412/91, giurisprudenza ormai consolidata: v. Corte cost. 24 ottobre
1996, n. 361, Foro it., 1996, I, 3266, con nota di richiami; Cass., sez.
un., 26 giugno 1996, n. 5895, ibid., 3027.
Il Foro Italiano — 1999.
«data presunta» del parto, indicativa della volontà del legislato
re di non apprestare tutela anche in favore di quelle situazioni
per le quali l'evento parto si era già determinato. Il riferimento
alla «data presunta» ha l'unico scopo di definire il periodo pre
cedente al parto nell'impossibilità di prevedere la data sicura
dello stesso e non riguarda affatto il periodo del puerperio in
cui l'evento parto si è già verificato.
Riguardo infine alla censura relativa alla copertura degli one
ri economici e finanziari, prevista solo a decorrere dal 1° gen
naio 1991, è sufficiente osservare che proprio a tale data fa
riferimento la sentenza impugnata per la decorrenza del beneficio.
Con il secondo motivo la cassa ricorrente denuncia violazione
e falsa applicazione degli art. 1 e 2 1. 11 dicembre 1990 n. 379
e dell'art. 12, 1° comma, disp. sulla legge in generale, in rela
zione all'art. 360, n. 3, c.p.c., e censura la sentenza impugnata
per aver ritenuto sufficiente constatare che il testo della legge
non menzionava l'astensione dal lavoro e che tale omissione
non poteva essere considerata una «svista» del legislatore, per
concludere che l'obbligo di astensione non costituiva un presup
posto per il riconoscimento dell'indennità, senza una verifica
sufficiente della compatibilità sistematica di tale interpretazione
letterale e della legittimità costituzionale della stessa. Sostiene
la ricorrente che la normativa fondamentale in materia è la 1.
30 dicembre 1971 n. 1204 che, pur riguardando il settore del
lavoro subordinato, contiene principi generali, quale quello del
l'astensione dal lavoro nei perìodi pre e post partum, che rap
presenta il presupposto necessario per la tutela della madre e
del bambino, e costituisce la giustificazione ed il titolo che sor
regge l'indennità.
Con il terzo motivo la cassa denuncia omessa, insufficiente
e contraddittoria motivazione circa un punto della controversia
prospettato dalla ricorrente, in relazione al n. 5 dell'art. 360
c.p.c., nonché l'illegittimità costituzionale degli art. 1 e 2 1.
379/90, ove interpretati nel senso voluto dal tribunale, per vio
lazione degli art. 3, 29, 30, 31, 37 e 38 Cost, e rileva che il
tribunale ha trascurato di valutare che il legislatore, facendo
riferimento ai due mesi precedenti la data presunta del parto
ed ai tre mesi successivi all'evento, ha evidentemente ritenuto
che il lavoro svolto nel periodo immediatamente anteriore al
parto rappresenti una situazione di obiettivo pericolo per la sa
lute della donna e del figlio e che nel periodo successivo debba
essere facilitato il rapporto madre-bambino: sicché una norma
tiva che sganci il «beneficio economico» dal mancato esercizio
dell'attività lavorativa, sarebbe irragionevole ponendosi in pale se contrasto con la protezione degli interessi tutelati che sono
quelli della maternità e dell'infanzia. La cassa ricorrente richia
ma quindi Corte cost. n. 341 del 1991 (id., 1991, I, 2297) che
fa riferimento al rapporto che, nel periodo successivo al parto,
si svolge tra madre e figlio, e la successiva n. 179 del 1993 (id.,
1993, I, 1333) che precisa che le leggi in materia di maternità
sono finalizzate alla tutela dei valori dell'infanzia e della mater
nità, concetto ribadito, anche a proposito del lavoro autonomo,
nella sentenza n. 181 del 1993 (id., Rep. 1993, voce Previdenza
sociale, n. 513) in cui viene sottolineato il dovere del legislatore di apprestare norme e risorse necessarie ad evitare tutto ciò che
possa compromettere la salute della gestante e lo sviluppo della
vita del bambino, valori la cui tutela non sarebbe garantita se
fosse lasciata alla discrezionalità della professionista la decisio
ne di astenersi o meno dal lavoro.
I tre motivi, che possono essere trattati congiuntamente in
considerazione della loro stretta connessione, sono infondati.
L'esigenza di assicurare alla madre ed al bambino una specia le adeguata protezione consacrata negli art. 31 e 37 Cost, ha
determinato un progressivo ampliamento delle fattispecie tute
late, al culmine del quale può essere collocata la 1. n. 379 del
1990, la quale sancisce il diritto delle libere professioniste ad
una indennità in caso di maternità, di adozione, di affidamento
preadottivo e di aborto. I passaggi legislativi fondamentali di
questo processo sono stati: la 1. 30 dicembre 1971 n. 1204 (tute la della lavoratrice madre), la 1. 29 dicembre 1987 n. 548 (in dennità di maternità delle lavoratrici autonome) e infine la 1.
11 dicembre 1990 n. 379 (indennità di maternità per le libere
professioniste). Con la 1. 1204/71 è prevista, tra l'altro, l'astensione dal lavo
ro della lavoratrice dipendente nei due mesi antecedenti la data
presunta del parto e nei tre mesi successivi la nascita del bambi
no, quale diretta conseguenza del divieto imposto dalla norma
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
tiva al datore di lavoro di adibire la stessa al lavoro nel periodo
indicato; durante l'astensione obbligatoria la lavoratrice ha di
ritto ad una indennità pari all'ottanta per cento della retribuzione.
Le successive 1. 548/87 e 379/90 prevedono entrambe, rispet tivamente per le lavoratrici autonome e per le libere professio
niste, una indennità per il periodo di maternità (comprendente i due mesi precedenti la data presunta del parto ed i tre mesi
successivi alla nascita del bambino) o in caso di adozione, affi
damento preadottivo, di aborto spontaneo o terapeutico; en
trambe le leggi indicate non contengono alcun riferimento ad
un obbligo in base al quale, durante i periodi precedente e suc
cessivo al parto considerati, le lavoratrici autonome e le libere
professioniste si debbano astenere da ogni attività a tutela della
propria salute e di quella del bambino, limitandosi a prevedere
un'indennità «per i periodi di gravidanza e puerperio».
Neppure nei lavori parlamentari preparatori della 1. 379/90
vi è alcun accenno, né da parte dei relatori né in sede di discus
sione, ad una astensione dal lavoro delle libere professioniste
nei periodi di gravidanza e puerperio in cui è prevista l'indenni
tà di maternità.
La ricorrente ritiene di poter superare l'indiscutibile dato te
stuale sostenendo che la normativa fondamentale a tutela della
maternità e dell'infanzia è quella del 1971 e che anche nelle
leggi del 1987 e del 1990 l'astensione dal lavoro costituisce il
presupposto necessario per la relativa liquidazione in quanto
l'indennità di maternità è funzionalmente collegata alla manca
ta attività.
Si osserva in proposito che se è vero che tutte le menzionate
leggi sono dirette a fornire non solo un aiuto economico alle
gestanti, ma essenzialmente a dare una efficace tutela a quel
valore — la maternità — che è molto considerato dalla Carta
fondamentale della repubblica, con il conseguente dovere di sal
vaguardia della salute della madre e del bambino (Corte cost,
n. 181 del 1993, cit., e n. 150 del 1994, id., 1994, I, 1651) è 10 stesso giudice delle leggi a mettere in evidenza la diversità
tra lavoro autonomo e lavoro subordinato riflessa nelle leggi
a tutela della maternità, diversità posta a fondamento delle ci
tate sentenze n. 181 del 1993 e n. 150 del 1994. Nella sentenza
n. 181 del 1993, cit., la corte ha affermato che «non mancano
certo delle differenze tra le lavoratrici subordinate e quelle au
tonome, non trovandosi queste ultime sotto la pressione (con
effetti anche psicologici) di direttive, di programmi, di orari, di attività obbligatorie e fisse, ma potendo distribuire più elasti
camente tempo e modalità di lavoro, e sopperendo così in qual
che misura alle difficoltà derivanti dalla temporanea incapacità
fisica a prestare la normale attività lavorativa». Tale differenza
tra lavoro svolto autonomamente e lavoro subordinato riflet
tentesi nelle citate leggi a tutela della maternità è stata recente
mente ribadita dalla corte nella sentenza 29 gennaio 1998, n.
3, id., 1998, I, 664, riguardante il giudizio di legittimità costitu zionale dell'art. 1 1. 11 dicembre 1990 n. 379 (indennità di ma
ternità per le libere professioniste). Osserva la corte che, mentre
per le lavoratrici dipendenti, soggette ad etero-direzione della
loro attività, la legge ha dovuto imporre ai datori di lavoro
di non impegnare le gestanti negli ultimi due mesi di gravidanza e nei tre mesi successivi al parto, il diverso sistema di autoge stione dell'attività consente alle donne professioniste di sceglie
re liberamente modalità di lavoro tali da conciliare le esigenze
professionali con il prevalente interesse per il figlio. D'altra parte,
proprio in considerazione dei diversi ritmi delle libere professio
ni, sarebbe complesso esigere e verificare l'osservanza di una
norma che prevedesse anche per tale categoria di lavoratrici l'ob
bligo di astensione dal lavoro nel periodo immediatamente pre
cedente e successivo al parto. Rileva inoltre la corte che il sostegno economico che la legge
fornisce alla lavoratrice gestante e poi madre ha un duplice obiet
tivo: tutelare la salute della donna e del nascituro, soprattutto
attraverso lo strumento dell'astensione dal lavoro, ed evitare
nel contempo che alla maternità si colleghi uno stato di biso
gno, o più semplicemente una diminuzione del tenore di vita.
L'essenziale, quindi, è che la donna possa vivere questo delica
to e fondamentale momento in piena serenità, di modo che non
vengano a frapporsi né ostacoli, né remore, alla gravidanza e
alla cura del bambino nel periodo di puerperio.
Se questi sono i corretti presupposti dai quali prendere le mos
se, la corte osserva che, per assolvere in modo adeguato alla
funzione materna, la libera professionista non deve essere tur
11 Foro Italiano — 1999.
bata da alcun pregiudizio alla sua attività professionale. Ciò
può avvenire lasciando che la lavoratrice svolga la sua funzione
familiare conciliandola con la contemporanea cura degli inte
ressi professionali non confliggenti col felice avvio della nuova
vita umana. La probabile diminuzione del reddito a motivo del
la sospensione o riduzione dell'attività lavorativa non incide,
comunque, sulla predetta necessaria serenità se compensata dal
sostegno economico proveniente dalla solidarietà della catego ria cui la donna appartiene.
I riportati principi e considerazioni contenuti nelle richiamate
sentenze della Corte costituzionale sono sufficienti a travolgere
completamente le censure della cassa ricorrente alla sentenza
impugnata sia sotto il profilo della compatibilità sistematica della
interpretazione letterale della norma in esame, che non fa men
zione di astensione dal lavoro, sia sotto il profilo della costitu
zionalità della stessa.
Riguardo ad alcune considerazioni della cassa relative alle nor
me della legge notarile tendenti ad assicurare il servizio del no
tariato, che prevedono la nomina di un coadiutore in tutte le
ipotesi d'impedimento del notaio a svolgere la sua attività, i
rilievi non appaiono decisivi al fine di una diversa interpretazio ne della 1. 379/90, sia perché ben può la responsabile autodeter
minazione dell'interessata, in grado di gestire in modo autono
mo le proprie forze nel tempo e adattare le caratteristiche della
struttura attraverso la quale svolge la sua libera professione alle
proprie esigenze, scegliere nel modo migliore come e quando
svolgere attività lavorativa in modo da assicurare il servizio del
notariato, eventualmente realizzandolo nei minimi legali, anche
senza il ricorso ad un coadiutore; sia perché la normativa ri
guarda non solo le notaie ma tutte le libere professioniste iscrit
te alle casse di previdenza e assistenza indicate nell'ali. A alla
legge stessa (comprendente le casse e gli enti di previdenza per
gli avvocati, i farmacisti, i veterinari, i medici, i geometri gli
sportivi, i dottori commercialisti, gli ingegneri, gli architetti, i
ragionieri, i periti commerciali e i consulenti del lavoro), per
le quali non può che valere un'unica interpretazione della legge
comune sulla quale non può influire la peculiare normativa del
la professione notarile in materia di nomina del coadiutore, det
tata in vista del perseguimento di diversi obiettivi.
In conclusione il legislatore, considerata la possibilità da par
te della libera professionista di autodeterminare le modalità di
svolgimento del suo lavoro, adeguandolo responsabilmente alle
proprie forze ed alle esigenze del bambino, ha ritenuto di ap
prestare una tutela adeguata ai valori della maternità anche sen
za imporre l'astensione dal lavoro, ma offrendo alla libera pro fessionista di poter affrontare il periodo di gravidanza e puer
perio senza il turbamento di pregiudizio per la sua professione dovuto alla imposta inattività, attraverso un sostegno economi
co che possa consentirle di diminuire il proprio ritmo lavorativo
e di fronteggiare la probabile riduzione del reddito a motivo
della riduzione o sospensione dell'attività lavorativa.
Col quarto motivo, denunziando violazione e falsa applica
zione dell'art. 1 1. 379/90 in relazione al n. 3 dell'art. 360 c.p.c.,
la cassa ricorrente censura la sentenza impugnata per aver rite
nuto che la misura dell'indennità fosse riferibile al reddito, co
me previsto dall'art. 2 1. 379/90, criterio non applicabile in caso
di associazione professionale dove il reddito complessivo è ri
partito tra gli associati con quote convenzionali; nel caso in
esame, a parere della cassa, trovava invece applicazione il 3°
comma dell'art. 1 della citata legge. II motivo è infondato.
La misura dell'indennità di maternità spettante alle libere pro
fessioniste è stabilita dal 2° e 3° comma dell'art. 1 1. 379/90.
La prima delle norme citate dispone che tale indennità viene
corrisposta in misura pari all'ottanta per cento di cinque dodi
cesimi del reddito percepito e denunziato ai fini fiscali dalla
libera professionista nel secondo anno precedente a quello della
domanda, mentre il comma successivo stabilisce che in ogni ca
so l'indennità non può essere inferiore a cinque mensilità di
retribuzione calcolata nella misura pari all'ottanta per cento del
salario minimo giornaliero stabilito dall'art. 1 d.l. 29 luglio 1981
n. 402, convertito dalla 1. 26 settembre 1981 n. 537 e successive
modificazioni, nella misura risultante, per la qualifica di impie
gato, dalla tabella A) e dai successivi decreti ministeriali di cui
al 2° comma dello stesso articolo.
Ritiene il collegio che l'espressione «in ogni caso» (diversa
da «in ogni altro caso»), contenuta nel 3° comma, indichi chia
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PARTE PRIMA
ramente il valore residuale e di salvaguardia della norma stabili
to in funzione della liquidazione minima del beneficio e non
sia riferibile a situazioni diverse da quelle indicate nel 2° com ma: tale significato trova conferma nella lettura dei lavori par lamentari relativi all'approvazione della 1. 379/90, da cui risulta
che i relatori, in entrambi i rami del parlamento, ebbero a chia
rire che la norma si era resa necessaria in quanto all'indennità
di maternità erano interessate anche professioniste all'inizio della
carriera per le quali il reddito del secondo anno precedente al
parto poteva essere molto basso o addirittura inesistente.
Del resto la stessa formulazione adottata dal 2° comma, in
cui si parla di reddito percepito e denunciato ai fini fiscali dalla libera professionista, senza ulteriori qualificazioni, tende a va
lorizzare il dato obiettivo costituito da un reddito connesso allo
svolgimento, in qualsiasi forma, dell'attività professionale: il red
dito, anche se configurato come partecipazione ad un'associa
zione professionale, è tratto proprio dallo svolgimento della pro fessione e non può certo mettersi in dubbio che l'attività notari
le, sia pure esercitata in forma associata, sia una libera
professione. Con il quinto motivo la cassa ricorrente denuncia violazione
e falsa applicazione dell'art. 7 1. 533/73 e dell'art. 2 1. 379/90 in relazione al n. 3 dell'art. 360 c.p.c. sostenendo che il termine dal quale decorrono interessi e rivalutazione è il centoventunesi
mo giorno dalla ricezione di tutti i documenti previsti dalla leg
ge e comunque necessari affinché l'ente sia messo nella condi
zione di provvedere (e non dalla domanda, come stabilito dal
tribunale) e che la notaia Bonvicini aveva inviato copia della
dichiarazione dei redditi relativa all'anno 1989, che costituiva
documento necessario ai fini del riconoscimento e della liquida zione dell'indennità, soltanto il 15 luglio 1991, data da cui do veva decorrere il termine di centoventi giorni.
Anche tale motivo è infondato.
L'art. 7 1. 11 agosto 1973 n. 533 stabilisce che in materia di previdenza e di assistenza obbligatorie, la richiesta all'istituto assicuratore si intende respinta, a tutti gli effetti di legge, quan do siano trascorsi centoventi giorni dalla data della presentazio ne, senza che l'istituto si sia pronunciato: da tale termine decor rono le condizioni di legale responsabilità dell'ente previdenzia le che non ha delibato la domanda — che deve essere presentata in modo rituale, accompagnata dalla documentazione richiesta dalla legge — nel tempo concessogli dalla norma.
Nel caso in esame il tribunale ha accertato che la richiesta di indennità di maternità da parte della notaia Bonvicini è stata ritualmente presentata il 23 gennaio 1991, corredata dal certifi cato medico e dalla dichiarazione concernente l'inesistenza del diritto all'indennità di maternità ai sensi delle altre leggi in ma
teria, che sono gli unici documenti che, in base all'art. 2 1.
379/90, debbono accompagnare la domanda. Non c'è dubbio
pertanto, che dalla presentazione della domanda, accompagna ta dalla documentazione specificatamente indicata dalla norma ai fini della ritualità della presentazione dell'istanza, decorre, come esattamente ha osservato il tribunale, il termine desumibi le dal citato art. 7 1. n. 533 del 1973, entro il quale la cassa avrebbe dovuto provvedere al riconoscimento del diritto (diver so dalla liquidazione dell'indennità) o al rigetto della domanda se riteneva che non sussistessero i presupposti del diritto all'in
dennità, come ha sostenuto in questo giudizio. Con il sesto motivo, denunciando violazione e falsa applica
zione dell'art. 16, 6° comma, 1. 30 dicembre 1991 n. 412, e
degli art. 1224, 2° comma, c.c., e 429, 3° comma, c.p.c. in relazione al n. 3 dell'art. 360 c.p.c. la cassa ricorrente censura la sentenza impugnata per avere il tribunale ritenuto che la 1. 412/91 non si applichi retroattivamente, condannando la ricor rente al pagamento cumulativo di interessi e rivalutazione sulle somme ritenute dovute.
Il motivo è infondato.
Questa corte con giurisprudenza ormai costante (v., tra le tante sentenze, Cass. 6 novembre 1995, n. 11534, id., Rep. 1995, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 209; sez. un. 26
giugno 1996, n. 5895, id., 1996, I, 3027), che questo collegio condivide, ha ritenuto che l'art. 16, 6° comma, 1. 30 dicembre 1991 n. 412, che ha modificato la disciplina dettata dall'art. 442 c.p.c. stabilendo che la rivalutazione monetaria è dovuta soltanto se il relativo importo supera quello degli interessi lega li, escludendo quindi il cumulo di rivalutazione ed interessi, non trova applicazione per le fattispecie di ritardo verificatesi ante
Ix Foro Italiano — 1999.
riormente alla sua entrata in vigore, i cui effetti continuano ad essere disciplinati, fino all'estinzione della relativa obbliga zione, dall'art. 442 (nel testo risultante da Corte cost. 156/91, id., 1991, I, 1321, che prevede il cumulo di interessi e rivalu
tazione). Del suddetto principio si deve fare applicazione nel caso di
specie in cui il credito della notaia è maturato prima dell'entra
ta in vigore della 1. 30 dicembre 1991 n. 412, con conseguente cumulo di interessi e rivalutazione sulla somma dovuta, così
come disposto nella sentenza impugnata. In conclusione, il ricorso va rigettato.
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 12 gen naio 1999, n. 265; Pres. De Tommaso, Est. Lupi, P.M. Fraz zini (conci, diff.); Soc. Iritecna (Aw. De Luca Tamajo, Bo
sio) c. Aiello e altri (Aw, Patrizi, Biolé); Boccuni e altri
(Avv. Contestabile, Vercelli) c. Soc. Iritecna. Conferma Trib. Genova 18 aprile 1996.
Lavoro (rapporto di) — Licenziamento collettivo — Procedura — Violazione — Accordo sindacale — Conseguenze (L. 23
luglio 1991 n. 223, norme in materia di cassa integrazione, mobilità, trattamenti di disoccupazione, attuazione di diretti ve della Comunità europea, avviamento al lavoro ed altre di
sposizioni in materia di mercato del lavoro, art. 4, 5). Lavoro (rapporto di) — Elenco dei lavoratori collocati in mobi
lità — Comunicazione — Omissione — Conseguenze — Inef
ficacia dei licenziamenti (L. 23 luglio 1991 n. 223, art. 4, 5).
Va escluso che l'accordo tra datore di lavoro ed organizzazioni sindacali faccia perdere rilevanza alla inosservanza della pro cedura di mobilità. (1)
L'omissione della comunicazione prevista dall'art. 4, 9° com
ma, l. 223/91 determina l'inefficacia dei licenziamenti irroga ti in esito al raggiungimento dell'accordo tra datore di lavoro e sindacati. (2)
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 14 novem bre 1998, n. 11480; Pres. De Tommaso, Est. Amoroso, P.M. Martone (conci, diff.); Soc. Calcobit calcestruzzi conglome rati bituminosi (Avv. Rizzo) c. Laudiero e altri. Conferma Trib. Napoli 7 ottobre 1995.
(1) Cass. 265/99 rileva, anzitutto, che l'art. 5 1. 223/91 sanziona l'i nosservanza della procedura di mobilità senza distinguere se essa sia sfociata, o no, in un accordo. Inoltre, prosegue, il raggiungimento del l'accordo non esclude che il controllo dei singoli lavoratori possa esten dersi, oltre che agli aspetti formali della procedura, anche al merito delle scelte sancite con l'accordo stesso. In conseguenza, l'inosservanza della procedura di mobilità comporta l'inefficacia dei recessi intimati, nonostante il raggiungimento dell'accordo. Va segnalato, peraltro, che la corte non esplicita la sorte dell'accordo comunque concluso nono stante la violazione della procedura.
Sulla procedura di mobilità, v., da ultimo, Cass. 30 ottobre 1997, n. 10716, e 11 marzo 1997, n. 2165, Foro it., 1998, I, 1535, con nota di richiami.
Sulle conseguenze della violazione della procedura prevista in tema di cassa integrazione guadagni straordinaria, in ipotesi di raggiungimento di un accordo sindacale, v. Pret. Nola-Pomigliano d'Arco 20 luglio 1998, ibid., 3400, con nota di richiami, che perviene a conclusioni op poste rispetto a quelle della pronuncia in epigrafe.
(2-3) Entrambe le pronunce riprendono gli argomenti già addotti da Cass. 22 aprile 1998, n. 4121, Foro it., 1998, I, 2125, a sostegno della
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